DG 737.97 .L86 1900
Luotto, Paolo, 1855-1897
Il vero Savonarola e il
Savonarola di L. Pastor
Digitized by the Internet Archive
in 2015
https://archive.org/details/ilverosavonarolaOOIuot_0
IL VERO SAVONAROLA
E
IL SAVONAROLA DI LODOVICO PASTOR
/
PAOLO LTJOTTO
IL VERO SAVONAROLA
IL SAVONAROLA 01 L. PASTOR
Seconda Edizione
FIRENZE
SUCCESSORI LE MONNIER
1900
Proprietà Letteraria
e diritti di traduzione riservati.
Firenze, 1900. — Società Tipografica Fiorentina, Via San Gallo, 33.
PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE
Questo libro, quantunque nascesse dal proposito di ribattere il giu-
dizio dato su Fra Girolamo Savonarola da L. Pastor nel III volume della
Storia dei Papi, è tuttavia una tesi piuttosto che una critica c una pole-
mica: si propone di mostrare il vero Savonarola, provando insieme che
quello del Pastor è un Savonarola in parte immaginario. Nostro intento
perciò non è solo di distruggere, ma di edificare: se ci fosse piaciuto solo
di distruggere, la via sarebbe stata molto più breve e facile.
Ma a\ remo edificato davvero ? Giudicherà il lettore. Noi colla scorta
principalmente delle Opere del Frate, sia edite, sia inedite, e dei docu-
menti intorno a lui fin qui pubblicati, abbiamo cercato di riti-arre la dot-
trina e la vita del Savonarola e mostrar questa conforme a quella, nei ri-
guardi specialmente verso 1' autorità, e soprattutto verso Alessandro YI.
Frutto de' nostri studj è una sincera persuasione sempre crescente che
la vita di quest'uomo fosse piena di virtù, e perciò conforme alla sana dot-
trina, e vorremmo anche dire ornata di santità, se non dovessimo intorno
a questo lasciare il giudizio alla Chiesa, per la quale egli visse e morì.
Dalle nostre pagine vedrà il lettore che il Savonarola, sotto ogni
rispetto, appartiene alla famiglia cattolica e che questa ha perciò pieno
diritto di annoverarlo fra i migliori suoi figli. Del resto egli vive nella
Chiesa come vivono i membri di lei più eletti. E noi siamo lieti di poter
attestare che specialmente nell'Ordine domenicano il Savonarola \ive
come quattro secoli fa.
Innanzi che io pubblicassi il primo volume dello Studio della Sacra
Scrittura secondo Girolamo Savonarola c Leone XIII, io non conoscevo
nessuno dei Padri della Congregazione di San Marco: ora posso dire di
averli tutti affezionati amici; e a loro slessi si deve se questo mio la-
— VI —
voro viene alla luce lo ammiro ed amo il loro Savonarola, ossi, conti-
nuandola tradizione doli' illustre Padre Marchese, hanno per il Savo-
narola una venerazione ed un eulto: questo bastò por istituire fra di noi
una dolce amicizia. Nè men vivo e men caldo ò questo culto negli altri
conventi d'Italia e d'Europa e della stessa America, sicché, se uno tra i
figli di San Domenico usasse anche oggidì minor riverenza verso colui elio
San Filippo Neri è Santa Caterina dei Ricci venerarono come santo,
cosini, come nel secolo XVI il Caterino, sarebbe chiamato V Ismaele dei
suoi fratelli.
Aveva ben ragione il P. Lodovico Ferretti di domandare: « Ha peli-
li sato il prof. Pastor clic non si trattava d'un monumento archeologico da
« esaminare, non si trattava di giudicare un pezzo di materia morta e
« seppellita da secoli; ha pensato che il Savonarala vive ancora nei suoi
« scritti e vive più che mai nel cuoi o dei suoi confratelli, in quell'Ordine
« eliclo tien caro come una dello suo glorie più belle, a cui non intendo
« per nulla di rinunziare » ? (Rosario, Memorie Domenicane, anno XIII,
n° 23).
Comparvo il libro del Pastor, che al Savonarola ripeteva le tacco di
fanatico, superbo, appassionalo, esageralo, rigido, disobbediente e ribelle, sa-
crilego e blasfemo; e varj cattolici, che già veneravano il Savonarola,
indotti dall' autorità grandissima e ben acquistata colla virtù, colla
scienza, colla erudizione straordinaria del nuovo censore, cambiarmi
partito; ma Dell'Ordine domenicano, per quanto io sappia, la venera-
zione verso il grande confratello non diede neppure un crollo, tanto
era viva e profonda! come non lo diede in (pianti orano un poco addentro
nello cose savonaroliane.
Questa fermezza è la più eloquente delle apologie.
Si parlò di nuovi documenti pubblicati dal Pastor. Attestiamo fin d'ora
che, tra i documenti del Pastor riguardanti il Savonarola, neppur uno è
veramente nuovo, come non è nuova nessuna dello accuse mosse da lui
al Frale. Nuova e mirabile è nel Pastor l'arte con cui egli seppe racco-
gliere in poche pagine (pianto fin qui si era dello in condanna del Frale
dal secolo XV lino a noi; nuovo il tentativo di documentare un severo
processo, cui dà peso grande il nome del giudice; nuova la freddezza
con cui persino della inoriti del Savonarola egli parla e pronunzia il giudizio
Inaile, allontanandosi audio dal numero grande dei cattolici che le sup-
poste pecche del Frate dicono terse nel sangue da lui sparso con cri-
sliana virili.
Il giudizio di questi ultimi, nondimeno, è, a mio parere, all'alio sba-
gliato. O la morte del Savonarola è conferma di una vita santa, o egli fu
— vn —
un tristo e un ribollo fino all'ultimo. Fino agli estremi infatti egli persistè
nelle suo vedute, e sebbene cogli occhi umidi di largo pianto si chiamasse
più volte peccatore, sebbene andando al supplizio passasse in mezzo alla
l'olla recitando sommesse preghiere, pure non ritirò mai nemmeno una sil-
laba di (pianto a\e\a ripetutamente predicalo; e sì che avrebbe potuto
tarlo agevolmente c aveva ripetuto più volte che, ove gii t'osse indicato
un errore, lo avrebbe disdetto alla presenza di tutto il popolo.
E già Pico della Mirandola nella Vita di Fra Girolamo al cap. XX
notava, che « se egli in quel momento avesse sentito l'obbligo di provve-
dere alla sua coscienza, avrebbe dovuto tarlo da sè stesso, liberamente e
in presenza di tutto il popolo e ritrattare i suoi errori; e lo avrebbe do-
vuto l'are non solo a voce, ma pur anco in iscritto ». Il Savonarola non
lo fece. Degradato dal commissario pontificio, udita la forinola che lo se-
parava dalla Chiesa, protestò distinguendo : Dalla militante; riepilogando
così (pianto aveva predicato dal pulpito sull'invalidità della sua con-
danna e confermando, se fosse stato un tristo, la sua ostinazione. Egli è
uomo tutto d'un pezzo, uguale sempre a sè stesso; o lo consideriamo
nell'opuscolo Del disprezzo del mondo, lasciato ai suoi cari per conforto
prima di ritirarsi nel chiostro domenicano, o nell'esposizione del salmo
In te Domine, che scriveva nel carcere e lasciava interrotta chiamato dal
carnefice; è sempre lo stesso, nella vita e nella morte. 0 è un uomo
di Dio, fornito di eroiche virtù, o un grande ribaldo e mentitore lino al-
l' ultimo.
Non diciamo che il Pastor accetti semplicemente questo dilemma;
forse l'egregio storico ci direbbe ch'egli parla di difetti e non d'em-
pietà, e che molte pecche materiali possono coesistere con molti
meriti formali. Ma il dilemma nostro è pur vero, e potrebbe trovar
dillieile evitarlo un qualche lettore del Pastor; e allora questo lettore
bisognerebbe che si attenesse alla seconda sentenza e dicesse il Savona-
rola un presuntuoso impenitente. Poiché, troverà pure che il Frate eo-
raggioso e sereno si avviò al supplizio, ma non troverà che il condan-
nato come eretico, il disobbediente e il saerileyo si sia disdetto, nò che il
superbo si sia umiliato.
La mia tesi è in contradizionc a questa. 1 cattolici a cui parlo ve-
dranno le prove. Se avrò dei giudici, li pregherei d'essermi severi; qua-
lunque sia la loro sentenza, mi faranno certo un gran bene. Credo
che neppur una delle proposizioni del Pastor contro Fra Girolamo sia
rimasta senza risposta; tuttavia questo lavoro è piuttosto un programma,
e neppur completo, degli argomenti che ho in animo di svolgere in-
torno al Savonarola, per rivendicarlo completamente alla Chiesa Cattolica,
— Vili —
che non un" apologia ampia e definitiva per ogni parte. Ora, qual bene-
ficio maggiore di quello di arrestarmi nel principio della faticosa via,
quando essa non l'osse la retta ?
Una cosa però devo dire schiettamente. Intorno a Fra Girolamo si è
già parlato troppo, e anche da persone egregie, poggiandosi solamente a
pregiudizi 0 dubbie autorità e senza piena cognizione dell' argomento. Le
sentenze generali si devono ormai lasciare da parte. Se alcuno adunque
volesse censurarmi, lo pregherei di leggere prima almeno le Opere prin-
cipali del Frate e i documenti publicati fin qui intorno a lui. Non è facil
cosa, lo so, ma pure necessaria per conoscer bene la causa; chi non si
sente di esaminare i processi, non dia la sentenza. Ma chi potrebbe rive-
der questo processo meglio del dott. Pastor? A ciò si richiede ingegno,
scienza, religione; ed il Pastor è dotato di mente così alta, è adorno di
sapere così eletto e di religione così sincera che tutti giustamente l'am-
miriamo. Ov' egli dunque volesse ristudiar la questione e pronunciare il
suo giudizio dopo conosciuto meglio 1' argomento, staremmo ad udirlo
tutti umili e riconoscenti, ed io per il primo. Allora mi terrei davvero
ricompensato delle fatiche durate (in qui, nò vorrei spinger oltre le mie
brame.
E qui non posso finire senza esprimere un vivissimo desiderio :
Oliando potremo vedere un'edizione completa di tutte le Opere di questo
grande Predicatore? Onesta sarebbe la più efficace delle difese, sarebbe
un trionfo della scienza e della religione, il più grande e più proficuo ri-
cordo del prossimo Centenario!
Domenico da Pescia nella mestissima lettera che scriveva ai suoi
Frati di San Domenico di Fiesole, la sera innanzi il supplizio, raccoman-
da \ a iid essi le Opere del loro Padre e Maestro! 11 testamento del fedele
compagno nella vita e nella morte del Savonarola sia uno stimolo ai
ligli della Congregazione di San Marco per appagare il comune desiderio!
Faenza, 2'.) Maggio 1897.
AVVERTENZA BIBLIOGRAFICA
PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE.
Non faccio una prefazione bibliografica, sebbene veda ch'essa potrebbe
riuscire utilissima. Intendo rimandarla a quando avrò compiuta la pub-
blicazione degli altri miei lavori intorno a Fra Girolamo. Allora dirò
anche due parole delle principali pubblicazioni recenti sul nostro Frate.
Qui mi limito ad avvertire che i passi citali del Savonarola per lo più li
ho visti nelle edizioni del tempo, nelle edizioni veneziane del secolo XVI
e nelle posteriori quando vi sono. Alcune delle edizioni del tempo mi
vennero favorite dalla Comunitativa di Cesena: le altre le vidi nella Na-
zionale o nella Marucellianu e Riccardiana di Firenze. Le edizioni del
secolo XVI e le posteriori o sono di mia proprietà o appartengono alla
biblioteca di questo Liceo, salvo le prediche sopra l'Esodo, per le quali mi
colsi di una copia della Marucelliana, e quelle sopra Aggeo favoritemi
dalla Nazionale di Firenze.
Come già altrove, così anche qui riduco I' ortografia, e alcune volte
cerco di far correr meglio la grammatica e la sintassi: ma ho sempre cura
che non si alteri per nulla il senso e resti integro il pensiero del Frate.
Per le Opere lasciateci in Ialino e in volgare, come il Trionfo e il
Compendio di Rivelazioni, mi valgo del Ialino e del volgare senza troppa
distinzione, ma come mi par meglio o torna più comodo. Per alcune Opere
minori a volle ricorsi anche alla versione che ce ne ha data il francese
Padre E. C. Ha gonne, Parigi, 1819-1880.
Gli Scritti inediti son sempre quelli che ho potuto leggere per la
cortesia del Prof. P. Villari, e de' quali parlai nella prefazione allo
Studio della Scrittura Sacra, Torino, 1896. Esprimo qui un'altra volta a
questo insigne storico la molla riconoscenza che gli devo.
Delle Opere degli altri untori è dello nel lesto, o prima o poi, l'edi-
zione che cito. Allorché rimando semplicemente alla pagina, se è discorso
del Pastor, intendo il coh/me III /Iella sua Storia dei l'api nella Ira-
puzione italiana del sacerdote Clemente Benetti (Trento, 1896); se si
tratta di altri tu/lori, intendo il 1 volume, ore l'Opera consti di più vo-
lumi. Citando il Quètif intendo le Addizioni alla vita di Fra Girolamo
scritta da Giov. Frane. Pico della Mirandola, Parigi, 1674. Citando i
processi, intendo quelli pubblicati dal Yillari in appendice al volume fi
della sua Storia del Savonarola a tulli nota.
Importante assai e per il lettore una qualche conoscenza de' Nuovi
documenti che furono pubblica li intorno a Fra Girolamo dal P. 3Jar-
chese, dal P. Bayonne, dal Guasti, dal Yillari, dal Del Lungo, dal Lupi,
dal Cappelli, dal Passerini, dal Portioli, dal Conti, dal Ghepardi, che noi
spesso citiamo; per ora chi ne mancasse ricorra al Cosci, Archivio Sto-
rico Italiano, serie IV, voi. IV, anno 1897, e meglio ancora al Pellegrini,
Archivio della Società Romana di Storia Patria, voi. XI, pag. 703 e segg.
PREFAZIONE A QUESTA NUOVA EDIZIONE
Agli ultimi di giugno dello scorso anno 1899 si compiron due anni
dalla prima pubblicazione di questo volume. A dì 11 dello stesso mese
il prof. Luotto, di cara e venerata memoria, scrivendo all'amico clic qui
in Firenze curava quest'edizione, gli diceva: «Lelio spedito l' ultimo
« capitolo : e nel gettarlo nella buca postale, mi sentii veramente libero
« da un peso assai grave. Finalmente ho finito! E ne avevo ormai bi-
« sogno di esser libero; che, l'assicuro, sono stanco parecchio...» E
quella stanchezza era principio di queir atroce malattia che in meno di
6 mesi lo condusse al sepolcro. Dopo un' alternativa angosciosa di spe-
ranze e di timori, dopo i più crudeli spasimi, rifinito di forze, noli' an-
cor verde età di 42 anni a dì 15) decembre 1897, egli spirava in Villa-
franca d' Asti ov' era nato a dì 13 decembre 1835.
Nel primo anniversario di ([nella lacrimala perdita la famiglia del-
l'estinto pubblicò un volume intitolato: Pia ricordanza di Paolo Luotto,
Dottore in Giurisprudenza, Filosofia e Lettere; (Alessandria, Tip. G. Chiari),
diviso in i parti. La prima comprende (pianto scrissero di quella morte
vaiii giornali d' Italia, la seconda riporta varie lettere di condoglianza
fra le molte pervenute alla moglie ed al suocero dell'estinto, nella terza
son trascritti gli elogi detti ai funerali, e la quarta registra i nomi di
tutti quelli che inviarono telegrammi, lettere e biglietti di condoglianza.
I giornali che parlarono con maggior lode del Prof. Luotto furono:
// Faro Romagnolo del 20 decembre, L'Arreni re di Bologna del 22 de-
cembre, // Corriere della sera del 22-23 decembre, La Difesa di Venezia
del 22-23 decembre, // Mugello Cattolico del 25 decembre, La Gazzella
del Popolo di Torino del 27-28 decembre, // Corriere Astigiano del 29
decembre, La Sveglia di Alessandria del 30 decembre, // Cittadino di Lodi
— XII —
del 1° gennaio 1898, // Nuovo Risorgimento, voi. VII, fascicolo del
gennaio 1898, ['Archivio storico italiano, dispensa quarta del 1897, //
Corriere Meridionale di Lecce del 7 febbraio 1898, ed altri molti.
Tra le lettere di condoglianza pervenute alla famiglia notiamo quelle
del Card. Alfonso Capecelatro Arcivescovo di Capua, di Mons. Francesco
Baldassarri Vescovo d'Urbania e di Sant'Angelo in Vado, di Mons. Gio-
vacchino Cantagalli Vescovo di Faenza, di Mons. Pio Del Corona Vescovo
di Samminiato, del Revmo P. Fr. Andrea Friihwirth maestro Generale
dei Predicatori, dell'Ili1110 sig. A. Gherzi Capo Divisione del Ministero
dell' Istruzione Pubblica, del Sindaco di Alessandria E. Fortunato, del
sig. D. Antonio Verna Direttore della Biblioteca Civica di Faenza, del
Conte E. della Motta, del Cav. Alessandro Gherardi Sotto Archivista di
Slato di Firenze, dei Professori Allievo e Billia dell'Università di To-
rino, ecc. Le belle doti di mente e di cuore del defunto Prof. Luotto, la
sua fede incrollabile, la sua tenacità nello studio, la sua vastissima eru-
dizione e profonda dottrina unite ad una modestia singolare, vengono
in questo lettere ampiamente lodale.
Il Cardinal Capecelatro dice che i libri del Luotto rivelano in lui
non solo un potente ingegno, ed un uomo dottissimo, ma quei che è più,
un'anima nobile e pienamente cattolica. 11 Vescovo Baldassarri d'Urba-
nia lo chiama un ottimo, anzi un santo uomo, amico sincero della cerila,
caloroso cultore delle scienze e delle lettere, professore che si [«cera ri-
spettare ed tinnire dai suoi colleghi e dai suoi discepoli: Mons. Vescovo di
Faenza lo chiama onore dell' Italia e della scienza: Mons. Del Corona au-
gura alla vedova le polenti consolazioni della grazia, di quella grazia che
santificò e portò al bacio di Dio il suo compagno, l'illustre apologista di
Fra Girolamo.
Da circa un anno egli era stato ben volentieri ricevuto nella figlio-
lanza dell' Ordine dal Maestro Generale dei Predicatori; onde questi, scri-
vendo alla vedova, cos'i parlava di quella perdila: « È una sciagura per
« molti e dolore ineffabile per me clic tanta stima ed a/fello aceco pel no-
ti slro l'aro Prof. Doli. Luotto.... lo era troppo felice dell' incontro di que-
" sf anima intelligente, e, ciò che più imporla, cristiana; il Signore me ne
« domando il sacrifizio in momenti supremi, momenti in cui I' opera di
« lui sembrarli /tiii necessaria e a/fallo proccidenziale » .
A nome del Ministero della Pubblica Istruzione, il Capo Divisione
A. Gherzi ricordava con gratitudine V insegnante culto ed operoso, e chia-
mava quella perdila ben grave anche per quell'Amministrazione « la quale
" vede, a mano a mano, diradarsi la schiera di quei calorosi che dedicano
" e menti' r n/orc all' educazione intellettuale della nostra gioventù l>,
— XIII —
(Ili amici (e molti ne annoverava di illustri sia nel (-loro, sia nelle
prime Università d'Italia) rimpiangevano il bravissimo insegnante, il
valoroso scrittore e soprattutto il virtuosissimo amico dall'anima forte e
gentile. Tra le testimonianze rese dagli amici notevolissima è quella del
oav. Alessandro Gherardi, clic cosi scriveva alla vedova: «11 suo dolore,
« ne son sicuro, dev' essere ineffabile, e solo potrà sopportarlo aiutata da
« quella lede e religione che fecero Lui lauto buono e tanto forte, e
« dalla vista e dal pensiero delle creature che Egli ha lasciato. 11 dolore
« mio non può essere certo neanche lontanamente paragonabile al suo,
e ma è anch'esso grandissimo. Tre o (piatirò volte appena, e a lunghi
« intervalli, ci siamo incoili rati, ma sino dalla prima volta io abbracciai
« subito, in uno sguardo e in un pensiero, tutta la bontà del suo animo,
« capii sino dal primo colloquio la squisitezza dei suoi sentimenti, la
« rettitudine, sincerità e profondità delle sue convinzioni, la sua non
« mentita modestia, argomentai il suo mollo ingegno e la sua non co-
« mune dottrina. E tutte queste impressioni andarono col tempo e nei
« successivi colloqui tanto raffermandosi e crescendo in me, che oggi,
« dopo forse tre anni da che io lo conobbi, sento come d'aver perduto
« un fratello e un amico d' infanzia. Io sto ora leggendo e meditando le
« ultime pagine del libro, che, per 1' ardore eh' egli mise in comporlo,
« è stato quasi direi la causa della sua morte, ma che sarà anche la
e causa che non morrà il suo nome, finché saranno in qualche onore gii
« studi e non sparirà dal mondo il culto del buono e del vero. Anche da
« ciò, dal merito, dico, che Egli si è acquistato presso Dio e gli uomini
« buoni con tanto solenne omaggio reso alla verità ed alla giustizia,
« procuriamo di attingere, egregia Signora, un conforto al nostro dolore ».
Tra quelli che parteciparono al lutto della famiglia trovatisi regi-
strati illustri membri del Clero e di religiosi Istituti, del Parlamento, del
Senato, della nobiltà, dell' esercito e di ogni grado di cittadini.
Ouasi tutti i periodici più autorevoli d' Europa hanno parlato con
lode dell'opera: // Vero Savonarola, ed hanno riconosciuto che la causa
del celebre Frate ha fatto senza dubbio uno straordinario progresso dopo
la pubblicazione di quest'importantissimo volume. Se in qualche punto
pochi dissentirono dal pensiero dell' illustre scrittore, nessuno vi fu che
al Luotto non desse il melilo d'aver per il primo fatto rilevare in tutto
il loro splendore i meriti insigni di Fra Girolamo verso la religione e
la civiltà, e soprattutto d'avere sviscerato con una incredibile ricchezza
gli scritti di lui. Scritto appositamente per ribattere i giudizi del dot-
tor Lodovico Pastor sul Savonarola, ebbe dal Pastor stesso una risposta
che, se valse a rilevare qua e là alcune mende incorse particolarmente
♦
— XIV —
dall' aver avuto il Limito sotto i suoi occhi la traduzione italiana ilei
voi. Ili della Storia dei Papi) (*), nulla di solido potè recare a convalidare
i sinistri giudizi già pronunziati contro il Savonarola dal celebre scrit-
tore e ad impugnare seriamente le argomentazioni del Luotto, nel cui
volume molti trovarono la piena ed assoluta rivendicazione cattolica del-
l' illustre Irate di San Marco. Riferiremo alcuni giudìzi che valgon per
moltissimi:
11 Card. Alfonso Capecelatro scriveva all'Autore:
« Ella ha fatto un" opera nobilissima e di grande utilità alla Chiesa,
« cercando di togliere, come ben dice, (pici po' di nebbia che si addensava
« ancora attorno alla bellissima figura del gran Fiate Domenicano. A
« mio giudizio Ella ci è riuscita benissimo, sicché v' è da sperare che il
« progresso già fatto dalla causa del Savonarola s' accresca ora moltis-
« simo... La sua è un'opera poderosissima, ricca di erudizione, e molto
« ellicace a convincere gli avversari di buona fede. Nessuno poi finora
« io credo che abbia studiato tutti gli sci-itti del Savonarola come Ella
« ha fatto e provato che in essi si trova l'immagine più fedele di quel
« terribile, piissimo e singolarissimo Frate».
Il Maestro Generale dei Domenicani, il Rev.mo P. Fr. Andrea
Frùhwirth, parimente all'autore scriveva: «Ella rese inestimabile ser-
« vigio all' Ordine dei Predicatori rivendicando la fama del nostro in-
(!) Il prof. Luotto (v. Avvertenza bibliografica, pag. ix) già notava: Allorché
rimando semplicemente alla pagina, se è discorso del Pastor, intendo il volume III
della sua Storia dei Papi nella traduzione italiana del sac. Clemente Benetti. (Trento,
1HU6). E se in vari luoghi egli corresse la traduzione, ecco come parla di questo
fatto il Yillari (Arch. stor. ital., serie V, torno xxiii, anno 1899) in un suo recente
articolo Sulla questione Saconnroliaiia : « Questi (il Luotto) ignorava il tedesco, e
« dovè quindi nello scrivere il suo libro, valersi della traduzione italiana dell'opera
« del Pastor. E però attribuì a lui alcuni errori che erano solo del traduttore, dai
« quali il Pastor giustamente si difese. Una o due volte però il Luotto sospettò che
« la traduzione fosse errata e ricorse all' originale. Da ciò il prof. Pastor ne indusse
« che esso conosceva il tedesco e che fìngeva d' ignorarlo per aver modo di attac-
« cario indebitataiuente. Il vero è che in quel caso il Luotto aveva dovuto rieor-
« rere al prof. Cipolla dell'Università di 'l'orino, il quale poi dichiarò pubblica-
« mente che il suo discepolo ignorava all'atto il tedesco, e che non era uomo da
« fingere in nessun modo. Era infatti la lealtà stessa, poteva errare, poteva in-
« pannarsi, non mai fingere o mentire ». La dichiarazione del prof. Cipolla suona
cosi : « Il prof. Pastor nella sua risposta al Luotto osservò, ed a ragione, che questi
« in qualche luogo dichiara di non conoscere la lingua tedesca, mentre altrove cita
« il testo della Beschichte der Papste, e discute sul significato di qualche frase te-
« désca. Vorrei clic si sapesse che tale incoerenza non dipende da ciò che il Luotto
luiMi» isso o celasse il vero. Il Luotto ebbe da me l'interpretazione dei passi tede-
« sebi della Qeschichte di cui fece uso ». (V. Rosario, Memorie domenicane, anno
XV, pag. 239).
— XV —
n dimenticabile Riformatore.... Io ne spero un osilo felice assai, conio
g di un vero trionfo del nostro Frate Ferrarese, cotanto disconosciuto
« e malmenato da una critica, se non all'atto sconsigliata, certo poco
« riguardosa ».
Una lunga e dotta recensione inseriva nel Riposo Festivo di Firenze,
il Prof. Augusto Conti; e noi ne togliamo quanto segue: « Questo vo-
« lume si può distinguere, per ciascun suo capitolo, in due [tarli, l'ima
« espositiva dei meriti preclari di Fra Girolamo Savonarola, l'altra è
« invece critica, in opposizione alle accuse del Pastor, Professore a
« Innsbruck, e celebre autore d' una Storia dei Pupi. Le due parti pro-
« cedono parallele; ma in un tal modo che la esposiliva potrebbe ba-
« stare alla confutativa, tanta è la luce degli argomenti e documenti
« clic illustrano la vita e gli scritti di quel sant'Uomo.... Bisogna rin-
« graziare Dio che un laico, piuttosto che un sacerdote, assumesse il pa-
« trocinio del Savonarola, perchè non incontra 1' obiezione di favore an-
« tipensato per amore d'un confratello nell'Ordine o nel Sacerdozio....
« Nella lettura del suo volume ho vivamente ammirato la serenità del giu-
« dizioequel risguardare il proprio soggetto non in modo parziale mai, o
e unilaterale, come richiede la critica buona e l'esame compiuto.... Molto
« ha da impararvi nonché 1' uomo di chiesa, ma il filosofo ancora e il
« politico e l' indagatore delle vere cagioni le (piali esplicano la storia
« d' uno fra i più calamitosi tempi dell' Italia e della Cristianità ».
E il Cav. Alessandro Gherardi ne\Y Archivio Storico Italiano racco-
mandando a tutti la lettura attenta e ponderata del volume del Luotto,
diceva : « Quanti amano la verità e la giustizia, quanti sono e comec-
« chessia, cultori della memoria del Frate, amici o avversari suoi, tro-
\ eranno in questo libro, come io \i ho trovato, tutta la necessaria
« preparazione alla piena e coscienziosa trattazione del soggetto, una
« bella c ordinata disposizione e composizione delle parti, lucidità nel-
« l'esporre, rigore e acume, non sofisticherie ned' argomentare e de-
li durre, un sincero intento sempre di scoprire e mostrare il vero, non
« di palliarlo o travolgerlo; tutte le qualità insomma che fanno di un
e libro una vera e propria opera, onesta, d'arte e di scienza ». 1
(') E in una lettera al P. Ferretti intorno alla risposta del Pastor, ecco quanto
scriveva: «Le rimando questa risposta del Pastor che mi pare addirittura incon-
« eludente. L* appunto fattogli dal suo contradittore di non aver visto nò studiato
« quello che avrebbe dovuto vedere e studiare rimane intiero. Argomenti nuovi per
« sostenere i suoi giudizi non ce ne sono. Dunque? Dunque in cospetto degli onesti
« la critica del Luotto non è menomamente scossa da questa risposta. E «periamo
« che la causa del nostro Savonarola vada sempre di bene in meglio, o Unisca per
« trionfare ». (Periodico IV Centenario della morte di F. G. Savonarola, pag. 215).
— XVI —
Il Dott. Can. Gaetano Tononi nella Rassegna Nazionale cosi scri-
veva : « Non mancò chi \ido ben presto e assai ponderatamente e punto
« per punto la narrazione del Professor Tedesco contro il Savonarola....
« Il Luotto non trascurò particolari, dati, circostanze, e fatti innumere-
« voli, relazioni di messi di stati e dei principi circa il Savonarola, c
« perciò sul medesimo pronuncia un giudizio all' opposto di chi lo con-
« danna per averne esaminata la condotta senza riguardo alle condizioni
« morali, religiose e politiche in mezzo alle (piali quegli si trovava. La
« dottrina ne è lumeggiata con quella di San Tommaso e segnatamente
« con (pianto ai nostri giorni insegna il sommo Pontefice Leone XIII in-
« torno agli operai, alla predicazione e alla costituzione degli stati. Da
« questo libro, forse meglio che da qualunque altro, si conosce il valore
« delle opere lasciate dal celebre Frate, nelle quali non sono proposi-
ti zioni da riprovarsi, ma insegnamenti profondamente ortodossi ed ele-
« vati di Biosofia, teologia morale, ascetica, politica, e oggi si direbbe
« anche di scienza sociale.... Lo storico dei Papi ha risposto a questo
« libro con un recente opuscolo, ma non allega argomenti tali da infir-
« marne il valore ».
E congratulandosi coll'autore, Mons. Francesco Baldassarri scriveva •
tra le altre cose : « Ella col suo libro ha fatto un' opera utile alla mo-
li rale e alla religione, ed insegna a quelli che fin qui si son serviti del
« nome del Savonarola per ribellarsi e durare nella ribellione alla Chiesa
" che il Savonarola non è con loro, ma anzi li condanna e li sfata....
« Spero anche che altri non dirà più il Savonarola ribelle all'autorità
« pontificia nel fatto della scomunica. Ella ha messo così in chiaro le
« cose, che fa vedere l'errore di fatto, non di diritto; e questo punto
« mi pare sia stato da Lei trattato meglio degli altri. In breve, per
" (pianto io posso conoscere, per il libro di Lei la fama del Savonarola
n risorge bella, splendida e netta da ogni macchia ».
Altro non aggiungiamo per raccomandare quest' opera ai lettori,
i (piali, se la esamineranno colla debita attenzione, e soprattutto con
un amore sincero alla verità e alla giustizia, non dubiteranno di con-
formare il loro giudizio a quelli da noi riportati.
Firenze, 1" Febbraio 1900.
I.
Origine e intento del presente scritto.
Sommario.
Nostra malavoglia a prender la penna. — Lo scritto del Pastor non contiene nulla di nuovo intorno al
Savonarola. — Sentenza di Augusto Conti e nostra. — Ignoranza nel Pastor delle Opere del Sa-
vonarola. — Il Pastor e i nostri giornalisti anticattolici. — Kagiouevoli effetti dell'Opera del Pa-
stor. — La ragion veduta giuda al Savonarola e a' Savonaroliani. — Logica sentenza de' Savona-
roliaui verso il Pastor. — La storia del Pastor e l' invettiva di Ugolino Verino e la cronaca del
Vaglienti. — Nostra ripugnanza alla polemica e alla critica. — La cognizione della verità solu-
zione del dubbio. — Nostro proposito e metodi di esporro la dottriua e narrare la vita di Frate
Girolamo. — Nostra lede. — Non può tutto la virtù che vuole. — Letizia e tristezza di Piagnoni.
— Una lettera dal Xirolo Austriaco. — Un gran maestro che tiene per finita dal Pastor la questione
del Savonarola. — Un voto di molti. — Cristo modello di Frate Girolamo. — Or si tace, or si
risponde. — La volontà nostra è mossa a scrivere. — Intento dello scritto. — Via da noi tenuta,
e perchè la si tiene. — Speranza di toccar la meta. — Un aforisma di Visuù Sbarrila e nostra in-
terpretazione di esso. — La Dea di Parmenide. — Nostra volontà e forza.
Da parecchio tempo alcuni Piagnoni, amici miei, insistevano perch' io vo-
lessi scrivere e mandar fuori colle stampe un esame dell' Opera del Pastor (')
in ciò che riguarda il nostro Maestro e Padre, Frale Girolamo Savonarola. Ma
io mi adoperavo ognora per farli persuasi non esser ciò cosa d' alcuna neces-
sità, nè forse dicevole. E mi pareva d' aver ragione; imperocché nulla di nuovo
ha nel suo libro il famoso professore d' Innsbruck rispetto al Savonarola, asso-
lutamente nulla; e i suoi tristi giudizj intorno al Frate di San Marco non solo,
come scrisse il nostro Conti, muovono « dall' autorità usurpata di vecchie di-
(') Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, con l'aiuto dell'Archivio segreto pontificio e di
molti altri archivi, compilata dal Dr. Lodovico Pastor professore pubblico ordinario di storia
alla Università d' Innsbruck. Traduzione italiana del Sacerdote Clemente Benetti docente nel
oollegio principesco vescovile di Trento eseguita stillale II edizione tedesca. — Volume III
Storia dei Papi dalla elezione d'Innocenzo VIII fino alla morte di Giulio II. Trento, tip.
edit. Artigianelli dei figli di Maria, 1896.
1
— 2 —
cerie ; » (*) ma si possono chiamare asserzioni gratuite senza nemmeno l'ap-
parenza di verace fondamento; anzi pugnano sovente tra se medesimi, sì che
non riusciresti sempre con gloria se tu volessi tentar di conciliarli e comporli
insieme.
Evidentemente il Pastor si mise a scrivere senza una buona preparazione,
e perciò spesso ti riesce avventato e, alcuna volta, anche ingiusto. Se ne togli
alcune poesie, che forse ha visto, egli è affatto selvaggio agli scritti del Frate:
nè dico solo agl'inediti, ma ancora a quelli che abbiamo alle stampe. Ciò sì
rileva dalla sua nota de' libri ripetutamente citati, nei quali, se ne togli le poe-
sie, non ve n' è uno del Savonarola; ma ancora dal mostrarci egli indirette
tutte le citazioni che fa di passi del Frate, indiretti tutti gli accenni alle opere
del medesimo.
Ora se il Pastor desse almeno ai passi trascritti il senso che danno a
quelli gli autori dai quali egli li toglie, potrebbe forse questo metodo, pur sem-
pre infelice,, essere tollerato; ma chi lo crederà sano e non gravido di pericoli
e s' affiderà in esso, quando il Pastor si arbitra di interpretare a suo modo
quelle brevi proposizioni? quando le trae ad altro senso che non è quello che
godono nella fonte da cui le attinge!!?
Di più, non appare serio e grave nemmeno il modo col quale lo storico
tedesco e scrive e procede. Le sue pagine sovente hanno tutto il tono di
certi nostri giornali, di quelli voglio dire che militano ne' partiti estremi, anti-
cattolici; e dico di questi perchè ho riguardo non solo allo stile, ma anche
alla dottrina del Pastor, il quale (e questa è la mia più grande meraviglia) di
cattolico sembra talvolta che non abbia nulla affatto.
Chi legge adunque, pensavo io, il Pastor, se già conosce la vita e la dot-
trina del Savonarola, non si lascia certo movere dalle deduzioni, sovente
senza logica, che legge; e se non le conosce ancora, solo che abbia fior di
senno, anziché sottoscrivere alle sentenze non motivate, sapendo (e lo può
vedere nel Pastor medesimo) che scrissero in difesa del famoso Dome-
cano molti uomini sommi e per ogni lato degni di ammirazione e di lode non
meno del prof, d' Innspruck, si stringerà nelle spalle e sospenderà il giudizio,
non volendo esser precipitoso e giurare nelle altrui parole.
Ai seguaci poi della dottrina e del metodo del Savonarola la lettura
del nuovo volume produce effetto addirittura contrario a quello che 1' autore
di esso vorrebbe. Non farà altro che generarsi neh' animo e nella mente
loro un profondo senso di tristezza e di compassione ; ma il convincimento
(') c La ringrazio.... di aver pubblicato ciò che io dall' intimo dulia mia coscienza det-
tava intorno al Savonarola, prendendone incoraggiamento dalla stima in che la santità di
lui tenevano San Francesco di l'aola, San Filippo Neri, Santa Caterina de' Uicci e altri Santi;
nò lasciandomi scoraggiro dall'opposto giudizio di un celebre scrittore contemporaneo e fo-
restiero preoccupato forse dall' autorità usurpata di vecchie dicerie. Ma i Santi s' intendono dei
Santi. » Lettera al Direttore del MttgtUo Cattolico, anno I, n. 14. Nel n. 12 intatti di questo
giornale, era sluta pubblicata una lettera del prof. Augusto Conti al P. L. Ferretti ove paria-
vasi dell' eminente santità del nostro Savonarola.
eli' essi hanno starà saldo come prima. Imperocché gli alunni del Savonarola,
con il loro maestro, biasimano chi piglia a seguire una dottrina, più dalla co-
mune opinione mosso, che per averla letta ed esaminata; e dicono per questo
guasti gli studj, mandando molti la volontà avanti l'intelletto, e pervertendo
l'ordine dalla natura e da Dio instituili (Giov. Pico della Mirandola, Vita di
Fra Girolamo, cap. II.) I seguaci del Savonarola giudicano solo a ragion veduta,
e se alcun di loro così non facesse, riceverebbe le sferzate dal maestro, e si senti-
rebbe dire: Cave ne voluntas praecedat intellectum, aut etiam intellectus tuus in-
tellectum Dei. (Scritti inediti, Villari, pag. 125). « Tu fai come alcuni ignoranti
scolari che hanno il capo duro, e come vanno in uno studio, fermano il capo
di voler seguire un' opinione, e non gliela leveresti mai ; non guardano prima
se quell'opinione è vera o falsa; così fai tu, che di': —Io non voglio leggere quel
che è scritto in quel libro. — Io ti dico che le tue sono tutte pazzie. Leggi ed odi
prima che tu biasimi; tu vuoi intendere una cosa e metti la volontà innanzi allo
intelletto, come fanno certi scolari, che dicono: Io voglio andar dietro al tal au-
tore. Sono diverse scuole, Tomisti, Scotisti ed Averroisti tra' moderni; come erano
antiche scuole di filosofi, Stoici, Peripatetici ed altri ; e questi tali scolari non
hanno ancora cognizione di nessuna verità, e si propongono innanzi di seguitare
una opinione che ancora non sanno se è verità. Quello dice: — Io voglio essere
Averroista; quell'altro, Scotista; quell'altro, Tomista. Quell'altro nelle leggi, dice:
Io voglio seguitar Baldo; quello, nelle leggi canoniche dice: Io voglio seguitar
l'Abate. — E così fanno certe loro fantasie di seguitare una opinione, o un'altra
ed avviluppansi poi in molte cose; perchè mandano la volontà innanzi all'in-
telletto. Colui che vede si lascia menare da quello che è cieco, e tu sai che gli
è scritto: Se il cieco guida l'altro, tutti e due cascano nella fossa. Il cieco è la
volontà, che ha ad essere menata dall' intelletto che vede, e tu fai il rovescio.
Bisogna dire: lo voglio andar dietro alla verità, e quella voglio intendere, ed in-
tesa che io l'ho, la voglio seguitare e amarla con la volontà. E quelli che fanno
così vedrai che non peccano e non errano quasi mai. » (Sopra Amos, Pred. V;
sopra 1' Esodo, Pred. XX.)
Quando pure gli alunni del Savonarola avessero visto che il Pastor inten-
desse ognora le fonti dalle quali vuole trarre la dottrina del loro Maestro e
lo traesse al senso più favorevole, non per questo avrebbero potuto mo-
strar molto d' ammirazione per lui, nè avrebbero dato gran peso a' suoi
giudizj. Colui, che, dovendo imparare una dottrina, e potendo ricorrere alle
fonti dirette, non vi ricorre, ma beve ne' ruscelli lungi dalla sorgente, essi
lo tengono simile a que' figliuoli, che mandati da' loro padri a studiar leggi,
studiano sì bene, ma solo i commenti, e non veggono mai i testi. Costoro,
a giudizio del Savonarola e degli alunni del Savonarola, non possono diventar
dotti, perchè lasciano il fondamento della dottrina. (Sopra il Salmo Quam
Bonus, Pred. XXII.) Negli alunni del priore di San Marco, è oramai pro-
fondamente radicata la credenza che nessuno, lasciando in un canto le opere
del loro Maestro, può pretendere di conoscerne bene la vita, o intenderne la dot-
trina. Quel sommo uomo di Gino Capponi che nei suoi primi scritti mostrossi
alquanto severo al Frale Riformatore dovè poi nondimeno confessare : « Quel
benedetto Savonarola è uno di que' tali argomenti oggi tanto ribattuti ch'io ne
rifuggo; e a dirla tutta, non ho studiato il Savonarola, cioè le prediche e gli
scritti e non so bene che cosa pensarne. » (/) Girolamo Savonarola mise ne' suoi
scritti tutto se stesso, e chi lo vuole vedere quale è deve cercarlo in quelli,
e chi quelli non cerca, non è autorevole in nessuna guisa. Cerio non si esclu-
dono i libri degli altri intorno al Frate, ma questi senza quelli del Frate il più
delle volte sono terra senz' acqua. A che dunque (pensavo io) soffermarci a con-
futare i tristi giudizj novellamente pronunciati intorno al nostro Maestro, s' essi
non hanno per noi autorità alcuna, e non possono ragionevolmente produrre
alcun serio effetto a danno della fama del santo riformatore? Forse che ci
siamo indugiati a confutare la ingrata invettiva di Ugolino Verino, o la cro-
naca del Vaglienti? Non furono anzi questi scritti pubblicati da nostri amici?
Un'altra ragione, soggettiva se volete, mi teneva dal secondare l'insistente
invito degli amici: La ripugnanza che ho nell'anima alla polemica e alla cri-
tica. Vorrei che si evitasse ogni maniera di questioni, e almeno, se non si rie-
sce ad evitarle tutte, che si finissero presto e non fossero acri mai, nemmeno
nell' apparenza. E facile che ne vada di mezzo la carità, e in generale si
fa poco frutto. Mi par meglio lasciar qualche volta passar magari qualche
errore, o almeno qualche dubbio, che risolver tutto a furia di questioni e di
lotte.
A me parve sempre regolarmente miglior cosa esporre con chiarezza
gì1 insegnamenti dell' Autor nostro, anziché combattere gli errori altrui. La co-
gnizione della verità è la soluzione del dubbio. E gli amici sanno eh' io per
conoscere la verità nelle cose attinenti al Savonarola da oltre venti anni studio
nelle opere e nella vita di lui, e ho in cuore di mandar presto alla luce un la-
voro intorno alla Chiesa e al Pontefice di Roma, nel quale è contenuta appunto
tutta la dottrina ed esposta la pratica del Frate al riguardo, in guisa che potrà
apparire evidente che il Savonarola del Pastor è un Savonarola affatto diverso
dal Riformatore fiorentino. Questo libro, se mai, dissiperebbe, dicevo io, la
nebbia levala dal Pastor. D' altra parte non ci vuole furia, son nostri anche gli
anni futuri; i Piagnoni non verranno mai meno, e come durerà eterna la dot-
trina del Frate di San Marco, così dureranno eterni i seguaci di lui. Quello
che non si fa oggi da noi, sarà fatto da' nostri successori domani. La causa
del Savonarola finirà per trionfare ad ogni modo. Questa è la nostra fede.
In queste mie vedute io restavo saldo, e persuadevo anche gli altri che
era un perder tempo il fermarci a ribattere con uno scritto speciale le asser-
zioni dello storico d'Innsbruck, riè pensavo di muovermi mai del mio propo-
sito. Ma si sa: non può tulto la virtù che vuole, e sovente convien fare contro
nostra voglia, e servire alla necessità e combattere dove e come vuole 1' av-
versario, non dove e come noi avevamo designalo.
Non è molto, eravamo insieme sei o sette Piagnoni, lieti per il progresso
(') Ve<li Guasti, 11 Savonarola giudicato da Gino Capponi. Firenze, lt80, pag. 9.
che da qualche anno va facendo la causa del Savonarola; ma uno pareva non
partecipare intieramente alla comune letizia, e anzi mostravasi piuttosto triste
che lieto. A un punto volendo gli altri confortarlo, trasse fuori una lettera venu-
tagli da un Professore di Schwaz, Tirolo Austriaco, e ne lesse queste parole:
« Ho sempre stimato tanto le virtù del Frate Savonarola quando leggeva anni
fa, il Villari; ma oggi ho mutato i miei sentimenti, riconoscendo in Savonarola
negli ultimi suoi anni un vero disubbidiente al Papa Alessandro VI che lo trattava
con molta clemenza, e un sacerdote sacrilego, che ha celebrato i santi misteri
come scomunicato, e un profeta sedotto dal diavolo che ha cagionato tanti di-
sturbi e si faceva spesso tiranno politico rigidissimo. Su questa materia ha pub-
blicato il celebre dottor Lodovico Pastor nel suo lodatissimo libro La storia
dei Papi dalla fine del medio evo tanti documenti autenticissimi che sarebbe
ridicolo ancora prendere in patrocinio il poveretto Savonarola. » Un altro per-
sonaggio, già ne aveva detto la causa del Savonarola esser finita, — 1' ha
decisa il Pastor. — E molli pur de Piagnoni già avevano scritto che, dopo le ul-
time deduzioni del Pastor, aspettavano, se pure era possibile, chi con novissimi
documenti mostrasse che il Frate nostro non è condannabile in alcun punto
della sua vita troppo agitata.... Noi, quasi sdegnando di rispondere al Pastor,
crediamo seguire la dottrina e l'esempio del Savonarola; ma lo seguiamo poi dav-
vero e in tutto? Il nostro Frate trae esempio da Cristo in ogni cosa, e nota so-
vente appunto, come fa nella predica VI sopra Ruth e Michea, che se alcuna volta
il Salvatore andava a mangiare co'pubblicani e peccatori, altre volte predicava e
detestava e riprendeva i peccati; e se qualche volta fuggiva d'una città in un'altra
per rispetto de' farisei, mostrando aver paura di loro, qualche volta predicava
senza paura; e dice chiaro nella XIX delle stesse prediche e c' insegna che se
in alcuni casi è bene tacere, in altri si deve parlare. Ora, se non si parla
quando ne va di mezzo la verità e ne va di mezzo 1' onore del nostro Maestro,
quando si ha da parlare ?
E cominciando queste prediche sopra Ruth e Michea, non dice egli ap-
punto il nostro Maestro, che una delle ragioni, che 1' ha fatto tornare a predi-
care, erano gli avversar] che non facevano se non dir male, ed avevano lasciato
la lingua molto larga!? « Qualche volta bisogna rispondere, e qualche volta avere
pazienza. E però avendo noi avuto pazienza un pezzo, e non risposto, mi pare
tempo ora di rispondere. Dice Salomone: Non rispondere al pazzo secondo la sua
pazzia; e lui medesimo dice incontanente: rispondi allo stolto secondo la sua
stoltizia. E però vuol dire Salomone: qualche volta abbiamo pazienza a quello
che dice lo stolto, e qualche volta ancora gli rispondi come merita la sua paz-
zia, e questo massime quando quello che e' dice è contro 1' onore di Dio. Sic-
ché qualche volta si dee rispondere e qualche volta no. »
E quando per noi sarà la volta, s'ella non è questa?... Ci sarà poi facile
persuadere gl'intelletti già contrariamente prevenuti?! Il volgo che ama di
essere ingannato è più numeroso ed eletto che non si pensa Non trascu-
riamo le cose minute; più festuche arrestano l'elefante. Nel Sermone XI sopra
1' Esodo il nostro Maestro sfidando i suoi avversarj, che lo accusavano inces-
— 6 —
santemente di eresie, a riprodurgliele in iscritto, diceva francamente: « Io ti
avviso che se tu farai un libro che vi sia dentro eresie, io lo vorrò vedere e
riprovartelo qua in pubblico. »
Così parlava l'amico, fatto rosso in volto; ed io mi dovetti persuadere
eh' egli aveva ragione ; e che il danno recato alla causa del Savonarola dal
libro del Pustor era maggiore eh' io non mi sarei mai pensato. E poiché io
ero sempre stato, fra gli amici, il più fermo nel persuadere che si tacesse, mi
parve ancora che in modo speciale a me ora si convenisse parlare; e promisi
che senz'altro l'avrei fatto; anzi mi misi all' opera il giorno stesso, parendomi
d' aver in mente pronta e digesta la materia per farlo debitamente.
Questa 1' origine dello scritto presente; e di qui sarà anche facile capirne
l' intento : si propone di far persuasi tutti coloro, che vorranno leggerci, delle
affermazioni che abbiam posto di sopra, e dimostrare che nel Pastor non si
trova il vero Savonarola, ma un Savonarola immaginario; e che perciò il pro-
fessore d' Innsbruck combatte e condanna nient' altro che un fantasma della
sua mente; e che neppur una è sostenibile delle sue asserzioni contrarie al
Frate di San Marco.
Che via terremo per giungere alla meta? Il Pastor tratta, sebbene non
con molta ampiezza, di tutta la vita del Savonarola e riguarda il Frate
da ogni lato: nella riforma morale, nella ecclesiastica, nella politica, nella
civile, nell'artistica e nella letteraria Quindi, volendo noi fare un lavoro com-
piuto, bisognerebbe che esaminassimo prima in generale queste varie specie di
riforma e poi le tesi e le asserzioni particolari dello storico tedesco. Ma allora
avremmo da scrivere non un opuscolo, ma parecchi volumi, ed esporre tutta la
dottrina e narrare per disteso e discutere la vita del Frate, cosa che non cre-
diamo qui affatto al proposito e che noi abbiamo in animo di fare in iscritti a parte
e senza polemica, come già abbiamo cominciato per lo studio della Sacra
Scrittura.... OD' altro lato un lavoro simile sarebbe inutile per lo scopo presente;
imperocché il Pastor si piglia ben guardia di condannare senz' altro, in genere,
le riforme tentate dal Savonarola; mostrandosi esse, nel volume che prendiamo
ad esaminare, più necessarie e opportune che mai. Dunque ci basterà sentire le
particolari sentenze di condanna, esaminarle, e mostrare che si devono cassare
(e il più delle volte lo si ha da fare senza rinvio); ci basterà questo, perchè
noi abbiamo senz' altro l' intento. E questo lo faremo con molta attenzione e
cura, né, speriamo, ci avverrà che pur una cosa di qualche momento ci
sfugga. Non ci lasceremo tuttavia sfuggir l'occasione di mostrare, esponendo
qua e là la dottrina del Savonarola, e narrandone la vita, che il Pastor a vo-
ler esser consentaneo a se stesso, e a non cadere in contradizione, avrebbe
dovuto lodare anziché biasimare, il nostro Frate.
Avremo la soddisfazione di toccar la meta? Abbiamo fiducia che si. E ce
(') Dello studio della Scrittura Sacra secondo Girolamo Savonarola e Leone XIII con ri-
guardi ai Padri e ai Dottori della Chiesa. Libri tre di Paolo Lnotto. Torino, tipografia Artigia-
nelli, 1896.
ne sono arra buona le profonde convinzioni che abbiamo nella mente e la per-
suasione che ci riempie l'anima d'essere dalla parte della verità; e la verità
chiara di luce propria e posta sopra ogni altra cosa, sa farsi vedere agevol-
mente e vince ogni lotta, e trionfa sempre. Anzi nutriamo speranza che il
Pastor, uomo retto e amante del vero, leggendoci, vorrà passare dalla nostra
parte, e cambiare giudizio intorno 1' austero Frate.
« Soffri mille ingiurie prima di venire a litigio ; cominciato il litigio, non tra-
scurare nulla per uscirne colla vittoria. » Questo aforisma di Visnù Sharma io
l' intendo nel senso che non si deve mai sorgere a combattere altrui, se non
quando, essendo oggettivamente chiaro che la cosa sta come noi la vediamo, pure
essa torna falsata dagli avversar]'. Allora bisogna dar con tutte le forze negli sterpi
dell' errore e non lasciar più all' avversario nemmeno la speranza di un breve
riposo. Non si può consentire agli uomini di mente sana che pensino l'oppo-
sto della evidenza. «Che l'essere abbia avuto nascimento o incremento dal non
ente non te lo lascierò dire nè pensare, » dice la dea di Parmenide, « poiché il
non ente non è esprimibile nè pensabile.» Così è della verità, di ogni verità co-
nosciuta e conosciuta evidentemente. Le opinioni si rispettano tutte, ma chi
nega la verità evidente, sia anatema; egli pecca contro lo Spirito Santo e non
merita perdono in nessun modo. Ora, vedendo io che le cose rispetto al Savo-
narola, stanno d'altra guisa che il Pastor non scrive, mi sento forte anche
contro di lui, e per quanto sta in me, non lascierò pensare nè a lui nè ad
altri se non quello che io penso. Chi vorrà fare il contrario, rinunzi prima
alla teorica della conoscenza secondo la filosofia cristiana ; e anziché tenere
per supremo criterio della verità 1' evidenza oggettiva, eriga a giudice assoluto
di quella l'umana vista, la vista nostra corta d'una spanna; o meglio ancora,
eriga a giudice assoluto il pregiudizio.
IL
Il Pastor non conosce le opere del Savonarola
e scrisse impreparato.
Sommario.
La fama del Savonarola. — Xon è comportabile al grave ufficio di storico ripetere semplicemente i giu-
dizi altrui, quando può accedere alle fonti originali. — Il Pastor non istudiò punto nelle opere
del Frate riformatore. — Una sentenza del Villari. — Come si governarono nello scrivere del Savo-
narola il Villari, il Bayonne, l'Aquarone. — Perchè alcuni tra i cattolici condannano il Savonarola.
— Il Savonarola chiede di essere sentito e letto prima che lo si condanni. — Le citazioni indi-
rette del Pastor : esempi. — Il Pastor plagiario. — Nullità assoluta dei giudizj del Pastor.
Il Pastor, a pag. 122, afferma che il Savonarola riempì per buona pezza
T Italia tutta del suo nome ; e più innanzi, a pas». 354, trascrive dal Villari le
parole, che dicono che le prediche del Frate passarono presto anche le Alpi, e
che il Savonarola stesso ripetè più volte, che egli aveva ricevuto degl'incorag-
giamenti dalla Germania; e che perfino il Gran Sultano, per leggere quelle pre-
diche, le facesse tradurre in turco. Gli autori stessi poi, dai quali il Pastor
copia le sue pagine intorno all' illustre Domenicano, avrebbero dovuto persua-
derlo, se non fosse ancora stato persuaso per altra via, che questo perso-
naggio continua a riempire di sè non pur 1' Italia, ma 1' Europa intera, e dà
da fare a moltissimi di religione, di pensiero, di scuole molto differenti.
Ora, se mai intorno a nessun personaggio storico, un grande maestro,
un maestro che si rispetti, come è il Pastor, non deve ripetere gratuitamente i
giudizj altrui, quando se ne può agevolmente formare de' proprj, e motivarli
accedendo alle fonti originali, tanto meno devesi ciò comportare quando è
discorso di un personaggio famoso, discusso da molti, esaltato ài cielo dagli
uni, e gettalo a terra dagli altri; e questo sarebbe grave al sommo ed
imperdonabile, quando il personaggio giudicato avesse posto nelle sue opere,
— 9 —
accessibili ad ognuno, tutta la sua dottrina e tutta la sua vita, cantato i
suoi trionfi, piante le proprie sconfitte, e narrato ad un popolo numeroso
ogni avvenimento di qualche importanza che lo riguardi. Ci pare poi che
sia addirittura enorme questo fare, allorché il gran maestro sa d'esser
creduto da molti, e giudica e condanna, senza spirito di pietà alcuna, il per-
sonaggio di cui parla. Or questo, chi l'avrebbe mai pensato? è appunto il caso
del Savonarola e del Pastor. Chi può dubitare che il Frate di San Marco me-
riti dagli Storici serj tutta 1' attenzione possibile? E chi ignora eh' egli ha una
serie lunghissima di opere, nelle quali espone la sua dottrina, narra la sua vita,
fa la storia del suo tempo, mostra quanto ha operato per il popolo di Firenze
e per la Chiesa in generale, espone la sua riforma nel campo ecclesiastico, po-
litico, civile, morale, artistico, letterario? chi ignora, che, se egli si disse pro-
feta, scrisse ancora un compendio delle sue profezie e dialoghi intorno la pro-
fetica verità ?
Può uno storico serio, scrivere del grande Frate senza aver letto pur una
di queste opere, e contentandosi di cucire insieme periodi d' autori diversi,
lontanissimi dall' età di quello?! Il Villari nota che il lavoro del padre Mar-
chese intorno a Girolamo Savonarola, se valse a destare mirabilmente la
curiosità del pubblico, non valse però a soddisfarla intieramente. Or sapete voi,
fra le altre, quale ragione reca di tal giudizio queslo insigne storico? Eccola :
« Il padre Marchese conosceva solo una parte delle opere e delle prediche del
Frate; poteva quindi scrivere un eloquente capitolo nella Storia di S. Marco,
non già un lavoro compiuto. Nuove indagini (soggiunge poi il Villari) e nuovi
studj erano adunque necessarj. » E nuove indagini fece egli, e prima di scri-
vere ricercò tutte le opere del Frate; come le ricercò del pari, e con somma
diligenza, un altro biografo di esso, il Padre Ceslao Bajonne, il quale anzi
osserva, che molti fra i cattolici, i quali giudicarono del Savonarola tristamente
lo fecero ignorando gli scritti del Frate, e fidandosi, senz' altra cura, agli studj
ed affermazioni altrui sopra di quello. E noi crediamo che la santa causa del
Savonarola sarebbe oramai decisa se il primo avesse scritto con ispirito e in-
tento schiettamente cattolici, il secondo avesse potuto compiere intieramente
e diffondere i suoi studj.
E Girolamo Savonarola Io pretendeva, e giustamente, che prima di con-
dannarlo, si volesse sentirlo e leggerlo. « Venite qui, tiepidi, a che contradite
voi dunque tanto? voi conlradite a queste prediche e non le udite, e non leg-
gete, adunque voi contradite a quello che non sapete. — Oh! egli mi è rife-
rito quello che tu di'! — Ti è forse riferito il falso. S. Girolamo e S. Ago-
stino, e gif altri dottori non facevano a questo modo, come fate voi. Loro
vollero vedere tutti i libri degli eretici, e poi contradicevano, e sapevano a
quello che si contradire. »
Così il Frate nella predica III sopra l'Esodo, e, come non gli bastasse,
malia XI gridava un' altra volta: « Sono alcuni che non credono e non odono
la predica, nè vogliono udirla, e non vogliono che altri la oda; nè vogliono leg-
gere quello che abbiamo scritto, e non vogliono che le monache loro, nè altri
- 10 -
leggano nè odano. Come possono costoro riprendere una cosa che non odono
nè la leggono? S. Agostino e gli altri dottori al tempo degli eretici, hanno vo-
luto vedere i libri degli eretici, e quello che hanno scritto, e poi colle ragioni
riprovatigli. Vedete almanco i nostri scritti per il bene della Chiesa, e ripro-
vate queste eresie, e non dite così al vento: — Queste sono cose false, — senza
volerle intendere. Io t'avviso che se tu farai un libro che vi sia dentro eresie, io
lo vorrò vedere e riprovartelo quassù in pubblico. »
Ma è poi proprio vero che il Professore di storia alla Università d1 Inn-
sbruck scrisse tanto severamente, quanto fece, del povero Frate, senza
conoscerne le opere? Non mi credete?! Apriamo adunque il suo libro, se ne
volete le prove, e apriamolo dove meglio vi piace; anzi apritelo voi senz1 altro.
— Ecco, a pagina 127. — Sta bene. Nota ivi adunque il Pastor che il Sa-
vonarola, nelle prediche del 1493, inveì contro il marcio degli ecclesiastici
ed insieme contro la viziosità de' principi; e a prova cita pensieri raccolti dalle
prediche VII e Vili e XXIII sopra il salmo Quam Bonus. Ma non li ha già rac-
colti lui tali pensieri, sì bene il Villari: li ha raccolti il Villari tali pensieri dalla
predica VII e VIII e XXIII sopra il salmo Quam Bonus, e li raccolse restrin-
gendo in poche le molte cose che il Frate dice dalla pagina 271 alla pagina 275
e nelle pagine 296, 567 e 570 dell'edizione di Prato 1846. Or vedi se io dico
vero. Tien l'occhio sopra il Pastor tu, io leggerò nel Villari alle pag. 1 94, 1 97 e 1 98.
Pastor
« Con Aristotele, Platone, Vir-
gilio e Petrarca, solleticano le orecchie,
e non si occupano della salute del-
le anime. Perchè, invece di tanti libri,
non insegnano quel solo dove è la
legge e lo spirito della vita? L'evan-
gelio, o cristiani, bisognerebbe portarlo
sempre indosso, non dico già il libro,
ma lo spirito di esso. Che se tu non
hai lo spirito della grazia e che tu
porti indosso l'intero volume non ti
gioverà nulla. Oh quanto sono più
sciocchi ancora quelli che s' empiono
il collo di brevi, di polizze e di carte,
che sembrano botteghini che vanno
alla fiera! La carità non sta nelle
carte. I veri libri di Christo sono gli
apostoli e i santi; la vera lettura sta
nell' imitare la vita loro. Ma oggi gli
uomini sono latti libri del diavolo.
Parlano contro la superbia e 1' ambi-
zione, e sonvi immersi fino agli occhi;
predicano la castità e tengono le con-
cubine, comandano che si digiuni, e
Villari
« Con Aristotele, Platone, Virgilio
ed il Petrarca, solleticano le orecchie,
e non si occupano della salute delle
anime. Perchè, invece di tanti libri,
non espongono quello solamente in cui
è la legge, e lo spirito della vita?
1' Evangelio, o Cristiani, bisognerebbe
portarlo sempre indosso : non dico già
il libro, ma lo spirito di esso. Che se
tu non hai lo spirito della grazia, e tu
porti indosso l' intero volume, non ti
gioverà a nulla. Oh! quanto sono più
sciocchi ancora quelli che s' empiono
il collo di Brevi, di polizze e di carte,
che sembrano botteghini che vanno
alla fiera. La carità non sta nelle carte.
I veri libri di Christo sono gli Apostoli
e i Santi, la vera lettura sta nell' imi-
tare la vita loro. Ma oggi gli uomini
sono fatti libri del diavolo. Parlano
contro la superbia e l'ambizione, e sonvi
immersi fino agli occhi; predicano la
castità e tengono le concubino; coman-
dano che si digiuni, e vogliono splen-
— 11 —
vogliono splendidamente vivere... Co-
storo sono libri disutili, libri falsi, li-
bri cattivi e del diavolo, perchè esso
vi scrive dentro tutta la sua malizia...
Questi prelati s'estollono delle loro
dignità e diprezzano gli altri; sono
quelli che vogliono essere riveriti e
temuti; sono quelli che cercano le
prime cattedre nella sinagoghe, i primi
pergami di Italia. Costoi-o cercano la
mattina di essere trovati in piazza,
ed essere salutati , ed essere chiamati
maestri e rabbi; dilatano le fimbrie e
filatterie loro; sputano tondo; vanno in
sul grave e vogliono essere intesi ai
cenni
Vedi oggi li prelati prostrati col-
l' affetto in terra ed in cose terrene;
la cura delle anime non è più loro a
cuore ; basta tirar le entrate... Nella
primitiva Chiesa erano li calici di le-
gno e li prelati d' oro ; oggi la Chiesa
ha li calici d'oro e li prelati di legno. >
didamente vivere. Costoro sono libri
disutili, libri falsi, libri cattivi e del
diavolo, perchè esso vi scrive dentro
tutta la sua malizia. » « Questi prelati
« si estollono delle loro dignità, e di-
« sprezzano gli altri; sono quelli che
« vogliono essere reveriti e temuti ;
« sono quelli che cercano le prime cat-
« tedre nelle sinagoghe, i primi per-
« gami d'Italia. Costoro cercano la
« mattina d' essere trovati in piazza,
« ed essere salutati, ed esser chiamati
« maestri e rabbi; dilatano le fimbrie
« e filatterie loro, sputano tondo,
« vanno in sul grave e vogliono es-
« sere intesi a' cenni....
« Vedi oggi li prelati e li predica-
« tori . prostrati coli' affetto in terra
« ed iu cose terrene ; la cura delle ani-
c me non è più loro a cuore; basta
« tirar le entrate... Nella primitiva
« Chiesa erano li calici di legno e li
« prelati d' oro; oggi la Chiesa ha li
« calici d' oro e li prelati di legno. »
Non ti fare le meraviglie: vedi! ii Pastor, coli' esattezza e la coscienza te-
desca, non ti cita già il Frate, ma il Villari; e tanto deve bastare per salvar
lui, e qui e in tutto il rimanente del lavoro che riguarda il Savonarola, dalla
taccia di plagiario e fare del suo volume un volume dotto. Del resto voglio
che ti prenda meraviglia assai maggiore. Continua, seguitando, a tener l'occhio
sul Pastor, ed io leggerò nel Villari stesso, alle pagine 201, 202, 203.
Pastor
Villaki
Ancor più rumore levarono le
prediche tenute dal Savonarola nella
quaresima del 1494. In queste egli mise
in nesso i flagelli da lui predetti con
la venuta di un nuovo Ciro, che senza
trovare ostacoli avrebbe traversato vit-
torioso P Italia.
Nel settembre si rifece sul me-
desimo argomento. Già erano divul-
gate confuse notizie di una spedizio-
L' effetto di questi sermoni fu cosi
straordinario e universale, che il Duomo
s'andò empiendo ogni giorno di mag-
gior popolo, e il Savonarola pareva
fosse divenuto il personaggio più im-
portante in Firenze.... Nei sermoni di
quella quaresima continuò sempre apar-
lare a lungo dei viciui flagelli; annun-
ziò la venuta di un nuovo Ciro che
avrebbe traversato vittorioso l' Italia,
senza trovare ostacoli, e senza rompere
lancia.... Nella terza di quelle prediche
doveva esporre il 17° versetto del
cap. VI, che già discorre del diluvio,
— 12 —
ne di Francesi e la trepidazione degli
animi era universale. Il 21 settembre
questa toccò il sommo. Le ampie navate
del duomo fiorentino bastavano appena
a contenere la folla, che, piena d' una
nuova e strana ansietà, attendeva da
più ore. L' oratore saliva finalmente sul
pergamo. Quando egli ebbe collo sguar-
do misurato il suo uditorio, gridò ter-
ribilmente : Ecce ego adducam aquas
super terram. Quella voce parve folgore
che scoppiasse nel tempio: uno strano
spavento s'impossessò dell' anima di
ognuno. Si grande fu il terrore, il pianto
ed il gemito, scrive il cronista Cerre-
tani, che ciascuno quasi semivivo senza
parlare per la città si aggirava. Il Po-
liziano dice che gli si rizzarono i ca-
pegli.
e ciò accadde il 21 di settembre, giorno
memorabile pel Savonarola e per Fi-
renze. Il Duomo bastava appena a con-
tenere la folla, che, piena di una nuova
e più viva ansietà, attendeva sin dal
mattino. L'oratore sali finalmente sul
pergamo, e quando ebbe gettato uno
sguardo sul suo uditorio, e vista l' in-
solita trepidazione che lo dominava,
gridò terribilmente: Ecce ego adducam
aquas super terram. Quella voce parve
come una folgore che scoppiasse nel
tempio, quelle parole sembrarono met-
tere uno strano spavento nell'animo
di ognuno. Pico della Mirandola rac-
contava che un brivido era corso per
tutte le sue ossa, che i capelli gli
s'eran rizzati sulla fronte; ed il Savo-
narola stesso dichiarò eh' egli non era
quel giorno meno commosso dei suoi
ascoltatori.
Nè credere che sia del Pastor la citazione del Cerretani, essa è tolta di
sana pianta da una noticina del Villari. Ecco, te la leggo: « Aveva predicato in
Santa Liperata, et avendo a 1' entrata del re di Francia in Italia a punto
chiuso 1' Arca con tanto terrore, spavento e grida e pianti, aveva fatto al-
cune prediche, che ciascuno, quasi semivivo, senza parlare, per la città sbi-
gottiti s' aggiravano. » (Cerretani, storia Ms., ecc.)
Perchè mi guardi? Tien fermo l'occhio un altro poco sul Pastor, sem-
pre di seguito; io leggerò ancora qualche altro periodo del Villari, alle pa-
gine 250, 272, 27(5, 277.
Pastor
Poche settimane dopo i Medici
erano scacciati, ed il re di Francia fa-
ceva il solenne suo ingresso in Firenze.
Il terribile avveramento dei vaticini
del Savonarola, la sua opera fruttuosa
per la conservazione della quiete nella
città durante la presenza dei Francesi
avevano accresciuto in sommo grado
il suo ascendente. Il popolo vedeva in
lui il profeta veridico delle cose avve-
nute; lui solo essere stato capace a
moderare 1' animo del re francese nel
suo entrare in Firenze; lui solo averlo
indotto a partire. E cosi da lui atten-
VlLLARI
L' aspetto della città s'era, in que-
sto mezzo, affatto mutato. I partigiani
dei Medici sembravano, come per in-
canto, spariti; il partito popolare si
trovava solo a dominare ogni cosa, ed
il Savonarola era quello che dirigeva
la volontà di tutto il popolo. Lui di-
cevano profeta veridico delle cose av-
venute, lui solo essere stato capace a
moderare 1' animo del re nel suo en-
trare in Firenze, lui solo averlo in-
dotto a partire; così da lui attendevano
consiglio, aiuto e comando in ogni cosa
che fosse per seguire....
- 13 —
devano consiglio, aiuto e comando in
ogni cosa che nella difficile impresa
del cangiamento della costituzione fos-
se per seguire. In tale guisa il frate
di S. Marco dalla forza stessa delle
circostanze veniva a trovarsi su di un
campo per lui nuovo, lubrico e perico-
loso; egli giustifica il suo inframmet-
tersi nelle cose politiche, dicendo che
l'aveva trovato necessario per la sa-
lute delle anime.
« 0 popolo mio ». così egli nelle sue
prediche sulla riforma della costituzio-
ne, « tu non volevi credere ; ma ora hai
visto che le mie parole si sono tutte ve-
rificate, che esse non sono di mia volon-
tà, ma vengono dal Signore. Prestate,
adunque, le orecchie a chi non cerca al-
tro che la vostra salute. Purificate il vo-
stro animo, attendete al ben comune,
dimenticate i privati interessi; e se in
tale disposizione voi riformate la vostra
città, essa sarà più gloriosa che non è
mai stata. E tu, popolo di Firenze, in-
comincerai in questo modo la riforma
di tutta Italia, e stenderai le tue ali in
tutto il mondo, per portarvi la riforma
di tutti i popoli.
» Questa riforma, prosegue il Sa-
vonarola, deve cominciare cogli ec-
clesiastici ed il bene temporale ser-
vire al morale e religioso; se Co-
simo de' Medici ha detto che gli Stati
non si possono governare col Pater
noster, questa essere sentenza di un
tiranno; a volere un buon governo, do-
versi ridurlo al Signore. Egli al pos-
tutto, se così non fosse, non s' impac-
cerebbe di affari politici. »
Per questa nuova costituzione rac-
comandava in una predica tenuta in
Duomo principalmente quattro cose: 1°
Il timore di Dio e la riforma dei buoni
costumi. 2" L'amore al governo popolare
ed al pubblico bene, posponendo ogni
t 0 popolo mio! tu sai che io non
sono mai voluto entrare nelle cose di
Stato: credi tu che ci verrei al presente,
se non vedessi cbe ciò è necessario alla
salute delle anime? Tu non volevi cre-
dere; ma ora hai visto che le mie pa-
role si sono tutte avverate; che esse
non sono di mia volontà, ma vengono
dal Signore. Prestate adunque le orec-
chie a chi non cerca altro che la vostra
salute. Purificate il vostro animo, at-
tendete al ben comune, dimenticate i
privati interessi, e se con tale inten-
dimento voi riformate la Città, essa
sarà più gloriosa che non fu mai in
passato. E tu, popolo di Firenze, inco-
mincerai in questo modo la riforma di
tutta Italia, e spanderai le tue ali
nel mondo, per portarvi la riforma di
tutti i popoli.
» La vostra riforma deve incomin-
ciare dalle cose spirituali, le quali
stanno al di sopra delle materiali, di
cui formano la regola e sono la vita;
e tutto il bene temporale deve servire
al bene morale e religioso, da cui di-
pende. E se avete udito dire che gli
Stati non si governano coi Paterno-
stri, rammentatevi che questa è la re-
gola de' tiranni, degli uomini nemici
di Dio e del ben comune, la regola per
opprimere e non per sollevare e libe-
rare la Città. Bisogna, invece, se voi
volete un buon governo, che voi lo ri-
duciate a Dio. Certamente io non vor-
rei impacciarmi dello Stato, se non fosse
così. »
Ma finalmente volle un giorno rac-
cogliere in Duomo tutti i magistrati
ed il popolo, escludendone le donne e
i fanciulli, per fare una predica nella
quale propose principalmente quattro
cose: lu II timore di Dio e la riforma
dei buoni costumi. 2° L' amore al go-
verno popolare ed al pubblico bene,
posponendo ogni privata utilità. 3° Una
pace universale, colla quale si assol-
vessero gli amici del passato governo
da ogni colpa, perdonando anche le
— 14 —
privata utilità. 3° Una pace generale, pene pecuniarie, e si usasse indulgenza
colla quale si assolvessero gli amici del verso tutti i debitori dello stato. 4°
passato governo, perdonando anche le Una forma di governo universale che
pene pecuniarie verso tutti i debitori comprendesse tutti i cittadini ai quali
dello Stato. 4° La istituzione di un go- secondo gli antichi ordini della Città,
verno universale, che comprendesse apparteneva lo Stato. E suggeriva,
tutti i cittadini. come più adatta la forma del consiglio
Maggiore dei Veneziani, accomodan-
dolo però all' indole del popolo fioren-
tino....
Così adunque l' illustre professore d'Innsbruck copiò dal Villari tre pagine
di seguilo ! Questo famoso autore nel dire del Savonarola copia quasi tutto,
copia anche quando meno te lo aspetteresti e immagineresti. Vuole egli parlare e
dar sentenza del lume profetico e del nostro Frate? Lo fa, ma non ti creder
già che egli lo faccia ricorrendo alle prediche del Savonarola, o al Compendio
di rivelazioni, o al Dialogo della verità profetica; tutt' altro; lo fa pigliando qual-
che periodo al Burckhardt. Vuole egli parlare e dar sentenza della riforma
tentata nelle lettere e nelle scienze dal nostro Frate? Lo fa; ma non ti aspet-
tare che egli ricorra all' Opera, che il Savonarola scrisse, Della divisione, or-
dine e utilità di tutte le scienze e della ragione della poesia ; lo fa, pigliando una
altra volta un paio di periodi al Burckhardt. E così fa sempre, qualunque cosa
egli abbia a dire. Degli scritti del Frate non se ne cura mai punto, in nessun
modo ; e non si dà mai alcun pensiero di vedere se gli autori da' quali copia
avesser ragione, o no, di affermare ciò che affermano. A lui basta che si con-
danni e maltratti il Savonarola ; non gì' importa d' altro !
Di sopra ho detto che forse il Pastor vide le poesie del nostro Frale, e lo
voglio credere, perchè tale operetta è registrata a pag. 821 fra i libri dal Pastor
ripetutamente citati. Ma, intendiamoci bene, io non potrei assicurare nessuno che
10 storico tedesco, oltre ad averla vista, 1' abbia anche letta. La cosa può anche
stare altrimenti. Queste poesie le cita una volta sola, a pagina 123, dove espone
11 contenuto della canzone De mina Ecclesiae. E qui è ancora 1' unica volta
che, leggendo il volume del Pastor, si vede a pie di pagina il titolo preciso di
un'opera del Frate : Poesie di Fra Girolamo Savonarola, ed. Guasti. Per questo, e
notandosi anche le pagine nelle quali la detta poesia si legge, ognuno vorrebbe
credere che 1' esposizione che ne fa, fosse sua propria; ma, chi così immagi-
nasse, s'ingannerebbe a partito; trascrive anche qui letteralmente dal Villari,
pag. 23: lo vuoi vedere?
Pastor Villari
Nel primo anno della sua vita clau- L'anno medesimo che lasciava il
strale il Savonarola compose la sua mondo, quell'anno d'esiiltato fervore,
celebre canzone che intitolò De mina egli dava sfogo ai pensieri più segreti
Ecclesiae, dove ugualmente vengono de- del suo animo, in una Canzone, che in-
scritte le sole macchie che deturpavano titolò De mina Ecclesiae. In essa egli
— 15 —
il suo secolo. La Chiesa vi figura sotto
l'immagine di una casta vergine, per-
chè in lei la fede rimase di continuo
intemerata: — Ove sono gli antichi dot-
tori, gli antichi santi; ove la dottrina,
la carità cristiana, il candore antico?
— Ed in risposta la Vergine, presolo
per mano, lo conduce in una spelonca
e gli dice: — Quando io vidi la superba
ambizione penetrare in Roma e conta-
minare ogni cosa, allora mi ritirai e
chiusi in questo luogo
Ove io conduco la mia vita in pianto.
Dopo ciò gli mostra le piaghe che
avevano contaminato il suo corpo: ed
allora il Savonarola, tutto pieno di
dolore, si rivolge ai santi nel Cielo, e
li invita a piangere
Prostrato è il tempio e l'edilìzio casto.
Alla domanda, di chi la colpa, re-
plica la Chiesa: ambizione, concupi-
scenza degli occhi e della carne. Al che
il Savonarola dice:
Deh ! per Dio donna,
Se romper si potria quelle grandi ale !
Ma la Chiesa quasi in tono di rim-
provero gli replica:
Tu piangi e taci, e questo meglio parisi.
domanda alla Chiesa, che figura sotto
l'immagine di una casta Vergine: — Ove
sono gli antichi dottori, gli antichi
santi; ove la dottrina, la carità, il can-
dore antico ? — Ed in risposta la Ver-
gine, presolo per mano, lo conduce in
una spelonca, e gli dice: — Quando io
vidi la superba ambizione penetrare in
Roma, e contaminare ogni cosa, allora
mi ritirai e chiusi in questo luogo,
Ove io conduco la mia vita in pianto.
Dopo ciò gli mostra le piaghe che
avevano contaminato il suo bellissimo
corpo: ed allora il Savonarola, tutto
pieno di dolore, si rivolge ai Santi nel
Cielo, e li invita a piangere tanta sven-
tura :
Prostrato è il tempio e lo edifìzio casto.
— Ma chi ha ridotto le cose a tale ?
— riprende nuovamente il Savonarola.
E la Chi esa, alludendo a Roma, ri-
sponde:— Una fallace, superba mere-
trice. — Allora il giovane e devoto no-
vizio, il solitario ed umile fraticello,
dice una di quelle parole, che rivelano
tutta la sua anima:
Deli! per Dio. donna
Se romper si potria quelle grandi ale !
A che la Chiesa, quasi in tuono di
rimprovero, gli dice:
Tu piangi e taci, e questo meglio parme.
Che te ne sembra? Ti pare di poter argomentare che il Pastor abbia avuto
nelle mani e letta pur una delle opere del Savonarola? 0 non ti pare piuttosto
che abbiamo ragione noi quando diciamo il contrario? Questi passi s'avrebbe
a virgolarli, e facendo come il Pastor, che si contenta, dopo che li ha copiati,
di farvi seguire un numero, e porne un altro corrispondente a piè di pagina
col nome del rispettivo autore, si potrebbe forse esser detti plagiar)'. Credimi:
se ti piacesse di togliere dal Pastor, ove parla del Savonarola, tutto ciò che
copia di peso dagli scrittori moderni, non vi lascieresti più una pagina intatta;
non vi lascieresti se non alcune asserzioni avventate e strane.
— 16 —
Così stando le cose, chi può ancor dubitare che il Pastor scrisse del Sa-
vonarola senza prima essersi preparato sufficientemente a farlo? E non è que-
sta cosa assai biasimevole e atta a diminuir la fiducia nel lettore?! Con qual
legge potrebbe un giudice pronunciar sentenza di condanna su poche depo-
sizioni di testimoni malamente interpretate e contorte, come vedremo che fa
il Pastor, senza punto sentire il reo non contumace, ma che reclama insisten-
temente il diritto d'essere sentito e inteso? E qual valore, qual peso, quale
autorità potrebbe, nel triste caso, aver la sentenza? e chi mai non dovrebbe
desiderare di vederla senza meno cassata?
III.
Insufficiente conoscenza nel Pastor
della predicazione savonaroliana.
Sommario.
Il Pastor fa predicare al Frate due quaresime nello stesso anno e in città diverse. — Confonde predica
con predica e l'avvento colla quaresima. — Altro sbaglio di data. — Ignoranza o errori più gravi.
— L'infelice successo del Savonarola quando fu la prima volta a predicare in Firenze. — Ragioni
del fatto secondo il Pastor. — Il Pastor inconciliabile con se stesso. — Concetto dei biografi del
Frate: Il Villari, e il Pnrlamacclii. — Passi del Savonarola. — Un raccontino. — Progressivo
svolgimento della predicazione savonaroliana quale appare dalle prediche del Frate. — Un aureo
passo della XLVIIIa sopra Amos e Zaccaria.
L' ignoranza delle cose attinenti al Savonarola nel Pastor si appalesa chiara
chiara, tacendo ora degli errori gravissimi, in molti difetti e in molte imperfe-
zioni del suo libro.
Così, ad esempio, a pagina 124, lo storico tedesco fa predicare al Frate due
quaresime nell'anno stesso 1486, una a San Gemignano, e l'altra a Brescia. Dico
che fa predicare due quaresime nello stesso anno, in diversi luoghi, per non dire
altrimenti ch'egli dimentica che l'Apocalisse l'Oratore domenicano a Brescia
1' espose di quaresima.
Così parimente a pagina 353 dice che la seconda predica sopra Amos è
indirizzata precipuamente contro i vizj di Boma; e per giunta afferma che il
Savonarola cominciava (e s' intende in tale predica) con una strana interpreta-
zione delle parole di Amos (4, 1): Audite verbum hoc, vaccae pingues , quaeestis
in monte Samariae; non sapendo che invece nella seconda predica di tal qua-
resimale Boma c' entra ben poco o nulla, e che la famosa predica delle Vac-
che pingui è, non la II, ma la XII. Alcuno dirà forse che queste sono sviste, e
magari errori tipografici ; ma probabilmente non sarà errore tipografico,
si inconsideratezza il dire che le prediche sopra Amos e Zaccaria furono
recitate nell'avvento del 1496, mentre è notissimo che furono nella quaresima di
2
— 18 —
detto anno. Basta una conoscenza anche molto superficiale della vita del Sa-
vonarola, per sapere che il Frate l'avvento dell'anno 1495, in obbedienza al
breve del 16 ottobre, si tacque; e l'avvento dell'anno 1496 espose sopra Eze-
chiele (cf. Villari II, p. 2, nota 1). Come può dunque scrivere il Pastor che il
Frate recitò la XII sopra Amos la seconda domenica dell'avvento? È conciliabile
colla vantata esatezza de' tedeschi questa confusione?!
Così non sappiamo capire perchè lo storico d'Innsbruck faccia predicare
il Savonarola il giorno 15 ottobre 1495, mentre si sa tutti che il Frate le
prediche recitate in tale anno sopra i Salmi, e così anche i tre sermoni im-
mediatamente prima dell'arrivo in Firenze del breve dei 16 ottobre, le recitò
ne' giorni festivi, e non essendovi in ottobre dagli 11 a' 26 altre feste fuori
delle domeniche, delle tre prediche 1' una (come nota lo stesso Pastor) es-
sendo stata recitata agli 11, la terza a' 25, la seconda dovette necessaria-
mente esser recitata a' 18, e non a' 15. Così del resto si legge nelle varie edi-
zioni e in capo del libro e in testa della predica. Ma per saperlo, è naturale,
bisogna leggerlo e farvi attenzione; copiando da altri, è facile che sfugga una
data o che si cambi con un' altra. (*)
(') Diamo, per far cosa grata ai lettori, uno specchietto cronologico della predicazione
Savonaroliana secondo i dati più probabili :
In Ferrara
Quaresima
1482
In Firenze
1484
In San Gemignano
14S5
Feste
14S6
In Brescia
sull' Apocalisse
1489
In Firenze
»
Quaresima
1490 *
*
Fette
Avvento
Quaresima
1491
sui Vangeli
Avvento
>
>
sulla 7. Ep. di S. Giovanni e
sul Nome di Gesù
Feste
»
sull' Arca di Noè
Quaresima
1492
»
Avvento
»
Q a ai esima
1493
In Bologna
Avvento
In Firenze
sul salmo Quam bonus
Quaresima
1494
>
sull'Arca di Noè
Feste
su Ai/geo
Avvento
Feste
1495
sui Salmi
Quaresima
su Giobbe
Feste
>
»
sui Salmi
Quaresima
149o
su Amo/) e Zaccaria
Dopo Pasqua
In Prato
su Gioele
Feste
»
In Firenze
su 8ut e Michea
Avvento
>
su Ezechiele
Quaresima
1497
»
Ascensione
sul salmo Domine Deus incus
Dalla settuagesima
sull' E.iodo e sui Salmi
al 18 Marzo
1198
7 Aprile
»
Sermone innanzi l' esperi-
mento del fuoco.
* A porre nel 90 questa quaresima In Firenze ci induce l'autorità (li Domenico, Benivicni che
nel suo conosciutissimo Tractato in defensiune et probatione, ecc. dice al cap. 1.° « E da intendere
che dal primo d'agosto dell' anno MCCCCLXXXIX per insiuo a questo di VI maggio MCCCCI.XXXXVI
nel quale ho terminato et fornito questo tractato tutte le quadragesime, excepto una, et tutti gli avventi
in questo tempo occorrenti et molti altri di, cioè gran parte de' di festivi ha predicato questo servo di
Dio nella ciptà di Firenze. » La quaresima eccettuata non può esser che quella che cerlamente predicò
a Bologna nel 93. L'edizione del Henivieui che abbiamo sott' occhio è del 1 (9G. Un passo della predica
detta 1' 8 febbraio 1497 conferma questa asserzione. « Credo che voi vi ricordiate tutti di quello che
vi ho detto tante volte.... Cosi abbiamo fatto sette anni e faremo ancora.» Predica 9« su Ezechiele. K
nella predica del 28 Agosto 1496 sopra Michea dice espressamente : « Noi cominciammo nel novanta a
dirti queste cose, benché ancora nello ottantanòve avessimo detto qualche cosa, ma quello fu uno
preambulo, si che cominciammo nel novanta. »
— 19 —
Più grave di queste e simili mende, alle quali passiamo sopra volentieri, è
la confusione, che il Pastor fa nella storia della predicazione del Frate; non
dico nella cronologia, ma nel contenuto delle prediche; e dico confusione, ma
potrei anche usar una parola più grave assai. La storia della predicazione del
Frate l'ignora quasi completamente il prof. d'Innsbruck. E pure il conoscerla
era facilissimo: bastava legger le opere di Girolamo Savonarola; per esempio
il Compendio di Rivelazioni. E a noi fa veramente meraviglia che il Pastor sto-
rico coscienzioso ed imparziale, come per il solito si mostra, non 1' abbia fatto,
ina siasi contentato di giudicar senz' altro il povero Frate chiamandolo audace,
appassionato, focoso, violento, intemperante....
A pagina 123-124, narrando dell'infelice successo ch'ebbe il Savonarola
nella quaresima fatta a San Lorenzo di Fjrenze V anno 14-82 ovvero 1481, co-
piando in parte dal Villari e in parte dal Reumont, e, guastando anche un poco
quello che copia, annovera fra le ragioni dell' insuccesso, le maniere (*) e le for-
me del dire dell'oratore straniero, rozze e neglette, l'aspro accento lom-
bardo, le parole incolte, il gesto impetuoso e violento, e poi la mancanza delle
citazioni, tanto predilette ai Fiorentini, di poeti e filosofi. E fin qui nessuno
avrebbe forse niente ad opporre; ma il Pastor di ciò non si contenta, ma ag-
giunge ancora che lo zelo appassionato non lasciò vedere al Savonarola la co-
pia del bene che si era conservato in Firenze quand'egli vi giunse a predicare:
il Frate domenicano, nel centro del rinascimento, non vedeva se non il male;
e contro questo male, sorse con tanto zelo impetuoso che fin dalle prime gli
alienò 1' animo di molti. E questa il Pastor dice che è la vera ragione, per
cui le prime prediche del Savonarola nella Chiesa di San Lorenzo non trova-
rono eco veruna; e soggiunge ancora che la critica acerba, esagerata e spietata
che l'oratore faceva delle condizioni immorali e dell'eccessivo studio dell'an-
tichità disgustò al sommo i Fiorentini.
Per tanto la ragione principale della fredda indifferenza, come la dice lo
stesso Pastor, de' Fiorentini, per l' infelice Frate, era allora lo zelo impetuoso
col quale questi si scagliava contro il vizio, e sopratutto la critica acerba, esa-
gerata, spietata, che e' faceva delle condizioni immorali e dell' eccessivo studio
dell' antichità. Questa critica disgustò al sommo i Fiorentini.
La sentenza è, come ognuno vede, molto decisiva; ma, i motivi? I motivi non
si hanno da chiedere, bisogna credere e stare zitti. Si legge nel Pastor, e basta.
Veramente a noi, gente un poco proterva, fa un poco meraviglia che in tali pre-
diche i Fiorentini venissero disgustati al sommo per simili ragioni ; imperocché il
Pastor medesimo, a pag. 121, parlando de'predicatori di penitenza in Italia, scrive
letteralmente cosi: « Cosa mirabile è come nobili e plebei, principi e papi
si togliessero in pace le riprensioni di questi predicatori di penitenza; e del pari
(') A pagina 125-126 il Pastor accennando un'altra volta come il frate parlava senza ri-
guardo e spesso anche in guisa eccessiva ai Fiorentini, dice che «il modo tenuto dal Savona-
rola nel suo predicare faceva si che gli uditori prendevano tutto ciò in buona parte, anzi che
tante volte con forti pianti si confessassero in colpa.» Ma nel Pastor si cercherebbe invano
come si concilino o si spieghino i due passi.
— 20 —
mirabile la fermezza onde quegli uomini rinfacciavano ad ogni classe e ceto dr
persone i loro vizj e peccati. » Che si abbia proprio da fare eccezione pe' Fio-
rentini?! Ma come va poi-che dopo non si offesero più quando il Savonarola li
riprese aspramente e li volle riformare per ogni lato? Che le rampogne delle
prime sue prediche fosser più acerbe che non quelle delle prediche degli anni
successivi? Ma chi le potrebbe immaginare più acri della citata dal Pastor a
pagina 139? « La vostra vita è un mo' di vivere da porci. » Io non so se già il
Savonarola pronunciasse a' Fiorentini questo bel complimento le prime volte
che loro predicava, nè so se il Pastor sappia ciò dirmi e tanto meno so se il
Pastor sappia dirmi se il complimento gradito il Frate lo ripetesse sovente al
gentil popolo del Fiore-: probabilmente l' illustre professore si è contentato di
copiarlo, insieme con altre cose belle dall' Hase, e di copiarlo senz' altra cura;
quello che io so si è che le parole citate si leggono nella predica X sopra Ruth
e Michea, fatta a dì 5 giugno 1496, cioè proprio al tempo che il popolo Fio-
rentino si affollava più numeroso a sentire il Frate, e più lo ammirava ; nè la
si legge asciutta asciutta, ma con una enumerazione di rimproveri ghiotti dav-
vero....! Quali saranno adunque slate le rampogne che disgustarono al sommo
Firenze? le rampogne cui Firenze non poteva sostenere? Alla fantasia qui
manca la possa ! Del resto non dice il Pastor medesimo a pagina 124, che la
fredda indifferenza de' Fiorentini, non che intimidire il Savonarola, infiamma-
vaio anzi a vie più francamente sferzare i vizj del suo tempo ? Se voleva che ci
credessimo, il Pastor avrebbe dovuto darci un saggio almeno delle intempe-
ranze e del precipitoso zelo del Savonarola in queste prediche. Che se esse
prediche non esistono più e non furono raccolte, nè pervennero fino a noi, o
il Pastor non le conosce, a più forte ragione doveva andare col piombo a'piedi
a usar parole contro il Frate tanto gravi quanto sono quelle che usa; a più
forte ragione doveva studiare e pensarci su bene prima di stampare giudizj
tanto ingiuriosi.
Il concetto che hanno a questo proposito del Frate gli storici nostri è
diverso da quello che ci dà il Pastor. Il Villari trattando quest' argomento
(a pag. 74) scrive: « Il Savonarola capì subito le ragioni di tanta freddezza. Ve-
deva quali erano gli uomini che avevano fortuna in Firenze, e con quali arti
essi richiamavano l'attenzione d'un pubblico che della fede di Cristo voleva
sentir poco parlare, e si dilettava solo di citazioni pagane e di frasi eleganti, e
ancora di qualche citazione scettica e oscena. » — E a pagina 31 ci si dicono pure
cose molto utili. Ivi si vuole spiegare come mai al Savonarola i suoi concittadini
facesser poca festa e poco plauso allorché, l'anno 1481, fu mandato a predi-
care in Ferrara, e si dice che: « La più probabile congettura è questa, che egli
restò fermo nel non voler seguire la via tenuta dagli altri predicatori, i quali
si perdevano sui loro pergami negl' interminabili sofismi della scolastica e scen-
devano a bassezze tali di linguaggio, che ai nostri giorni sarebbero permesse
appena nelle bettole. »
Nè dovele dirmi che voi avete tolto il vostro giudizio dal Villari (pag. 72-73);
perchè ne avete troppo rincarata la dose e non è più quello, nè per le aggiunte,
— 21 -
iiè per le soppressioni. La pag. 72-73 del Villari non è in contradizione colla
pagina 31 ; mentre la vostra vi contradice.
Del resto chi non ha letto il Burlamacchi? ! Questo Biografo del Frate
non accenna punto allo zelo impetuoso, alio inveire contro de' vizj, nè alla critica
acerba, esagerata, spietata che il Savonarola, secondo il Pastor, avrebbe fatto
delle condizioni immorali e dell' eccessivo studio dell'antichità, che avrebbe di-
sgustato al sommo i Fiorentini; ma si contenta di scrivere che « nel principio
del suo predicare nè voce, nè gesti, nè modo alcuno aveva, che fosse convene-
vole ed accomodato a tale esercizio, di sorte che non aveva grazia alcuna, nè
piaceva a persona. Onde per dono particolare di Dio diventò poi così mirabile,
e stupendo predicatore....» (Vita del P. F. Girolamo; Lucca, 1764, pag. 12;
vedi anche pag. 15.)
Ma questa è la leggenda domenicana!! Sia, se vi piace, ma se volete che
noi teniamo per vero quanto affermate voi in contrario, recateci delle buone
.prove, altrimenti non avrete mai alcun diritto al nostro assenso. Finche vi
contentate di affermare, crederemo d'aver il diritto di starcene con chi meglio
ci piace.
Del resto, è anche leggenda domenicana ciò che il Savonarola disse al po-
polo affollato a sentirlo il martedì e il giovedì dopo la terza domenica di qua-
resima 1496, e a dì 15 agosto dell'anno stesso? Vi piace udire alcune parole
di queste prediche? Eccovele: < Io son qua per difendere questa verità, e per
Cristo, e non son qua per predicare a Firenze sola, ma a tutta la Italia. Tu sai,
che tu mi hai conosciuto per i tempi passati; e sai che io non ero atto a que-
sta impresa, che non avrei saputo muovere una gallina; e tuttavia oggi tu vedi,
che per questa predica tutta l' Italia e ogni cosa è commossa....
« Quando e' ti fu cominciato da principio a essere predicate queste cose
senza allegazioni, tu dicevi : Egli è un uomo grosso, e fa per semplicità, e sai
•che tu venivi a casa, e dicevi: — Non far, Frate, tu t' inganni per troppa sem-
plicità. — Poi, quando e' son cominciate a venire le cose, tu non di' più: — Egli è
grosso uomo; — ma tu di': — Egli è astuto. — Se fusse venuto Giovanni in questo
tempo, e Cristo, tu avresti trovato la chiosa.... Io ho voluto vedere la teologia
e ogni cosa per intendere la Scrittura....
« 0 Firenze, tu hai avuto questo dono, che tu hai udito predicare la Scrit-
tura Santa. E già sei anni fa, il primo dì di agosto, mi ricordo, che comin-
ciandoti ad esporre l'Apocalissi, molti mi dicevano: — Padre, voi non ci dite
mai nessuna questione: — Ed io mi voltavo al Signore e dicevo: 0 Signore, sarà
egli mai possibile eh' e' si spenga questa cosa di questo desiderio di questioni,
e che solamente si cerchi il lume e la esposizione della Scrittura? E'ti è stato
concesso adunque questo dono da Dio. E ti è stato aperto il tempio di Dio in
cielo .... ecc. »
« Io non mi laudo, perchè non sono stato io, che sono un vile fraticello; ma
egli è stato Dio. Io non sapevo far nulla; e lo sanno tutti coloro che mi cono-
scevano, ch'io non sapevo pur parlare; ma io ti dico, che è stato Cristo .... >
Paiono essi persuasivi questi passi? Potrete pur ridervi, se vi piace,
della persuasione che il Frate mostra d' aver Dio con sè, d'esser egli stru-
mento nelle mani di Dio; potrete ridervi di questo e dileggiarlo; ma potete
anche mettere seriamente in dubbio ch'egli esprimesse ai Fiorentini le ragioni
vere, per le quali la sua voce non trovava eco in Firenze non pure 1' anno
1481-82, ma anche di poi? Per me è prezioso il raccontino riferito da molti,
e anche dal Villari a pag. 81: Girolamo Benivieni, divenuto fin d'allora
seguace del Savonarola, gli diceva: — « Padre, non si può negare che la vo-
stra dottrina sia vera, utile e necessaria; ma il vostro modo di parlare manca
di grazia, specialmente essendovi ogni giorno il paragone di Fra Mariano ». —
Al che egli rispose, quasi sdegnato: « Questa eleganza e ornato di parole do-
vranno cedere innanzi alla semplicità del predicare sana dottrina. »
Chi cercasse le prediche del Frate troverebbe (lasciando per ora le pro-
fezie delle quali dovremo parlare di sotto) che le cose andarono come se-
gue: A principio, coli' animo pieno di ardore, il Frate nostro volle, senza alcun
apparato di filosofia, nè di retorica, predicare la dottrina di Cristo e la semplicità
della vita cristiana. — Un saggio di questa maniera di predicare l'abbiamo nelle
prediche sulla Ia di San Giovanni. — Gli uomini spirituali ed umili, che avevano
fame del verbo di Dio, lo sentivano già allora volentieri. Ma essi eran pochi :
troppo pochi, a paragone degli uomini animali e superbi educati alla filosofia
di Aristotele e di Platone, e alle sottili questioni de' dottori parisiensi (come li
chiama il Savonarola), e alla grande eloquenza di Demostene e di Cicerone.
I così fatti sentivano nausea del cibo lievissimo che loro tentava d'imbandire
il Frate domenicano; ma ne chiedevano uno più forte e sostanzioso, meglio
adatto agli stomachi loro. E Girolamo Savonarola sapendo con San Paolo,
che chi predica il verbo di Dio è debitore a tutti, mise su a sostegno della fede
e della vita cristiana le ragioni de' filosofi e gli argomenti de' teologi. E que-
sto già si può vedere nelle prediche sopra il Salmo Quam Bonus, e appare in
tutte le altre che vennero poi appresso. Dopo, alla calata di Carlo Vili, quando
furono cacciati i Medici, il Frate fu costretto a entrare nella politica, come si
può vedere nelle prediche sopra Aggeo, recitate nei mesi di novembre e di-
cembre del 1494. Ottenuta la pace nella città, si adoperò per renderla vie più
cristiana e prepararla a fare il bene, sopportare il male e così perseverare fino
alla morte: si adoprò in una parola, a renderla morale in sommo grado. A
questo mirano le prediche del 95 sopra Giobbe, e sopra i Salmi, sebbene quest'ul-
time siano anche per altro Iato da accostarsi a quelle sopra Aggeo.
Fin qui, sebbene qua e là sferzasse vivacemente di tratto in tratto i corrotti
costumi e lo spirito pagano, il suo predicare non aveva tuttavia in ciò nulla di
troppo acre e nemmeno di battagliero o di polemico. Ma poi, vedendo che gli
Arrabbiati ed i Palleschi, i tiepidi, i gran maestri, i tiranni accordati insieme
attraversavano la sua riforma, e con il loro esempio, impedivano che il popolo
tornasse sinceramente alla Croce di Cristo, lasciando le vanità nelle quali era
immerso, e che la Chiesa si rinnovellasse ricevendo 1' abbondanza dello Spi-
rito di Dio, s'infiammò alquanto, e divorato dallo zelo per la casa del Signore,
levò più forte la voce contro gli abusi di ogni specie, come appare nelle pre-
- 23 —
diche sopra Amos, sopra Ruth e Michea, sopra Ezechiele; e divenne terribile,
quando vide, che ad ogni costo gli avversarj volevano impedirgli di fare il
bene, volevano trarre a ruina lui e la libertà di Firenze, e guastare ivi un'altra
volta la vigna del Signore, ch'egli s'era affaticato tanto per rassettare un poco.
Tutto questo si può vedere chiaramente nelle citate prediche sopra Amos e
Zacharia, sopra Ruth e Michea, e in quelle sopra l'Esodo. Ma in ognuna di queste
fasi della sua predicazione il severo Frate ebbe sempre in cima de' suoi pensieri,
e come suo principale e quasi unico fine di ricondurre gli uomini per mezzo
del ben vivere, a Cristo Crocifisso via, verità, vita, salvezza, beatitudine di
tutti gli uomini.
Si ricerchino i volumi di tutte queste prediche, e delle altre ancora che
non abbiam ricordate, e apparirà subito che assai tortamente è stato giudicato il
Savonarola nei suoi primi tentativi oratori dallo storico d'Innsbruck; apparirà
subito che questi ha troppo insufficiente conoscenza della predicazione del
Frate domenicano, che pur giudica e condanna assai severamente, e come
avremo anche occasione dì mostrare esaminando più innanzi le singole pro-
posizioni e le sentenze che gli pronuncia contro, spesso anche gratuitamente.
Intanto ci si consenta di trascriver qui un passo veramente aureo e che
è sufficiente, anche da solo, a farci conoscere il successivo svolgimento e
progresso della predicazione del Frate e a darci come una sintesi di essa. È
tratto dalla predica XLVIII sopra Amos e Zaccaria. I lettori troveranno in que-
sto passo una splendida dimostrazione della verità della fede cristiana e della
divinità del Crocifisso. Li prego a riflettere che il Savonarola non ci dà qui
queste dimostrazioni per isfoggio di dottrina, nè per abbozzare quanto scrisse
poi nelle opere del Trionfo della Croce, e Della Semplicità della Vita Cristiana,
ma riepiloga tutta la sua predicazione dalla quaresima del 1482 fino all'ottava
di pasqua del 1496.
« Io stamattina voglio parlare a molta gente; voglio ragionare un poco que-
sta mattina con esso voi. Voi avete fatto orazione ; e io sono inspirato a far
fine alle nostre predicazioni, e però io vi voglio fare stamani uno epilogo
delle cose che io vi ho predicato in fino a qui. E quantunque io abbia pre-
dicato lungo tempo, tuttavia sono state poche le nostre conclusioni, e tutte
sono state dirette a un fine; cioè d'insegnarvi a viver bene; e però ripetendo
brevemente le nostre conclusioni, voglio parlare questa mattina a molta gente,
e a diverse persone.
« Tu vedi che il nostro Salvatore Gesù Cristo, nel vangelo, prima apparse
ai discepoli, i quali credettero semplicemente, di poi San Tomaso fu 1' ultimo
che il vedesse perchè non credette semplicemente, ma volse palpare la fede
con le mani. Firenze, io credo, che tu ti ricordi quando io incominciai a pre-
dicarli già parecchi anni sono; cominciai prima semplicemente senza filosofia,
e tu ti lamentavi che io predicavo semplicemente, tuttavia quelle predicazioni
fecero frutto nelle persone semplici, le quali bisognava tirar prima. Ma li savj
cominciarono allora ad impugnare, e ebbi dai poeti contradizione, dagli astro-
logi, filosofi e sapienti del mondo, i quali contradicevano e andavano pungendo
— 24 —
e davansi a intendere che il nostro predicare così semplicemente fosse per
ignoranza; non dico questo per lodarmi, ma perchè così credevano. Di poi in-
cominciai, predicando, a por su le ragioni, e mostrarti per ragioni naturali e
per la Scrittura quello che io dicevo, e ti cominciai a predicare della fede, e
mostrartela con molte ragioni; e allora tu toccasti le piaghe, come San Tom-
maso; e con questo fondamento sono andato poi sempre con questi savj del
mondo.
« E perchè tu vuoi andare sempre con la cognizione dei sensi e con le ra-
gioni naturali di filosofia, mi son sempre ingegnato di poi di farti toccare con
mano che la filosofia manca, e che il lume naturale non basta alla salute, ma
che il fondamento tuo debba esser fede. E fra le altre cose nelle quali manca
la filosofia, io ti ho mostro che la manca in principio e in fine. Dimanda
uno uomo donde viene in questo mondo, e digli: uomo donde vieni tu? noi
sa. E non possono negare i filosofi che 1' uomo non habbia in sè qualche cosa
che sia immortale, la quale è quest' anima, e ognuno la confessa, se già non
fussi qualche grosso uomo ; e dicono questi filosofi che la non può venire per
potenza della materia e non sanno trovare la causa donde la venga, ma Ari-
stotile che non sapeva ancora donde la venisse, ne parlò così in confuso, e
disse quod deforis venti. Sicché errano o mancano i filosofi nel principio
dell' uomo. Mancano ancora, e errano nel fine, perchè, vedendo che questa
anima è immortale, il che negar non possono, non seppono trovare dove
ella andasse poi che si partiva dal corpo; e benché avessino varie opinioni
non le provavano; sì che mancava la filosofia nel principio e nella fine. Eppure
l'ordine dello universo costringe tutti gl'intelletti grandi a dire che Iddio ha
providenza di questo mondo, e bisogna dire che avendo Iddio creato questo
universo, e governandolo, che può, sa e vuole; dunque è da dire che n'abbia
providenza. Tutte le cause naturali hanno providenza de' loro effetti; quanto
adunque maggiormente Iddio prima causa ha providenza delle cose che Egli
ha fatte ? E se veggiamo che ha providenza di tutte le cose naturali dell' uni-
verso, quanto maggiormente dobbiamo dire eh' Egli abbia providenza del-
l'uomo, perchè è più nobile di tutte queste altre cose naturali ? E però io sono
stato forzato, predicandoti, a metterti innanzi agli occhi questo mondo natura-
le, e mostrarti che Dio ne ha providenza, e da queste cose naturali ti ho me-
nato alle cose soprannaturali, e ti ho fatto toccare le piaghe, e ti ho mostrato
la fede di Cristo con moltissime ragioni.
« Ricordomi già che io ti feci un trionfo, e sopra quello il Crocifisso: met-
temmolo in mezzo il mondo, e intorno al carro trionfale misi le opere sue, e
a questo modo dalla cognizione di questo universo naturale ti ho condotto
alla considerazione di un altro universo. Di poi ti ho mostrato molti effetti
della fede di Christo e della vita cristiana, e tra gli altri tu non puoi negare
questo effetto : cioè la vita cristiana essere perfetta. Tu potresti ben proterva-
mente negare i miracoli, ma tu non puoi già negare la vita cristiana, la quale
è presente negli occhi tuoi ; tu non puoi trovarne, nè anche immaginarne una
migliore. Io ti ho sempre ancora mostrato, che questa vita cristiana non è cosa
— 25 —
naturale e non è secondo la specie dell' uomo ; perchè se ella fosse natu-
rale a questa specie umana, seguiteria che tutti gli uomini facessero que-
sta vita, e a questo modo ogni uomo farebbe bene. Ancora ti ho mostrato che
non può venire questa vita cristiana dalla natura dello individuo, perchè se
questo fosse vero, l'uomo non avria difficoltà alcuna a far bene; ma noi veg-
giamo il contrario, che l'uomo ha gran difficultà al ben vivere. Parimente
veggiamo che l'uomo non nasce buono, e vediamo che i cattivi diventano
buoni, dunque la vita cristiana non nasce per proprietà dell'uomo. Inoltre,
non viene ancora da immaginazione, perchè la immaginazione di uno Cro-
cifisso non può fare sì nobili effetti, se non vi fosse Iddio ; perchè la imma-
ginazione dei filosofi, che immaginarono Iddio e la prima causa, come più
nobile, avria fatto più nobile effetto ; ma noi abbiamo visto, in contrario, che i
filosofi non sono vissi bene, nè si sono potuti spiccare dallo amor proprio;
adunque non viene il viver bene da immaginazione. Non può essere ancora per
influsso del cielo, come ti ho mostralo più volte; perchè, se fosse per influsso,
saria cosa naturale peli' uomo e sariavi inclinato, ma noi veggiamo il contrario;
adunque non viene per influsso del cielo. Io ti ho ancora mostrato, che non
può venire questa vita, e questa fede da creatura alcuna ; perchè ogni effetto
si converte naturalmente alla sua causa, adunque l'uomo si convertirla a
quella creatura come a causa sua; ma noi vediamo che l'uomo cristiano non
si converte se non a Dio; adunque la fede non viene da creatura alcuna. Ma
noi veggiamo che l'uomo si converte a questo Crocifisso come a causa sua,
e veggiamo che questo viene da Cristo, e dal suo amore; ma così è che que-
sto non può venire dalla carne sola e dalla croce, ma bisogna che venga dalla
Divinità, dunque bisogna dire che questo Crocifisso è Iddio.
« Fatto questo fondamento, che la fede di Christo sia la vera fede, io vi dicevo
che gli era lo inferno e il paradiso, siccome ci ha mostrato questo Crocifisso:
e ho dimostrato che questa vita non è nulla, e che si deve cercare solamente
Iddio e viver bene, e fare ogni cosa per acquistare di là il Paradiso; e non
debba mai bastare all'uomo di avere fatto bene, ma deve cercare di far me-
glio. Guarda coloro che cercano le cose terrene : se hanno acquistato cento
ducati, se ducento, se mille, se dieci mila, non restano qui, ma vanno sempre
più su; così non debbe, nella vita cristiana, uno dire: mi basta questo; ma
debbe sempre cercare di far meglio e andare più innanzi, per avere "il Pa-
radiso.
Secondo; perchè questa vita cristiana si acquista per culto interiore, vi ho
detto sempre che la consiste nell'amare Iddio per sè; e benché le cerimonie
ordinate nella Chiesa siano buone, pure se non sono fatte con questo culto
interiore non valgono nulla; perchè senza questo non fanno fruito nell'anima
di colui che le fa. E però vi dissi che dovendo l'uomo fare ogni cosa per
acquistare quella vita, e vedendo che le cose esteriori danno noia, dovevi vi-
vere semplicemente, e non vi inviluppare in molte cose. Perchè, per esempio,
quando il religioso vuole avere bella cella e parecchi mantelli, non può far questo
ed acquistarli se non con fatica ; e perciò bisogna che vada vagando: e come
— 26 —
tu vai vago, perdi l'orazione, e subito sei spacciato. Però vi ho io detto che chi
si dà alla semplicità non va vagando, ma sta in sè, e non perde la orazione.
« Terzo ; per inspirazione divina io ti ho detto le cose future e le tri-
bulazioni che hanno a venire, e per questa cagione questa voce si è sparsa
non solo in Firenze, ma anche in tutta Italia. E non solamente vi ho mostrato
il flagello che viene, per inspirazione Divina, ma anche ve lo ho provato con
molte ragioni, e non solamente per lume sopranaturale ve 1' ho detto, ma col
lume naturale.
« Quarto ; io vi ho mostrato il governo nostro quale e come debbe essere, e
dettovi che Iddio lo vuole così. Perchè è la verità che Dio ve lo ha mandato
lui questo modo di governo: e vi ho detto che chi lo guasterà o cercherà di
guastarlo, guai a lui.
« Ultimo, siamo di poi venuti confortando ognuno al bene vivere, e sonsi
riformati li fanciulli, ed abbiamo predicato, che ognuno si riformi, e predi-
chiamo che si faccia penitenza in tutto il mondo.
« Queste sono state le nostre conclusioni, le quali tenete ben a mente, ed
ognuno se le metta nel cuore, e le osservi, perchè troverà in quelle molto
frutto.... Questa è stata in somma la nostra dottrina. » (*)
(') Raccomandiamo al lettore anche il seguito della Predica; dove il Frate parla a Dio,
alla ChifiSa cattolica, al Papa; parla ai prelati, ai sacerdoti non prelati, ai religiosi, alle mo-
nache; parla a tutta Italia, ai principi e capi d'Italia, ai cattivi, ai buoni; ai cittadini di
Firenze, a Firenze; parla alle donne, ai fanciulli, ai suoi avversarj, a tutto il mondo... In-
somma compendia, rispetto a tutti, quanto aveva predicato e detto da principio fino a quel
giorno.
IV.
La beneficenza Cristiana e Girolamo Savonarola.
Sommario.
Xostra pena che il Pastor scrivesse del Saronarola impreparato. — Il Pastor loda e biasima incoscia-
niente le cose del Savonarola. — 11 Pastor condannando il Savonarola nocqne al suo lavoro anche
dal lato dell' arte. — Fu importante argomento. — Tesi giusta e felicemente sostennta dal Pastor. —
Del buono in Italia all' età del risorgimento. — La cura do' poveri. — Il Savonarola reclamava
dal Pastor un cenno come benefattore de' poveri. — Il Savonarola e l' Enciclica di Leone XIII
Sulla questione operaia. — Lavoro e patimei t > condizione dell' umanità. — Dottrina che sarebbe
piaciuta al Pastor. — L' obbligo del lavoro. — Un' accusa insulsa contro Fra Girolamo, e auto-
difesa. — Girolamo Savonarola vuol che lavorino e i poveri e i ricchi. — Le parole di Amos con-
tro gli oppressori dei poverelli. — Le parole di Michea contro gli spogliatori dei poveri. — Date
il superfluo in elemosina. — Il quarto libro Della semplicità della vita cristiana. — I poveri in
Firenze nel 1495. — Lo zelo del Savonarola cresce, e trabocca dalla santa anima di lui. — La
semplicità cristiana e i poveri. — I tesori della chiesa e la legge di carità. — Conclusione contro
il Pastor.
A noi spiace immensamente che il Pastor si ponesse a scrivere del Sa-
vonarola senza averne prima studiato debitamente le opere, non solo perchè
così venne egli meno ad una giusta esigenza della buona critica e pronunciò
sentenze prive di fondamento e di autorità, e cadde in molte inesattezze e in
molti errori; ma ancora più perchè siamo certi che, s'egli avesse letto gli
scritti dell'insigne Riformatore Domenicano, sarebbe divenuto un ferventissimo
piagnone e avrebbe fatto progredire assai, e forse anche decidere, secondo
che giustizia vuole, la santa causa del Frate di San Marco. Diciamo questo
perchè il Pastor, quando la passione non Io move a dir male del nostro Mae-
stro, loda e condanna in altri, quanto da quello, senza ch'egli lo sappia, fu
lodato e condannato ; e a volte lo fa nella stessa forma e quasi cogli stessi
colori di Fra Girolamo. Sarebbe un lavoro che potrebbe dar frutti copiosi
quello di mostrare come nel Savonarola per un lato si trova tutto il bene che
— 28 —
il Pastor ammira nell' Italia all'epoca del rinascimento, e vi si trova come in
casa propria; e per l'altro lato nulla vi si legge e v'è del male che l'insigne
storico in tale epoca scorge e condanna. Da si fatto lavoro apparirebbe chiaro
che, oltreché alla verità storica, l'illustre prof. d'Innsbruk ha nociuto all'opera
sua anche dal rispetto dell'arte, scrivendo senza preparazione del nostro Frate
e biasimandolo dove aveva da lodarlo. Vi sarà alcuno che voglia intraprendere
questo studio? A noi quasi duole di non poterlo qui fare, come sarebbe no-
stro desiderio: e, sebbene non sia forse del tutto a proprio luogo, non sappiamo
però passarcene intieramente.
Ci fermeremo su questo, quando più innanzi piglieremo in esame spe-
ciale alcune affermazioni e alcuni giudizj del grande Storico tedesco contro il
Riformatore fiorentino; e ora chiediamo che ci sia consentito di dire qualche
cosa, quasi come un saggio, di questo importantissimo argomento, scegliendo
a preferenza quei punti, sopra i quali il lavoro successivo non ci offrirà più
l'occasione di tornare agevolmente e di soffermarci di proposito: per la parte
del bene, la beneficenza cristiana, il sacramento della confessione e quello della
comunione, la Vergine Maria; per la parte del male, l'astrologia, e la mancanza
di spirito ne' predicatori.
Incominciamo senz'altro a dire della beneficenza cristiana.
11 Pastor nell'introduzione del suo libro, dopo poche pagine, contro i
molti che nell'epoca del risorgimento non veggono altro che male, s'indugia,
con molto buon criterio, a mostrare il bene, che in quell'età pur regnava
presso gl'italiani; e par che non dubiti di sostenere, facendola sua, la tesi
dell'Amari, che « presso gl'italiani le cose a mezzo non attecchiscono, vuoi nel
bene, vuoi nel male, il bene tuttavia prepondera. » E a noi pare che sostenga
una proposizione buona e la sostenga egregiamente. Ma ci piace notare che
l'illustre uomo avrebbe potuto vedere, e forse anche dovuto, nel Savonarola
il personaggio, che accoglieva in sè in modo veramente maraviglioso, tutto il
bene dell'età che egli studia, senza che si possa attribuirgli male veruno.
Una delle cose belle e care e buone che il Pastor incontra nel medio evo
e nell' epoca del risorgimento, nella nostra Italia, si è la cura che s'aveva dei
bisognosi. Ammira il prof, tedesco la beneficienza cristiana nell'eterna città,
e soggiunge che non meno fiorente era quella nelle città minori. Quello che
in tale riguardo è venuto a sapersi, conclude, fa veramente stupore! (pag. 41
e seguenti).
Né certo s'inganna, nè dice troppo. Ma perchè non vide in Girolamo Sa-
vonarola uno dei più amorosi padri dei poveri? uno dei più zelanti provvedi-
tori degl'indigenti? Studiando nelle Opere del Savonarola, il Pastor si sarebbe
incontrato in pagine stupende davvero a questo riguardo, e son certo che ne
avrebbe trascritte non poche. I poveri e Girolamo Savonarola, sarebbe un tema
assai bello e assai edificante ed istruttivo. Esso svolto a dovere, mostrerebbe
ai socialisti moderni un lato dei più santi nel Frate di San Marco, e ai catto-
lici mostrerebbe un esempio di cristiano da citare per conferma della mira-
bile enciclica di Leone XIII Sulla questione operaia. Chi studiasse quest'argo-
mento troverebbe die Frate Girolamo, come il nostro Pontefice, ripone il vero
e radicale rimedio della questione sociale (forse allora tra noi non molto meno
grave che oggi) nella religione e nella vita cristiana; e conforta il governo a
provvedervi con buone leggi e savj provvedimenti; predica anche a questo ri-
guardo i loro doveri ai capitalisti e ai padroni: non si stanca mai d'inculcare a
tutte le classi della società le massime del Vangelo; si impiega tutto per la sal-
vezza del popolo, alimenta in sè e accresce negli altri, nei grandi e nei piccoli,
la carità, signora e regina di tutte le virtù; ben conoscendo che la desiderata
salvezza doveva essere principalmente frutto di una grande effusione di carità,
di quella carità cristiana che compendia in sè tutto il Vangelo e che è pronta
sempre a sacrificarsi per il popolo: la carità che è longanime, benigna, che non
cerca il fatto suo; tutto soffre, tutto sostiene {Enciclica, p. 54.) Tutte le verità,
tutti i principj, che Leone XIII bandisce e ripropone ai popoli ed agli stati
nella sua Enciclica Sulla questione operaia, avrebbe il Pastor potuto trovarli
predicati tutti, con molto zelo, dal Frate di San Marco. Teniamoci ad alcuni,
che meglio si legano all'argomento presente.
Il primo e più vero benefizio che si possa fare al povero e all'operaio si
è quello di persuaderlo a sopportare la condizione propria dell'umanità: e la
condizione dell'umanità si è di mangiare il pane col sudore della sua fronte,
lavorare e patire. « Patire, dice Leone XIII, e sopportare è 'il retaggio del-
l'uomo. » E Girolamo Savonarola aveva fatto suo e ripeteva continuamente
il molto, che proprio del cristiano si è il patire forti cose e operare rettamente:
fare il bene e sopportare il male, e così perseverare fino alla morte; e ripeteva
sovente che non solo dobbiamo accogliere di buon animo e sostenere volen-
tieri le pene mandateci da Dio, ma desiderare noi spontaneamente di patire
e studiarci perchè ci riesca di compiacerci e gloriarci nelle tabulazioni e nelle
avversità d'ogni maniera, tenendo per fermo che il vero cristiano è solo colui
che pone la sua gloria nella passione di Cristo, ed uniforma la sua vita alla
vita di Cristo, e si rende simile al Crocifisso, l'uomo dei dolori. Questa per il
Savonarola, è l'essenza della vita Cristiana, questo ci ha da condurre alla co-
rona della gloria, e al trionfo in Cielo. (Vedi le prediche IX e XVIII sopra il
Salmo Quam Bonus e più altre.)
Quanto non doveva piacere al Pastor incontrarsi in questa sublime dot-
trina allorché andava in cerca del bene, fra il guasto degli umanisti, nell'epoca
del rinascimento? e quanto non sarebbe essa profìcua predicata con l'ardore
del Savonarola, nelle classi sociali d'oggi, tormentate da sfrenata brama di
superbia e di piacere non meno forse più di quelle del secolo XV? Prestereb-
bero quando fossero resi persuasi di questa verità, presterebbero ancora i po-
veri operai facile l'orecchio a coloro che dicono di poter levar via affatto le
sofferenze dal mondo, e promettono alle misere plebi una vita scevra di dolori
e di pene e tutta pace e diletto? E costoro illuderebbero ancora il popolo e lo
trascinerebbero ancora per una via che riesce a dolori più grandi dei pre-
senti? Son molte e belle e care nel Savonarola le pagine nelle quali racco-
manda ai poveri di pregare e di fidare in Dio, che non verrà mai loro meno,
- 30 -
come appunto raccomanda Leone XIII: « 0 poveri, venite qua; io vi aiuto: Dio
fa il giusto e non altro. Io vi dico che facciate bene, e se farete bene, non ab-
biate paura di morire di fame, perchè Dio vi provvederà, se sarete buoni. »
(Sopra Ruth e Michea, pred. XXV.)
Quanto all'obbligo del lavoro, Fra Girolamo si potrebbe chiamare un vero
apostolo in questo campo. Lascio che per poter più liberamente predicare il
Verbo di Dio volle che nella sua Religione si facessero opere manuali, anche
per ricavarne il sostentamento necessario alla vita, e mi attengo strettamente
al popolo per non uscir di questione, o divenir troppo lungo.
Fra le innumerevoli accuse che furono mosse al Frate dai suoi avversari,
veramente vi fu anche quella, che egli col suo continuo predicare gli immi-
nenti pericoli e flagelli, distogliesse il popolo dal lavoro; ma essa tra le accuse
è una delle più ingiuste ed insulse, ed egli seppe ben purgarsene. Sentiamo lui
senz'altro: « Vien qua, tu che di' eh' io son quello che non voglio che si lavori,
e che io smarrisco il popolo: fatti innanzi, va, vedi un poco chi son quelli che la-
vorano, e vedrai che sono, la maggior parte di quelli che credono questa verità.
Tu se' andato a dirlo insino a' predicatori, ch'io sono quello, che smarrisco il
popolo, e che io non lascio lavorare. Tu non hai udito bene: io l'ho predicato
qua in pubblico, e anche in particolare, e in privato confortatone molti a la-
vorare: va, vedi pur, come l'ho detto, chi son quelli, che lavorano. Popolo po-
vero! tu se'ingannato da costoro; perchè io son quello che ho fatto lavorare ; e
se non fossi stato io, molti non avriano lavorato, che lavorano in questo tempo-
rale forte, perchè veggono che ogni cosa sta sospeso. » (Sopra Amos, XIX.) —
< 0 Frate, tu smarrisci troppo la brigata; tu se' quel che non lasci lavorare!
— Vien qua, dimmi un poco, lavori tu? — No, perchè tu mi hai smarrito. —
Fatti innanzi un poco: o tu mi credi, o no; se tu non mi credi, e di' che io non
dico il vero, adunque tu non credi, che queste tribulazioni abbiano a venire;
perchè adunque non lavori tu? Se tu mi credi, ed io dico che tu lavori, adunque
dovresti lavorare. — Ben, Frate, io ti credo; ma tu hai detto ancora quest'al-
tra parte, che egli ha da venire tanta tribulazione, ed baimi smarrito. — E se
ho detto cotesta parte, io ho detto anche quest'altra: che tu lavori. E se tu
credi cotesta, perchè non credi tu ancora quest'altra? Ed anche io t'ho detto,
che Firenze, se farà bene, sarà manco tributata; e quanto meglio farà, tanto
manco tribulazione avrà. Vien qua, se queste tribulazioni hanno ad essere; o
tu hai a morire, o no. Se tu hai a morire, che vuoi tu fare di tanta roba? tu
puoi adunque lavorare. Se tu non hai a morire, e' ti avanzerà roba, perchè
ne resterà tanta, che ne avrà ognuno; puoi adunque lavorare. Andate a ve-
dere, o poverelli, chi son quelli che lavorano: scriveteli tutti; non credete a
costoro; cercate bene, e vedrete, che quelli che lavorano sono quasi tutti quelli
che credono e che sono stati da me persuasi a lavorare. » (Sopra Amos,
XXI conf. la XXV sopra Ruth e Michea... ed altre molte prediche.)
Il grande economo del nostro Frate, così scioccamente accusato, era tanto
persuaso della necessità del lavoro, che raccomandava senza posa ai ricchi di
far lavorare i poveri, credendo questo il miglior modo di far elemosina. Nella
— 31 -
predica X sopra Amos, dopo di aver annunziato i flagelli, che mirava sopra-
stare all' Italia, soggiungeva : « Io non dico questo per farti smarrire, nè per-
chè tu non faccia lavorare e non faccia del bene ai poveri; anzi li dico che
faccia lavorare ognuno che può; date, dico, da lavorare ai poveri, e sperate in
Dio, che vi aiuterà; perchè questa cosa è buona a sostentare i poveri, e non è
la migliore elemosina, che questa, cioè far lavorare ai poveri, e pagarli della
fatica delle mani loro, perchè tu dai la elemosina e non lasci diventare pol-
troni quelli che andrebbero accattando. » E nella XVII ripeteva ancora : « Voi
cittadini, fate lavorare l'arti vostre, perchè questa è la migliore elemosina, che
possiate fare, e non abbiate paura, perchè Dio vi aprirà la via che non abbiate
a perdere. »
Nè Fra Girolamo voleva che lavorassero solo i poveri, ma tutti, di qualun-
que condizione fossero; e pronunciava parole terribili contro i ricchi che non
lavoravano : « Costoro non sono partecipi delle fatiche degli altri. A' poveri
tocca solamente la fatica; imperocché i principi e signori di questo mondo
hanno il salario dal popolo, hanno l'entrate e le gabelle, e poi non fanno l'uf-
ficio loro; non si affaticano per i loro sudditi, non li difendono come son te-
nuti; ma se fatica alcuna durano, lo fanno per loro utilità, e non per far bene
a' loro sudditi. Loro attendono continuamente a' piaceri sensuali, a giostrare e
far feste. Similmente i vescovi e prelati e gli altri chierici beneficiati. Costoro
non sono partecipi delle fatiche degli altri; non si affaticano niente....; e sono
ricchi in fondi, e godono; e i sudditi loro si muoiono di fame, e tuttodì durano
fatica per sostentarsi. » (Sopra il Salmo Quam Bonus, pred. II.)
E con il lavoro, va da sè, il nostro Frate imponeva che si desse ai lavo-
ranti la giusta mercede. Leone XIII grida ai capitalisti e ai padroni, che nè le
divine, nè le umane leggi permettono opprimere per utile proprio i bisognosi e
gl'infelici, e trafficare sulla miseria del prossimo; e soggiunge che defraudare
poi la dovuta mercede è colpa enorme che grida vendetta al cospetto di Dio ;
e conchiude che si dia all'operaio quanto gli spetta, e vuole, con giustizia san-
tissima, che il salario sia sufficiente al sostentamento della vita dell' operaio
onesto e frugale. (Encicl. pag. 21, 40.) Ora lo stesso faceva il nostro santo
Riformatore: < Dite voi, poveri, a questi tali ricchi che vi danno ad intendere,
che il Frate spaventa la brigata, e che però non si lavora, che comincino a
dare ai poveri il mal tolto incerto che hanno. » (Sopra Ruth e Michea.) « Po-
veri, non vi lasciate levare a cavallo da costoro: se non fosse la predica e le
esortazioni eh' io ho fatte, e fatte fare ai privati, tu saresti morto di fame.
Quando e' ti dicono costoro che non vogliono lavorare, che non si può lavorare,
di' loro : — Dateci almanco della roba vostra, da poi che non si lavora. — Diman-
dane i cittadini che lavorano, se io ho detto loro che liberamente vadano a la-
vorare, e sustentino i poveri; e se bene perdessero qualche cosa in questo
tempo, che lo facciano per amor di Dio: perchè riceveranno poi il centuplo.
Udite adunque quello che dice Amos (cap. VIII) contro quelli che opprimono
i poverelli : Udite voi, o potenti, che oppressate i poveri, e togliete loro le pos-
sessioni e le case e le vesti, e rubate le vedove e bevete il sangue de' pupilli.
— 32 —
« Udite voi, che oppressate i poveri; tu lasci marcire il grano, e di': 0
quando verrà il tempo ch'io lo possa vendere assai? Costoro non vogliono
vendere del grano, e dicono a' poveri: — Se noi governassimo noi, noi prove-
deremmo a ogni cosa. — Io ti dico che ti terrebbero per schiavo, e farebbero
peggio che prima; credilo a me. Dicono ancora: Quando verrà quel tempo che
vendiamo a nostro modo, e che guastiamo le misure, e cresciamo i denari?
Vorrebbero le misure piccole, e danari assai, e dicono: Quando passerà il sab-
bato? cioè la festa, che s' intende per il sabbato. Non vorrebbero mai che fosse
festa, per poter guadagnare. Fanno ancora le stadere false, come fanno qual-
che volta i beccai, e gli speziali, che hanno le bilance false. Parimente, dicono
costoro: E ci farem padroni dei miserabili col denaro dei poveri, e con un paio
di scarpe; cioè e' bisognerà, che i poveri vengano dietro a noi, e ch'egli ci
sieno sottoposti. Costoro, quando hanno un povero che gli lavora in casa, e'gli
tengono i denari, e dicono: dagli un paio di scarpette. E se dice: io vorrei
danari, e'gli rispondono: tu se' di casa, ti farò del bene, non aver paura. Ven-
dono ancora certo frumento guasto, forato, pieno di ogni miscuglio, di paglia e
di polvere. Udite adunque voi, che oppressate i poverelli, quello che Dio ha
giurato contro di voi: Ha giurato Dio per il sacramento delia sua divinità, e
detto: Io giuro, se io me le dimentico mai sino alla fine queste opere di questi
cattivi; cioè insino che io li avrò cacciati nello inferno.» (Sopra Amos, Fred.
XXVI. conf. Pastor, pag. 73 e seg.)
E nella XII sopra Piuth e Michea, esponendo il capo III di quest' ultimo
profeta, ribatte ancora il medesimo chiodo e lo ribatte assai fortemente: «Fot
togliete la pelle, cioè le vesti, violentemente da dosso i poteri. Di questo voi ve
ne dilettate, ma di fare qualche bene no. Voi vi dilettate di fare qualche cosa
che il povero sia pignorato, e di tórli le veste, e bisogna che il povero uomo
sia quello che paghi. Lascio qui molle cose che si potrebbono dire della Italia,
la quale è piena di questo vizio, e i tuoi ufficiali ne sono ancora pieni. E le-
vate la carne loro d' in sù le ossa de' poveri. Sai tu che vuol dire levare la
carne? Vuol dire il grano, che tu tieni nascoso, e che i poveri uomini ne man-
gino, e metti la carestia: e questo è tórli la carne d' insù l' ossa. Tu di' loro:
Facciamo parlamento e siate con esso noi, e avrete del grano. Or pensa, po-
polo mio, quello che costoro farebbono se ti potessero tiranneggiare, quando
adesso, stando così eglino, hanno tanta superbia; e' ti farebbero peggio assai
che non facevano quelli primi. Dice il Signore: Costoro mangiano la carne del
popolo mio. Questo vuol dire che costoro fanno fare a' poveri uomini le vesti
e V altre cose, e poi non gli pagano, ma dicono: Tu se' amico mio, io ti risto-
rerò. E a questo modo i poveri uomini non possono sostentare i loro figliuoli
e la loro famiglia, e però costoro per questa via si mangiano la carne del po-
polo. E gli scorticano la pelle, cioè: Non gli è bastato a costoro mangiare della
carne de' poveri, che ancora hanno scorticatagli la pelle, cioè non solamente che
non gli abbiano pagati della fatica loro, ma gli hanno tolto l'avviamento ed hanno
serrato, che i poveri non possono sustentarsi, e vanno scorticando a questo modo
al povero la pelle, e lui bisogna che dica : Io non voglio perdere questo amico,
— 33 —
che mi dà pur qualche guadagno. E bisogna che gli dia la roba e la fatica sua
per quello che gli piace, e così hanno scorticato la pelle dei poveri uomini. E
gli trebbiano le ossa, e io fanno in pezzi come le carni da mettersi nella caldaia.
Hanno costoro, dice il Signore, spezzate e concise le ossa de' poveri uo-
mini. L'ossa significano un poco di sustentamento di vita che si guadagnavano,
è costoro per fas o per nefas glielo hanno tolto. Alla vedova le cavano le ossa,
che le tolgono una povera casa o un campo che ella aveva, donde cavava il
sustentamento della sua vita. Se il ricco falla, e' non è punito: ma se il pove-
rello fa un minimo fallo, egli è spacciato. Dice il savio nello Ecclesiastico: Il
ricco parla, e tutti stati cheti, e innalzano fino alle nuvole le sue parole. Parla il
povero, e quelli dicono: chi è costui? e se inciampa lo getteranno per terra. I po-
veri sono quelli che sono castigati, e portano la pena per gli altri, ma a' ricchi
non è dato nulla. Io mi voglio ridere, come faceva Socrate quando vedeva an-
dare alla giustizia un povero e diceva: I ladri grandi appiccano i piccoli. Così dico io
di costoro, che rubano i poverelli, e fannosi grandi tesori, e poi puniscono chi
ha spulato in chiesa, e mandano alla giustizia colui che ha fatto un minimo
peccato, e mettono i poveri uomini come carne in mezzo la pentola. Questo vuol
dire che gli mettono nel mezzo delle tribulazioni, ed ogni affanno che possono
darli, o di roba, o di figliuoli, o d'altro, tutti glie li danno.»
Ma pur troppo non sempre basta al povero che i ricchi siano pronti a dar
loro lavoro e pagare la giusta mercede; il ricco ha da donar liberalmente al
povero, e liberalmente soccorrerlo in tutte le necessità della vita. Soddisfatto
alla necessità e alla convenienza, soccorrere col superfluo i bisognosi è dovere.
« Chiunque ha ricevuto dalla munificenza di Dio copia maggiore di beni sia
esteriori e corporali, sia spirituali, a questo fine li ha ricevuti di servirsene al
perfezionamento proprio e nel medesimo tempo, come ministro della divina
provvidenza, a vantaggio altrui. » (Leone XIII, Enciclica sulla questione operaia,
pag. 24, 25.) — Quello che sopravanza date ai poveri. — Questo vero, tanto
inculcato da Cristo, è ripetuto ogni piè sospinto dal Savonarola, come sono
da lui, nel modo stesso che fa il nostro Pontefice, ricordati a' ricchi i pericoli
che corrono per le richezze che hanno ricevute e posseggono. Bisognerebbe
formare un volume, se si volesse raccogliere anche i soli principali luoghi
ne' quali il Frale espone questo vero a' Fiorentini. Basti il notare che nell'aurea
sua opera della Semplicità della vita cristiana dedica tutto il libro IV a trattare:
« Del rimovere da se il superfluo e darlo a' poveri. » Legga il Pastor le otto con-
clusioni di questo libro e vedrà eh' era semplicemente giustizia e buona arte,
parlando della beneficenza cristiana e della cura de' poveri, dedicare un pagina
0 almeno un periodo a Fra Girolamo Savonarola.
Noi, lasciando qui da parte quest'aureo libro, e le molte prediche analo-
ghe del Savonarola, staremo contenti a poche cose, ma sufficienti all' uopo. E
prima trascrivendo dall' Aquarone ciò che egli raccoglie dal Nardi, daremo
un cenno delle condizioni, a questo riguardo, di Firenze nel 1495-96. « Per
1 tanti e diversi casi avvenuti nel 1491-95, sebbene il Frate insistesse
continuamente che si lavorasse, tuttavia nelle campagne era stata negletta
3
— 34 —
la coltivazione, e mancava il lavoro, nè solo in Firenze era grande miseria,
ma anche, e maggiormente, nelle terre circostanti. Erano quelle tristissime
condizioni. E allora usandosi, in tempo di carestia, cacciare i poveri dal
paese in cui si trovassero, e dove non fosser nati, molti braccianti, sta-
bilitisi per lavorare fuori della parrocchia, si vedevano a un tratto messi
fuori, e trovavansi in mezzo a una strada; e poveri, derelitti, raminghi
andavano cercando un luogo dove ricoverarsi. In tali distrette, essi di pre-
ferenza traevano a Firenze fiduciosi nel nuovo reggimento popolare, e anche
nella protezione della pietosa parola del Frate. La città quindi ne era quasi
ingombra. E davanti a tanto sterminato numero di mendicanti (chè per il
momento eran tali), alcuni de' Signori li volevano alla loro volta ricac-
ciati; altri invece rincuorati dal Frate, avversavano quel provvedimento tanto
disumano. Fattesene, come sempre e di tutto, in Firenze di grandi dispute, la
carità finalmente la vinse; e venne risoluto di ricevere e trattare i poveri fo-
restieri come i terrazzani. E così fu. Ma molti di essi, per gli stenti sofferti,
essendo rifiniti in modo da non potersi riavere, rimanendo in piedi, questi molti
addirittura, giungendo in città venivano condotti agli ospedali e ad altri luoghi
ordinati a ciò. Nè que' luoghi presto più bastando al gran numero di quelli in-
felici, rimanevano pur molti per le vie, e ivi cadevano; e ne morirono di fame
molte migliaia. » (Aquarone, lib. II, cap. Vili; Nardi, St. Fior. lib. II pag. 104.)
Il Savonarola a tale spettacolo raddoppiò il suo zelo a favore de' poveri;
sovente si rivolgeva a' ricchi con più calore ricordando loro gli obblighi che
avevano di sovvenire i fratelli bisognosi; e poiché alcuni tenevano, come già si
può argomentare dal detto, ascoso il grano, in vista di un prossimo rincaro di
esso, e non volevano persuadersi a trarlo fuori e metterlo in commercio, il
Frate gridava contro di questa ingordigia crudele assai forti minaccie, e procu-
rava che si ponesse riparo a tanto male, insistendo presso gli officiali dell'Ab-
bondanza perchè introducessero in Firenze grano di fuori, mostrando così, non
pur compassione de' poveri, ma che egli era persuaso, come ripete anche
Leone XIII, che agi' indigenti deve venire in soccorso anche lo Stato. (Gonf. la
Preci. X sopra Ezechiele; la XXV, sopra Ruth e Michea e più altri luoghi.)
Nè con tutto ciò riuscendo ad alleviare, come il suo cuore voleva, la mise-
ria di que' poveri, veniva fuori nelle sue prediche in parole così generose, così
sante, che non sapreste dove trovarne di migliori nella storia ecclesiastica, pur
tanto ricca qui di grandissimi esempj: diceva che quello era il tempo in cui
le parole dovevano ceder luogo a' fatti, che si doveva rinnovare ogni cosa colla
carità! Gridava ad ognuno di qualunque stato o condizione si fossero, che in
quello si conosce la bontà dell' uomo, se lui è pietoso, e se diffonde quel che
è suo in altri, predicava che si abbandonasse ogni pompa, si vendessero le
cose superflue, e venissero date a' poveri; insisteva che si raccogliessero ele-
mosine in tutte le chiese pei poveri non pur della città, ma anche per quei del
contado. (Sopra Giob. XVI, sopra Aggeo VII, Vili.) E limosine ne faceva racco-
gliere del pari nelle devote processioni e nelle altre feste che egli faceva fare o
lasciare fare (feste e processioni tanto male intese, come vedremo, dal Pastor);
— 35 —
riusciva a far dare ai Buonomini di San Martino (pietosa istituzione del suo
santo confratello, Antonino Arcivescovo, per soccorrere i poveri vergognosi)
quanto si sarebbe dovuto spendere nei due palj prima e dopo San Giovanni,
per le istanze di lui non più corsi.
E tutto questo ancora non bastava al suo cuor generoso, alla sua carità
viva e operosa, perchè non bastava a' poveri. Egli perciò andava ancor oltre:
« Chi è mosso dall' impelo della carità è duopo che si spogli non solo del su-
perfluo, ma molte volte di quello che lui per sè avrebbe di bisogno; e questo
è quello che guarda il Signore.... Molto più lodato è il dare che il ricevere;
perchè il dare è operare, e il ricevere nelle cose naturali si chiama patire,
e la potenza attiva è più degna assai della passiva. » (Sopra i Salmi XI.) E
ripeteva forte con Sant'Ambrogio: «Il superfluo che tu ti tieni, tu lo rubi;»
e con San Girolamo: « Ruba l'altrui, chi si tiene il superfluo ; » e con Sant'Agosti-
no: « Chi possiede il superfluo possiede l'altrui.... Il superfluo non si può tenere,
chè non è tuo, ma è de' poveri; e se tu lo ritieni, tu sei ladro che lo rubi
a' poverelli. Non è cosa nessuna di consiglio che qualche volta non possa essere
di precetto; e sebbene il sovvenire al povero sia di consiglio, pur qualche volta
è di precetto: perchè se tu vedi uno che muor di fame, e tu puoi aiutarlo, e
non lo aiuti, e lui si muore, tu lo hai morto tu.» (Sopra Aggeo IX; sopra Giob-
be XX; sopra Amos XXVI....) Il quale insegnamento è appunto di San Tom-
maso nello 2a parte della sua Somma Teologica, questione 32a, art. 5°, ove do-
manda, se il dare elemosina sia di precetto. E nella V sopra i Salmi, lo zelo del
Frate trabocca: Ivi., discorso a lungo della semplicità della vita cristiana, e dopo
averne detto cose eccellentissime, il pensiero suo tornava a' suoi poveri, ai fedeli
del Signore, agli amici di Cristo, che vedeva pur sempre nella miseria e perir
di stenti: « Noi in questo mondo non abbiamo portato cosa alcuna, nè cosa
alcuna dovremo portar con noi dopo morti. Ci basta adunque tanto da an-
dar coperti e campare; e cercando ciò che ne è superfluo andiamo incontro
alla nostra dannazione: imperocché la radice di ogni maniera di mali è l'ava-
rizia. 0 cristiano, tu hai confessato una buona confessione d' innanzi a molti
cristiani; e questo fu nel battesimo, quando dicesti: — Credo e rinuncio a sa-
tana, e a tutte le sue pompe, perchè le sono del diavolo; — ma vivi alla sem-
plice, che al dì del giudizio ti sarà detto dai testimoni del tuo battesimo quello
che tu rinunciasti. Parimenti dice San Paolo alle donne: — Non portate oro, nè
margherite, nè vesti preziose, nè capegli arricciati. — Questo è il vivere da
donna cristiana. E non disse questo San Paolo alle monache, perchè sapeva
che loro non portavano gemme, nè oro; e nè anche disse alle contadine, che
non hanno il modo di portarli: dice adunque alle donne grandi, e a te cit-
tadina: non portare oro, nè pietre preziose, nè vesti, nè capelli arricciati; ma
andate alla semplice. E se questo non è lecito alle donne, manco è lecito
agli uomini portare ornamenti femminili; manco ancora a' religiosi, manco
a' prelati della Chiesa, manco a' monaci, manco a' mendicanti Frati ; altri-
menti non vivono da cristiani, e avranno da rendere ragione a Dio d' ogni
cosa. » Posti questi fondamenti, sentite come ragiona il Frate che ha pieno
— 36 —
il cuore di compassione per il misero stato di molti famelici che s' aggirano
per Firenze e pei dintorni in cerca di pane e non ne trovano: « Non saria
ancora se non bene, che le cose preziose superflue delle religioni si vendes-
sero e dessero a' poveri. Tu dirai: Oh! le son poste in onore di Dio! Io ti
dico che non ho mai trovato evangelio che ci comandasse che noi tenessimo
alle chiese croci d'oro o d'argento, o altre cose preziose; ma sì bene dice
10 Evangelio: Io ebbi sete, e voi non mi deste a bere; io aveva fame e voi
non mi deste a mangiare. E questo ci comanda l'Evangelio del giudizio. Cit-
tadino, fa una cosa: cava una bolla, che queste cose preziose della religione
si possano vendere e dare ai poveri. San Gregorio dette il Tabernacolo
d'argento, dove era il Corpus Domini, ai poveri per l'amore di Dio, e mise
11 Corpus Domini in una cestella di vinchi. Se tu fai che questa semplicità
s'introduca nella tua vita, tu leverai via l'ambizione che t'impedisce l'onore
forse, e la grazia di Dio; e avendo la semplicità, avrai la grazia. E questa
è conclusione ferma di tutti i dottori che il superfluo non possiamo tenere
con coscienza, ma siamo tenuti darlo per Dio, e dicoti per questa ragione,
se tu non credi a me, credilo per l* Evangelio, che pochi saranno gli eletti,
e l'avarizia sarà gran parte della dannazione. Vivi adunque alla semplice
e in fede non finta della quale nasce la carità.... » E nella Predica VII so-
pra Aggeo profeta; già aveva detto: « Io desidero assai che provvisione si
faccia per questi poveri; cosi mi inspira Dio, e così vi esorto.... E per questa
carità de' poveri si converta quella pecunia che spendete per lo studio, in sov-
venzione de' poverelli, perchè questa per ora è più necessaria e più carità di
quella. E se ancora questa non bastasse, si metta a mano a' vasi delle chiese
per sovvenzione de' poveri di Christo. Nè osta a questo caso la Paolina, per-
chè la carità rompe ogni legge. »
Ma io non so quando finirei, se volessi trascrivere tutti gli aurei passi,
ne' quali Fra Girolamo perora la causa dei poveri e la beneficenza cristiana.
Piuttosto dirò che provo un profondo senso di tristezza quando veggo che il
Pastor non solo tace di tanto bene operato da quest" uomo insigne in questo
campo; ma non riesce tampoco a capire le industrie sante che il Frate usava
per raccogliere elemosine, e condanna come barbare e ridicole le industrie
medesime sacre e sante per ogni lato ; e taccia di eccessivo, intemperante, passio-
nato e ridicolo il Frate che ne era l'autore. Ma di ciò più innanzi. Del resto, dopo
tante prove, chi potrà negare che già nel Pastor appaia qui una lacuna ch'egli
avrebbe potuto facilmente compiere con vantaggio della verità e dell' arte, se
avesse letto le opere del nostro Frate?! Perchè non doveva egli far un cenno a
questo riguardo della carità dell'Oratore Fiorentino, un cenno almeno simile
a quello che fa a pag. 76 e 1-9 parlando de' Monti di pietà; ove deve rico-
noscere (e lo riconosce con parole in vero troppo brevi) che al Savonarola
solo venne fatto di riuscire nell'impresa, da molli tentata in vano, di fon-
dare de' Monti di Pietà in Firenze, per sopprimere l' usura che allagava ogni
dove, e menava mine immense?!
V.
Girolamo Savonarola
e i Sacramenti della Confessione e della Comunione.
Sommario.
Una bella verità nel Pa9tor, 09sia: la confessione ottimo mezzo per istruire il popolo cristiano. —
Zelo di Girolamo Savonarola per la Confessione. — Alcune testimonianze. — La confessione de-
gl' infermi. — Il carnevale, i fanciulli del Savonarola, e i tiepidi. — Frequenza della confessione.
— Chi vuole il lume del ben vivere si confessi spesso. — Eco trovata dalle parole del Frate. —
Condizioni per una buoua Confessione. — I manuali del confessore e il Pastor. — Invito alPastor
a leggere il Confessionale del Savonarola. — Il culto crescente del Sacramento dell' altare. — Giu-
sta letizia del Pastor. — Una domanda e una sfida al Pastor. — Due prediche di Fra Girolamo. —
Un articolo di San Tommaso. — Natura del Sacramento dell' altare. — Il Pastor copiatore infe-
lice. — JTell' Ostia consacrata è realmente Cristo. — Un fatto avvenuto a San Gregorio. — Do-
mande e risposte. — Cristo è tutto in tutta 1' ostia e tutto in tutte le parti dell' ostia. — Disposi-
zioni di chi vuol pigliare il Sacramento. — Un aneddoto. — Si viene al particolare per i piccolini.
— T ricchi e i poveri al Convito di Dio. — La Pasqua in Firenze 1' anno 1496. — Dopo la comu-
nione. — Mirabili effetti del sacramento dell' altare. — Felicità de' sacerdoti. — La comunione
frequente. — Il santo Viatico. — Una nuova domanda al Pastor.
A pagina 24 e 25 il Pastor si compiace di notare come « un mezzo impor-
tante onde coltivare 1' educazione religiosa dei singoli coni' anche la vita cri-
stiana della famiglia e metterle al riparo dei pericoli del tempo nell' epoca
del risorgimento, risiedeva nel sacramento della penitenza. » E certo non ha
torto. Anche lasciando a parte, e non si può lasciare, l'efficacia divina del sa-
cramento, la confessione fu e sarà sempre nella chiesa uno de' mezzi migliori,
una delle migliori occasioni per istruire il popolo cristiano. Questo è vero senza
dubbio ; ma non è raen vero che per questo sacramento era pieno di zelo Gi-
rolamo Savonarola il quale ne raccomandava la frequenza incessantemente.
A persuaderci che noi diciamo il vero, basta aprire le opere del Frate : il
Trionfo della croce, Della semplicità della vita cristiana, ed altri scritti spirituali
dove egli parla di proposito de' sacramenti. Ma anche nelle prediche troviamo
— 38 —
'al riguardo delle pagine veramente auree, nelle quali se si fosse imbattuto il
Pastor, certo, nel luogo ora citato avrebbe almeno almeno fatto menzione del
grande Asceta Domenicano; o alla più triste non avrebbe più gettato il ridicolo
su di esso nelle pagine seguenti.
Ci sia consentito di trascrivere qui alcune citazioni brevissime con riguardo
speciale a' fanciulli, massima cura del Frate. « Orsù: a voi dico, figliuolini miei,
non vi indugiate più a confessarvi solo una volta l'anno; ma voglio che vi
confessiate più spesso, almeno cinque volte 1' anno, la prima a Pasqua della
Resurrezione, la seconda a Pasqua dello Spirilo Santo, la terza all'Assunzione
della Madonna, la quarta al dì di tutti i Santi, la quinta a Pasqua della nati-
vità, a riverenza delle cinque piaghe del vostro Re. Non fate come fanno i
cattivi cristiani che peccano tutto l' anno, e poi si confessano la Pasqua, e
incontanente di poi ritornano a' medesimi peccati, ed anche a peggiori. »
(Quaresimale sopra Amos, VI.)
E nella predica X dello stesso quaresimale, leggiamo alcune parole che ci
richiamano alla mente quello che narrano i biografi del Frate; le vive racco-
mandazioni che egli faceva particolarmente nel carnevale. « Li miei fanciulli
quando volevano per carnevale far benedicevano questi tiepidi: E' non è lecito
confessarsi per carnevale: eli' è un'ipocrisia. Rispondi loro, figliuolo mio, come
fece il sanato dell'Evangelo; e dì: Colui che m'ha fatto sano, dice ch'io
debbo fare sempre bene in ogni tempo. E Cristo ti dice: ecco che tu se' fatto
sano, e non voler più peccare, chè non ti accadesse qualche cosa peggio. »
Nella predica XXV sopra Ruth e Michea ha alcune parole che valgono
per moltissime. Ivi parla del lume spirituale del ben vivere, e dice : « Bisogna,
se tu vuoi questo lume, confessarti spesso. Confessati ogni di spiritualmente:
confessati a Dio ogni mattina ed ogni sera; e sacramentalmente confessati
ogni mese almanco una volta, o ogni quindici di, e raccogli i peccati tuoi, e
va là al tuo confessore, e dì: Io ho fatto così e così; e proponti di emendarti
sempre e non cascare mai più. E se pure per fragilità caschi, ritorna e con-
fessati e purgati. »
E nella XXI su Amos : « Che s' ha da fare per viver bene? Star confessato,
apparecchiarsi ogni volta che il Signore ci vuole. »
Ma è inutile che noi c'indugiamo a raccogliere passi che mostrano come
Girolamo Savonarola si valeva per [' educazione cristiana di questa medicina
dell' anima che è la confessione. Osserveremo solo che la sua parola trovava
negli uditori un'eco così bella, che neh' Ottava di Pasqua del 14'JG (Quaresimale
sopra Amos e Zaccaria, predica XLVIII), dovette chiedere un poco di riposo
pe' suoi frati: « Vi prego ancora che lasciate posare un poco i confessori, al-
manco quindici dì, perchè e' sono marciti già in su quelle sedie; bisogna pur
dargli qualche poco di requie. »
E poi mirabile la cura colla quale il Frale insegnava ripetutamente al po-
polo e ai fanciulli le condizioni per una buona confessione. A ciò, oltre al rac-
cogliere i suoi peccati, il che vale fare un buon esame di coscienza, voleva
che si avesse un grande dispiacere de' peccali medesimi, e che si volesse
— 39 —
prima aver fatto ogni altra cosa che aver offeso Dio, poi die si dicesse al con-
fessore: « Padre: io lio fatto un saldo proposito di far bene, e non voglio più
offendere il mio Creatore, egli è vero die io son fragile; ma io spero in Dio,
che m'aiuterà. » « Sono molti che dicono: Io mi confesserò stasera, e domat-
tina mi comunicherò e sarò più purificato ; perchè non mi dà il cuore di reg-
ger molto senza peccato. Pover uomo ! tu non t' avvedi quello tu fai ! Tu non
hai fermo il proposito di non voler più offendere Dio: e come puoi tu andare
a comunicarti ? » Insomma voleva che si avesse un proposito fermo di non più
peccare. Quindi (insegnava) è uopo disporsi al tutto ad avere pazienza e dire:
« Venga che vuole, che se mi fosse tolta la roba e ogni cosa, son contento per
amore di Dio avere pazienza.» Questo nella XLII sopra Amos e Zaccaria;
e altrove è non meno, anzi più preciso. Udite che cosa diceva a proposito degli
infermi: « Qualche volta il male viene per i peccati, e però ognuno quando
comincia avere qualche male, si debbe confessare prima che medicarsi corpo-
ralmente; ed è comandato ai medici che debbano prima far confessare l'am-
malato che medicarlo. Se gli uomini avessero fede e vivessero con timore di
Dio, quando fossero ammalati, direbbero la prima cosa: Forse che questa in-
fermità viene dai miei peccati e si confesserebbero e si comunicherebbero. »
E per meglio indurre gli uditori a non tardare all'ultimo la loro conver-
sione nè presumere troppo nella bontà di Dio senza temerne la giustizia, rac-
contava nella predica V sopra Amos il fatto di due giovani, 1' uno buono e l'al-
tro cattivo. Infermatosi gravemente il secondo, il primo gli disse: Confessali
chè sei vissuto in tanti peccati, ormai è tempo di lasciarli.... E il cattivo ri-
spose: Io ho poco male, guarirò presto, io non voglio confessarmi adesso; e
così il buono si parti. E il demonio che aveva insegnato a quel misero il pec-
cato di presunzione gì' insegnò poi quello di disperazione. Aggravatosi poi il
male e consigliato di nuovo dal buon compagno non volle dargli ascolto e morì
senza riconciliarsi con Dio. « Credimi una cosa, esclamava il Savonarola rife-
rendo questo esempio; credimi una cosa la quale tu vedrai certa quando
sarai di là, cioè che di quelli che s'indugiano a confessarsi all' ultimo ne sono
dannati di cento i novantanove. »
Ma non voglio recare altri passi, potendo ognuno argomentare dal trascritto
il cuore e la mente del Savonarola al riguardo. Chi volesse in ristretto tutta
la dottrina del Frate intorno ai Sacramenti e particolarmente intorno alla Con-
fessione e Comunione vada al Libro III del Trionfo della Croce, capitoli XIV,
XV e XVI e al libro IV della Semplicità della vita Cristiana, conclus. XI, e tro-
verà che la dottrina, che il Savonarola espose in splendido modo, non è altro
che la pura dottrina del suo confratello San Tommaso.
Una cosa però non posso, nè devo tacere ; cioè che il Pastor non solo po-
teva annoverare il Savonarola tra coloro che si valevano della confessione a col-
tivare l'educazione religiosa dei singoli, come anche la vita cristiana della fa-
miglia e metterla al riparo dal pericolo de' tempi, ma doveva ricordarlo in
modo speciale dove scrive de' Confessionali, o manuali della confessione,
imperocché Fra Girolamo, tra le molte opere che scrisse, ha appunto anche
— 40 -
un Confessionale, che fu in uso per moltissimo tempo e di cui si annoverano
almeno 44 edizioni. Ivi si legge tutto ciò che di buono e di bello il Pastor
vede e trova negli altri. Legga questa operetta l'illustre storico d' Innsbruck,
e resterà certo edificato e della dottrina e della salda pietà del Savonarola
e cesserà d'irriderlo, ma lo stimerà e amerà ardentemente. Legga almeno,
se non vuole tutto il libretto, 1' aureo prologo; o senta almeno queste brevi
parole che il Frate indirizza ai confessori : « Istruite i vostri figliuoli, i quali
contriti corrono a voi, come a padri spirituali; istruiteli sì, che meditino le
cose che si riferiscono alla confessione giorno e notte, e perseverino nel
metterle in pratica....
« Per procedere con acconcio ordine, divideremo il libretto in tre parti : la
prima dichiarerà che cosa sia da fare innanzi che il penitente sveli i suoi
peccati; la seconda con quale ordine e di quali cose sia da interrogare, la
terza che penitenza. gli si debba imporre a soddisfazione e rimedio. »
Nel suo viaggio, in cerca del bene nell' Italia all'epoca del risorgimento, si
rallegra ancora il Pastor (pag. 65) nel vedere, in quell'età, il culto crescente verso
il Santissimo Sacramento dell' altare, e tutto si commuove alle testimonianze
della venerazione di esso che possono trarsi dalle preghiere di quel tempo. E certo
questa è cosa per un credente assai edificante; e tali preghiere generano
nell'anima pia una dolcezza inesprimibile! Il leggere le feste che i nostri an-
tichi facevano a Cristo in Sacramento, e il fervore col quale lo ricevevano
nell'anima, pare che ci unisca con loro in modo strettissimo, e ci dia forza
nelle lotte per il bene. Un'età che veneri l'Augustissimo Sacramento, e che
si cibi sovente delle carni dell'Agnello immacolato, non può certo essere del
tutto pagana e guasta, ma deve avere in sè molto spirito di Cristo. Noi diamo
qui adunque piena ragione al Pastor del suo allietarsi. Ma non possiamo te-
nerci dal domandare a noi stessi: Che cosa avrebbe mai provalo l'anima sua,
se avesse letto le opere del Savonarola? Io vorrei dire (e il Pastor si provi a
mostrarmi die ho torto) che in tutta l'epoca del risorgimento non v' è cosa
più bella che riguardi la comunione, delle pagine del Savonarola ; come non
v' è forse anima che più del Savonarola fosse ripiena d' amore e di fede per
Gesù Sacramentato. Qui mi sarebbe agevole trascrivere dalle opere del no-
stro Frate un libro assai pio intorno l'Augustissimo Sacramento!... Ma il tenersi
breve a chi entrasse in materia non sarebbe facile. Farò adunque ad ogni
modo sacrifizio, pensando all' indole del lavoro presente, e mi contenterò di
trarre poche cose dalle prediche XLII e XLIII sopra Amos e Zaccaria, e con-
frontarle, per quanto mi sarà possibile, colle parole del gran Dottore dell'Euca-
restia, San Tommaso. Avviso però che chi vuol formarsi un' idea del fervore
Savonaroliano ha da leggere intiere queste prediche, e eh' io neh' estratto,
pur conservando le parole del Frate, non posso fare a meno di guastarle, di-
videndole da tutto il contesto. La predica XLIII comincia così:
« Nel Santo Sacramento dell'altare si possono considerar tre cose, la prima
quel che è sacramento, la seconda quello che è sacramento e cosa del sacra-
mento; la terza quello che è solamente cosa del sacramento. Circa la prima
— 41 —
dico che sacramento è un segno della cosa sacra: adunque il Sacramento della
Comunione si chiama ed è il pane e il vino, perchè è segno della cosa sacra;
cioè della presenza di Cristo, e della grazia sua. Circa la seconda, che è sa-
cramento e cosa del sacramento, diciamo che è il corpo e il sangue di Cristo,
il quale è sacramento in quanto è segno della grazia che vuol dare, ed è cosa del
sacramento, perchè è realmente sotto quelle spezie del pane e del vino, le
quali sono, come abbiamo detto, il sacramento. Circa la terza, che è quello
che è solo cosa del sacramento, diciamo che è la grazia, che non è sacramento
ma è 1' effetto per che è fatto questo sacramento, il quale è fatto per indur
grazia... » Figura di queste tre cose tutte insieme è, secondo il Savonarola,
l'Agnello Pasquale, « la più degna e la più bella che sia nella scrittura » ;
figura poi in particolare della 1" è Melchisedec, della 2a è il sacrifizio d'espia-
zione, della 3a la manna che piovve nel deserto.
Di chi è questa dottrina? Non sia discaro ai miei lettori udire un articolo
di San Tommaso. Forse alcuni di loro è la prima volta che di San Tom-
maso leggono un articolo intiero, e godo di dar loro occasione di farlo, e sono
altresì lieto di poter mostrare a ciascuno che insieme coll'Angelico Dottore sta
bene il nome del Savonarola, sebbene di lui umilmente dicesse : « Lui fu ve-
ramente profondo; e quando voglio doventare piecolino, lo leggo; e parmi che
lui sia gigante e io nulla.... » (Predica XI sull' Esodo.)
Udiamo dunque San Tommaso : « In questo Sacramento possiamo con-
« siderare tre cose : ciò che è soltanto Sacramento, che è il pane e il vino; ciò
« che èia cosa e il Sacramento, ossia il corpo vero di Cristo; e ciò che è cosa
« del Sacramento, ossia 1' effetto di questo Sacramento. Quanto a ciò che è sol-
« tanto Sacramento, principalissima figura di questo Sacramento fu l'offerta di
« Melchisedec che offrì il pane e il vino. Quanto allo stesso Cristo paziente con-
< tenuto in questo Sacramento furon figure di lui i sacrifizi del Vecchio Te-
« stamento e principalmente quello solennissimo d' espiazione; quanto all' ef-
« fetto fu precipua figura di esso la manna che aveva in sè ogni soavità di
« sapore come dicesi al cap. XVI della Sapienza, come anche la grazia di questo
< Sacramento ristora in tutto la mente. Ma 1' Agnello pasquale prefigurava
« questo Sacramento quanto a tutte e tre queste cose; quanto alla prima, per-
« chè mangiavasi coi pani azimi. secondo il XII dell' Esodo: Mangeranno le
c carni... e i pani azimi; quanto alla seconda, perchè era immolato da tutta -la
« moltitudine dei figli d' Israele alla quartadecima luna, che fu figura della Pas-
« sione di Cristo che per l'innocenza dicesi agnello; quanto all'effetto final-
« mente, perchè dal sangue dell'Agnello pasquale furon protetti i figli d'Israele
« dall'angelo devastatore e tratti dalla servitù dell'Egitto; e quanto a questo
« ponesi l'Agnello pasquale come figura di questo Sacramento perchè in tutto
« lo rappresenta. » (V. Somma Teologica, p. 3a, qu. 73, art. 6°. Cf. la lezione II
sul cap. V. dell' Epistola I ai Corinti.)
Dalle parole di San Tommaso e dalla traduzione che ne fa il Savonarola,
ognuno è in grado di ben distinguere tra il Sacramento che è segno di cosa sacra
e la cosa del Sacramento, o sostanza che voglia dirsi ; e di comprender bene che il
— 42 —
Savonarola non era capace di confondere una cosa coli' altra. Ma il Pastor non
ce lo concede. Siamo alla Prova del fuoco. Su questo tema vi dovremo tornare;
ma ora cade opportuno fare un piccolo riscontro tra il Pastor e il Villari:
Pastor
Egli (il Savonarola) dichiarava che
i soli accidenti abbrucerebbero, e re-
sterebbe intatto il Sacramento, confor-
tando tale opinione coli' autorità di
sacri dottori (pag. 373 e 374).
VlLLARr
Fra Domenico volle tener fermo,
sostenendo insieme col Savonarola
come, in ogni caso, non sarebbero bru-
ciati che gli accidenti, rimanendo sem-
pre intatta la sostanza del Sacramento,
e citavano 1' autorità di molti dottori.
[Voi. I, pag. 159.)
Che il Pastor, quando meno ce n' avvediamo, prende dagli autori e spesso
anche sciupacchia quel che prende, già lo vedemmo ; ma qui ne abbiamo una ri-
prova evidente. Il Villari, nonostante la sua « monca conoscenza di teologia
cattolica» (Pastor, pag. 378, nota), potè accorgersi che il Savonarola non avrebbe
mai detto un errore tanto volgare come quello che gli fa dire il Pastor, il' quale
non sarà mai capace di provarci che il Savonarola dicesse che abbruciando gli
accidenti, il Sacramento resterebbe intatto! Abbiamo visto che cosa intendeva il
Savonarola per Sacramento e con quanta proprietà parlava. Nè il racconto di
Fra Benedetto (Villari, voi. II appendice, pag. LXXXVIII) ci induce a pensar
diversamente, perchè Fra Benedetto, se ben si considera, spiega assai esat-
tamente quello che dice. Ma torniamo all' auree dottrine del nostro Frate.
Su questa cara figura dell'agnello pasquale fa il Savonarola tutta la pre-
dica del martedì santo ove spiega il capitolo XII dell' Esodo. Questa figura
dell' agnello così accessibile a tutti piace molto al Savonarola... egli avrebbe
voluto che a quella predica fossero anche tutti i fanciulli ai quali avrebbe vo-
lentieri spiegato che Cristo è 1' agnello immacolato, maschio, e di un anno come
doveva essere l'agnello pasquale; immacolato perchè nato dalla Vergine, ma-
schio perchè « fè le opere sue virilmente e gagliardamente » d'un anno, il
qual figura 1' anno della grazia. Vuole che nelle case si parli anche ai piccoli
in quei santi giorni « dell'agnellino Cristo Gesù », e « si leggano le vite dei
martiri, e si parli dei santi... » e che al ricordo dell' agnello si ripensi alla pas-
sione di Gesù e si dica: « Lui fu crocifisso, lui fu morto per me, io sono con-
tento ancora di morire per lui; io ho fede nel sangue di Cristo che mi aiuterà. »
Della dottrina del Savonarola sul SS. Sacramento diamo ancora questi
saggi dalle citate prediche XLII e XLIII:
« La vita cristiana essenzialmente e principalmente consiste nel conoscere
Iddio e amarlo e tendere in esso. E tra le opere morali che conducono a que-
sta cognizione e amore di Dio e che fanno 1' anima perfetta in esse, una, e la
principale, è l'orazione. Tra le opere cerimoniali che conducono più l'uomo
a quesla perfezione sono due sacramenti, cioè il sacramento della confessione
e quello della comunione : la confessione fa declinare dal male, e la conni-
- 43 -
nione ti conduce al bene... 11 Sacramento dell'altare contiene tutto Cristo....
Sappi adunque che in quell' ostia è tutto il corpo di Cristo e V anima e le ossa
e la carne e la divinità. Notate, fanciulli miei, che voi avete a credere che quivi
è tutto il corpo di Cristo; e cosi è la verità. E' si legge che San Gregorio, co-
municando una volta il popolo, venne col Sacramento ad una gentil donna ro-
mana, la quale avendogli fatte quelle ostie, che di poi erano state consacrate,
quella donna si rise quando San Gregorio venne a Lei per comunicarla e che
disse: Corpus Domini nostri Jesu Christi cnstodiat animata titam in vitam ozternmn.
San Gregorio la domandò, perchè ella rideva; la quale rispose : io rido perchè
io ho fatte queste ostie, e so quello che le sono, e tu dì che gli è il corpo di
Cristo. San Gregorio allora si tirò indietro, e pose il Sacramento in su l'altare,
e fece inginocchiare tutto il popolo, e fare orazione per il peccato di costei, e
pregare Dio che la illuminasse; e di poi riprese il Sacramento, inspirato da Dio,
e voltossi a quella donna e disse in cospetto del popolo: Guarda qui se queste
ti paiono le ostie che tu facesti? La quale guardando, vide che quell' ostia
era carne, e così ravveduta si dolse grandemente del peccalo suo, il quale le fu
perdonato, e San Gregorio la comunicò. Questo io vi ho detto, perchè, benché
vediate gli accidenti del pane, tuttavia dovete credere, e così è vero, che in
quell'ostia è carne, sangue, ossa, e tutto il corpo di Cristo... Questo Sacramento
è cosa mirabile e da fare maravigliare ognuno. Va' adunque, figliolo mio, a
questo Sacramento con viva fede; e fa' che tu non manchi per modo alcuno
in fede : perchè Cristo ha detto, che questa è la sua carne e il suo sangue.
Io te lo testifico a te Firenze, e a questo popolo in su questo pergamo, che in
quel Sacramento è la carne di Cristo, il quale è in Cielo. Va' adunque con viva
fede a questo Sacramento, e sta saldo e fermo in esso, che questo sarà quello che
ti libererà dalle tribulazioni... Va' adunque semplicemente e con fede e spirito
a questo Sacramento; perchè come dice il Salvatore : Lo spirito è che vivifica,
quasi volendo dire: Bisogna intendere questo Sacramento con ispirilo.... » Egli
vuole che alla Comunione si vada « con grande elevazione di mente e una
gran fede, perchè bisogna credere molte gran cose in quell'Ostia!
« Se vi fosse domandato, se Cristo, quando viene neh' ostia, si parte dal
Cielo, se voi diceste di sì, direbbero: Adunque e' non rimane Cristo in Para-
diso. E però dite e rispondete: Noi crediamo che sia qui, e anche in Paradiso,
e crediamo che il nostro Signore, che 1' ha detto, dica il vero; e così i suoi
santi illuminati, che lo hanno detto; e crediamo che Dio può fare ogni cosa,
e che quella sostanza del pane diventi corpo di Cristo; e crediamo che Dio sia
per tutto. Parimente, se voi foste domandati: In che modo? rispondete: Egli
è per un modo, che noi non l'intendiamo, ma crediamolo; perchè lui può fare
ogni cosa, e può essere in mille modi, che noi non lo possiamo sapere. Se vi
fosse detto: Il corpo di Cristo è egli esteso nell'ostia? dite di no: perchè un
corpo sì grande esteso passeria e' termini dell' ostia; ma dite che vi è tutto il
corpo in un modo che non s' intende dagli uomini: e anche gli angeli non
lo potriano vedere per propria natura; ma lo vedono nella divina essenza
come sta.
— 44 —
« Dovete ancora credere che se il sacerdote rompesse l'ostia in mille parti,
che in ciascuna di quelle parti è tutto il corpo di Cristo; se ben fosse ciascuna
di quelle parti piccola come una punta di spilletto. E tanta ne piglia colui,
che ne togliesse una di quelle particelle, quanto che faria uno se ne pigliasse
una grande, o veramente molte di quelle parti, o molte ostie, perchè tutto Cri-
sto è in ciascuna, e tutto Cristo è in tutte (*) Sicché, se il Sacramento si rom-
pesse in mille parti, tanto ne è in una parte quanto in un' altra. E' mi bisogna
insegnare queste cose a' fanciulli che non le sanno. Guardate in uno specchio:
quando egli è intero, vi rappresenta la faccia, che gli è posta innanzi; e se rom-
pete quello specchio in cento parti, rappresenterà cento facce; e tuttavia la
faccia rappresentata è una. Così Cristo è tutto in -un' ostia, e tutto ancora in
ogni parte di quella ostia.
« QuestoSacramento adunque contiene realmente tutto Cristo, però ha ef-
ficacia più che tutti gli altri sacramenti i quali contengono Cristo in virtù, per
la qual cosa bisogna gran disposizione a chi vuole pigliarlo.... Or su, dilettis-
simi, e' non si vuole più andare a questo Sacramento come avete fatto insino
adesso, che vi solevi andare grossamente : or vi bisogna andare con più pre-
parazione e intelligenza del Sacramento, e più spesso, il che sarà molto più
utilità delle anime vostre. La prima cosa che avete a fare, a voler prepararvi bene
a questo Sacramento, si è riconoscere i beneficj che vi ha fatti Iddio, e mas-
sime di avervi condotti a questo punto, e fattovi partecipi di tanto mistero....
Secondo, devi far proposito di viver bene.... Or su, tu devi dire: Io voglio
cominciare a far bene non domani, ma stasera, oggi.... Terzo, devi provarti
nella osservanza de' dieci comandamenti; quarto, esaminarti se tu trovi tutti e
quattro i segni della grazia.... Se tu vuoi andare a comunicarti, dice San Tom-
maso, ti bisogna avere congettura d' essere in grazia di Dio. I segni onde si
può congetturare che si è in grazia, sono: un grande dispiacere del peccato
tuo; un saldo proposito di far bene e di non più tornare nel peccato; il
sentirsi dilettare dentro delle parole di Dio, 1' esser disposto ad avere pa-
zienza. Devi poi starti in casa e ruminare la passione del Salvatore nostro.
Fatto questo, devi procurare d'aver castità, perchè non è cosa che im-
pedisca più la preparazione del Sacramento che fa la libidine; perchè a que-
sto atto dello andare alla comunione bisogna una grande elevazione di
mente e una grande fede.... Ma la libidine fa il contrario, perchè ella tira
a terra veementemente l'intelletto e la mente; perchè l'anima è una, e
quando ella è tirata in terra, non può stare alta e bassa; e però la libidine
impedisce questo atto più che cosa che sia. »
Questo egli vuole che si faccia per prepararci degnamente a tanto Sacra-
mento. Vuol che si pensi ad acquistare il fuoco di carità colla memoria della
passione di Cristo « coli' infìammarvisi dentro, animarvisi dentro e tutti voler
portare questa croce che lui ha portata per noi. » E appunto questo vuol che
(') Chi non ricorda qui lo pai olo di San Tommaso nella sua ammirabile sequenza: « Su-
iti it uutts, tumunt mille, tantum isti, quantum Uh, nec sumptun consumila)'? »
— 45 —
si ricavi dalla dottrina di San Tommaso ; e a tal proposito racconta questo
aneddoto :
« E' mi disse una volta un filosofo in quelli di di pasqua che si era stato
in casa e aveva discusso molto bene quelle questioni che fa San Tommaso
della passione di Cristo e del Sacramento dell'Altare, che sono molto sottili,
le quali stettero bene a farsi allora per impugnare l' opinione degli eretici che
erano a quel tempo. E io allora da me dissi : Tu hai acquistata poca devozione.
E' ci vuol altro qua! bisogna la purità del cuore ! »
Nelle questioni di San Tommaso il nostro purissimo asceta e profondo teologo
non si contentava soltanto di trovar materia di discussione e sottili argomentazioni
contro gli errori degli eretici, ma un alimento alla pietà vivissimo e sicuro.
Dà poi le norme più precise, niente parendogli minuto di quanto si rife-
risce a tanto Sacramento : « E' bisogna venire al particolare per rispetto di
questi piccolini; perchè gì' imparino come hanno andare a questo Sacramento.
Ora state attenti. Io voglio che vi comunichiate il di della Pasqua, perchè quello
è il dì proprio, che ognuno si deve comunicare per gaudio della resurrezione
di Cristo ; e ognuno in quel dì debbe diventare nuovo uomo siccome il no-
stro Salvatore diventò nuovo uomo, resuscitando immortale e glorioso. Fate
adunque che siate confessati tutti bene, e sabato mattina andate all' officio,
dove vi piace secondo la vostra devozione. Desinato che avete, andrete un
poco a dormire, per soddisfare la natura; perchè avrete a vigilare un
poco la notte seguente; e se non si dà il debito suo a questo nostro corpo,
non si può avere poi devozione alcuna della mente, e stassi tuttodì intene-
brato. Saria buono ancora, che a compieta si serrasse tutte le botteghe; e voi,
acciocché i poveri artefici non si dolgano, date loro un poco di buona man-
cia. Così le donne non debbono lavorare più quel dì, passato compieta. Voi,
padri di famiglia, ordinate che a ventiquattro ore, sabato sera, tutti siate in
casa con la vostra famiglia, e poi ve ne andate tutti, uomini, donne, fanciulli,
servi e serve in luogo di casa vostra, e quivi mginocchioni direte i sette salmi
e le letanie, chi sa leggere ; e chi non sa leggere stia ad udire con devo-
zione. E poi, fatto questo, ognuno stia così un poco in orazione mentale, e
preghi Dio che gli dia buon frutto a pigliare questo santo Sacramento; e di poi
immediatamente ognuno a dormire. Di poi a mattutino ognuno si levi su, e il
messere (*) della casa prima degli altri vada svegliando e chiamando a tutte le
camere, come facciamo noi frati. (2) Direi che ognuno andasse alla chiesa al
(') Ricordo che nel linguaggio fiorentino il messere era il padron di casa, la madonna la
padrona.
(a) Che queste cose in Firenze realmente si facessero, risulta dai hiografi; e le parole
del Savonarola ne sono valida conferma. li Pastor piuttosto che deridere la strettezza, la scru-
polosità e lo zelo soverchio del Savonarola che alle varie attinenze del civile consorzio applica le
sue vedute di claustrale, perchè non si ferma pacatamente ad esaminare donde traesse il Frate
tanta potenza da impone colla sua sola parola a una citta la più colta dell'Italia e al tempo
stesso la più paganeggiante una pratica di vita cristiana cosi perfetta ? Un predicatore tri-
viale (Pastor, pag. 139) inquisitore rigorista (pag. 138) che rompe in escandescenze (pag. 351) sacri-
lego e blasfemo (pag. 360, 140) questi effetti non li ottiene.
— 46 —
mattutino; ma perchè ho paura degli scandali, massime nelle donne; sarà
buono che vi raduniate un'altra volta in quel medesimo luogo, il messere e
la madonna con i figliuoli intorno, e i servi e le serve, e diciate il mattutino
della Madonna, e anche Prima; e 1' uno dica e l'altro risponda, chi lo sa dire;
chi non sa, stia ad udire.
« E di poi state un poco in contemplazione, e apparecchiatevi a quel Santo
Sacramento ; e fatto dì, ve ne andate con gli occhi bassi, con riverenza, con
timore, e con umiltà alla chiesa, e col vostro Signore; e quivi state con silen-
zio, non parlate niente, se non quando fosse necessario; e quivi, nella chiesa
della vostra parrocchia, state in orazione, tanto che sia l' ora di comunicarvi.
Andate adunque devotamente alla Comunione, e non siate presuntuosi di vo-
lere essere ognuno de' primi. E voi inferiori, fate che serviate alle dignità
delle persone da bene, non per onorare il ricco, ma perchè il Signore ha posto
queste dignità e distinzioni in terra, e vuole che sieno, perchè altrimenti rovi-
nerebbero le città. Voi donne non siate presuntuose, e quando voi vedeste
che una vuole andare innanzi, se bene fosse inferiore a voi, lasciatela andare
e non fate scandalo. Voi fanciulli miei, notate, perchè bisogna insegnare an-
cora a voi ; non mangiate e non bevete nulla, nè anchè un poco di acqua, in-
nanzi la comunione; e se voi voleste lavarvi la bocca, quando n'andasse giù
un pocolino, che voi non ve ne avvedeste, non porta niente. Fanciulli, quando
pigliate 1' osta, aprite la bocca, e mandate così un poco la lingua innanzi, per-
chè alle volte nasce scandalo e cadono le ostie. Bisogna insegnarvi a questo
modo, perchè i padri vostri non vi insegnano, e io son debitore ai piccoli e
a' grandi.
« Dopo che vi sarete comunicati, torni ognuno al luogo suo, e quivi ringra-
ziate devotamente Iddio dicendo: — Signor mio, io ti ringrazio che tu mi hai
concessa questa grazia, che io mi sia confessato e che tu mi abbia dato questo
santo Sacramento; io ti prego che tu mi voglia perdonare i miei peccati, e
trasformarmi nel tuo amore, e che tu mi dia grazia che io faccia per 1' avve-
nire sempre la tua volontà, e che io sia teco insino alla fine mia.
« State di poi all'ufficio ognuno alla sua parrocchia, e detto l'ufficio, tor-
nate a casa tutti con silenzio; e se fosse alcuno che volesse andare, prima che
torni a casa, insino a la Nunziata o altrove per sua devozione, vada con silen-
zio, ma è buono in quel dì non andare troppo vagando. Tornati che siate a
casa tutti con gli occhi bassi e con silenzio, andrete a desinare e benedirete la
mensa con tre Pater nostri e tre Ave Marie: saranvi le cose benedette. Il
messere le pigli, e daranne a ciascheduno la parte sua insino a' servi. Poi de-
sinato che avete con silenzio, starete cosi un poco a tavola e ragionate di Dio,
e confortale la brigata al ben vivere. Di poi tutti andrete un poco a dormire,
perchè non potreste altrimenti avere devozione tutto quel di. Di poi vi leve-
rete e ritornerete in chiesa, e lì starete tutto quel giorno insino a compieta. Poi
se vi paresse andare insino alla Nunziata o in qualche luogo, andate, ma con-
forto, massime le donne, a starsi. Poi la sera cenerete sobriamente, e poi an-
date a dormire, e il lunedi a buona ora venite alla predica.
— 47 —
« Se voi fate così e andate a questo santo Sacramento con questa devo-
zione, voi scamperete da molti pericoli. Di poi, fatto Pasqua, seguitate nel ben
vivere, e non tornate indietro; e non cominciate a scorrere nelle piccole cose,
perchè si viene poi alle grandi. Comincerete adunque fatto Pasqua a dire: Io
voglio prepararmi all'altra Pasqua, e vivere bene, altrimenti verrà a voi, come
dice Paolo, che molti nella primitiva chiesa non andavano bene al Sacramento,
e morivano: e però chi non fosse ben preparato si apparecchi di andarvi con
quei modi, che si richieggono. E se vi andrete bene a questo Sacramento, Cristo
sarà con voi, e voi con lui, e scamperavvi da queste tribulazioni, nelle quali,
e anche di poi, starete tutti giocondi e allegri.
« Chi frequenta assai questo Sacramento e con quelle disposizioni che si
ricerca fa frutto grandissimo. I cristiani hanno da operar forti cose, patire e sop-
portare, perciò hanno bisogno di molta fortezza.... Ora la maggiore fortezza spi-
rituale che troviamo è nel santo Sacramento dell'altare il quale transustanzia
l'anima dell' uomo in Cristo; e fa a rovescio dal cibo corporale, il quale si con-
verte e transustanziasi neh' uomo; ma questo transustanzia V uomo in Cristo.
« E quando questo Sacramento non ti fa frutto e non ti tira a Cristo, e che
tu non ti senti tirato al ben vivere, è segno che quando tu lo pigli, tu non sei
bene disposto. Domanda un buono sacerdote quando si sente più gagliardo, e
i più acceso nel ben vivere : quando egli ha preso bene questo Sacramento. E
j però questo è una gran fortezza che ha lasciata Cristo ali' uomo. — La carne di
j Cristo è piena di grazia e di Spirito Santo, ed è ancora saporita a chi la man-
gia; perchè molti sacerdoti dicono, che ne sentono gusto in su la lingua molto
1 soave, e non solamente sentono dilettazione quanto all'intelletto, ma anche
quanto al gusto della lingua. Per questo diceva San Tommaso, che Cristo co-
municando i suoi discepoli, comunicò ancora sè di questo Santo Sacramento,
non per acquistare più grazia, ma per quella dilettazione....^ 0 sacerdote felice,
quando tu hai il tuo Signore nelle mani ! Credilo a me, che si sentono gusti
e cose mirabili. Nella memoria del sacerdote si appresentano i beneficj , che
I ci ha fatti Dio; neh' intelletto la sapienza sua; negli occhi la presenza del suo
; Signore, e tutti i sensi hanno dilettazione mirabile. E' fu un padre, il quale
aveva un'infermità: era costui di una santa vita, e di un grande fervore; ed
I una volta celebrando, e avendo il Sacramento nelle mani, gli disse con un
I grande fervore di fede : — Signore, guariscimi, altrimenti, io non ti lascierò
mai, se tu non mi guarisci. — Per la qual cosa, innanzi che si partisse di quivi,
|j lo guarì. Sicché grandissima soavità e dolcezza si trova in questo Sacra-
li mento.... — Veggiamo che tutti coloro che vanno a questo Sacramento con
| quella preparazione e devozione, che si debba, tutti diventano sempre migliori.
,; E per contrario, veggiamo che tutti quelli, che pigliano quel Sacramento non
bene preparati diventano sempre più cattivi.... Questo Sacramento è di grande
I consolazione agli uomini.... esso ti leva su pian piano alla contemplazione della
divinità; e t'illumina a cose grandi, e unisce in un cuore e in un'anima tutti
(') Cfr. S. Tommaso, Summa Tlieol., P. HI, qu. 81, art. 1.
- 48 —
quelli che devotamente e veramente lo pigliano. Esso è cosa mirabile e da far
maravigliare ognuno. (*)
« Chi frequenta assai questo Sacramento, (il quale si vuole reiterare spes-
so), e con quelle disposizioni che si ricerca, fa frutto grandissimo.... Condu-
cono a questo Sacramento l'amore e il timore. Il Centurione, che non volle che
il Salvatore entrasse in casa sua, ma disse : Signore mio, io non son degno
che tu entri in casa mia; ma di la parola tua, e sarà salva l'anima mia, si-
gnifica il timore. Zacheo significa l'amore, il quale tutto si allegrò quando il
Signore volle entrare in casa sua; e venne tutto festivo a riceverlo. Sicché
l'amore e il timore son quelli che debbono menar l'uomo al Sacramento. Dice
Sant' Agostino: — La comunione ogni giorno io non la lodo e non la biasimo;
ma pur mi credo che sia da comunicarsi le domeniche. — Vedi adunque che al-
lora si comunicavano gli uomini ogni domenica. E ora molti religiosi stanno
un mese da una volta all'altra, ed i secolari un anno. Dice San Tommaso:
— Se uno si comunicasse ogni dì, e sente che la devozione cresca, e la re-
verenza del Sacramento non manchi, che debba continuare la comunione.
Ma se lui vedesse che la reverenza diminuisse, e che mancasse la devozione,
debba astenersi qualche volta dalla comunione. Ma se tu dubitassi e non sa-
pessi discernere se tu cresci o manchi in devozione e reverenza, dice San To-
maso che gli è meglio Zacheo che il Centurione, cioè 1' amore che il timore. —
Comunicati ogni dì spiritualmente, cioè odi ogni mattina messa, e comuni-
cati spiritualmente col sacerdote, e prega Dio che ti dia e t' aumenti il lume
di viver bene : comunicati anche sacramentalmente spesso, cioè secondo il
consiglio del tuo confessore. » (2)
« Io vorrei che voi imparaste pur a vivere ormai da cristiani e che voi
steste confessati e comunicati, e che ogni volta, che voi aveste male, alla prima
febbre mandaste pel confessore, e vi confessaste, e poi vi comunicaste. E' sono
alcuni che dicono che non vorrebbero udire quella campanella venire a casa :
credimi che se tu hai a noia di sentirla, e se tu guardi ai rispetti del mondo,
e se tu te ne vergogni, questo è mal segno in medicina! Inoltre egli è una gran
vergogna che il Sacramento, quando va per la vostra terra ad un infermo,
vada solo ! E' si vorrebbe mettere questa usanza, che in ogni parrocchia,
quando il prete porta il Sacramento ad un infermo, si desse quattro botte alla
campana, o simile modo, e ognuno andasse fuori con lumi ad accompagnarlo.
Il Sacramento si chiama viatico, perchè ti dà in questa vita grazia e fortezza
a passare in vita futura.
« Sono ancora molte parrocchie, dove si tiene il Sacramento con poca ri-
verenza; il che è grandissima vergogna! Non si debbe far cosi; anzi si debbe
tenere con ogni onore e reverenza.
« Concludendo adunque dico, che dovete credere e tenere questo per vo-
stro vero Iddio, e comunicarvi spesso e non v'indugiare all' ultimo. »
(*) Cfr. S. Tommaso, L o. tutta la qu. 79.
(*) Cfr. S. Tommaso L c. qu. 80, art. 10.
— 49 —
E concludendo anche noi, chiediamo al Pastor se non gli piaccia que-
st' ascetica Savonaroliana; e s' egli, cercando il bene nell'epoca del risorgi-
mento, abbia letto altrove, intorno all' augustissimo Sacramento, pagine più
vere, più belle e più care di queste; e se par giusto passarsela senza dire un
motto, nè fare un cenno dell' amore e dello zelo di Fra Girolamo per il Sacra-
mento dell' altare, e se ha fatto cosa tollerabile con ridersi delle feste che
l'ardente domenicano celebrava in Firenze per eccitare il popolo, e i fanciulli
in ispecie, a devozione!!
Ma io devo tornare al mio principio: leggete prima, e poi giudicate. (*)
(') Riguardano direttamente il SS. Sacramento anche il Trattato del Sacramento e Ce' mi-
steri della Jlessa, il cap. 17 del libro III del Trionfo della Croce; la Lettera ad una devota donna
bolognese, 1497: Sulla comunione frequente; i Sermoni Vili, IX, X e XI sulla I epistola di
San Oiovanni, e più altri.
4
VI.
La Vergine Maria e Girolamo Savonarola.
Sommario.
Il culto della Vergine segno di religione nell' Italia all' epoca del rinascimento. — Belle e vere parole
del Pastor. — Il Savonarola predicatore insigne della Tergine benedetta. — Si conforta lo storico
d' Iunsbruck a leggere alcune prediche dall' Asceta Domenicano. — Lodi alla esposizione della
Salutazione Angelica di Fra Girolamo. — La Tergine lontana di grazie agli uomini. — Beneme-
renze del Savonarola verso le arti. — Frutti ottenuti. — Sentenze del Pastor che non meritano
considerazione. — Le figure nelle chiese son libri per i fanciulli e gì' illetterati. — Quali imma-
gini voleva pel culto il Savonarola. — Benemerenze del Savonarola verso la poesia. — Il Savo-
narola poeta di Maria. — La festa dell' Assunta in San Marco 1' anno 1497. — Il Pastor per
ignorare le cose del Savonarola s' accosta al ridicolo. — Fu passo del Savonarola rispetto alla
Tergine. — La lode di Moria dev' esser grande. — La bellezza di Maria cava il cuore ai Fioren-
tini. — Una domanda del Savonarola a' Filosofi. — Maria che prega per 1' umana natura. — Si
vuole Maria Kegina di Firenze. — Maria interceditrice per i Fiorentini. — Preghiera. — Maria
vite che fruttifica soavità di odori parla agli uomini. — Maria madre del beli' amore e del ti-
more e della cognizione e della santa speranza parla alle donne. — Maria speranza di vita di ve-
rità e di virtù parla ai fanciulli. — Si chiude con un' altra preghiera.
Un altro segno della religiosità dell' Italia all' epoca del risorgimento il
Pastor lo trova nel culto della Vergine Maria. Son belle e care quanto vere le
parole che scrive egli a tal riguardo: « Il culto della Vergine benedetta era, come
in generale fu sempre in Italia, oltremodo grande anche allora. Nobili e plebei,
papi e principi come semplici cittadini e gente del contado andavano a gara
nel culto della Madonna. L' arte e la poesia facevano il possibile in glorifica-
zione della Madre del Signore. Innumerevoli chiese e cappelle erano a lei de-
dicate, le sue immagini miracolose si avevano in conto di tesoro il più prezioso
delle città, e venivano in tempi calamitosi portate in solenne processione per
le vie. Con tenera fiducia si aveva ricorso alla Madre della grazia » (p. 64).
Son belle, son care queste parole; ci piace ripeterlo; ma non sappiamo
del pari tenerci dal ripetere un' altra volta che il Pastor, appunto perchè seppe
scrivere cose tanto belle e care e vere, se avesse studiato nel Savonarola,
avrebbe preso non poco di ammirazione e letizia. Imperocché il Frate di San
Marco insegna e predica della Vergine Maria cose care e belle quanto pochi
altri fanno; ed ha 1' anima tutta piena d'amore e d' infocato zelo per 1' eccelsa
- 51 -
Regina! Così, anche a questo punto, avrebbe potuto 1' egregio storico de' Papi,
ammirare e citare un altro modello esimio di cultori della Madre divina, e
accrescere la sua letizia nel vedere la religiosità che spira dalle prediche del-
l' Oratore domenicano e dall' entusiasmo che quindi si trasfondeva nel popolo
di Firenze per la gran Donna. Cose di paradiso son veramente le prediche re-
citate da Fra Girolamo in laude di Maria. Legga il critico d' Innsbruck almeno
la XIII, la XIV", la XV sulla Ia di San Giovanni; la XIX sopra il Salmo Quam
Bonus; la XII sopra Giobbe; la XVIII sopra i Salmi; la XLIV sopra Amos e
Zaccaria; la XVIII sopra Ruth e Michea ; legga queste prediche il critico d' In-
nsbruck, e poi sappia dirne s' egli conosca fra gli scritti, anche fra quelli dei
Santi, dell'età del risorgimento pagine più sublimi, più fervide, più poetiche
di queste; sappia dirne se l' Italia d* allora ha inni di lode e di affetto per la
Vergine Eenedetla più belli di queste prediche ch'eruppero dalla infocata
anima del Frate di San Marco ! Legga, e poi trovando che coloro i quali rac-
coglievano le prediche dalla viva voce del Frate, allorché questi parlava della
Vergine, si sentivano cader la penna di mano e pieni l' anima di commozione
e di piacere, più non volevano scrivere, nè più potevano, anche se l'avesser vo-
luto, ne dica se questo ci debba far maraviglia, o non piuttosto sia esso un
fatto naturalissimo! Chi poteva reggere a tanto fuoco, a tanto amore, a tanta
sublimità? La piena della dolcezza, sentendo Girolamo Savonarola, doveva
allora giungere al sommo! (Conf. la XIII. sopra Giobbe.)
Che diremo poi dell' aurea esposizione che Fra Girolamo scrisse della Sa-
lutazione Angelica? Essa non è lunga; procuri adunque di leggerla il Pastor,
e si persuaderà che le anime pie e amanti della Piena di grazia non possono
desiderare cosa più dolce; si persuaderà (ne siam certi) che difficilmente si può
trovare, all'epoca del risorgimento, un'anima che meglio del Savonarola cono-
scesse la grandezza della Madre di Dio, e la venerasse con un culto più intiero
e affettuoso.
Nè alcuno potrà fare le maraviglie di tanta devozione! Il Savonarola
riteneva ciò che insegnano e credono i migliori asceti cattolici; riteneva, come
dice nella XVIII sopra Ruth e Michea, che le grazie di Dio agli uomini ven-
gono per mezzo di Maria: « Cristo sparge la grazia nella Vergine, e Lei la
diffonde in noi; » onde Ti voleva pregata incessantemente, o Gloriosa e Piis-
sima, e cantava di Te :
« Tu sei certa speranza
Di tutti gli om mundani ;
Ch' in te non ha fidanza
Si voi volar senza ali. (')
O carità,
Somma pietà.
Chi non ricorre a te, niente fa. » (Poesia IX.)
(') « Donna, se' tanto grande e tanto vali,
« Che qual vuol grazia e a te non ricorre,
« Sua disianza vuol volar senz' ali. »
Dante, Paracl., c. 33.
— 52 —
Si vuol venire a qualche particolare?
« L'arte e la poesia (dice il Pastor) facevano il possibile in glorificazione della
Madre del Signore.» Ora è noto a tutti quanto Fra Girolamo si sia adoperato per-
chè l'arte glorificasse davvero, e non profanasse questo soggetto purissimo. Già
nella predica XIV sulla I" di San Giovanni diceva l'ottimo estetico-asceta: « Leggesi
della Beata Vergine, e così dicesi essere, che tanto in lei abbondava la divina gra-
zia, che niuno la poteva riguardare con desiderio cattivo; anzi tutti quelli che ri-
guardavano in lei, come in sè avesse non so che di divino, erano costretti di farle
riverenza. » E più volte ripete eh' ella vestiva semplicemente e inspirava tutta
purità e modestia. Onde non poteva contenere lo sdegno contro quei pittori
che la presentavano come donna quasi mondana. Son conosciutissime le pa-
role della predica XVIII sopra Amos e Zaccaria che gridano contro l'usanza
invalsa allora di copiare persone reali per vergini e santi da venerare nell
chiese, anziché ritrarre i tipi cristiani tradizionali: « Voi dipintori, fate male
chè se voi sapeste lo scandalo che ne segue e quello che so io, voi non le dipi
gereste le figure nella chiesa a similitudine di quella donna e di quell' altr
Voi mettete tutte le vanità nelle chiese: Credete voi che la Vergine Maria andass
vestita (l) a questo modo, come voi la dipingete? Io dico che ella andava ve-
stita come poverella semplicemente, e coperta, che a pena se le vedeva il
viso.... Voi farete un gran bene a scancellare queste figure che son dipinte così
disonestamente: voi fate parere la Vergine Maria vestita come una me-
retrice. »
Del resto ognuno conosce il bene che Fra Girolamo ottenne in questo
campo dell'arte e la lunga schiera di artisti che mossi dalla santa parola
del severo estetico, lasciate le vanità, lavorarono con ispirito e intento cri-
stiano. Dopo gli scritti del Rio, del Marchese, del Guasti e di molti altri a
questo riguardo, il Pastor non doveva assolutamente lasciarsi uscir dalla
penna alcune espressioni erronee o poco precise che osò porre nel suo li-
bro ; e ci move poi a sdegno e ci fa pena quando, a pagina 132, scrive gra-
tuitamente « che parecchi giudizj del Savonarola rispetto all' arte non si pos-
sono scusare di parzialità e rigore eccessivo! » (pag. 132).
Per non riconoscere in questo campo il completo ed eccezional merito
di Fra Girolamo bisogna esser ciechi; o almeno lasciar in un canto i principi
dell' estetica cattolica, negare 1' origine divina del bello, il fine morale santis-
simo dell' arte, condannare la scuola mistica e l' idealistica, la scuola cristiana,
per seguire la naturalista, la pagana, o almeno professar la teorica dell'arte
per l'arte. Solo un verista potrà sottoscrivere logicamente e senza riserva
alla sentenza del Pastor, un cattolico schietto, che conosca le Opere del Savo-
(l) Citando questo passo il Pastor invece di vestita leggo dipinta, appunto come il Vii-
lari (voi I pag. (90); con ciò il passo non ha più senso e apparo chiaro che non ha letto il
Savonarola nè il l'astor, nè il suo traduttore ma ha semplicemente trascritto d .1 Villari sali"
W altra cura (p»g. 18B).
— 53 —
narola, non mai ! Anzi noi, per quanto si legge più innanzi nel libro stesso del
Pastor, vogliamo credere eh' egli stesso correggerebbe la sua sentenza e
forse anche la casserebbe affatto, ove conoscesse a pieno la teorica del Frate.
In ogni caso, se questi giudizj rigorosi e troppo parziali nel Savonarola vi sono,
pregheremmo il Pastor di dirci quali siano essi mai, e dove si leggano, e se,
in ogni modo, non meritino, avuto riguardo a' tempi, un'interpretazione be-
nigna.
Per Fra Girolamo 1' arte doveva movere al bene non pure i letterati e i
colti, ma ancora più coloro che non sapevano lettere; e specialmente i fan-
ciulli piccolini; i quali, come ben osserva l'egregio Pedagogista, si movono
ad amare Cristo e le cose spirituali col corpo e con le qualità sensibili, come
le piante, che si movono al crescere e alla vita per la virtù dell' anima ve-
getativa che hanno. « Vien qua, figliuolo mio; tu non hai lettere; tu se' fan-
ciullo, o donna ; il nostro Signore dà consolazione ad ognuno. Leggesi di Santa
Paola, che Dio le mostrò quel Bambino Gesù, del quale lei fu molto consolata.
Sicché si movono i fanciulli e le donne come le piante, col corpo, e con le
qualità sensibili. Le figure delle Chiese sono i libri di questi tali; e però si
vorria provvedere anche meglio che i pagani. Gli egizj non lasciavano dipin-
gere figure disoneste. E prima si vorria fare, che si levassero via le figure ino-
neste, e non si dipingesse cose grosse, che muovono a riso. E' si vorria, che
nelle chiese non dipingessero se non buoni maestri, e cose che s;eno oneste.
Se dipingano la Vergine, farla con ogni onestà come lei andava. » (Sopra Eze-
chiele, XXVII). « Aristotele che era pagano, dice nella Politica che non si debba
far dipingere figure disoneste rispetto ai fanciulli, perchè vedendole diventano
lascivi. Ma che dirò io di voi dipintori cristiani che fate quelle pitture spetto-
rate che non sta bene? Non le fate più. Voi a chi s'appartiene dovreste fare
incalcinare e guastare quelle figure che avete nelle case vostre che sono di-
pinte disonestamente, e fareste un' opera che molto piaceria a Dio e alla Ver-
gine Maria. > (Predica V, sopra Amos.) (*)
Del resto quali immagini della Madonna volesse nelle chiese Fra Giro-
lamo, possiamo anche raccoglierlo dal Burlamacchi : Voleva immàgini singo-
larissime e di tanta bellezza che propriamente vive paressero, e chi le guar-
dava non si potesse mai saziare (pag. 83).
Perciò che riguarda la poesia e la Vergine benedetta, Fra Girolamo fu
più felice ancora che non nelle arti figurative; perchè oltre all'aver potuto per-
suader molti a lasciar le poesie de' pagani e poetare cristianamente, oltre al-
l'essere riuscito a bandire da Firenze i canti carnascialeschi, e a farvi risuo-
nare canzoni spirituali; potè non solo dare una sana teorica poetica, ma
scrivere e comporre egli stesso poesie non ispregevoli a lode di Cristo e di
(') Abbiamo speranza di poter altra volta scriver di proposito dull'arte secondo Fra Gi-
rolamo e perciò ora non insistiamo di più.
— 54 —
Maria Santissima.^) E queste poesie dovrebbe conoscerle il Pastor, imperocché
ne cita il titolo e 1' edizione splendida che ne fece il Guasti. Legga adunque
almeno quelle segnate co' numeri VII, Vili, IX e vedrà i bei pensieri e gli af-
fetti che Girolamo Savonarola sa esprimere per Maria, e conoscerà che il
Frate di San Marco merita un posticino anch' egli fra coloro che celebrarono
in versi 1' eccelsa Donna.
Delle feste che il Savonarola celebrava in onore della Vergine e per im-
petrarne 1' aiuto e la protezione parleremo in altra parte di questo lavoro; qui,
a volerne dare un cenno, crediamo che non sia nè anco il caso ch'usciamo dal
luogo citato del Burlamacchi. L'anno 1497 il giorno dell'Assunta, giorno as-
sai caro all' asceta Fiorentino, dopo cessata la peste che aveva minacciato la
desolazione in Firenze, « ordinò il Padre che tutte le porte del Convento stes-
sero aperte, e così gran quantità di secolari entrò nel secondo chiostro, dov'era
preparata una bella e devotissima cappella in onor della Madonna con mira-
bile artificio fabbricata con un altare di rara bellezza, con un' immagine sin
golarissima di rilievo della Vergine gloriosa che tenea in braccio il Bambin
addormentato, l'uno e l'altra di tanta bellezza, che propriamente vivi par
vano, e chi li guardava non si poteva mai saziare. Sedeva la Vergine Santa
sopra un trono, ai gradi del quale erano scritti a lettere d' oro cinque brevi,
che laudavano e pregavano la Madonna, come quello : Recordare, Virgo Ma-
ter, ecc. Così il cielo e i lati della cappella erano ricchissimi di drappi d'oro e
di seta con molti ramoscelli sparsi di oliva, e d'altre piante, delle quali si fa
menzione nel!' Epistola di quel giorno, ciascun de' quali aveva un breve pen-
dente, siccome il cedro: Quasi cedrus exaitata sum in Libano; e il cipresso:
Quasi cipressus in monte Sion; e così gli altri. Or dopo vespro, essendo venuti
molti secolari in grandissimo numero, venne il Padre, e fece prima cantare il
vespro ordinario della Madonna, di poi, sedendo tutti sopra d' alcune panche
qui preparate cominciò un bellissimo discorso sopra I' istoria di Tobia e con
quella storia concordò l'epistola di quel giorno esponendo tutti quasi i brevi
con mirabile arte, con tanta dolcezza e consolazione degli audienti, che pa-
reva loro essere in paradiso. Dopo il sermone fece una devotissima ora-
zione a quella Vergine; la quale fornita, si ridussero tutti alla compieta in
(*) Una. di queste poesie fu da San Filippo Neri fatta musicare al Palestrina, perchè la
cantassero i giovani dell'Oratorio di Roma. V. Uapccelatro, Vita di San Filippo Neri, lib. Ili,
cap. Vili. Essa comincia:
Gesù sommo conforto
Tu sei tutto il mio amore,
Tu il mio beato porto
E santo Redentore.
O gran bontà ! dolce pietà,
Kolico quel elio teco unito sta.
Guasti, Poesie traile dall' autografo, pag. 21.
— oo
chiesa. » (Vedi anche da pag. 104 a pag. 112, e il Nardi, Istor., II, pag. 104
Oh! se il Pastor avesse conosciuto le opere e meditata un poco la vita
di Girolamo Savonarola, certo nel parlar della Vergine, avrebbe potuto dire
qualche cosa che non disse, e parlare meglio che non parlò del grande
Asceta domenicano !
A pagina 64 per l' ignoranza delle cose del Savonarola riguardo a Maria,
poco manca che non ci riesca ridicolo 1' egregio storico de' papi: « Si trova che
intere città, come p. e. Siena nell' anno 1483, si consacrarono alla Regina del
cielo. Il Savonarola l' imitò più tardi, allorché in mezzo alle più vive acclama-
zioni dichiarò Cristo re di Firenze. »
0 egregia e rara imitazione invero, o prova veramente forte e belh di
culto per la Vergine benedetta, questo proclamar Cristo re di Firenze!! Cri-
sto la Vergine sono forse una stessa persona?!! Ho inteso: il Pastor vuol
dire che il Savonarola imitò il costume di consacrare la città alla Vergine in
questo che consacrò Firenze a Cristo; ma se il Pastor avesse letto le opere
del Frate di San Marco, avrebbe veduto che quegli, come voleva Cristo
a re di Firenze, così proprio voleva a regina di Firenze Maria; e allora sì
che l'imitazione avrebbe potuto scorgerla vera e completa! Allora avrebbe
potuto con coscienza di storico aggiungere che in mezzo alle acclamazioni
fra le quali Firenze dichiarava suo re Cristo, il Savonarola voleva dichiarata
deipari regina della città Maria 1 Volete leggere qualche passo del grande
Riformatore al riguardo? Ecco:
Il Savonarola parla al popolo suo diletto: « Tu sai, gli dice, quante la-
crime furono sparse quando si sentivano quelle voci puerili cantare le laudi
del Nostro Salvatore Gesù Cristo e della sua Madre Maria gridando spesso ad
alta voce: Viva il signor Gesù Cristo Re nostro e la Regina sua Madre, Ver-
gine Maria! » (Predica I su Amos e Zaccaria).
(*) Neil' edizione delle Prediche del Savonarola per tutto Vanno, di Venezia 1520, ci ò stata
conservata la laude latina che cantavasi a Maria per esser preservati dalla pestilenza :
e seg.). (*)
Funde preces in coelis
Maria stella maris.
Tu tota es formosa,
Tu tota speciosa,
Tu tota gratiosa,
Maria stella maris,
Remove cito peccata,
Unde vota sint grata
Tu es norma justorum,
Tutela peccatorum,
Laetitia sanctorum,
Maria stella maris.
Omniumque prolata,
Maria stella maris.
A Deo benedicta
Ab angelo jam dieta,
In cjelis descripta
Maria stella maris.
Eja glorificata
Et euro Christo locata
Sis nostra advocata
Maria stella maris.
Alta onda coelorum
Et ilecus anselorum,
Audi preces peccatorum
Maria stella maris.
Ut a morbo pestilenti^
Et ab omni pravo scelere
Nos dei'ondat scmper et hodie,
Maria stella maris. Amen.
— 56 —
« Che diremo delle laudi della Regina nostra? io non so come lau-
darla a sufficienza, chè non si può. — Oh come non sai tu laudarla? tu hai
laudato il Signore, che è maggiore assai di Lei. — Io non ho fatto a suffi-
cienza alla millesima parte, anzi non a modo nessuno senza comparazione.
0 Maria, la tua laude deve essere grande, e dobbiamo assai laudarti, la tua
bellezza ci ha cavato il cuore. 0 Maria, madre di Dio, tu se' la madre del
Creatore; questa è grandissima laude; e non si può laudare te, che non si'
laudi il tuo Figliuolo. — 0 filosofo, come può essere questo, che colui che ha
creato 1' universo, che ha il mondo in mano, che è in ogni luogo, che è atto
puro, che può fare mille mondi, che può disfarlo a sua posta, che è primo
principio, e che è fine d' ogni cosa, come può esser, dico, che questo tale sia
figlio di una donna? Ed è pur vero. — 0 Maria, la tua bellezza piacque tanto
al Padre eterno, e la tua umiltà, che ti elesse sola fra le altre donne. Tu,
Maria, conoscevi te, e consideravi Dio; e conoscendo Lui, dicevi: Io sono nulla,
perchè Lui solo è quello che è, e nessuna creatura è. 0 Maria, tu non ti
reputavi nulla, e perciò per la tua umiltà fosti esaltata: perchè Dio guardò
all' umiltà della sua ancella. 0 Maria, quando tu pregavi per la umana natura
e dicevi: 0 Padre, quando manderai tu il tuo figliuolo a ricomperare il mondo?
e in questa tua profonda umiltà ti fu mandato l'Angelo Gabriele come un para-
ninfo il quale ti disse: Ave gratia piena, che tu eri piena d' ogni grazia, e che il
Signore era teco più che con altri, e che tu saresti benedetta sopra tutte le
altre donne. Tu spaventasti, non per paura dell'Angelo, ma perchè tu non ti
reputavi degna di tanto mistero; tu eri allora tutta accesa di amore, il cuore
tuo era pieno di giubilo. Vogliamo adunque, o Maria, che tu sii la nostra re-
gina, e che tu venga a regnare in Firenze, perchè tu sei tanto umile, e tanto
benigna: Stette la Regina alla destra tua. 0 Signore, tu sei il nostro Re, vo-
gliamo ancora questa Regina, che è tanto illuminata ; la pregherà sempre per
noi, perchè ella è sempre assistente alla tua faccia, ella è avvocata dei peccatori,
e noi facciamo di molti peccati, lei sarà avvocata nostra. Signore, tu sei un
poco adirato da un anno in qua con esso noi, Ella sta sempre innanzi a te,
Lei li placherà per noi, Lei ti mostra il petto suo, col quale ella ti ha al-
lattato. 0 Maria, intercedi per noi; la figliuola tua Firenze ha peccalo: egli
è vero, noi lo confessiamo, intercedi per noi, Maria, al Signore, che ci perdoni;
tu stai alla destra del tuo Figliuolo, tu hai abbondanza di ogni grazia, tu hai
abbondanza di ricchezze deh! infondile sopra di noi, Maria. In veste d'oro,
ammantata di varietà. Tu hai le vesti d' oro di carità, ricordati adunque della
tua figliuola, ricordati che tu l'hai accettata per tua città; dove è la tua
carità, Maria? deh! dagli la tua grazia, illuminala, dagli del tuo latte. Che
grazia darai tu, Maria, a questo popolo?
« Or odi quello che ti manda a dire questa mattina.
« Ora parlerò a voi in sua persona, e applicheremovi le parole seguenti:
Ella dice: e' non è disposto il popolo mio: e però ti manda a dire che ti di-
sponga bene. Odi figlia mia e vedi: ella dice: Odi figliuola; la figliuola è la città
di Firenze: orsù stà adunque a udire; e prima parleremo ai cittadini, poi alle
— 57 -
donne, poi ai fanciulli. Quanto agli uomini, odi figlia : Io quasi vite fruttificai
soavità di odori. Io, dice lei, sono la madre vostra, voi siate miei figliuoli. Fi-
gliuolo, fa che tu sia simile alla madre; io son come vite, che fruttifica sua-
vità di odori. La vite fa le uve, le uve sono distinte, e separate in grappoli e
granelli; e poi si mescolano insieme, e fanno tutti solamente un vino: io son la
madre dell'amore; così vorrei, che voi cittadini vi uniste tutti insieme, prima
in amore divino, e poi faceste vera pace, non in parole, ma in fatto, e che di
tanti grappoli e di tanti granelli se ne facesse un vino, e che di tanti animi se
ne facesse uno, e di tanti cuori se ne facesse un cuore. Io sono, dice Maria, la
suavilà di tutti gli odori. Gli odori sono le virtù, la suavità di tutte le virtù è
la umiltà, se tu avessi tutte le virtù, e non abbia umiltà, tu non hai suavità di
odori, e però Lei dice: datevi all'umiltà, come ho fatto io; le mie prime ope-
razioni sono state la castità e 1' umiltà. E però mi dispiace che nella nostra
città ci siano tanti scellerati di quel maladetto vizio; io non posso patire quella
broda, io non posso venire in quella città, vedendo tanta feccia.
« Questo è quanto dice la Vergine a voi uomini, ora state a udire quello
che dice a voi donne: Io sono la madre del beli' amore, e del timore, e della co-
gnizione e della santa speranza. Dice la Vergine : Figliuola mia, se tu vuoi che
io sia tua madre, fa come facevo io, va coperta il capo, va tutta onesta. Sap-
piate, che la Vergine andava vestita semplicemente, con una veste poverella;
la Vergine è madre di bella dilezione; cioè non di amor mondano, ma di amor
divino; e però, figliuola mia, non aver tante cioppe nè tante reti, se tu vuoi es-
sere figliuola della Vergine Maria. Tu dirai che si usa cosi ; io ti rispondo che
non guardi a quel che si fa, se vuoi esser? figliuola della Vergine Maria. E' son
molte, che non si curano di essere chiamate figliuole del diavolo, cioè quelle
che vanno con quelle veliere, zazzere, e portature disoneste. Dunque non ti devi
vergognare tu di essere chiamata figliuola della Vergine Maria, perchè lei dice:
se tu ti vergogni di essere mia figliuola, io non ti voglio. Bastavi adunque an-
dare con un fazzoletto bianco, acconce bene, onestamente; ma ce ne sono al-
cune, che vogliano veli sottili di due ducati 1' uno: no, no, queste non sono fi-
gliuole della Vergine Maria. Orsù adunque, figliuole mie, a far la nostra riforma
acciochè ognuna sia la figliuola della Vergine Maria. Non sia nessuna che si
vergogni di andare vestita semplicemente. Cristo non si vergognò di stare
nudo per te in sulla croce; cosi non devi vergognarti tu di andare vestita sem-
plicemente per amor di Cristo. Inoltre, fate che le fanciulle non conversino in
casa troppo con i fratelli o con parenti; io non dico che non gli parlino, o che
non pratichino con loro, ma io m'intendo in luogo stretto, perchè il serpente
sta apparecchiato per ingannare. Donne, fate quello che io vi dico; parlate poco
con gli uomini, state assai in orazione, e la mattina quando vi levate fatevi
prima il segno della croce: In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancii,
poi cominciate a dire il Credo e confessate Iddio prima e la sua fede, poi dite
i nostri salmi e fate un poco di orazione pregando Iddio che ordini la vostra
vita alla sua volontà. Questo è V ufficio primo della buona donna, come la
mattina è levata; poi va e ordina la casa tua in modo che stia bene, e fa che
— 58 —
vadi sempre orando con la mente, e che ti raccomandi alla Vergine Maria
che ti conduca in vita eterna. Questo è quanto manda a dire la Vergine alle
donne.
« Ora udite quello che dice ancora a voi fanciulli miei: Odi, o anima del
fanciullo : In me è ogni speranza di vita, e di verità ; in ine è ogni speranza di
vita e di virtù. Dice la Vergine: fa figliuolo, che tu sia divoto e lascia poi fare
a me. Parimente dice: Vuoi tu essere divoto? fa come me, vedi quanto io ho
conservato la verginità; fa, figliuolo, che tu ti guardi da' cattivi, dico da questi
ribaldi, che non ti lasci ingannare: guarda da chi ti confessi, perchè se ne trova
alle volte dei cattivi, pigliane consiglio. Dice ancora: Io andavo vestita sempli-
cemente; va ancora tu vestito semplicemente, figliuolo mio. Di' a tuo padre,
che tu non vuoi scarsella, porta il fazzoletto così a cintola come si usava pri-
ma; va semplicemente. Imparate, fanciulli miei, adir quell'ufficio della Vergine
secondo la Corte Romana, come vi ho detto altre volte, e se noi potete dir
tutto, imparatelo di mano in mano. Raccomandatevi alla Vergine, domandatela
mamma mia, perchè ella è la vostra mamma, (*) dimandatele che la vi conservi
in castità, e ella lo farà. Fate che nessuno cattivo sia nella vostra reformazio-
ne ; vivete bene, e abbiate speranza che la Vergine Maria vi libererà da que-
sta pestilenzia, e reserveravvi alle grazie, che hanno a venire. Voi siete quelli
che 1' avete a godere più che questi altri : le grazie son tutte in mano sua, e
lei dice: In me, in me sono. Voi ne havete visti oramai tanti segni, che dovre-
ste credere, e più quest' anno che quello altro ne avete visti. Ascolla adun-
que e vedi, e inclina 1' orecchio tuo, e sdimentica il popolo tuo e la casa del
padre tuo, sdiinentica il popolo tuo, cioè il passato, quel cattivo; e sdimentica
il padre tuo, se egli è cattivo, e lascialo andare. E questo è quanto dice la
Vergine a voi fanciulli. » (Predica XXXVIII sopra Ainos e Zaccaria.)
Chiudiamo questo capitolo con una preghiera alla Vergine tratta dal ser-
mone sopra la Natività del Signore: « Che debbo dir di te o beatissima e glo-
riosissima Madre Maria? Forse che io ti debbo oggi lasciare? Chi potria pen-
sare il giubilo del tuo cuore, la dolcezza della tua mente, la grande tua
ammirazione di te stessa, la grandissima tua consolazione, 1' altissime tue con-
templazioni ? Tu 1' hai partorito Vergine senza dolore, senza passione, aliena
da ogni lamento, così come sei stata aliena da ogni corruzione, anzi con gran
gaudio, cantandoti gli Angeli attorno. Oh! quanta pietà ti mosse, li con-
quassò il cuor tuo quando il dolcissimo Bambino ti si presentò davanti, quando
si pose in terra, quando nel seno il collocasti in una stalla! 0 beata Maria,
o felice fanciulla, o madre gloriosa, madre intatta, madre immacolata, madre
(') Un fanciullo educato a questo norme in una famiglia di Piar/noni fu appunto San Fi-
lippa Xeri che meritò il nome ili Pippo buono, e clie dai discepoli del Savonarola nel convento
di San Marco apprese a chiamarla Vergine la sua mamma, il quale costumo conservò fino alla
morte. V. Capecelatro, Vita di San Filippo Xeri. lib. I, cap. I; lib. II, cap. V e XII ; lib. Ili,
cap. XVII. Questo esempio solo basterebbe a confutare 1' asserzione del Pastor che il rinnova-
mento relit/ioso di Firenze non attecchisse, ma fosse un fuoco transitorio, che ratto si spense (pag. 1121.
Ma non è il solo esempio, e lo vedremo in seguito.
- 59 -
e Vergine, Vergine feconda, Vergine fruttifera, Vergine innanzi il parto, Ver-
gine in mezzo al parto, Vergine dopo il parto.... Ricordati di noi nel cospetto
del tuo figliuolo, volgi gli occhi tuoi pietosi alle nostre miserie. E se mai
pietà ti vinse, se mai pietà ti costrinse a pregare per i peccatori, ora ti muova
la miseria nostra, ora ti vincano le tribolazioni della Chiesa, ora ti costringa
il sangue sparso neh' Italia.... »
E come alla Vergine chiedeva le grazie per la Chiesa e la patria, cosi il
pio religioso chiedeva aiuto per sè: « Madre pia, impetrami la remissione
de' peccati, e la grazia per la quale io possa resistere alle tentazioni e sempre
avere fermo e buon proposito di non peccare e perseverare infine alla morte.
Degnati, Vergine e madre inviolata, impetrarmi una vera obbedienza, una pro-
fonda umiltà di cuore, eh' io mi conosco veramente fragile peccatore, e impo-
tente non solamente a far bene, ma anche a pensare e resistere alle tentazioni
senza la grazia del tuo Figliuolo 3 le orazioni tue. Degnati, Vergine castissima,
impetrarmi una monda castità di cuore e di corpo, acciocché con purità di
cuore possa servire al tuo Figliuol diletto, e a te, Regina de' Cieli. Degnati, Ma-
donna altissima, impetrarmi la volontaria povertà.... e che io non spregi alcuna
persona, e che io non giudichi di alcuno male, e che nel mio cuore non mi pre-
ponga ad alcuno, nè in merito, nè in virtù.... >
E chi pregava così era il Frate orgoglioso (Pastor, pag. 356, 366, ecc.), il
Frate sacrilego (pag. 360;, il Frate disubbidiente (pag. 359, ecc.), anzi predica-
tore di disubbidienza (pag. 136)!!
VII.
L'astrologia e Girolamo Savonarola.,
Sommario.
L' astrologia nel secolo XV secondo il Pastor. — Utile che il Pastov avrebbe trovato studiando in Fra
Girolamo. — Singolari ben inerenze del Savonarola tra gli oppugnatori dell'astrologia. — Fra Giro-
lamo combatte ogni maniera di astrologia. — Principi che francarono il Frate di San Marco da
ogni maniera di superstizione. — Girolamo Savonarola sole che splende sull' iufelice sua età. —
Fonti del capitolo presente. — Il trattato dell' Astrologia Divinatrice. — I prelati astrologi. — Paz-
zie degli astrologi. — Conseguenze assurde dell' astrologia. — Il capitolo terzo del libro quarto del
Trionfo e la vanità e la superstizione dell' astrologia. — I corpi celesti non son causa diretta delle
umane intellezioni. — Ragioni. — I corpi celesti non son causa indiretta delle nostre intellezionii
nò delle nostre volizioni. — Kagioni. — Si ribatte l'opinione degli astrologi che vogliono il cielo
animato. — L' astrologia giudiziaria è cosa vana, ridicola e piena di superstizioni. — Conclusione
contro il Pastor.
Come il Pastor neiF epoca del risorgimento loda il bene che il Savona-
rola lodava e praticava, così biasima il male che il Savonarola biasimava e fug-
giva. Vediamolo per i due argomenti scelti: l'astrologia e la mancanza di spi-
rito ne' predicatori della parola divina.
Il Pastor nota a pagine 99-101 che « uno degli effetti più specialmente
pericolosi prodotti dall' antichità fu quello di aver comunicato (contribuendovi
anche le dottrine arabiche) al popolo del rinascimento la sua specie di super-
stizione: » e soggiunge « che la forma di superstizione più diffusa era nel popolo
del risorgimento 1' astrologia. Tutto il secolo XV e una parte del XVI sono do-
minati dalla credenza chimerica, potersi dalla collocazione dei pianeti fra sè e
rispetto al segno dello zodiaco stabilire il futuro.... Si aveva il saldo convinci-
mento che determinati pianeti esercitassero un influsso decisivo sull' uomo, il
quale fosse nato al tempo della loro azione condizionata dalle diverse costel-
lazioni.... In molte università insieme cogli astronomi erano speciali professori
di astrologia, i quali dettavano interi sistemi di questa scienza fantastica.
« In nessuna corte d'Italia mancava l'astronomo ; in certe, p. es., in Man-
tova, ve ne erano parecchi. Quasi tutte le serie deliberazioni de' governanti,
- 61 -
anche cose di poco rilievo, ad esempio: partenze di personaggi principeschi,
ricevimenti d' ambasciatori stranieri, il prendere una medicina, venivano sta-
biliti dopo aver interrogato le stelle. Fino i più arditi condottieri del secolo XV
come Bartolomeo Alviano, Bartolomeo Orsini, Paolo Vitelli erano tutti intima-
mente compresi dalle credenze nell' astrologia.... Perfino certi papi come Si-
sto IV, Giulio II e Paolo III s' inchinavano ai concetti del loro tempo. Il padre
Cristoforo Landini sperava sul serio di avere dagli astri notizia circa V avve-
nire della religione cristiana, il pio Domenico de' Domenichi tenne un'orazione
in lode e difesa dell' astrologia contro gli oppositori della stessa. Il dotto natu-
ralista e medico Paolo Toscanelli che viveva al pari di un santo asceta, ser-
viva a' Medici ed al governo fiorentino in qualità di astronomo.... Molti vive-
vano nella buona fede che si trattasse di una scienza sperimentale ben fondata
nella quale la tradizione avita fosse altrettanto sicura e intangibile quanto le os-
servazioni di Aristotile sugli animali. » Tutto questo e altro scrive nel suo vo-
lume il Pastor; e aggiunge che « soltanto singoli spiriti illuminali, come in ispe-
cie Pio II, si mantennero Uberi da ogni vana credenza; » e accennato al vano
tentativo fatto per debellare simile superstizione dal Petrarca, diceche resterà
per sempre memorabile lo scritto che contro gli astrologi diresse Pico della
Mirandola; e dà lode a' predicatori che la confutarono: San Bernardino da
Siena, Antonio da Vercelli, Boberto da Lecce, Gabriele da Barletta: ma tace
assolutamente di Fra Girolamo. È giustizia? Se il Pastor avesse letto le predi-
che e le altre opere del Frate, egli si sarebbe persuaso che nessuno forse degli
autori citati si mostrò avverso all' astro^gia quanto Frate Girolamo, e avrebbe
potuto compiacersi di vedere in Firenze, dove aveva avuto, più che altrove, il suo
regno questa vanissima superstizione, ed era forse sorto, come egli dice « un tipo
determinato di figure planetarie > figlio di quella, era pur sorto a debellare com-
pletamente tali ridicolaggini un severo oratore cattolico, un oratore tutto pu-
rezza di religione; e avrebbe quindi potuto chiarire, meglio eh' egli non faccia,
contro coloro che vogliono il Savonarola precursore di Lutero, quanto il
Frate di San Domenico fosse geloso del libero arbitrio, e combattesse tutto
ciò che mirava in qualsivoglia forma a diminuire la potenza e la forza di
questa nobile virtù eh' è in noi principio prossimo del merito: avrebbe
veduto che Fra Girolamo doveva annoverarsi, come Pio II, fra i singoli spiriti
illuminati, che si mantennero puri da ogni vana credenza; e così avrebbe ri-
sparmiate molte espressioni e molti giudizj che paiono fare di Fra Girolamo un
uomo ridicolo, esaltato e superstizioso.
Le benemerenze del Savonarola nella guerra all'astrologia noi crediamo
che siano singolari; e che 1' opera sua meriti uno studio a parte, nè sappiamo
se alcuno l'abbia fatto di proposito. Qualora questo studio si facesse, apparirebbe
sempre meglio che il Frate di San Domenico cadde, perchè fu troppo superiore
all'età sua; dico troppo superiore, perchè sinceramente cristiano in un secolo
paganeggiante in religione, in filosofia, in teologia, in lettere, in arte, in mo-
rale, in politica: fu asceta purissimo in un' età avidissima di beni e di piaceri
terreni; fu umilissimo in un'età avida di gloria, di superbia della vita; e fu
— 62 —
sinceramente cristiano e non potè cadere in superstizione di sorta alcuna,
sempre per la medesima ragione, eh' egli, come dice nel libro I dell' Astro-
logia diviìiatrice, credeva che « Il fondamento della religione cristiana è la
Sacra Scrittura del Nuovo e del Vecchio Testamento , la quale siamo
obbligati a credere esser vera insino a un minimo iota e dobbiamo approvar
tutto quello che lei approva, come quella che è fatta da Dio, il quale non
può errare: » fu purissimo asceta, perchè, come dice negli Scritti Inediti,
voleva che la Scrittura si spiegasse come fecero i Padri e i Dottori, e se-
gnatamente San Tommaso, che fu il vero suo maestro dopo Cristo: e non
cadde in superstizioni di nessuna sorta, perchè « quanto al culto divino »
come dice nella conclusione prima della Semplicità della vita cristiana, « onorava
Dio intrinsecamente per fede, speranza e carità; estrinsecamente con quel modo
e secondo quel rito il quale Cristo, gli Apostoli e i nostri Santi Padri e la Ro-
mana Chiesa hanno ordinato. » Se, quando penso a Fra Girolamo, mi appare,
per le sferzate che dava al vizio, veramente, come egli si diceva da sè, una gra-
gnuola grossa grossa; allorché penso alla purezza della sua fede e della sua asce-
tica nel tempo che visse, mi appare come sole che alto splende sulla infelice
età sua ridicola, superba, piena di superstizioni pagane ed arabe!
Chi sa che un giorno non prendiamo la penna per iscrivere anche del-
l'astrologia secondo il nostro Frate! Il farlo, del resto, sarebbe facilissimo;
chè Girolamo Savonarola non solo predicò, (l) e scrisse qua e là contro le
scienze occulte; ma tra le opere di lui non tiene l'ultimo posto il trattato
contro l' Astrologia diviìiatrice composto l'anno 1495; acciocché, come egli
stesso dice nel cap. Ili del Trionfo, libro IV, ognuno intenda la vanità di
questa superstizione.
Quello che vuoisi notare in modo speciale si è, che il Savonarola com-
batteva l'astrologia sotto ogni rispetto e perciò anche nel senso in cui il Pa-
stor la vede considerata dal Pontano, che « cercava di risapere non tanto il
futuro, quanto piuttosto la disposizione dell'uomo e l! influsso che la natura
su di lui esercitava. Il convincimento che un unico indissolubile nesso cau-
sale congiunge nell' universo le cose dalle più grandi alle minime, e che
f uomo non ne vada esente, e che al suo nascimento ed ulteriore sviluppo
concorrano da parte loro le forze di natura che lo circondano, era il motivo,
per cui anche gente di liberi pensamenti si dava allora all'astrologia » (pag. 101).
Procureremo di esser brevi su questa materia, sulla quale nondimeno
bramiamo dir qualche cosa; e dopo avere accennato il soggetto dell' opera
principale del nostro Frate contro l'Astrologia, raccoglieremo pochi pensieri
dalle prediche sopra Amos e poi accenneremo al contenuto del Cap. Ili del Li-
bro IV del Trionfo che è come un compendio di tutto ciò che rispetto al-
(') Per dare un'idoa della frequenza colla qualo Fra Girolamo Savonarola batteva
l'astrologia, notiamo che, fra le XXIX prodiche sopra Ruth e Michea, se ne occupano più o
meno estesamente le prediche IV, X, XII, XIV, XV, XXVI ed altre ancora. E con la stessa
frequenza ne parla il Krato nelle altre sue predicazioni.
— 63 —
1' Astrologia insegna il Savonarola, e che serve però anche da solo a darci
un saggio abbastanza completo delle idee del nostro filosofo in tale ma-
teria.
Nel trattato dell' Astrologia divinatrice, il Savonarola comincia col dire d'aver
sempre combattuto, predicando, questo errore come cosa vana e indegna del
nome di scienza o di arte. Ma porgendogli l'occasione il conte Giov. Pico della
Mirandola, torna volentieri su questo soggetto, dolente solo che quel grande uomo
del Pico non abbia compiuto l'opera sua, per esser morto nel fiore della sua
gioventù. Chiama 1' astrologia vanità indegna perfino d'esser riprovata da tanto
autore, e si accinge a confutarla scrivendo un'operetta per il popolo, mentre
l'opera del Pico è fatta più per i dotti. La divide in tre trattati. Nel 1° dino-
stra che l'astrologia divinatrice è dannata dalla dottrina cristiana, e prima di
tutto dalla Sacra Scrittura, poi dai sacri teologi, tra i quali cita San Girolamo,
San Basilio, Sant'Ambrogio, San Giovanni Crisostomo, Origene, San Gregorio
e in ultimo San Tommaso di cui cita la questione 95a, art. 5 della parte 11-11,
ove il Santo Dottore con profondissime ragioni prova esser vana e supersti-
ziosa la divinazione per mezzo, degli astri. Dall'autorità dei Padri e Dottori
passa alle ragioni teologiche dalle quali prova « cassa e vana » tutta la fatica
degli astrologi; quindi alle leggi canoniche da cui apparisce che la Chiesa
detesta tali divinazioni; e finalmente alle leggi civili dei tempi suoi. Nel 2° trat-
tato, per dimostrare che l'astrologia divinatrice o giudicatoria è dannata dalla
ragione naturale, comincia col riportare 1' autorità degli antichi filosofi, Aristo-
tile, Platone, Pitagora, Democrito, Piotine, Apulejo, Averrois e Avicenna. Sulle
ragioni di Aristotile si ferma assai il Savonarola e confuta tutte le obiezioni
che potrebbero farsi, ritenendo sempre per fermo ed inconcusso, col suo mae-
stro San Tommaso, potersi ben prevedere le cose future che già preesistono
in qualche modo nelle loro cause, ma non mai le cose contingenti che dipen-
dono dal libero arbitrio. (San Tommaso, P. I qu. 115 a. 4 ad 3m; I-II qu. 9
art. 5 ad 3m e II— II qu. 95 art. 1 e 5.) Questa dottrina così espressamente
contraria a un errore così comune doveva certo far molta impressione in quel
secolo superstizioso; e il dire: « Certo non possiamo avere esperienza alcuna
delle virtù particolari delle stelle » (Tralt. II, cap. Vili), doveva senza dubbio
esser tacciato di ardire soverchio da quei vanitosi scienziati del secolo XV.
Nel trattato 3° esamina 1' astrologia in se stessa e dimostra che i suoi fon-
damenti tutti vacillano; come siano vane le loro investigazioni del punto della
natività e delle operazioni umane; e dopo aver provato anche con esempj di
fatto la stoltezza delle loro investigazioni, risponde alle ragioni opposte ridendosi
anche delle loro vane pretenzioni. E curioso quel punto ove dice: « Certo non
credo che alcuno volesse navigare in mare dove fosse l'astrologo governatore,
se non avesse altro che l'astrologia; nè alcun uomo saggio darebbe la sua
possessione o le sue pecore al governo dell' astrologo che non avesse altra
dottrina che 1' astrologia (Tralt. HI, cap. 5°). » Chiude dicendo che « 1' Onni-
potente Dio ha ordinato come 1' uomo ha da imparare le scienze per via di
studio, e non si deve uscire dall' ordine dato da Dio, o naturale o sopranna-
— 64 —
turale. L' ordine naturale di queste cose è scritto dai filosofi e medici e dagli
uomini sapienti, i quali furono illuminati da Dio il quale illumina ogni uomo
che viene in questo mondo.... L' ordine soprannaturale è scritto nelle Scrit-
ture Sante e nella dottrina della santa Chiesa. Ciascuno dunque che, o per sa-
pere o per operare, va fuori di questi due ordini è ingannato dal diavolo e
procede vanamente. E così sembra ripetere con Dante:
» Uomini siate e non pecore matte....
» Avete il Vecchio e il Nuovo Testamento,
» E il Pastor della Chiesa che vi guida :
» Questo vi basti a vostro salvamento. »
{Parad. C. V.)
Piuttosto che alle predizioni degli astrologi vuole il Savonarola, innanzi
di intraprendere una cosa, che si corra « all' orazione, a raccomandarci a Dio,
dal quale procede ogni bene; » e se è necessario far previsioni umane, si fac-
ciano, ma « secondo la sapienza dei savj e secondo la prudenza donataci
da Dio. »
Nè meno espresse sono le censure che il Savonarola ripete contro gli
Astrologi ne' suoi sermoni. Nella predica XVIII sopra Amos, egli si lamenta
con amare parole dicendo :
« Vedi che cosa pazza è questa, e dove è condotto il culto divino, che gli
è insino chi dice, che la religione di Cristo è fondata in sulla astrologia! E' fu
già un gran prelato che scrisse un libro, (io l' ho in cella) che dice che la
religione di Cristo è fondata in astrologia; e non è nessuno oggi che cavalchi
o vada a caccia se non a punto d' astrologia. Voi astrologi promettete cose
eccelse e cose grandi ai vostri padroni ; promettete pur assai, chè io vi dico
che presto sarete giunti alia rete insieme con loro ; voi avete guasto tutto
il mondo con la vostra astrologia, voi avete fatto venire i tiepidi. Lasciate an-
dare questa vostra astrologia, lasciate le false opinioni, ritornate alla vera fede:
ognuno ritorni a Cristo. »
E nella predica XXVIII commentando le parole di Amos: E se ascenderanno
fino in cielo, dice: « Quelli che vanno in cielo sono gli astrologi e quelli che gli
credono. Vedete, donne, che pazzi son costoro che stanno là, quegli astrologi, a
guardare il cielo e dicono ai signori : Su presto, presto, montate a cavallo, chè ora
è buon punto. 0 pazzo che tu sei! E sono poi questi i savj dell' Italia! Se tu
andrai adunque in cielo, dice Dio, io te ne caverò; cioè cerca quanta astrolo-
gia tu vuoi: chè se tu andassi in cielo e vedessi tutte le cause, non ti varrà
nulla. Guarda un poco, tu astrologo, la tua natività, e sappimi dire quel che
t' ha ad avvenire; tu non ti apporrai, ti so dire io.
« Nessuno può sapere le cose future contingenti, massime quelle che ap-
partengono al libero arbitrio se non Dio, o a chi Lui le rivela.
« Benché il cielo governi le cose temporali, non ha però forza sopra il li-
bero arbitrio, perchè i cieli sono corpi ed il libero arbitrio nostro è cosa spiri-
tuale. Sed corpus non agit in spiritimi; adunque i cieli non possono influire nel
— 65 —
libero arbitrio direttamente, ma bene hanno influenza sopra la parte sensi-
tiva. L' uomo dunque è sempre libero, sia disposto il cielo come vuole, onde
dice Tolomeo: Sapiens dominabitur astris. E però le cose contingenti future
procedenti dal libero arbitrio non possono sapersi per gli astrologi, ma solo
le sa Dio e colui a chi Lui le rivela.
« Il cielo non opera nel libero arbitrio dell'uomo, e le cose contingenti fu-
ture non si possono sapere per virtù del cielo, come dicono gli astrologi, ma
solo è Dio quello che le sa rivelare a chi gli piace: e però dice Iddio agli idoli
e demoni de' gentili in Isaia: (cap. XLI) « Annunziate le cose future e
sapremo che voi siate dèi. »
Ma è tempo che passiamo al capo III del libro IV del Trionfo della Croce,
nel quale il Savonarola vuole appunto dimostrare che «le tradizioni degli astro-
logi sono al tutto inutili e superstiziose. » Premette il Frate una breve descrizione
dell' astrologia, e del fine che li astrologi si propongono; e poi si fa a combattere
queste superstizioni con molte ragioni. « Gli astrologi stimano che le cose
umane sieno governate dal cielo e dalle stelle, facendo il cielo quasi dio no-
stro. Ma errano di grosso ed è facile provare con forti ragioni che i corpi
celesti non sono causa delle cose che fa 1' uomo mediante l' intelletto e la
volontà. »
Per provare il suo assunto stabilisce questi principj: « Secondo l'ordine
della natura le cose superiori non sono governate dalle inferiori.... Nessun
corpo opera se non per movimento, perciò le cose che sono affatto immo-
bili, come sono le incorporee, non possono essere soggette ai corpi. I corpi
non operano se non per il moto, ed è affatto necessario che 1' essere il quale
riceve l' impressione di un corpo, si mova. Del pari, i fenomeni che dipen-
dono da' moti del cielo sono soggetti al tempo: onde le cose che sono astratte
affatto dal tempo non sottostanno al cielo. »
« Ora l'intelletto nostro (soggiunge il Savonarola) è più perfetto di tutti i
corpi celesti, è più ampio del cielo stesso, è tanto più perfetto quanto più
astratto dai movimenti ed inquietudini, è superiore al luogo ed al tempo e
può estendersi alle cose immateriali fino a Dio. Da questo deriva che i corpi
celesti non possono esser causa diretta del nostro intendere e del nostro
volere.
< Ma neppure posson esser causa indiretta, perchè un atto che procede da
un'impressione estrinseca non è volontario, e la volontà non è soggetta ad al-
cuna virtù corporale; essa è libera nel suo atto. »
Soltanto Dio muove la volontà; e come « dà immediatamente e propria-
mente 1' essere e 1' operare a tutte le cose, così muove l' intelletto nostro e il
libero arbitrio, ma lo muove sempre liberamente, perchè egli muove ogni cosa
secondo la sua condizione. >
E così da ambe le parti vien confutato quel vano sistema. No, l' ingegno
eletto e lo spirito illuminato di Fra Girolamo non si piegava. Egli aveva un
dogma troppo caro, e troppo spesso da' suoi avversarj e anche dai suoi loda-
tori dimenticato, il quale lo francava intieramente da' sofismi di questa specie
5
— 66 —
di astrologi. Tale dogma era il libero arbitrio, e quindi traeva una serie di ar-
gomenti diretti contro tali sofismi che fanno davvero meraviglia per i' ardore
e la forza.
Colla medesima forza di argomenti egli combatte altresì l'opinione di coloro
che volevano il cielo animato : ed è sempre più reciso neh' affermare contro
di costoro che 1' uomo è signore delle sue operazioni; come è del pari reciso a
negare che il cielo e le stelle, o 1' anima di esso cielo sia Dio. « Dunque » dice
il Frate, « tutto il culto, il quale è stato instituito in onore del cielo e delle
stelle o dell'anima di esso cielo, è vano e pernicioso; perchè tali corpi sono
ordinati al servizio dell' uomo, e niuno deve onorare quella cosa che è ordinata
al suo servizio. E di qui si manifesta la vanità degli astrologi, i quali attribui-
scono al cielo il governo delle cose umane; e per 1' osservazione delle stelle
vogliono reggere gli uomini. »
Ciò fatto, il Savonarola viene anche in questo capitolo a combattere l'astro-
logia giudiciaria o divinatoria, che è la specie eh' egli pigliava di mira più so.
vente nelle sue prediche., e eh' è forse ancora la più superstiziosa e nociva, e
quella che meglio favorisce la superbia umana contro la Sacra Scrittura e le
profezie.
In questa parte, per cui rimandiamo i nostri lettori al capitolo citalo, il
linguaggio del Frate è maggiormente colorito; il che dimostra appunto quanto
egli si fosse mantenuto puro da quella superstizione e la sdegnasse negli altri.
Eppure per darsi a credere vero profeta, qualora non avesse avuto buoni mo-
tivi per credersi tale, se non fosse stato più che cattolico, avrebbe potuto trar
profitto da quel comunissimo errore e riuscir facilmente a persuader il popolo
sulla sua profetica missione e a confermare le sue predizioni. Ma la verità non
fa pace mai con errore di nessuna sorta; ma lutti gli errori combatte egual-
mente e di tutti trionfa.
Chiudiamo questo capitolo sicurissimi che al Frate diSanMarco sarà resa giu-
stizia dai lettori, i quali riconosceranno, che tra i difensori della buona filosofia
e della fede cristiana contro l'astrologia del secolo XV, egli vuole e reclama un
posto segnalato: il Paslor non glielo assegna nella sua storia. Se il grande Pico
della Mirandola, come dice lo storico d'Innsbruck, resterà per sempre memorabile
per lo scritto che diresse contro gli astrologi, il quale, come afferma il Frate di San
Marco, « elegantemente e con grande sottilità ed efficacia l'ha annichilata l'astro-
logia, » memorabile eziandio deve rimaner nella storia il nome di Girolamo Savo-
narola, che in corroborazione delle recitazioni astrologiche del Pico scrisse la sua
interessantissima opera sull' astrologia e non cessò mai dal pergamo di com-
batterne gli errori. 11 Pastor, non collocando il Savonarola al luogo che gli
compete, nuoce alla verità slorica e alla giustizia, di cui pur egli si mostra tanto
amante. Il Pastor non ha saputo conoscere i meriti del Savonarola; se li
avesse conosciuti, certo l'avrebbe collocato con Pio II fra i singoli spiriti
illuminati che si tennero liberi da ogni vana credenza; e piuttosto che rega-
largli tanti infelici epiteti, piuttosto di vedere in lui un uomo che subisce l'in,
flusso di sognate visioni e rivelazioni (pag. 143), avrebbe stimata assai provvi-
deliziale la sua presenza e la sua dottrina nel secolo XV, e assai opportuno
il ridestarne la memoria in questa eia quanto priva in molti di vero spirito
cristiano altrettanto proclive alle superstizioni diaboliche. E se gli scrittori e
gli oratori cattolici che s' accingono all' opera salutare di ricondurre i popoli a
Gesù Cristo unissero alla dottrina lo spirito e lo zelo ardente del Savonarola,
svanite le nuove superstizioni, quanto non guadagnerebbe allora il Cattolicismo,
e quanto non perderebbe il Protestantesimo e il Paganesimo rinascente!
Vili.
Sul metodo di predicazione di Girolamo Savonarola.
i.
COME IL SACRO PREDICATORE DEVE ESSER COMPRESO DI CARITÀ CRISTIANA
E D'AMORE A NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO.
Sommario.
La predicazione nel secolo XV e il Pastor. — Un' asserzione intorno al Savonarola vera solo per metà. —
Nel Savonarola noi vediamo le qualità dell'ottimo predicatore. — Nuova pena che il Pastor non
abbia studiato nel Savonarola. — Quali effetti avrebbe potuto produrre il Pastor facendo il ri-
tratto dell'Oratore Fiorentino. — La Lettera circolare sulla sacra predicazione emanata viva e
intiera da Fra Girolamo. — Un bel tema. — Alto concetto del ministero del Predicatore secondo
la S. Congregazione de' Vescovi e secondo Girolamo Savonarola. — Qualità richieste al Sacro
Oratore. — Il Pastor che pare dimentichi se stesso. — Fra Girolamo maestro e modello di pietà
cristiana. — Fra Girolamo esemplare d' amore a Cristo. — Alcuni passi fra i mille. — Le poesie
di Fra Girolamo, slanci d' amore al Crocifisso. — Zelo di Fra Girolamo della gloria di Dio e della
salute delle aDime. — Affettuosa e santa lettera del Savonarola alla Madre non intesa dal Pastor.
— Dne asserzioni in una pagina del Pastor che non s' accordano insieme. — La pietà di Fra Gi-
rolamo risplende nella sua vita esteriore. — Vero spesso inculcato dal Savonarola. — Non può
insegnare la vita spirituale agli altri, chi prima non la pratica. — Alcuno testimonianze. —
L' edificazione cristiana e il Savonarola. — Singolarità del Frate di San Marco. — Testimonianze
del Pastor. — La vita e la dottrina del Savonarola sono una cosa. — Conclusione.
11 Pastor nell' introduzione del suo libro, parlando de' missionarj e de'pre-
dicatori di penitenza all' epoca del risorgimento, dice che Girolamo Savona-
rola univa in sè « molte delle cattive e buone qualità della predicazione di al-
lora sviluppate in sommo grado » (pag. 122).
Noi al contrario non pur molte delle buone qualità che si rinvengono
ne' missionarj e ne' predicatori di quel tempo, ma tutte le qualità dell' ottimo
oratore facilmente troviamo in Fra Girolamo e sviluppate davvero in sommo
grado, e non ci riesce gran fatto di scorgerne delle cattive, e tanto meno quelle
che vi trova il Pastor come vedremo in seguito.
Anzi qui più che mai ci duole che il Professor d' Innsbruck scrivesse
fidandosi meglio negli altri, che in se stesso. Se egli avesse ricercato le Opere
— 69 —
di Fra Girolamo, il suo volume sarebbe stato più completo, e il suo disegno
molto meglio colorito. Per lui cattolico, e che sa tanto rettamente ammirare il
bene e ribattere il male nell' epoca del risorgimento, sarebbe slata una vera
fortuna il trovare un modello d' oratore sacro corrispondente in modo perfetto,
per quanto gli uomini possono, e per quanto si poteva in quell' età, ai desiderj
della Chiesa e alle prescrizioni de' Pontefici e de' Goncilj che vennero poi.
E descrivendocelo, come la sua penna sa fare, avrebbe rallegrato non poco
il suo spirito e lo spirito de' buoni, e confuso i tristi che in quel tempo non
sanno vedere se non male o poco bene misto a moltissimo male. Se la scuola
di Fra Girolamo fosse stata seguita, noi non avremmo avuto bisogno delle pre-
scrizioni di Leone X e del Concilio lateranense, nè forse delle ultime emanate
dalla Sacra Congregazione de' Vescovi, per ordine di Leone XIII. Quando io
lessi la « Lettera circolare della Sacra Predicazione ermnata d' ordine di
Sua Santità Leone Papa XIII dalla Sacra Congregazione de' Vescovi e regolari
diretta a tutti gli ordinar] a" Italia ed ai superiori degli ordini e congregazioni
religiose, » (') fui preso da non poca meraviglia; imperocché mi parve eh' essa
esprimesse vivo e intiero il concetto di Fra Girolamo! Certo le opere di Fra Gi-
rolamo, come sembrano un ampio commento alla Enciclica di Leone XIII
sugli studj della Sacra Scrittura, così sembrano ancora un ampio commento
di questa lettera: e il Savonarola stesso si potrebbe portare a modello e ad
esemplare de' veri inculcati dal savissimo documento. Non v1 è un concetto in
questo mirabile scritto che non si trovi espresso e messo in pratica da Fra
Girolamo.
La sacra eloquenza e Girolamo Savonarola sarebbe un tema altissimo e
amplissimo. Esso potrebbe riuscire un completo trattato di sacra eloquenza e in
questi tempi recare nel clero frutti eletti e copiosi. Il Savonarola è uno de' più
perfetti modelli di predicatore cristiano. Certo, se rivivesse lo spirilo di questo
Frate, le eccitazioni de' Pontefici Clemente X, Innocenzo XI, Innocenzo XIII,
Benedetto XIII, e quelle di Leone XIII non avrebbero bisogno di essere ripe-
tute più oltre, ma sarebbero senza meno seguite e praticate con immenso van-
taggio della morale e della fede. E come ci sarebbe caro svolgere qui ampia-
mente quest' argomento! Il dover essere brevi ci è più che mai fatica. Ad ogni
modo ci restringeremo a pochi raffronti tra la lettera ora citata e le parole del
Frate di San Marco; e così apparirà quanto siasi dipartito dai suoi stessi in-
tendimenti il Pastor non celebrando come si conveniva l'eloquenza dell'ar-
dente Domenicano, e quanto abbia nociuto alla verità col maltrattarla come
ha fatto.
La Sacra Congregazione de'Vescovi parte da un nobile concetto dell'ufficio
del predicatore, e mette per principio di quanto insegna 1' altezza del ministero
della predicazione cristiana. E certo non s' inganna chiamando grande e santo
il ministero della divina parola. Anzi non v' è cattolico che non veda chiaro
eh' essa dice ottimamente. Ma noi crediamo che pochi abbiano conosciuta e cele-
(') 31 luglio 1891.
— 70 —
brata questa verità meglio di Frate Girolamo: «L'ufficio e ministero del predi-
catore (dice egli nella XIV sopra Ezechiele) è tale e tanto, che in questo mondo
non si trova alcuna dignità o ministero più eccellente. E questo si prova con
molte ragioni. E prima, la eccellenza dell' uomo in quanto F uomo è la parte
intellettiva, e la maggiore eccellenza della parte intellettiva è la sapienza;
onde dice Salomone: Beato l' uomo che trova la sapienza, ecc. Dì adunque
così: Ogni ufficio è più degno quanto ministra cose più degne; ma così è
che la predicazione ministra la sapienza, la quale è degnissima; adunque l'uf-
ficio della predicazione è più degno di tutti gli altri. E non ministra la pre-
dicazione la sapienza de' filosofi, ma la sapienza di Dio, che è un infinito
tesoro; adunque tanto è più degna. Inoltre, tutte le potenze dell'anima sono
ordinate agli atti suoi come a fine, come è la potenza visiva al vedere ecc.; e
l' abito è ordinato alla operazione come a fine e perfezione. Quelle virtù
adunque che sono ordinate a più perfetta e più nobile operazione sono più
degne. Ma il ministero della predicazione è ordinato alla più perfetta; adunque
è il più degno. Mostrasi la predicazione essere ordinata alla più nobile ope-
razione, perchè è proporzionata alla più nobile operazione, la quale, dice
Dionisio, Dio fa negli angeli: cioè purgare, illuminare e accendere. Così
fa la predicazione negli uomini. Adunque è ufficio degnissimo. Inoltre la
più nobile causa si conosce per la nobiltà dell'effetto; ma così è che il
più nobile effetto, che sia nel cristiano, è la buona vita; e di quella è causa
la predicazione. Adunque è degnissima. Parimente, come nella Chiesa trion-
fante sono distinti gli ordini, e i più nobili ordini hanno più nobili ufficj;
così nella militante. Ma così è che nella trionfante sono gli ufficj di pur-
gare, illuminare e perfezionare; e quegli angeli che hanno tutti questi ufficj
sono i superiori, e i serafini; e questi medesimi ufficj ha il predicatore; adun-
que è il supremo ufficio nella Chiesa. Inoltre l'infimo dell' ordine superiore tocca
il supremo dell'inferiore; ma così è che le illuminazioni vengono dagli angeli
in questo mondo; e il predicatore è quello che tocca l' infimo angelo per la il-
luminazione che riceve. Adunque il predicatore è il supremo dell' ordine infe-
riore, cioè della Chiesa. Parimente, quel ministero che è stato più eccellente
ne' primi e supremi che sono stati nella Chiesa, è più degno. Questo è stato
ufficio de' primi, cioè degli Apostoli, che sono i supremi. Adunque questo è il
più degno. E benché gli Apostoli fossero mandati a battezzare, tuttavia il principale
fu questo della predicazione. (l) Parimente, quelle opere, che sono ordinate alle
cose spirituali, sono più eccellenti, che quelle che sono ordinate alle tempora-
li; e quelle che sono ordinate alle più spirituali, più che quelle, che sono
ordinate alle manco spirituali. Ma così è che la spirituale operazione è co-
noscere, ed amare Dio, alla quale è ordinata la predicazione. Adunque la
predicazione è ufficio eccellentissimo. E se tu dicessi: adunque 1' ufficio del
predicare è più degno di quello del Papa, e de' prelati, ti rispondo, che l'ufficia
(') Cf'r. S. Tommaso, Somma Teol, p. Ili, qu. 67, art. 1 ad lm, e art. 2 ad lm.
- 71 —
del Papa, e de' Vescovi è primo e proprio il predicare ('); ma perchè l'hanno la-
sciato, Dio ha mandato i frati, e non è proprio nostro ufficio. *
I passi analoghi al presente nelle opere del Savonarola sono moltissimi e
tutti assai belli e molto sentiti; ma è inutile che ne trascriviamo altri: il tra-
scritto basta a mostrarci ad evidenza che il Savonarola aveva un concetto tale
del ministero della sacra predicazione, che nessuno può averne uno più grande
e più santo. Del resto, andando innanzi, questo punto si completerà da sè spon-
taneamente per le cose che avremo da dire. Posto questo principio, la Lettera
circolare passa subito a discorrere delle qualità richieste al sacro oratore. La
prima cosa adunque per la sacra eloquenza richiesta dalla Congregazione si
riferisce alle qualità del predicatore, insegnando essa che non si deve mai af-
fidare un ministero sì santo a chi non sia fornito di vera pietà cristiana e com-
preso di grande amore a nostro Signor Gesù Cristo, senza del quale il predica-
tore non sarebbe mai altro che un bronzo sonante e un cembalo squillante; nè mai
potrebbe avere quel vero zelo della gloria di Dio e della salute delle anime,
che dev' essere il solo movente e il solo fine dell' evangelica predicazione.
Di questo è certamente ben persuaso il Pastor; e appare chiarissimo da
tutte le sue opere, non che dal volume che abbiamo per le mani, e segnatamente
dalla compiacenza che mostra di provare citando le analoghe disposizioni del
ConcilioLateranense.Ora si potrebbe dubitare che queste qualità fossero in grado
eminente in Fra Girolamo?! Ma come fa pena il Pastor allorché parla della fuga
dal secolo di Girolamo Savonarola, dell'opuscolo del Disprezzo del mondo (tratto
quasi per metà dalla Sacra Scrittura), della lettera a'genitori, della canzone De
mina Ecclesice! ! Qui doveva egli vedersi aperta la via per giungere alla cono-
scenza di un' anima tutta infocata d'amor divino, tutta presa da zelo per la Chiesa
di Cristo, tutta fervente nella via della perfezione; e invece non vi scorge altro
che zelo appassionato, che fa esagerare il male del mondo, nè lascia vedere il
bene, zelo eccessivo...! Francamente, a noi qui e nei luoghi analoghi del Pa-
stor, non par più di leggere uno scrittore intieramente cristiano cattolico, come
è lo storico de' Papi, ma invece uno educato alla scuola moderna dell'incredulità;
e quasi dissi che mi par di leggere non un libro grave, ma un giornale qualsiasi.
Il Pastor qui e ne' luoghi analoghi ci pare che abbia dimenticato se slesso. A noi
parve sempre che dall' opuscolo del Disprezzo del mondo, lasciato a' parenti
per confortarli della sua partenza, fino all' Esposizione del Miserere, e alla Me-
ditazione sopra il Salmo In te, Domine, speravi fatta in carcere per conforto
dell'anima sua e troncatagli a metà dal carnefice, le opere del Savonarola non
avesser parola che non fosse del tutto pietà cristiana e amor a Cristo e al pros-
simo. Che pagine si potrebbero trascrivere qui! E quali cose non si avrebbero
a dire! Sentiamo però di esser del tutto impari all'argomento, e cederemmo
davvero molto volentieri la penna ad un'anima pia grande e adulta nell'amore
delle cose celesti.
Quanta e quale fosse la pietà cristiana di Fra Girolamo appare assai
(') Cfr. S. Tommaso, 1. e, qu.71, art. 4 ad 3m.
— 72 —
chiaro da' suoi biografi, anche da' suoi avversar)' ; e ce lo mostrano ad evi-
denza le sue opere spirituali : la Semplicità della Vita Cristiana, la Rególa del
ben vivere cristiano ; i trattati : De' sette gradi pe' quali si ascende alla sommità
della vita spirituale ; dell' Umiltà ; del Sacramento e de' Misteri della Messa ; del-
l' Orazione: le Regole convenienti per orare nel tempo della tabulazione; dell' ora-
zione mentale, e molte e molte sue lettere e segnatamente: Della mutua ca-
rità e de' progressi nella perfezione, ad un religioso di San Marco ; Come bisogna
esercitare la carità secondo V ordine della divina provvidenza ; Sopra i tre voti
della vita religiosa, alla contessa della Mirandola; le Regole utili a tutti i re-
ligiosi, dell' esame di coscienza, all' abbadessa delle Murate. — E scritti simili a
questi citati, e fatti come essi sono, non possono uscire se non da un' anima
che conosca la vita cristiana non solo per istudio, ma pur anche per averla
praticata e per aver conseguito 1' abito del ben vivere. E perciò, anche se non
avessimo notizia precisa d' altronde, basterebbero questi scritti a mostrarci
Girolamo Savonarola adorno della pietà cristiana in sommo grado. Non è il
caso che ci tratteniamo più oltre a parlar di questo. Col tempo, se piacerà a
Dio, estrarremo dalle Opere del Frate un manuale per le anime pie e devote,
ed allora apparirà (speriamo) assai chiaramente la bellezza dello spirito del
Savonarola, e si vedrà che quanto di più fervido e delicato vanti 1' ascetica
nostra si trova tutto negli scritti di quest' insigne predicatore.
E dell' amore che Fra Girolamo aveva a Cristo che diremo? « Ecco il no-
stro Re alla destra del Padre: suoqa la cetra e canta le lodi del Re; Specioso
iti bellezza sopra i figliuoli degli uomini; la grazia è diffusa sulle tue labbra,
per questo ti benedisse Dio in eterno. Signore, tu se' specioso, tu se' bello sopra
tutti gli uomini, tu m' hai innamorato con la tua bellezza. Io voglio cominciare
a raccontare dal primo punto che io m' innamorai della tua bellezza: io con-
sideravo, che i filosofi volevano sapere la tua bellezza e vedevan le creature
quanto eran belle, e dicevano: Quanto adunque deve essere la bellezza di Dio!
E essa come la terra? no ; è essa come 1' aria e il fuoco? no ; è essa come un
bell'uomo, una bella donna? no; è essa come il cielo, come le stelle? no.
Finalmente dicevano, eh' essa era molto più grande per eccellenza.
« Io 1' aveva studiato questo punto tra questi filosofi, non potetti però mai
allora intendere la tua bellezza, ma poi che io ho considerato che tu hai voluto
mostrarla nella bruttezza, io l'ho intesa meglio nella causa vile che non la in-
tendevo per 1' eccellenza delle creature. Tu sei voluto, Signore, entrare nella
fragilità della carne e in questa bruttezza; e questa ha tirato i cuori umani ad
amare la tua bellezza e per questa bruttezza hanno conosciuto le cose sopra
natura. Non sono stati questi cento, non mille, non diecimila; ma centomigliaia
e più milioni, piccoli, grandi, cristiani, giudei, pagani e di ogni generazione; tutti
sono stati uniti ad uno; e hanno voluto lasciarci la pelle e sono morti con in-
finito gaudio. Cedono adunque a te tutte le bellezze, io non voglio vedere più
cosa bella se non te, Signor mio; tu hai mostrato la bellezza in ogni cosa; una
donna bella è sempre bella, o sia ornata o no. Voglio adunque dire, che per
certo tu devi essere una bella cosa nella tua bellezza, poiché tanto sei bello e
tanto piaci nella tua bruttezza, cioè in sul legno della Croce; e così tu, Signore,
insino nella bruttezza hai mostratola bellezza. E questa è la laude che io ti ho
voluto cantare stamane. Tutti gli uomini per natura desiderano di sapere: o Si-
gnore, tutti gli uomini cercano di sapere e d' intendere, ma dovrebbero cercare
la tua sapienza. Lucifero non conobbe la tua sapienza; ma volendo conoscere
la sua, fu fatto infelice. Adamo volendo gloriarsi nella sua sapienza, perdette la
tua e la sua. I filosofi cercarono sapienza, e restando nella loro, perdettero l'una
e l'altra. Di questa sapienza adunque che n' hai tu fatto, Signore? tu se'venuto ed
hai fatto a rovescio, cioè che noi comprendiamo la tua sapienza per la stoltizia
della Croce: tu hai tolto la stoltizia della predicazione e della croce e l'hai
rivoltata in sapienza. Tutti quelli che ti hanno seguito hanno trovato tanta sa-
pienza in questa Croce, che sono stati i più savj uomini del mondo, perchè
hanno avuto con questa sapienza la grazia. I filosofi non poterono avere mai
grazia nella loro sapienza, le poesie non hanno mai avuto grazia, ma solo la
tua incarnazione portò la grazia. Il Signore è fatto uomo, Dio è diventato
uomo; io confesso, io lo testifico qua a tutto questo popolo, che Dio è uomo,
e la prima causa è uomo. Innanzi all'avvento tuo, non fu grazia; ma dopo la
tua fede, è venuta a noi ogni grazia. Diffusa è la grazia sulle tue labbra, e però
ti ha benedetto il Signore in eterno : questa è stata cosa mirabile, che tu hai
fatto a rovescio della sapienza de' filosofi. La più nobile causa suol fare più
nobil effetto ; ma tu hai presa la infermità umana, e una cosa vile, e hai
vinto con essa tutto il mondo. Tu hai vinto gì' imperatori. Tu ti sei lasciato
ammazzare, e morendo tu hai vinto. Tu hai comandato a'tuoi servi che si lascino
percuotere e ammazzare, e l'hanno fatto. 0 Signore, vincest egli a questo modo?
tu hai voluto vincere a rovescio delle altre vittorie, e però tu sei più savio
d' ogni altro savio, e sei lodato e benedetto in eterno. Cingi a' tuoi fianchi la
tua spada, o potentissimo. La spada tua è il verbo tuo, col quale vincesti il
mondo nella fragilità della carne, morendo in essa. Vien qua giudeo; tu adori
un altro Dio; se egli è un altro Dio che questo, egli non può essere Dio; ecco
la ragione: Costui ha vinto il tuo Dio; adunque questo è il vero Dio. Tu non
puoi comparire giudeo: così voi, Pagani, non potete comparire, perchè questo
Dio ha vinto i vostri idoli, andatevi adunque ad ascondere. Ecco adunque qua
la lode tua, Signore; io ti ho lodato nella tua bellezza, nella tua bontà, nella tua
sapienza....
« 0 cristiani, se noi pensassimo alle lodi del Signore, e volessimo pigliare
un poco di fede, e considerare questa incarnazione, certo saremmo felici !
Che vogliamo noi fare più di questo mondo? Abbracciamo la Croce, questa
è la sapienza, questa è la bellezza, questa è la bonlà; ogni cosa sta qua den-
tro. 0 Signore, quanto sei tu grande! Piglia la spada tua un'altra volta po-
tentissimamente, come tu hai fatto per il tempo passato; piglia la spada del
verbo tuo. Venne quel Maometto che avea la spada, e non si lasciò ammaz-
zare come te; Iddio permise che quei popoli lo seguitassero per il peccato della
loro superbia. Vieni adunque, o Signore, con la spada tua potente e 1' uno po-
tentato cacci l'altro, e poi verrai con la spada del verbo tuo. Deh! Signore,
— 74 —
dimmi, quando tu ricomperasti il mondo, meritava egli che tu fossi morto per
lui ? Tu facesti bene al mondo, non per i suoi meriti ; ma per tua bontà. Io
mi volto a voi, santi, io dico a voi, martiri, non per vostra bontà, no, ma
col braccio del Signore avete guadagnato il Paradiso, e per sua grazia.
Così fa' adesso a noi, Signore, vien fuora con quel Crocifisso e mostralo a
tutto il mondo. Con la tua speciosità e bellezza tendi V arco. Mostra questa
bellezza tua, risguarda un poco questa Italia, risguarda un poco Firenze e
vogli infondere la tua grazia. Avanzati felicemente. Manda innanzi quest' opera;
fa' che la proceda infino fuor dell'Italia. Regna, Signore, in noi; governa il
cuore de' tuoi eletti. Per la verità: Vieni, Signore, con quella tua sapienza tanto
amata. Tu sei nato per la verità, venisti nel mondo per far testimonio alla ve-
rità. Vieni, Signore, con quella Croce, vieni con quella stoltezza tanto savia, e
mostra la tua verità. E per la mansuetudine e la giustizia: Mostra ancora, Si-
gnore, la tua mansuetudine, la quale fu tanta ne' tuoi santi, che vollero morir
per te: fa' cosi adunque in questi altri. E a cose mirabili ti condurrà la tua
destra. La tua destra e la tua potenza mirabilmente estenderà il tuo nome in
Italia e fuori dell'Italia. Le tue saette penetranti passeranno i cuori de' nemi
del re: Vieni, Signore, con le tue saette, cioè con le tue parole, e cen le tue
sentenze, che penetrano i cuori e ammazzeranno gli adulteri, che li tireranno a
te, e ammazzeranno i pagani, che li tireranno alla fede. 1 popoli cadranno a' tuo'
piedi. I popoli ti adoreranno: vieni a regnare, Signore, tu, chè il diavolo regna
per tutto il mondo. Non voglio più sapienza de' filosofi; non più retorica, vogliamo
ma vogliamo che tu sia il nostro Re. » (Sopra Amos e Zaccaria, XXXVIII.)
« Che è Vuomo che tu di lui ti ricordi? 0 Signore, chi è questo uomo però? chi
siamo noi, che tu ti ricordi così de' fatti nostri? che merito è il nostro, Signore,
che tu sei venuto a visitarci? perchè hai tu fatte queste cose a noi? Od il
figliuolo dell' uomo che tu lo visiti? Signore, chi è il figliuolo dell' uomo? egli è
il nostro Gesù Cristo: tu lo hai fatto Re degli angeli questo uomo, tu l'hai fatto
Re dell' universo. Angeli, voi non vi potete gloriare che il vostro Dio sia angelo;
ma noi ci possiamo ben gloriare, che il nostro e vostro Dio sia uomo. Angeli,
adorate quel]' uomo ; o cherubini, o serafini, adorate quell' uomo ; o troni, o
potestà o dominazioni, inginocchiatevi tutti, e adorate quest'uomo.Lo hai fatto
per alcun poco inferiore agli angeli. Signore mio, egli è vero che hai minuito un
poco questo uomo dagli angeli in questo, cioè che fu passibile, e gli angeli
non son passibili. Lo hai coronato di gloria e di onore, e lo hai costituito sopra
le opere delle tue mani. Ma poi che egli ebbe patito, tu lo facesti glorioso e lo co-
ronasti della tua gloria, e Io hai messo sopra le opere tue, sopra i cieli e sopra
gli angeli. Tutte quante le cose hai soggettate a1 piedi di lui, le pecore, i bovi e tutte
le fiere della campagna. Tu hai messo ogni cosa sotto la sua potestà, tu l'hai
fatto Signore del tutto, tu gli hai soggetto le pecorelle, e gli agnellini, che sono i
buoni uomini e i buoni fanciulli. E i bovi, che sono i buoni predicatori, che hai
soggetti a questo Re. E le fiere della campagna. Tu hai ancora soggetto a que-
sto uomo le pecore del campo, cioè quelli che vanno per la via larga come cam*
po, cioè li scellerati peccatori, lussuriosi, avari, e li altri cattivi tutti sono sog-
— 75 —
getti a questo Re. Gli uccelli dell' aria e i pesci del mare, i quali camminano le
vie del mare. Gli uccelli e i pesci del mare ancora hai soggetti a questo uomo;
gli uccelli sono i superbi che volano per aria come uccelli: i pesci del mare
sono gli avari che vanno circondando tutte le vie per acquistare roba e da-
nari. Tutti costoro tu li hai sottoposti a questo Re, tu gli hai ancora soggetto
tutto l'inferno. Benedetto adunque colui che viene nel nome del Signore: Osanna
negli eccelsi: Benedetto sia tu, Re e Signor nostro, benedette le viscere della
tua misericordia, benedetta sia la tua mamma, nostra Regina. Signore io ti
raccomando la tua città, io ti raccomando questi fanciulli, io ti prego che ti
sia raccomandata questa opera, e che la mano tua sia oggi con esso loro in
questa Santa processione. Firenze, questo è il Re dell' universo, questo è vo-
luto ora diventare speciale tuo Re ; Firenze noi vuoi tu per tuo Re?... »
(Ivi, XL). (')
« Nota il luogo, nota il legno della Croce, nota bene questo luogo, nota
ove Dio è andato per te. 0 cristiani, notate bene questa Croce, notate bene
questo luogo: Può essere che i cristiani non pensino a questo beneficio che
Dio ha fatto all'umana natura? Va' qua, dico a questo Crocifisso, e nota bene
questo luogo e dì : Questo è il mio Dio che è voluto essere morto in questo
luogo per mio amore. Se tu vuoi confermarti nella fede, vai spesso al Croci-
fisso e dì : Questo è quello che ha insegnato il ben vivere; questo è quello
che ha spenta la idolatria; questo è quello che ha fatto ed insegnato la buona
legge; questo è quello che fa languire di amore.
« Ricordati, cristiano, della mia povertà, ricordati della mia passione, ricor-
dati dello assenzio e del fiele, e che io ho voluto morire per te. 0 massimo di
tutti i beneficj, o grandissima carità, per dar vita ad altri eleggere la morte per
sè! L' anima mia manca a considerare tanto benefizio, 1' anima mia languisce.
Vien qua, filosofo, guarda in questa Croce: tu vai cercando riposo, tu vai cer-
cando il fine dell'uomo, questo t'insegna la vita beata, qua dentro v'è tutta la
filosofia. L'amore di Cristo è tutta quiete. Tu vai cercando la quiete, nota
bene qua il luogo dov' è crocifisso Cristo, non si trova quiete se non qua.
Questo è il fine dell' uomo, questo è quello che ti fa solido in tutte le tribola-
zioni, per questo si disprezzano gli onori, per questo ogni ricchezza si disperge
e congregasi tesoro in paradiso e dassi alle cose superiori. Questo è quello che
noi predichiamo, noi predichiamo Cristo crocifisso, il quale è scandalo ai
cattivi e salute a tutti i buoni.
« Vattene a dormire ai piedi di questo Cristo e copriti col suo mantello;
1 mantello suo è la sua carità che copre ogni cosa. 0 che gran carità è que-
sta, esser voluto morire per te e non aver bisogno alcuno di te! Gettati dun-
que ai piedi suoi, abbraccia e bacia quelle piaghe, copriti col suo mantello, en-
(') Qui « la predicazione non andò più in là, perché a questa domanda tutto il popolo
•ispose con altissime voci di si, e che lo voleva per Re e ognuno gridò : Viva Cristo, e: Mi-
nericordia; e poi il Padre predicatore dette la benedizione; e ognuno si parti. • (JVofa di Lo-
•enzo V(oli). — Questi erano gli effetti dolle predicazioni di Fra Girolamo Savonarola!
tra e nascondili nelle sue viscere. Pensa alla sua grande carità e quella prega,
che ti dia la tua salute.
« Va'qua da questo Booz, il quale è ito a dormire appresso al monte de' ma-
nipoli, cioè nella sua Scrittura, dove è un monte di spighe e di sentenze. Leggi
la sua Scrittura, dove sono descritti i beneficj che questo nostro Salvatore ha
fatti all' umana natura. Pensa a questo: non aver mai in memoria se non Cri-
sto: abbilo sempre nel tuo cuore e dì : Che voglio altro che questo? Signore
mio, essendo tu quello che mi dai ogni cosa, io non voglio altro che te. Manda
giù, Signore, il tuo Spirito, riempi il core de' tuoi fedeli e rinnoverassi la faccia
della terra.
« Dove, se' tu, Signore? 0 Signore che stai tu a fare. 0 Signore, la terza
volta, dov'è il sangue tuo che tu hai sparso per noi? Non abbandonare il po-
polo tuo, la chiesa tua è già per terra. Tu se' pure la prima causa, tu hai
fatto tutto il mondo, tu l'hai dipoi ricomperato; non volere ora ch'ei si perda.
Manda giù lo Spirito tuo, questo è il riposo nostro. Manda giù il tuo dolce
amore, questo è quello che ti domandiamo, questo è quello che noi cerchiamo.
Deh! facci struggere, deh! facci languire del tuo dolce amore (l) »
(Sopra Ruth e Michea, VI.)
« . . . . Allegratevi adunque figliuoli miei, allegratevi buoni che Cristo è
Dio. Che ti bisogna dunque più danari ? Che cercare più ricchezze ? Che più
onori? Andiamo cercando Cristo, queste sono le ricchezze, questo è il tesoro
infinito. Pigliamo in spalla la sua croce, non temiamo di persecuzione alcuna;
a noi basta sapere del certo che Cristo è Dio e se lo seguitiamo andremo in
Paradiso. Che vogliamo noi più ? Oh ! Signore, può essere che noi siamo tanto
duri ? Manda giù, Signore, manda il tuo spirito che ti amiamo e conosciamo e se-
guitiamo. . . .
« Signor mio, io mi volto a te ; tu sei la prima verità e volesti morire per
la verità, e morendo tu vincesti. Cosi io sono parato per la tua verità voler
morire. Tu sai quel che io ho detto : io l1 ho detto nel lume tuo ; e così nel me-
desimo lume annunzio questa mattina, che 1' opera tua a andare innanzi, e
abbiamo a vincere. Tu sai, Signore, che non dico questa cosa da me, nè mi
confido in me, ma in te solo, Signor mio, che difenderai la tua verità, perchè
io da me non avrei saputo far niente ; ma tu, Signore, m' hai inspirato a far
così, benché io non ne sia degno. Io confesso 1' error mio, eh' io ho guasto
l'opera tua, Signore; ma quel ch'io dico, dico nel lume tuo; e invito un'altra
volto tutti i savj di Roma e fuor di Roma per volere difendere la tua verità.
Eccomi qua, Signor mio, tu volesti morire per me, e io sono contento volere
morire per te. ... » (2) (Sopra Amos e Zaccaria, XXI.)
(') Anche qui (e qual meraviglia?) la predica fu rotta, perchè il popolo venne in tante la-
grime e fervore che cominciò a gridare misericordia. Il Padre détte la benedizione e partissi.
(5) « Nota qui tu che leggi, scrivo un'altra volta il Violi, che essendo il Padre predicatore
u questo punto della predica, esclamò tanto verso il Crocifisso con tale veemenza e spirito,
che tirò il popolo in tanto fervore, che tutti con altissime voci gridarono: Misericordia ; e,
Viva il nostro Re Gesù. Cristo ; e intorruppesi qui la predica, e il padre predicatore dette la
benedizione e partissi. »
— 77 —
Ma a quale fine trascrivere passi? Bisognerebbe trascriver tutte Je opere del
Frate. Girolamo Savonarola ama Cristo Crocifisso come si ama il nostro ultimo
fine conosciuto e tenuto fermamente per tale; e ne parla con entusiasmo, e come
inspirato, ogni volta che può farlo. I sermoni sulla prima di San Giovanni son tutti
uno slancio ed uno sfogo d'amore per Gesù. Se ne leggano i titoli e già si vedrà
che diciamo il vero. Ivi si parla « della pace della superna città, » « dell'ammira-
zione di tutti i Santi e della cognizione del Verbo per i sensi del vedere, dell'udito
e del gusto, » « della celsitudine del Verbo per il senso del toccare; » i sermoni
IV e V sono specialmente aurei, nei quali si discorre « del Verbo della vita, »
« della vera vita manifestata. » Poi più innanzi si discorre « dell' eccellenza
del Verbo incarnato, e della luce divina ; » poi « del luogo dove si collocò il
Verbo nato, » e finalmente « del Sacro Nome di Gesù e della venerazione,
soavità e virtù e potenza di esso. » (Vedi specialmente i sermoni XII, XIII,
XVI, XVIII.)
Si leggano la predica II sopra il salmo Guam Bonus che tratta « del-
l' amore divino » ; la predica XV che tratta « dell' amore di Gesù Cristo » ; la
XIX che discorre « della Natività di Cristo »; la XXIV che ha per argomento'
« dell' ultimo fine che è Cristo Gesù benedetto » ; e poi mi si sappia dire se
si può trovare cosa più devota e piena di maggior diletto; e se si può quindi
agevolmente trovare un'anima più amante di Cristo dell'anima di Frate Giro-
lamo ! La mente mia, e il mio cuore non sanno reggere alla piena della dol-
cezza meditando le bellezze che si leggono nelle prediche sopra Giobbe, in
quelle sopra Amos e Zaccaria; sopra Ruth e Michea; le auree pagine della
Semplicità della vita e del Trionfo! Le preghiere, le invocazioni, le lodi che Fra
Girolamo volge al Crocifisso sono tali da movere anche le anime più dure ! E
vi può esser cosa nell'ascetica cristiana più dolce e più infiammativa del Trat-
tato dell'amore di Gesù Cristo composto da Fra Girolamo da Ferrara; o del
Discorso fatto a' suoi frati nella Vigilia di Natale sopra la Natività del nostro
Signor Gesù Cristo? Taccio delle Poesie, nelle quali l' inspirato autore par che
non chieda altro nè altro voglia o desideri se non che Cristo gli ferisca il cuore
dell'amor suo! In esse cantò « dell'Amore di Gesù » ; « La Natività del
Signore »; « La lode del Crocifisso »: cantò « a Gesù quando Maria piangeva
a' suoi piedi »; cantò « Della Consolazione del Crocifisso ».... e così invitava
tutti al suo Amore : (l)
Venite, gente, dal mar Indo al Mauro
E chiunque è stanco dentro nel pensiero :
Non forza d' arme quivi, non impero.
Prendete senza fine argento ed auro;
Venite, povri e nudi, al gran tesauro;
(') Ed. Guasti, poesia V. — Per il verso U° cf. Petrarca: Canzone Vergine bella, ecc.
Vergine, que' begli occhi
Che vider tristi la spietata stampa
Ne' dolci membri del tuo caro figlio, ecc.
— 78 —
A le dolce acque d' un celeste fonte
Levate ormai la fronte ;
Che più non temo un om coperto d'arme!
E senza dubio parme
G-ià, sciolti i lacci e dentro il cor avvampa
Mirando il segno e la spietata stampa
Ma che vale il più dire? Ad ogni modo delle cento non riuscirei mai a
dirne una. Si getti nell' anime un po' del fuoco per Cristo che riscaldava
l'anima del Frate riformatore, e il mondo sarà rinnovellato in Cristo un'altra
volta.
E la pietà cristiana ond' era compresa l'anima del Savonarola; l'amore
ond' egli ardeva per Cristo spingevano il nostro Frate ad amare d' amore
immenso il prossimo; e a zelare la gloria di Dio con tutto l'ardore, con
tutte le forze della sua mente e del suo corpo. In quale degli oratori cristiani
si potrà trovare quel vero zelo della gloria di Dio e della salute delle anime
che la citata lettera circolare richiede, meglio che in Girolamo Savonarola? La
sua vita non l'ha egli spesa tutta a gloria di Dio e a salute delle anime? Per
chi ha usato l'ingegno e la dottrina? E non era la gloria di Dio e la salute delle
anime che lo mossero a faticarsi per rassettare un poco la vigna del Signore
che vedeva guasta dagli stessi custodi? Non era amore purissimo degli uomini
e di Dio quello che gli faceva chiamare i grandi ingegni nel suo convento, e
vi faceva studiare la lingua orientale per andar poi a predicar la fede fra i
turchi, e convertire a Cristo gl'infedeli ed i pagani? (')
(*) Non so per qual ragione il Pastor affermi che gli studj della lingua greca e delle
orientali nel convento di San Marco furono raccomandati dal Savonarola senza peraltro
ottenere buon successo (pag. 131). In quale archivio o libro ha trovato la notizia peregrina?!
Noi sappiamo invece che lo studio della lingua greca e delle lingue orientali inaugurato dal
Savonarola in San Marco ottenne un ottimo successo. Basterebbe a dimostrarlo il solo nome
di Fra Santi Pagnini Lucchese che, preso l'abito Domenicano alla tenera età di 15 anni nel
convento di Fiesole il 16 febbraio 1187, fu poi per cura del Savonarola, che ne conobbe il vi-
vacissimo ingegno, messo sotto la direzione del celebre maestro di Pico della Mirandola
1' Ebreo Abramo Blemet, che attratto dalla vita religiosa dei discepoli del Savonarola non
solo si converti alla fede, ma vesti ancora 1' abito Domenicano in San Marco per le mani
dello stesso Savonarola il 23 giugno 1492 prendendo il nome di Fra Clemente. E cosi comin-
ciò in San Maroo lo studio della lingua santa e continuò quello delle altre lingue, sicché
nella predica del mercoledì dopo pasqua del 1496 il Savonarola poteva dire dal pergamo:
« Nella nostra religione v' è tre lingue in perfezione, cioè tutina, greca e ebraica, e dipoi la
moresca e la caldea anche abbiamo ; e credi che non senza ragione Iddio ce 1' ha mandate-.. »
(XLVII sopra Amos.) Al nome di Santi Pagnini, detto dal Marchese « il San Girolamo e l'Ori-
gene dell' età sua » (Scritti vari, voi. I p. 383), deve unirsi quello di Fra Zanobi Acciajoli che
ricevè l'abito perle mani del Savonarola il 13 decombre 1495, di Fra Niccolò Scomberg, ve-
stito dal Savonarola il 29 ottobre 1497 o di Fra Giorgio Antonio Vespucci, zio del celebre Ame-
rigo, vestito anch' egli dal Savonarola il 5 giugno 1497, i quali per impulso del medesimo si
accinsero a lavori dottissimi; e si ebbero da loro le traduzioni di Olimpiodoro sull'Ecclesia-
ste, di Eusebio da Cesarea contro Jerocle, di Teodoreto e di Sesto Empirico (v. Marchese
loc. cit., p. 880 e segg.) Ho nominato por brevità i soli contemporanei del Savonarola; ma
l'amore agli itudj biblici e linguistici nel convento di San Marco e nella Congregazione Toscana
«'è conservato vivo fino ai nostri giorni. — Se poi il Pastor intende che il Savonarola non
— 79 —
Anche qui potremmo trascrivere delle pagine sublimi e tutte fuoco se lo
zelo del Savonarola non fosse noto a tutti coloro che dalla passione non hanno
velati gli occhi. Non sappiamo tuttavia tenerci dal far conoscere ai nostri let-
tori una lettera, citata ma non intesa dal Pastor. Non intesa, perchè lo storico
d' Innsbruk ne conobbe solo pochi passi tratti da altri autori che scrissero del
Frate. Se l'avesse letta per intiero, certo ne sarebbe rimasto ammirato; per
contrario ne toglie occasione a pronunciare un'altra ingiuria contro Fra Gi-
rolamo.
Questa lettera è scritta alla madre; e perciò è tutta spontaneità, tutta af-
fetto, e schiettezza: V anima del Savonarola vi si rispecchia intiera, e vi tra-
spare quale è veramente; ed è scritta il dì della Conversione di San Paolo
Apostolo, il 25 Gennaio 1489. (')
< Una volta, essendo io libero, mi son fatto servo per amore di Gesù,
il quale per mio amore si fece uomo, e prese forma di servo per farmi libero;
poi in tutto cerco la gloria della libertà dei figliuoli di Dio: e però studio
quanto io posso di servire a lui, e per niuna affezione terrena e carnale di non
mi sottrarre dalle fatiche, per suo amore volentieri lavorando nella sua vigna
in diverse città, a ciò ch'io non solamente salvi 1' anima mia, ma anche quella
degli altri, temendo anche grandemente il suo giudizio, se io non facessi a
questo modo; perchè se lui mi ha dato il talento, bisogna che io lo spenda in
quel modo che a lui piace. Sì che, madre mia dilettissima, non vi deve ag-
gravare se mi allontano da voi, e se io vado in diverse città discorrendo; per-
chè tutto questo faccio per la salute di molte anime, predicando, esortando,
confessando, leggendo e consigliando; 3 non vado mai da loco a loco se non
per questo fine, per lo quale anche mi mandano sempre i miei prelati, e però
piuttosto vi dovete confortare che Iddio si sia degnato di eleggere uno dei vo-
stri frutti, e porlo a tanto ufficio. Se io stessi a Ferrara continuamente, cre-
diate che non farei tanto frutto come faccio di fuori, sì perchè niuno religioso
o pochissimi fanno mai fructo di santa vita nella patria propria; e però la
potè colorire il suo disegno quanto alle missioni che principalmente aveva di mira nel rac-
comandar lo studio della lingua greca e delle orientali, allora ci permetta di dirgli franca-
mente che questo non è un parlare degno di un uomo serio quale egli è ! Se penso al palco
elevato in piazza della Signoria, se penso al rogo che s' accese il 23 maggio 1498, se penso
che il Savonarola aveva soli 45 anni.... le parole del Pastor mi suonano troppo amare.... Ma
la parola del Maestro, anche dopo la sua tragica morte, ebbe forza di comando pei discepoli
di lui, sebbene perseguitati e dispersi; e compirono essi 1' opera sua. Legga il Pastor queste
parole del Padre Marchese dal quale avrebbe potuto avere onde evitar tanti errori: « Dalla
loro perizia nelle lingue orientali ne provenne un altro vantaggio; nella Congregazione
di San Marco la Chiesa per lunga pezza trovò un vivaio di dotti e zelanti missionarii
de' quali si valse a diffondere e a radicare la fede di Cristo nella Persia e nell' Armenia o a
stringere vieppiù i Greci Cattolici sparsi nelle Isole Jonie al centro della cattolica unità »
(1. c. p. 379.) Nelle missioni poi della Cina lavorarono con ardore i due celebri domenicani di
Fiesole P. Angelo Cocchi e P. Vittorio Ricci, e il dottissimo religioso di San Marco P. Timo-
teo Bottigli che scrisse anche operette in lingua Cinese ad uso dei neofiti. (V. il Periodico
Rosario, Memorie Domenicane, anno 3», p. 72, 173, 238, 258 e 367.)
(') Cfr. Villari, pag. 88-89.
— 80 —
Santa Scrittura sempre grida che si vada fuori della patria; si perchè non è
data tanta fede a uno della patria, quanto a un forestiere, e nelle predicazioni
e consigli; e però dice il nostro Salvatore che non è profeta accetto nella pa-
tria sua, onde ancora lui non fu accetto nella sua patria. Dipoi adunque, che
Dio s'è degnato di elegermi da' miei peccati a tanto ufficio, dove io lo ringra-
zio infinite volte, slate contenta che io stia nella vigna di Cristo, fuori della
patria mia: dove io so e tocco con le mani, e ho questa esperienza che senza
comparazione faccio maggior frutto a l'anima mia e a quella degli altri ; che
io non farei a Ferrara; nella quale se io stessi e volessi fare quello che io
faccio nelle altre città, io so che mi saria detto che era detto da compatrioti
di Cristo a esso Cristo, i quali, quando lui predicava, dicevano : Non è costui
fabbro e figliuolo di un fabbro e figliuolo di Maria ? E non si degnavano di
udirlo. Così direbbero di me: Non è costui quel maestro Gerolamo che faceva
i tali e i tali peccati, che era come noi? Hor sappiamo bene chi è costui: e
non udirebbero divotamente le mie parole. Onde a Ferrara molte volte mi è
stato detto da alcuni che mi vedevano in tale esercizio di camminare di città
in città, che i nostri frati debbono bavere bisogno di uomini, quasi come di-
cessero: Se in tante cose esercitano te, che sei vile, certa cosa è che hanno
bisogno di uomini. Ma fuori della patria mia non mi è detto tali parole ; anzi,
quando io mi voglio partire, piangono uomini e donne, e apprezzano grande-
mente le mie parole. (4) Non scrivo questo perchè cerchi lodi umane, nè perchè
mi diletti di lodi, ma per dimostrarvi quale sia il mio fine in questo mio stare
fuori della patria, a ciò che conosciate che io vi sto volentieri, perchè io so
che io faccio cosa più grata a Dio e più salutifera a me e a le anime de' miei
prossimi ; le quali cose intanto prepongo a tutti i tesori mondani, che, a com-
parizione del mio guadagno, li reputo come fango. E però, madre mia onoran-
dissima, non vi dolete di questo, perchè quanto più mi farò grato a Dio, tanto
più le mie orazioni per voi varranno presso di lui; e non vi crediate di essere
da lui abbandonata per le tabulazioni, anzi credete che voi lo avete abban-
donato, e nè lui ha abbandonata voi; però che per i flagelli vi costringe a ri-
durvi a lui; forse che per questa via vi vole salvare con i vostri, e vuole esau-
dire le mie orazioni, nelle quali io non prego che vi dia della roba, ma che vi
dia della sua grazia, e che vi conduca a vita eterna per quella via che piace
a lui. Io credevo di scrivere poche parole, ma l'amore ha fatto trascorrere la
penna, e ho aperto a voi più il mio cuore, eh' io non mi avevo pensato di fare.
Sappiate adunque finalmente, che il mio cuore è più fisso che mai fosse ad
esporre V anima e il corpo, e tutta la scienza che mi ha dato Dio, e tutta la
grazia per amore di Dio e per la salute del prossimo mio; e perchè questo
non posso fare nella patria, lo voglio fare di fuori. Onde io vi prego che questo
(') Si capisce quindi che giù il Frate doveva aver riportati altri successi e non pochi
oltre la predicazione di Brescia; e perciò anche per questa lettera si mostra molto infondata
e poco precisa l'asserzione ripetuta dal Fastor, che « il buon successo di questo quaresimale
ridiede al Savonarola quella fiducia in se stesso che aveva perduto in Firenze » (p. \2i.)
— 81 —
mio corso non vogliate impedire, sapendo voi di certo, clie quando vi potrò
giovare in qualche cosa, lo farò; e quando sarà bisogno, non mi aggraverà ve-
nire a Ferrara; ma quando non è bisogno, mi reputo grave peccato per poca
cosa lasciare le operazioni di Dio, le quali lui mi commette Oggi piglierò
il cammino verso Genova. Pregate Iddio che mi conduca salvo, e che mi fac-
cia fare gran frutto in quel popolo »
Si potrebbe trovare miglior documento di zelo per la gloria di Dio e la
salute delle anime?! E il Paslor qui pare che non sappia veder altro che una
prova che il buon successo del quaresimale recitato a Brescia l' anno 1486 ri-
diede al Frate quella fiducia in se stesso che aveva perduta in Firenze ! (') Fidu-
cia in se stesso il Savonarola?! Fiducia perduta?! Ma non avete voi detto nella
stessa pagina 124, che «la fredda indifferenza de' Fiorentini, non che intimidire
il Savonarola, infìammavalo anzi a vie più francamente sferzare i vizj del suo
tempo?! E non dite ivi stesso che insieme « la fantasia del Frate si riempiva
delle storie dell'antico e del nuovo testamento, le visioni degli antichi profeti
e dell'Apocalisse prendevano vita a' suoi occhi?! » Di più soggiungete: « Un
giorno gli parve a un tratto che il cielo si aprisse dinanzi a lui; vide descri-
versi a' suoi occhi le future calamità della Chiesa, e udì una voce che gì' impo-
neva di annunciarle al popolo. Da quel momento si tenne sicuro della sua divina
missione; ed una volta trascinato nella cerchia magica di visioni e di sogni, non
ne è più uscito fino al giorno della sua cattura. » Or come si possono concor-
dare le due sentenze? Mi direte forse che esse non son vostre, ma una è della
Schwab, l'altra del Villari : ma con questo non avete risposto nulla. Voi cre-
dete a tutti e due o a nessuno ; a questo o a quello ? Fiducia in se stesso il
Savonarola! Un razionalista, sì, lo può dire e anche credere; ma un cristiano
che legga e intenda le opere del Frate non potrà mai creder lecito che si pro-
nunci una proposizione simile; nè potrà mai pronunciarla; e tanto meno ad-
durre a prova la santa lettera tutta piena di umiltà che noi abbiamo trascritto.
Forse in essa vi ferma la parola talento? Meditandola un poco, e pensando
un momentino al Vangelo ond' è tratta, essa v' apparirà la più umile di tutte
quelle che si leggono nel documento.
Sentite ancora un passo che mostra assai bene il contrario di quanto in-
sinua il Pastor e prova ancor esso che il Savonarola nel predicare mirava
solo alla gloria di Dio e alla salute delle anime e niente alla sua gloria : « Io non
cerco la gloria mia. Se io cercassi la gloria mia e non quella di Dio, io direi
bene de' principi, io loderei i gran maestri, io adulerei, e non sarei persegui-
tato. Chi non ha paura, per amor di Cristo, dice il vero in faccia a ciasche-
duno. Guarda una pianta: ogni volta che tu la cavi fuora della terra, non fa
frutto alcuno; così se io cercassi la gloria mia, e fossi fuori della terra della
(') Quest'espressione il Pastor la prese certo dal Villari (p. S7), ma se il Villari scrive
che da quel giorno egli, il Frate, non dubitò più di se stesso, soggiunge anche: « Pure il
candore e la bontà dell' animo suo eran tali, che con questa sicurezza di sò crescevano in
lui la modestia e 1' umiltà.... » Ma nel Pastor di tutto ciò non è fatto il minimo cenno.
6
— 82 —
gloria di Cristo, io non potrei sostentare quest'opera. Ei sa il Signore che io
non cerco gloria mia; ma cerco solamente la sua; ei sa il Signore che pura-
mente io parlo e dico nella mia semplicità che mi giova più all' anima mia vi-
tuperi' e persecuzioni, che laude e gloria, e però li voglio. » (Sopra Amos e
Zaccaria XXXIII). E nella XVII sopra Aggeo ripete ancora: « 0 Firenze, quel
che io ti parlo è per il bene tuo, e non per il mio. Io non aspetto cosa alcuna
da te, e nulla cerco. Tutto quello che io faccio è prima per 1' onor di Dio, e
poi per tua utilità, per la qual cosa penso ancora avere la morte; ma per que-
sto ancora non dubito niente, perchè quel che io dico è tutto secondo Dio.»
Ma andiamo avanti.
La pietà cristiana non basta che sia chiusa neh' animo del predicatore
della parola sacra: sì bene è uopo, dice la Lettera circolare, « che risplenda an-
che nella loro condotta esteriore, la quale non deve mai trovarsi in contradi-
zione coi loro insegnamenti, nè avere nulla di secolaresco o di mondano, ma
sempre esser tale che li mostri veramente ministri di Cristo e dispensatori
de' mister} di Dio; altrimenti, come osserva 1' angelico San Tommaso, se la dot-
trina è buona e il predicatore è cattivo, egli è necessario che si bestemmi la
dottrina di Dio. »
Che savie parole! che insegnamenti santi! che bella edificazione è così il
sacro oratore! Ma anche qui può esser recato per modello eccellente Fra Giro-
lamo. Prima di tutto egli riconosceva molto bene la necessità di quest'insegna-
mento e lo inculcava dei continuo. E come poteva esser altrimenti se il Frate
era profondamente persuaso che la buona vita de' prelati, de' predicatori e
de' santi sono il miglior commento della Sacra Scrittura e la migliore e più
efficace testimonianza per il popolo della verità e divinità della fede cristiana?
Come poteva esser altrimenti s' egli per la carità e la buona vita più ancora
che pe' miracoli credeva convertito il mondo dagli apostoli ? Mille volte almeno
ripete che chi vuol giudicare dell' eccellenza della dottrina e della vita cristiana,
della divinità della nostra fede deve guardare alla vita de' fedeli; alla vita di
quelli che praticano l'insegnamento di Cristo, e risplendono per buone opere. (')
Sentite del resto alcuni passi del Frate ne' quali espone questo insegnamento:
« Chi vuole insegnare ad altri bisogna avere imparato bene per sè; non basta,
dico la scienza universale, ma bisogna venire alle opere, e così potrai inse-
gnare la vita spirituale ad altri. » (Sopra Ezechiele, XXVIII). « I dottori e i
predicatori debbono esser forti e costanti, puri e spiccati dal mondo; se vogliono
far bene 1' ufficio delP insegnare e del predicare ed esser buoni figliuoli di Cri-
sto, non si debbono partire dalla Santa Madre Chiesa, ma in ogni cosa imi-
tarla. E massime gli Apostoli e i primi dottori e predicatori i quali furono in-
frangibili ed imputrefattibili nelle persecuzioni, e spiccati dall'affetto delle cose
terrene, non si curavano di roba; ma nudi seguivano Cristo nudo. E così erano
leggeri ad elevarsi in allo alla contemplazione divina. Erano questi ancora bian-
chi per la purità della vita. Erano i bastoni dorati che sempre stavano negli
(') Cfr. Leone XIII Enciclica, sulla questione operaia pag. 52.
- 83 -
anelli dell' urea. » (Qiiam Bonus, VII — cf. Esodo, c. 25, v. 13.) « Se noi vogliamo
viver bene, bisogna vivere semplicemente. E questo è un segno e un argomento
potissimo a dimostrare se negli uomini è 1' amore divino, e se in loro è santità
di vita, se e' sono semplici di dentro e di fuori. Vuoi tu che io te lo faccia toc-
care con mano? Considera che alla santità seguita la semplicità in arguendo,
si eh' ei seguita, costui è santo, adunque e' vive semplicemente; e che ogni
uomo del mondo ha in sè questa immaginazione è manifesto, perchè e' si dice
nel volgo di qualch' uno che e' sia santo, e qualch' uno lo vada visitare, se
e' vede ch'egli abbia una bella vesta, subito si scandalizza e dice: Certo co-
stui non deve essere santo, come molti dicono, perchè egli andrebbe vestito
semplicemente; se egli vede che gli abbia una bella cella, una bella camera
ornata di tappeti e di panni d' arazzi con molte altre pompe, che eccedino lo
stato suo, subito muta concetto, e non lo reputa santo. Similmente quando un
religioso parla in sui punti di rettorica e che e' si sforza nel parlare artificiato
con vocaboli d' eloquenza, chi 1' ode non dirà mai che '1 sia santo. Così il pre-
dicatore che non predica semplicemente, ma va componendo e ornando le pa-
role, tu te n'avvedi subito, se tu hai occhio buono e buon gindizio, ei ti dà
noia e conosci che dentro non v' è semplicità, e non lo tieni per santo; se tu
odi dire la tale monaca del tale monastero è una santa e tu sappia che la si
diletti d' avere libriccini dorati e bambini di gesso vestili di seta, e che in
cella la tenga di molte cose superflue, subito tu ti scandalizzi, e nel cuore tuo
tu di' : certo costei non è santa come si dice ; donde ne seguita che gli è vero
quello che io ho detto, che alla santità della vita seguita la semplicità. Se noi
vogliamo adunque vedere, s' egli è oggi amore spirituale nel mondo, considera se
gli uomini hanno questa semplicità nel vestire, nel mangiare, nel parlare, nel con-
versare, nell'edificare e nelle altre operazioni: a me non pare che ci sia, perchè
io veggo oggi i cristiani fare di molte superfluità e molte vanità esteriori. E per-
chè le cose esteriori sono segni delle cose interiori, è da concludere che anche
dentro non abbiano la semplicità interiore; e se così è, ne seguita ancora che
non abbiano 1' amore di Cristo, che era il nostro principale inlento di provare.
Che s' ha dunque a fare? Ritornare cristiani alla prima semplicità. Fa il man-
tello verde al tuo figliuolo, non gli fare tante veste di seta, non gli comprare
tante belle scarselline; così voi cittadini, non dovete volere nelle case vostre
tanti vasi d' argento e d' oro, non tante spalliere, e non tante belle figure e
tarsie per le camere, non tanti cenci; ma vivere alla cristiana, e dilettarsi di
cose semplici, di vesti semplici, di cibi grossi, di cose mediocri, altrimenti non
pensate d'avere mai a fare profitto nella vita cristiana. » (Ivi, pred. XV.)
E nella predica XVII dice assai chiaro ed esplicito, che i religiosi, i pre-
lati, i vescovi sollevano il popolo e lo fanno giubilare andando innanzi con
l'esempio e con la predicazione. E nella XX: « Come credete voi che la gentilità,
consueta per lungo tempo ne' sacrificj dei falsi dei, avesse così facilmente cat-
tivato l' intelletto a credere che Dio si fosse fatto uomo, e avessesi fatto cro-
cifiggere dall'altro uomo, e del Sacramento dell'altare, e del battesimo, e delle
altre cose della fede nostra, se non per l'odore della buona fama de' cristiani
— 84 —
che era causata dalle buone opere che facevano? Oh! tu dirai, che e' furono i
miracoli ? E io ti dico che i miracoli senza le opere non convertono gli uo-
mini; anzi più convertono le opere che i miracoli. »
Non so assolutamente ritenermi dal trascrivere alcune cose dalla pre-
dica XXXIX sopra Giobbe: « La vita cristiana ti fa conoscere che in quella è
Dio, e che Lui è quel che la governa.... L' uomo che vive cristianamente e
semplicemente, sprezzando le ricchezze e gli onori e dignità, che gli altri uor
mini cercano, bisogna dire che il suo intelletto sia guidato da altri ch'abbia
più intelletto che gli uomini ; e che lui abbia dentro a sè altra cosa che
1' uomo non vede. Ma perchè questa sua vita, del cristiano, si va assimilando
alla vita di Cristo, in quanto si può, però bisogna dire che Cristo autore di
questa vita sia in lui, e sia quello che lo conduce. E così a questo modo si
conosce che Dio è quello che dà questa vita cristiana e questa semplicità....
Dio è quello che regge ognuno, che si lascia reggere; e però qui si conosce
che nella semplicità vi è Dio che la governa....
« Noi crediamo che il vero cristiano, anche eh' egli ti paia una persona
così semplice, pure egli ha una vivacità del parlare suo, che penetra grande-
mente, e convince e confonde l'avversario: e quel vigore della grazia, che lui
ha dentro s' imprime di fuora neh' audiente, che non pare che vi possa resi-
stere.... Donde viene questo se non da Dio, il quale è dentro in lui e in lui
fa di fuori questi effetti ?... Il buono e semplice cristiano che ha dentro a sè
la grazia di Dio, e parla con quella vivacità, che gli dà quel lume, e quello
che lui ha nel cuore, 1' imprime nel cuore e nella mente d'altri; e le sue
parole hanno un' altra efficacia, che non hanno quelle di questi savj del
mondo. E per queste seconde cause Dio molte volte opera effetti mirabili. E
quanto V uomo è più propinquo a Dio per sua grazia, tanto è più efficace il
st(o parlare, sì convincendo le ragioni degli avversarj, come ancora attraendo
a sè gli altri, e illuminandoli di quel che Dio ha dato a lui per sua grazia.
Diceva V Apostolo, quando e' contendeva cogli avversarj : Cercate voi di far
prova oli quel Cristo che parla in me? Cioè, che altro esperimento volete voi
da me? Non vedete voi che in me parla Cristo? Così gli altri Apostoli
eh' avevano Dio con seco, e facevano cose grandi, dicevano : Il dito di Dio
è qui: Il dito di Dio e la virtù dello Spirito Santo è qui che fa queste ope-
razioni che vedete. Vivi adunque bene, figliuolo mio, vivi semplicemente, vivi
come buon cristiano, che la virtù di Dio sarà sempre teco. La buona vita è
quella che convince ognuno. Se tu vivi santamente, non temere di avversario
alcuno.,..; gli avversarj li convincerai con il buon esempio della buona vita:
questo esempio del ben vivere è quello che convince ognuno. Vuoi tu con-
vincere tu, padre, il tuo figliuolo; e tu, madre, la tua figliuola, e ridurli alla
buona vita? Vivi tu prima cristianamente, e il tuo esempio li ritirerà al ben
vivere più che ogni altra cosa che tu potessi mostrar loro. 0 prelati della
Chiesa, o sacerdoti capi de' popoli, volete voi che i vostri sudditi siano buoni
cristiani, e che non abbiate a patire per loro noli' altra vita ? fate prima
d' esser voi buoni cristiani, e vivete santamente : date loro buon esempio, e
— 85 —
loro lo pialleranno. Se i cristiani vivessero bene, secondo la vita di Cristo, i
turclii ne verrebbero alla fede e convertirebbersi. Ma come vuoi tu che si
convertino quando e' veggono i cristiani non servare straccio della legge di
Cristo, anzi ogni dì bestemmiarlo, e molti cristiani ancora rinnegarlo? veg-
gono la scellerata Italia per la mala via, piena di scelleratezza e d' ogni vi-
zio, che esempio hanno a pigliare da noi per convertirsi ? 0 Fiorentini, ancora
molli di voi sono per mala via, senza esempio alcuno di buon costume. Voi
altri, che pure avete preso qualche principio di ben vivere, state fermi, se-
guitate il viver cristiano, date buon esempio di voi, che la buona vita, vi dico,
farà tacere ognuno. »
Io nella storia ecclesiatica conosco pochi che abbiano inteso meglio di Fra
Girolamo il valore della parola tutta nuova e tutta cristiana: edificare, edifica-
zione ! Ma anche qui il ddungarci è superfluo : la necessità del buon esempio
nel predicatore del Verbo divino, la necessità che non vi fosse contradizione
fra la dottrina e la vita, il Savonarola l'inculcava ad ogni piè sospinto, e ba-
sta aprire le sue opere per veder quanta e quale importanza dèsse egli al-
l' esempio in tutti gli uomini e nei ministri di Cristo in ispecie, e sopra tutto
in quelli eh' erano capi nel popolo e nella chiesa. (Conf. la predica XXIII sopra
il salmo Quam Bonus.)
Dalla teorica poi venendo alla pratica, che dovremo dire? Poteva il Savo-
narola, eh' era uso di chiamare infelicissimo 1' alunno al quale bisognasse dire
di badare alle parole del maestro e non alle opere, presentarsi a predicare
come fece, col pericolo ch'altri potesse giustamente rimproverargli una vita
cattiva?! Singolare questo Riformatore! Innocente e puro in un secolo faci-
noroso e corrotto, leva la voce contro ogni lordura e ogni scelleraggine, e nes-
suno può fare a lui appunto di nessuna sorta; e può egli audacemente gridare
a' suoi nemici, a quelli che non vogliono credere alla sua parola: Guardate alla
vita di coloro che mi credono: essa è buona; è vita da cristiano, come dunque
potrà non esser buona la dottrina che genera tal vita? Forse dall' errore potrà
generarsi il ben vivere? Gli stessi effetti vogliono essere prodotti dalle medesime
cause: la mia dottrina non è mia, ma è la dottrina di Cristo. Singolare questo frate
immacolato! Lo perseguitano? e egli può levar la voce dal pulpito senza che
nessuno osi, o possa contradirgli: « Popolo, ti voglio dire una novella, che mi
fu mandato a dire da una persona da bene, che se gli può prestar fede, che
parlando a Roma con un grande maestro là, forse col maggiore che vi sia, e
parlando di queste cose in sul Frate, quel gran maestro gli disse : Io ti dirò
il vero; io ho posto cura, che tutti coloro che mi hanno parlato contro a que-
sta cosa e contro al Frate, così Fiorentini come altri, mi paiono tutti uomini
di mala vita, e quelli che mi hanno parlato per lui mi paiono buoni. » (Sopra
l'Esodo, Pred. I). Singolare questo Frale! minacciato, obbliga i suoi persecu-
tori a dichiarare che le sue opere son buone, che son buoni i suoi costumi !
Cosa singolare davvero! Questo Frate, accusato d' introdurre un nuovo
modo di vivere, è ripetutamente lodato da Alessandro VI della buona vita!
Del resto, il Pastor medesimo non ripete che il Savonarola fu « moral-
— 86 —
mente irreprensibile » (pag. 377), e che c s'egli era severo cogli altri era auste-
rissimo con se stesso? » Non ripete il Pastor medesimo, che il Savonarola of-
friva nella sua persona un modello vivo e parlante dei principi che inculcava?
Predicava egli la semplicità della vita? e il Pastor ripete che « i suoi panni
erano sempre i più rozzi. » Predicava la penitenza? e il Pastor ripete che « i
suo letto era il più duro. » Predicava la povertà ? e il Pastor ripete che c la sua
cella era la più povera. » (')
Si studi un poco l'opera del Savonarola, e si vedrà eh' egli ha tratto più
anime alla semplicità della vita cristiana con l'esempio suo, che non con la sua
predicazione e cogli scritti, che pur furono e sono mirabil cosa. Si studi un
poco questo Frate austero e si vedrà che la vita e la dottrina di lui sono come
una parola sola ed unica; come un fatto solo! Egli non venne mai meno a
sè stesso, e se ben si riguarda, non si è ridetto mai, non si è mai contradelto
in nulla, nemmeno apparentemente. Voi lo trovate tutto quest'uomo, questo
religioso, questo predicatore, in ogni sua cosa, e tutto in tutte le sue cose. Fu
semplice, e si mostrò ed apparve tale ad ognuno. Aprite i suoi biografi, aprile i
suoi scritti, quali volete e vi apparirà subito chiara la prova di queste nostre as-
serzioni, di queste nostre conclusioni. Diciamo adunque senz'altro, e lo possiamo
dire senza timore ch'altri possa contradirci: Girolamo Savonarola era fornito
in un grado eminente delle prime ed essenziali qualità richieste da Leone XIII
nei sacri oratori: l'anima del Savonarola era fornita di vera pietà cristiana, era
compresa di grande amore al nostro Signor Gesù Cristo; e quindi zelava ar-
dentemente la gloria di Dio e la salute delle anime. E quale egli era dentro,
tale appariva al popolo ; di fuori nulla vi era in lui di doppio, ma tutto era
semplice, ed appunto per questo riusciva ad edificazione de' prossimi.
(') Le « celluzze » del Savonarola (Ed. tedesca p. 137, nota) rimangono ancora: il Pastor
dà assai esattamente le dimensioni secondo il Bruner tanto delle celle che della finestra. Ma
il traduttore [p. 127, nota) riesce assolutamente ridicolo : « Quattro piedi quadrati con una
finestrella rotonda alta poro piti di due piedi! » Una cella di 4 piedi quadrati non è davvero abi-
tabile da un uomo ! Le celle del Savonarola in realtà non sono molto dissimili da quelle degli
altri religiosi, tutte anguste e povere, colla sola differenza che, mentre i semplici religiosi
ne avevano una sola, egli come superiore ne aveva due, l'area delle quali, prese insieme,
supera quella delle altre, come può ognuno riscontrare.
IX.
Segue sul metodo di predicazione
di Girolamo Savonarola.
COME IL SACRO PREDICATORE VUOLE ESSERE NUTRITO DI BUONI STUDJ.
Sommario.
I sacii predicatori debbono esser unti-iti <li buoni stndj. — Girolamo Savonarola in perfetta armonia
con la Lettera circolare. — Alcune testimonianze. — Lamenti di Fra Girolamo che si assumesse
leggermente 1' ufficio del predicare. — L' ingegno e la scienza del Savonarola universalmente ce-
lebrati. — Il Pastor conviene cbe Fra Girolamo non fu nemico della scienza. — Un' asserzione
gratuita o amara del Pastor. — Gindizj inesatti del Pastor contro il Savonarola. — II Savonarola,
Dante e Leone XIII. — La filosofia de' gentili e il tìuo soprannaturale dell' uomo. — Che cosa
condannasse il Frate di San Marco. — Girolamo Savonarola e lo studio de' classici pagani. —
Come si debbano intendere alcune sue espressioni : e prove del nostro asserto. — Frate Girolamo
precursore dei tempi moderni. — Le idee di Fra Girolamo e le costituzioni di San Domenico, e
degli altri padri. — Il Savonarola vero Domenicano.— S' invitano i Frati dell'Ordine e segnatamente
cpielli di San Marco a imitare V antico Priore. — Vantaggi di questa imitazione. — Gli eretici e lo
studio nella Chiesa della filosofia e delle scienze naturali de' Gentili. — Un' asserzione leggera
del Pastor. — Frutti cristiani degli stndj filosofici. — Fra Girolamo e la Sacra teologia. — Fra Gi-
rolamo e i Padri e i Dottori della Chiesa. — Un giudizio del Pico. — Il Savonarola alunno e fedele
seguace di San Tommaso Fra Girolamo e i predicatori fidenti nella loro naturale loquacità. —
Fra Girolamo studiava le prediche. — Conclusione.
La lettera circolare, della quale parlammo nel capitolo antecedente, afferma
che colla pietà e colla virtù cristiana vuole andare congiunta, nel sacro predi-
catore, anche la scienza; essendo manifesto e dalla esperienza continua com-
provato che una predicazione veramente soda e ordinata, vano è aspettarla da
coloro che non sono nutriti di buoni studj, principalmente sacri; e che fidenti
in certa loro loquacità temerariamente salgono il pulpito con poca o nessuna
preparazione. Costoro per ordinario non fanno altro che batter l'aria, e alla
divina parola, senza avvedersene, accattare disprezzo e derisione; quindi loro
va detto recisamente: Perchè tu hai respinto la scienza, io respingerò te, affin-
chè tu non eserciti il mio sacerdozio. (')
(') Osea, Cap. IV, v. 6.
— 88 —
Ora lo stesso, perfettamente lo stesso, diceva Girolamo Savonarola; lo diceva
e lo praticava. E noi già più non ne possiamo dubitare, avendo sentilo da lui
stesso affermare ch'egli ha voluto vedere la teologia e ogni cosa per inten-
dere la Scrittura; e il Trionfo della Croce e il Compendio dì tutla la filosofia ba-
sterebbero da soli a provare eh' egli diceva il vero. Sopra quest' ultimo gli
editori di Venezia poterono scrivere:
Qui cupit alta oo-ìojv aòslrusaque dogmata nosse
Hunc legat; hoc ìiììo codice doclus erìt.
L'Apologetico, ossia V Operetta della divisione, dell'ordine e della utilità-
di tutte le scienze e della ragione della poesia, potrebbe servire da commento
alle parole sopracitate della Lettera circolare. Ma adduciamo qualche testimo-
nianza esplicita. Nella predica VII sul salmo Quam Bonus dice: « I dottori e
i predicatori hanno a esser pieni e coperti di vera sapienza di Cristo e della
Cliiesa. » E neh' Apologetico Libro III: « Buona ed utile è alla Chiesa la filo-
sofia per se slessa, ed è poi molto necessaria a confermare la fede e ad ab-
bassare ogni altezza che si eleva contro la scienza di Dio ; poiché, mentre il
dottore cristiano mostra che la vera filosofia non solo non repugna alla
Sacra Scrittura, ma piuttosto le viene in aiuto, si caccia, per così dire, sotto
i piedi i superbi di questo secolo e gli orgogliosi e vuoti intelletti, contro
de' quali ritorce i loro proprj dardi, e fa parer maggiore la loro imprudenza; li
obbliga al silenzio, e difende gagliardamente dalla loro rabbia le pecorelle di
Cristo e gli agnelli e i fanciulli e coloro che succhiano il latte.... La scienza
naturale ha giovato molto alla cristiana religione per confutare gli errori, e per
rintuzzare la superbia di questo secolo e dei sapienti di esso. » (4)
« Le labbra del Sacerdote, dice Malachia, (2) custodiscono la scienza, e ricer-
casi la legge dalla bocca sua, perchè è angelo del Signor degli eserciti. Ma
guardati, sacerdote, se non intendi di queste cose. Odi il Signore quello che
dica conlra te per il profeta Osea : Perchè tu scacciasti la scienza, ti scaccerò
te, che tu non usi il mio sacerdozio. Oh quanti sacerdoti son oggidì che non
hanno nescienza, nè costumi! E voi cittadini siete causa di questa cosa.... » (3)
In molti luoghi poi si lagna fra Girolamo che a' suoi tempi si assumesse
F ufficio del predicare senza aver prima studiato bene; fra gli altri mi piace
addurre un passo della III sopra 1' Esodo, perchè questo mostra quanto si do-
lesse il Erate che s' andasse a predicare cosi alla leggera: « Sapete voi chi
v'inganna? Sono i tiepidi, e massime quelli che paiono così bene costumati.
Queste donnicciole sono ingannate da loro; e' credono, come uno ha la cappa,
che egli sia dotto, e che e' sia santo. Io non so come si fanno questi altri ; i
(') L' autorità di Fra Girolamo su questo punto è citata nella bellissima opera re-
conto del Domenicano De Groot: Summa apologetica ile Ecclesia Catltolica. Qu. XX, a. i.
(2) Cap., II, v. 7.
(3) Ne incolpa i cittadini percliè, corno vedesi in molti luoghi delle prediche, egli li
rimproverava di volere talvolta a ogui modo mandare al sacerdozio i figli loro per aver
bonefizj, senza curarsi d' altro.
nostri stanno parecchi anni e studiano lungo tempo, innanzi che vengano a perfe-
zione. La cappa, ti dico, non fa dotto, e non fa santo. Va, vedi, nella religione
assai ne sono che non intendono grammatica, e predicano, e imparano le pre-
diche sui sermonarj.... E' bisogna scoprire il vero. Io te ne voglio dire una, che
io fui anch'io ingannato una volta, ma io lo facevo a buon fine. Egli era un
religioso che mi diceva: dammi qualche argomento in logica e in filosofia, e
10 glielo davo; e volevali anche in volgare, e poi andava là e predicava e pareva
un valente uomo, ed anche errava qualche volta; ma non se ne accorgeva, se
non chi era dotto. Ed interveniva come d'uno che suona, benché e' non suoni
così a punto, ad ognuno che non se ne intende e che non sia maestro, pare
che suoni molto bene; sì che ti dico che non sanno nulla: E' bisogna scoprire
11 vero. Chi vuole sapere bisogna che studi con i libri e con la buona vita. »
L'ingegno e la scienza in Fra Girolamo sono celebrati da quasi tutti i suoi
contemporanei, e soltanto chi non lo volle conoscere, o chi ebbe un erroneo con-
cetto della scienza opinò, che il Savonarola fosse nemico del sapere! Ad ogni
modo pur essendo vero, che fra le molte accuse che l' ignoranza e il pregiu-
dizio mosser contro il povero Frate, v' ha anche quella, eh' egli fosse nemico
della scienza; questa, come non regge assolutamente, così più non si osa al
presente di ripeterla; e anche il Pastor (') afferma, che la critica più recente
ha invece dimostrato l'ingiustizia di tale incolpazione: e copia questo scrittore
una buona pagina del Villari a prova della sua asserzione, (p. 131). Vero è
tuttavia che il Pastor non seppe nemmen qui passarsela senza lanciar qual-
che motto contro il Frate calunniato. Trascrivendo adunque dal Burckhardt
dice: « Nel fuoco della sua eloquenza contro i guasti prodotti violentemente dai
Medici non di rado l'appassionato domenicano lasciavasi trascinare ad espres-
sioni esagerate. Così egli predicava: L' unico bene che Platone e Aristotele
hanno fatto, si è questo che hanno esposto tanti argomenti 'i quali si possono
adoperare contro gli eretici. Ma essi ed altri filosofi se ne stanno però nel-
l'inferno. Una vecchiarella ne sa più di fede che non un Platone. Sarebbe
cosa buona per la fede, se molti libri, che del resto paiono utili, venissero
distrutti. »
Non dicendoci a quali fonti siano tratti i passi criticati, noi non sappiamo
qui dire se nel Savonarola si leggano proprio tutte queste espressioni così come
stanno nel Pastor; ma non v'è dubbio che vi stanno, quello che più importa,
i pensieri, e almeno anche una parte delle parole; per esempio, quelle assai
(4) È comune la lode data alla scienza del Savonarola anche dai suoi più accaniti av-
versar^ Agnolo Niccolini che «non credeva al Padre Gerolamo » come dice il Burlamacchi,
nella consulta tenuta innanzi la morte di lui disse queste parole : « Se noi consideriamo lo età
e i secoli passati rade volte si vede che al mondo nascano uomini di si alto e divino in-
telletto quale veggiamo trovarsi in questo frate, della morte del quale al presente ragio-
niamo, ecc.,» e proponeva che in luogo di ucciderlo si rinchiudesse in agiata stanza ove
avesse copia di libri, « perchè in tal guisa facendo non dubitava che culi avrebbe scritto libri
rarissimi in onore di Dio ed esaltazione della sua santa fede » (lini lamacchi, ed. di Mi-
lano, anno 1847, pag. 16ò). E anche il Vaglienti chiama il Frate dottissimo, c afferma che in
vero non si può dire altrimenti (pag. 18).
— 90 -
conosciute che leggonsi nella predica XVI sopra i Salmi, sono certo molto si-
mili a queste del Pastor. Ivi, commentando il Frate le parole del libro IV dei
Re, cap. VI, v. 25, dice: Hanno inesso carestia ih Samaria, ossia nella Chiesa di
Dio, cioè carestia del verbo di Dio. Quassù sui pergami non si dice e non si
allega più se non Aristotile e Platone.... Oggidì quassù non si dice se non: Pla-
tone, quell'uomo divino! Io ti dico che dev'esser più presto a casa del diavolo.
Io era già in questo errore e studiavo molto quelli dialoghi di Platone, ma poi
quando Iddio mi dette lume tutto ho stracciato quello che avevo scritto. Che
giova tanta sapienza se sapeva poi più una vecchierella della fede che Platone? »
E nella XVIII, esponendo le parole dette da David a Micol nel libro II dei Re,
capo VI : lo clamerò al cospetto del Signore che ha eletto me invece del padre tuo,
dice: « Il tuo padre fu sjperbo e Dio lo riprovò; cioè dì loro: Il vostro padre
Aristotile e Platone è a casa del diavolo ; noi umili stiamo nel cospetto di Dio. »
E non è difficile trovare passi consimili. Ma perchè il Pastor le crede espres-
sioni esagerate prodotte da passione? Se è esagerato il dire che tutta l'antica
sapienza, cioè la dottrina de' filosofi come tale e da se sola non potè salvare
i suoi cultori, nè anche i sommi, o condurli alla conoscenza del nostro fine
soprannaturale, e alla beatitudine celeste, condanniamo anche Dante, che insegna
che, per quanto siansi adoperati e l'abbiano desiderato, gli antichi saggi non pote-
rono conoscere nè raggiungere l'ultimo fine della vita (Purg., Ili); condanniamo
anche il divino Poeta che li mette, al pari del Savonarola, nell'inferno traforer-
ete gente {Inf., IV). (') Se è esagerato il dire che della fede ne sa più una
(') A questo proposito notiamo in primo luogo che non in tutte le espressioni degli
oratoli è da esigere sempre una certezza e precisione assoluta; ma è sufficiente talvolta
una talquale probabilità. L'oratore che parla non è sempre un teologo che decide. In se-
condo luogo, è bene che si dica, non intendiamo di negar la salute e mandar senza meno ai
tormenti dell'inferno tutti quelli che sian vissuti o vivano bene naturalmente e non ebbero o
non hanno la ventura di appartenere al cristianesimo. Questa non sarebbe V opinione del Sa-
vonarola. Egli concede una felicità naturale ai morti nel solo peccato originale, cosi è detto
in molti luoghi delle sue opere, e lo puoi leggere nel cap. IX del Libro III del Trionfo e nella
Predica XXI sopra Giobbe. Qui si prescinde dalla questione se possa o non possa un adulto
conservarsi senza alcun peccato attuale e rimanere e morire col solo peccato originale. Nei
luoghi citati troviamo una dottrina consolantissima e abbastanza larga intorno ai fanciulli
piccolini che muoiono senza il battesimo. Quello che si vuol dire nel testo e quello che a
noi sombra che pensi il Savonarola, si è che l'uomo non può pervenire alla sua beatitudine
senza il dono della grazia soprannaturale e la buona vita che ne segue, e che alla grazia
ed alla buona vita soprannaturale non si giunge naturalmente quand' anche si avesse 1' uso
e il possesso di tutta la scienza de' filosofi pagani dal principio del mondo fino ad oggi.
Cristo solo è via, verità e vita: « Niuno può venire a me, dice Gesù Cristo, se il Padre che mi
ha mandato non lo trae a sè. » (Vang. di S. Giov. VI, H.) « La scienza naturale » dice il Frate
nella III sopra Ruth e Jliche.a « non fè mai frutto. » Coli' aiuto solo della scienza naturale
non si conosce il nostro vero ultimo fine, non si persevera nel bene, non si evita il peccato.
(V. S. Tommaso, Contro i Gentili Lib. Ili, e. 147, 155 e 157.) E questa è dottrina tutta cattolica.
Vedi, oltre ai luoghi ora citati, il capo V del II del Trionfo; e le conclusioni III, IV, V, VI,
VII, Vili del libro I della Semplicità della Vita Cristiana, e il libro III dell' Apologetico, e la
predica Xll sopra Iluth e Michea, e ti resterà ben poco a desiderare. Nella citata conclu-
sione IV, fra l'altre cose, si leggono anche lo seguenti, che crediamo opportuno di trascri-
vere: « Consistendo la giustizia dell'uomo in due cose, cioè in fuggir il male e seguitare
il bene, la vita cristiana e nell'una e nell'altra eccede tutto quello che i Filosofi hanno
mai potuto per alcun tempo pensare. Conciossiachò i cristiani fuggono ancora certi muli
— 91 —
veccl-'erella (cristiana, s'intende, e che viva cristianamente), che Platone e Ari-
stotile, allora condanniamo tutti gli scrittori cattolici che con S. Agostino af-
miniini i quali solo consiston nel cuore e de' quali i Filosofi non hanno avuto alcuna cogni-
zione, o 1' hanno avuta molto debole e superficiale.
«Tendono ancora e si drizzano essi Cristiani al bene divino in quel modo, con il quale
essi filosofi non possono mai a Dio drizzarsi, anzi nè di tal modo aver mai alcuna cognizione.
Nè abbiamo ancora mai inteso o veduto die alcuno, per la scienza e per la considerazione di
quelle cose le quali insegnano i filosofi, o sieno cose speculative, o sieno morali, sia perve-
nuto alla purità della vita cristiana. Conciossiachè nè ancora essi maestri e principi degli
altri filosofi nei quali, come si dice, pare che la natura facesse 1' ultimo suo sforzo per farli
sopra tutti gli uomini del mondo perfetti, come fu Pitagora. Socrate, Platone e gli altri i quali
sono da' pagani con somme laudi esaltati, possono mai equiparare in virtù, o in santimonia
di vita, non che altri mai, i semplici nostri taneiulli e fanciulle. Imperocché tutto quello di
virtù e di laude che si dice e predica di quelli si può ancora verissimamente e senza alcun
mendacio dire e predicare di essi fanciulli e fanciulle, eccetto che quella gloria la quale i
filosofi in ogni loro opera cercavano, sprezzano i nostri e conculcano, cercando solo 1' onore
e la gloria di Dio oltre alle altre cose innumerabili che loro fanno cosi nell' orare come nel
domare il proprio corpo, e in qualunque altra cosa pertinente alla carità di Dio e del pros-
simo, le quali cose non solo i filosofi non fecero mai, ma nè anche le intesero. »
Nessuno dubita che Dio può, se il voglia, salvare gli uomini anche senza servirsi degli
strumenti ordinarj alla salute, delle cause seconde; ma noi non dobbiamo cercar ciò che Dio
assolutamente può fare, sibbene quello che ordinariamente fa. E ordinariamente il mezzo
per la salute è la fede che viene dall'udire il predicante, il verbo di Cristo. Chi non ha fede
non raggiunge la salute, la beatitudine soprannaturale. Questo ripete il Savonarola molto
sovente, come per esempio nelle prediche VII e Vili e nella XII sopra Ruth e Michea; ed è
al tutto conforme alla Sacra Scrittura, dicendo San Paolo nella lettera agli Ebrei (cap. XI, v. 6)
« Senza la fede è impossibile piacere a Dio. » (Cfr. S. Tommaso, Somma, P. II-II, Qu. II,
a. 3.) In somma è dottrina evangelica che chi non ha alcun legame con Gesù Salvatore, chi
o per desiderio o per acqua o per sangue (e ognuna delle tre cose è battesimo) a Lui non si
attiene non può entrare nel regno de' cieli (Alimonda, Problemi paleontologici, cap. ultimo);
ed è ancora dottrina evangelica che non entrano nel regno de' cieli le anime che non escon
da' corpi cristiani in ferma fede dei pie passari o dei passi piedi Dante, Farad.. XX, 105).
Che questa sia dottrina di San Tommaso, può vedersi nella Somma Teo!., p. I-II, Qu. 87, art. 5
ad 2m, ove il Santo Dottore dice chiaramente che al peccato originale si deve la pena eterna,
non per ragione della sua gravità, ma per la condizione del soggetto, cioè dell'uomo che
resta privo della grazia, per cui solo vien rimessa la pena. » E Dante:
Per tai difetti, non per altro rio
Semo perduti....
(In/., c. IV, v. 40-41).
Vero è che questa pena eterna dovuta al solo peccato originale è detta dal Santo Dottore
mitissima pena (supplem. Ili, p. II a. 69, a. 6, ad 2"'), ma pur chiamasi pena eterna ed inferno
(ivi, nel corpo dell' articolo). Per ammettere adunque che i filosofi gentili abbiano evitato la
pena eterna, bisognerebbe anzi tutto ammettere che per grazia speciale di Dio sieno stati li-
berati dalla colpa originale ; il che non consta in alcun modo : anzi è probabile il contrario ;
se Gesù Cristo infatti ha detto che dei molti chiamati, cioè dei fedeli, pochi sono gli eletti, che
deve dirsi dei non chiamati, degli infedeli, innanzi Gesù Cristo, innanzi la grazia della reden-
zione? E che deve dirsi specialmente dei filosofi rimproverati da San Paolo poiché « avendo
conosciuto Dio non lo glorificarono come Dio? » (Ai Romani, cap. I, v. 21.) S'intende però
sempre che questa dottrina dev' essere conciliata con quella che si legge parimente in
tutte le opere del Frate, che Dio non vien meno a nessuno, e che quando 1' uomo aiutato
dalla grazia facesse tutto ciò che è in sè stesso per conoscere la verità o viver bene, e quanto
può operasse e pregasse, Dio non gli mancherebbe. Quando adunque si dice che Platone ed
Aristotile sono a casa del diavolo, bisogna intendere che, ragionando colla nostra vista corta
d'una spanna, avuto riguardo alla vita e alla dottrina loro e ai mezzi ordinarj di salute,
non ci consta eh' essi abbiano avuto il lume della fedo e la grazia soprannaturale, e quindi
non si può sostenere ch'essi abbiano la beatitudine, il lume della gloria e che veggano Dio
a faccia a faccia. In cielo si vedrà come stia la cosa.
fermano che agli antichi filosofi non giovò neppure il loro ben vivere, perchè
non entrarono nell'ovile per la porta che è Cristo (Tratt. 45 sul Vangelo di
San Giovanni), e condanniamo tutta la dottrina della Chiesa, condanniamo anche
Leone XIII, che insegna, con le parole stesse del Concilio Vaticano, che per il
fine soprannaturale a cui Dio, per sua liberalità, ci ha elevati, è necessaria as-
solutamente la rivelazione positiva degli arcani della divinità, sapienza e mise-
ricordia di Dio! (Enciclica, Sullo studio della Sacra Scrittura.) E innanzi tutto
il Pastor condanni sè stesso che di Platone e di Aristotile dice, che « sebbene
impiegassero tutta la virtù naturale dello spirito, non seppero tuttavia arri-
vare al pieno possesso della suprema verità » (pag. 704). (') A me pare che Fra
Girolamo ci conceda assai allorché dice che noi, studiando negli antichi, pos-
siamo trovare argomenti per combattere contro gli eretici. Se la passione l'avesse
trascinato, come voi dite, nel fuoco della sua eloquenza contro i guasti prodotti
violentemente dai Medici, forse non avrebbe concesso tanto! No. il Savonarola
non era nemico nè di Platone, nè di Aristotile che compendiò con molta cura
e che sovente cita, e molto a proposito, nelle sue prediche, ma de' Platonici e
degli Arislo1 elici, i quali volevano fare tutto Aristotile cristiano e tutto Platone
cristiano, e che questi bastassero alla salute. Egli voleva che Aristotile fosse
Aristotile e Platone, Platone, e Cristo, Cristo; questo voleva, e nient' altro, che
i filosofi fosser filosofi, e i cristiani, cristiani. (Sopra 1' Esodo, XX.) Quello che
non poteva tollerare il Savonarola, erano i pazzi della sapienza umana, come
egli li chiamava nella VII Sopra Ezechiele, cioè quelli che, ad imitazione degli
antichi Gnostici, per la scienza umana lasciavano la Scrittura e si facevano
beffe della fede; erano i filopompi del Ficino, i quali non volevano riconoscere
gl'immensi beneficj che vengono agli uomini dalla rivelazione; e negavano il
culto di Dio e la sua fede, perchè credevano di non poter comparire ingegnosi
e dotti per nessun' altra via, se non vituperavano e bestemmiavano il Dio vivo,
il Crocifisso da cui gì' ingrati ricevettero I' esistenza, la vita e il moto. (Apo-
logetico, III.) Ora chi potrebbe in ciò contradirgli? Nessuno che non sia razio-
nalista. E che la distruzione di molti de' libri de' cosi fatti, ancorché per qual-
che riguardo utili a qualche cosa, recherebbe grande vantaggio alla fede e al
buon costume, chi ne potrebbe dubitare fra i cattolici senza condannare in-
sieme San Paolo che fece bruciare agli Efesini i libri della loro pazza filosofia
su il valore di cinquantamila denari? (V. Atti degli apostoli, cap. 19, v. 19.) (2)
(') Ecco intieri due periodi nel Pastor: « Lo sforzo dell' umano intelletto onde cono-
scere la cagione ultima delle cose trova il suo termine in Platone e Aristotile, a' quali la
verità rifulse a guisa di lampo in notte buia. Ma. sebbene questi eroi della filosofia impie-
gassero tutta la virtù naturale dello spirito, non seppero tuttavia arrivare al pieno possesso
della suprema verità. « La filosofia » dice Vincenzo de Beauvais nella sua grande enciclo-
pedia, « con tutto che sapesse elevarsi ad una teologia naturale, non giunse però al com-
prendimento della vera teologia. Questa non venne punto a notizia dell'umanità se non
mediante la rivelazione della Bibbia e de' suoi espositori, i grandi maestri teologi. »
ó I pensieri del Savonarola intorno ai classici padani e cristiani abbiamo in animo
di raccoglierli in uno scritto a parte. In questo luogo crediamo ad ogni modo opportuno
dire alcune cose per compiere e chiarire ciò che è espresso nel testo perchè nessuno possa
— 93 —
E che questo e non altro fosse veramente il pensiero del Savonarola
riesce assai chiaro dalla citala predica XVI sopra i Salmi; dalla VII sopra
Ezechiele e dal libro I, III e IV dell' Apologetico, ove più o meno sono espressi i
fraintendere. Certo il cattolicismo non disdegna nulla di ciò che è vero o bello o buono;
e piglia il vero, il bello e il buono dovunque si trovi. Qui siamo perfettamente d'accordo
con il Pastor: La scienza cattolica abbraccia il sapere di tutti i tempi e studia di riunire
in una sapienza ogni verità naturale e sovrannaturale. Girolamo Savonarola lottò anzi ancbe
per questo. E ciò che fa la scienza cattolica per la verità, fa l'arte cattolica per la bellezza,
e la morale per la bontà. Dio non vietò agli Israeliti di servirsi delle spoglie e de' vasi pre-
ziosi degli Egizj , né la Chiesa vieta a noi di studiare nt' classici pagani, greci o latini;
anzi il Concilio Tridentino, per amore della forma, li tratta con riguardi speciali. Se una
cosa è utile, dev'essere, per quanto si può, conservata; e alla fine ogni bene ed anche ogni
vero concorre alla miglior bontà degli uomini e a vantaggio della fede stessa; ma le cose
ch'hanno potenza di far male, ciò che è brutto, l'errore, possibilmente si vorrebbe o an-
nientare. E quando nella medesima cosa il danno supera di troppo 1' utile, ed è troppo più
grave, come per esempio, in alcuni scritti de' veristi contemporanei, se non per ogni uomo
individualmente, per la repubblica cristiana torna meglio distruggerli che conservarli. Per
un nonnulla di bellezza o di verità o di utilità che pur trovasi più abbondantemente altrove,
che farci di tanti errori, di tanta turpitudine, di tanta bruttura iudisgiungibili e inseparabili
da quelle?! E inutile che noi diciamo che Fra Girolamo non voleva d'altra parte che si
distruggessero se non i libri innominabili, com'egli li chiamava; o incentivi al peccato: le
sue espressioni, anche stiracchiandole, solo che si guardino nel loro complesso e s'abbia
l'occhio al fine speciale per cui son pronunciate, non mi pare che importino mai la distru-
zione o il disprezzo di nessuno de' grandi esemplari come tali, e tanto meno de' sommi
filosofi. Dalle parole citate dal Pastor parrebbe quasi che tra i libri che il Savonarola vo-
leva distrutti si abbiano da comprendere anche Platone ed Aristotele. Questo sarebbe
davvero eccesso. Ma questo non voleva il Frate. Per conoscere intiero il concetto del Sa-
vonarola bisogna leggere il Libro III ed il IV dell' Apologetico. Ivi adunque si trova
che il Savonarola avrebbe veduto volentieri cacciati dalla città que' poeti che « coli' esem-
pio e con l'autorità di falsi e nefandissimi Dei e con il prurito e solletico di turpissimi
versi riempiono il mondo delle più ignominiose libidini. » E non pure avrebbe voluto che
si cacciassero questi poeti dalla città; ma ancora che « i libri di questi e degli altri an-
tichi che furono stampati intorno all'arte di amare, le meretrici, gl'idoli e l'immondissima
e nequiziosissima superstizione de' demoni fossero dati al fuoco e ridotti in polvere. » In-
somma voleva il Frate proscritti dalle scuole « i libri mendaci ne' quali si fingono bugie e
narrano favole e intorno agli dei e intorno agli uomini ; i libri pieni di libidine e di stol-
tissimi e nefandissimi congiungimenti o mistioni d'uomini e di dei; voleva che fosser pro-
scritte le bugie e gli scherzi puerili e l'uso di nutrire gli animi teneri teneri de' fanciulli in
nome di scelleratissime divinità, e l'uso di riempire gl'intelletti de' giovani puri e semplici
di falsità, e d'eccitare ognor più con la nefanda superstizione degli idolatri alla libidine
anche la carne loro già per natura inclinata al male, aggiungendo così fuoco a fuoco, e sog-
gettando tutto 1' uomo anima e corpo alla servitù del demonio. » Ma qui non entran punto i
filosofi nè i migliori poeti, de' quali, come già vedemmo, il Savonarola permetteva lo studio a
tutti i fanciulli. Anzi io son persuaso che nessun poeta classico avrebbe egli assolutamente
voluto distruggere, se i maestri 1' avesser dato nelle mani de' giovani non integro, ma casti-
gato, come orasi costuma nelle scuole cattoliche. E mi persuade di ciò l'addurre costante-
mente il male che i poeti facevano alla gioventù, quando parla di proscrizione. Comunque
sia di ciò, egli aggiunge, che « molto gioverebbe alla città, se gettati nel fuoco i libri de' pa-
gani che contengono lu lodi e i malvagi costumi e gl'ignominiosi delitti de' falsi dei, e sot-
tratti agli occhi de' giovanetti gli altri che trattano di verità speculative e pratiche di
filosofia, i fanciulli succhiassero dapprima il latte de' sapienti cattolici, e i loro ingegni anzi-
tutto avessero la prima loro impressione dalla dottrina di Cristo. Perchè, come dice il Filosofo,
non è cosa di poco momento l'assuefare da principio gli adolescenti in un modo anziché in
un altro; anzi è di molta utilità, anzi è il tutto. Imperocché il principio è più che la metà
d' ogni cosa: facendo di ciò testimonio la Scrittura che dice : Il giovinetto che abbia preso la
giusta via, ancorché invecchi, non si rilira da essa- (Prov. XXII, 6.) Poiché dopo la cognizione
della verità più facilmente potrebbero apprendere e combattere le falsità dei filosofi, dicendo
— 94 —
pensieri che il Pastor trova esagerati. E notisi che il Savonarola in questi luo-
ghi non fa quasi altro che ripetere pensieri e parole di Sant' Agostino e di
San Girolamo.
Aristotile: La cognizione della verità è la soluzione dei ditbbj. Nè la nostra religione manca di
dottissimi eil eloquentissimi uomini, sicché abbisogni della disciplina dei pagani. E se qual-
cuno dirà non aver essi tanta eloquenza quant' ebbero Cicerone, Demostene ed Eschine ed
altri molti, io stimo meglio che i Cristiani ornati di buoni costumi risplendano di minore
eloquenza, anziché perdano il nome di Cristo, a cagione dell' eloquenza. E tuttavia, dopo la
disciplina acquistata nei libri dei nostri, potrebbero passare senza pericolo dell'anima ai libi i
dei filosofi e dei pagani. • Se potessi dilungarmi un poco, mi parebbe facile dimostrare che 51
Savonarola non è punto contrario al principio che il Pastor dice esprimere il pensiero della
Chiesa: e quello che è antico si adoperi al progresso della conoscenza naturale ed all'appro-
fondimento della coscienza specificamente cristiana, non già per renderla un che di aereo, o
peggio per distruggerla » (pag. 99). Infatti il Savonarola credeva appunto che il buono naturale
e il buono ingegno nutrito e aiutato da questi studj si avvantaggia d'assai; ma insieme
co' pagani bisogna studiare anche gli autori cristiani e le cose della Chiesa. Il nostro Frate
non condannava lo studio de' grandi esemplari dell'antichità, non condannava nè i filosofi,
nè i retori, nè i poeti semplicemente parlando, anzi lodava la filosofia, la retorica, la poetica
come appare chiaramente dall' Apologetico. Quel che il Savonarola condannava si era il falso
rinascimento proprio come fa il Pastor nell'introduzione del volume che esaminiamo e
nel II. Quello che il Savonarola condannava si era la pretesa di alcuni umanisti che vole-
vano esser tutti pagani e sentire e parlare e operare come i pagani avevano fatto e non al-
trimenti: cioè distruggere la coscienza specificamente cristiana: « Alcuni circoscrissero talmente
il loro intelletto e lo fecero talmente schiavo degli antichi, che non solo non voglion proferir
cos?. alcuna contro la consuetudine di quelli, ma non dir neppure ciò che quelli non dissero.
Infatti, perchè gli antichi non usarono il vocabolo virtuoso, anche questi nostri hanno per
gran delitto di servirsi di questo vocabolo; come se noi non potessimo affatto impor nomi
alle cose, ne' trovar nuovi vocaboli e nuovi modi di dire. E che ragione è questa e che forza
d'argomento? Gli antichi non dissero cosi, adunque non diremo cosi nè anche noi. Poiché
l' affermare: Gli antichi parlarono a questo modo, adunque parliamo anche noi nel modo
stesso, è cosa ben diversa dall' arguire quindi negativamente. Imperocché se gli antichi non
han fatto una cosa pur buona, forse che perciò non l' abbiamo a fare nemmeno noi? Nò io dico
ciò quasi voglia riprendere coloro che in questo seguono il costume degli antichi: impe-
rocché si deve parlare,' come dico il Filosofo ne' Topici, come parlano i più, e sapere come
i meno; ma intendo di riprendere alcuni saccenti, i quali, come dice Agostino, tanto più
errano quanto più vogliono sembrar sapienti non della scienza delle cose onde siamo edi-
ficati, ma delle parole, per la quale è difficile che non ci riempiamo di vento. > (Apologetico,
Lib. IV.) Per il Savonarola, come dice ivi stesso, noi siamo uomini come gli antichi, e abbiamo
ricevuto come quelli da Dio la facoltà d' imporre nomi alle cose.... Di più essendo conve-
niente parlare secondo la condizione delle persone alle quali si parla, alcune volte il nostro
Frate si adoperava egli stesso di adoperare uno stile piuttosto alto ed elegante. Cosi fa per
esempio nel Trionfo della Croce latino; nel proemio del quale dice anzi espressamente:
« Quoniam vere cum sapientibus huius sceculi nobis agendum est; quos domestici et midi sermonis
ìectio plerumque fastidii, consuetne, simplicitatis nostrae metani, paululwn in huius operis stilo prò
ilio rum satisfiictione transgredimur. » E mi paro di poter dire eh' egli mantenne davvero la
parola, per modo che nessun umanista dotto credo potesse spregiare quest'opera, che è pur
la maggiore tra le opere del Savonarola. Del resto, la giusta misura del Savonarola si ma-
nifesta anche qui. Imperocché dopo tutto finisce con dire, che anche se nello studio delle
scienze si facesse com' egli crede più sopra, « non mancherebbero al diavolo altre macchina-
zioni contro la santissima Chiesa ch'egli mai non cessa di combattere. Imperocché dice Dio:
necessario che vengano scandali, ed è necessario, dico 1' Apostolo, che vi siano eresie af-
finchè coloro che sono stati provati siano ancora conosciuti. Vegga adunque ognuno come
debba camminare cautamente, imperocché viviamo in tempi cattivi. » (Apolog., Lib. Ili in fine.)
E finisce (ivi, Lib. IV in fine), parlando ilo' poeti, anco con dire che egli si contenta chu nes-
suno tra i cristiani consacri l'intiera vita a questo studio si che non voli alcuna volta alla
Croce, all'umiltà e semplicità di Cristo.
— 95 —
Più grave mi sembra e più mi spiace che il Paslor prenda (e lo ponga
dove parla degli eccessi del Frate) il periodo nel quale il Burckhardt dice, che
il Savonarola « una volta uscì perfino a dichiarare, essere buono che sol pochi
si dessero alle scienze, affinchè fossero sempre a disposizione alcuni atleti per
combattere i sofismi degli eretici; tutti i rimanenti non dovrebbero andar più
in là della grammatica, dei buoni costumi e della istruzione religiosa. »
(pag. 130.)
Un cattolico è impossibile che condanni il Frate Domenicano in questa
dottrina che è, in conclusione, quanto egli dice sulla fine del libro III dell'Apo-
logetico ora citalo.
A me pare evidente che qui il pensiero del Savonarola non fu giustamente
apprezzato. Prima di tutto è necessario tener presente che quando Fra Girolamo
parla di scienza e di filosofia a questo riguardo, intende sempre parlare della filo-
sofia pagana, della scienza delle genti, degli uomini; e non della filosofia edella
scienza cristiana, voglio dire della sapienza de' figli di Dio, che usano l'intelligenza
fin dove possono in aiuto della fede, che si adoperano per intendere e sapere
quanto nella rivelazione si contiene di verità accessibili al nostro ingegno, e si ar-
gomentano in ogni modo di rendere razionale l'ossequio alla verità soprannatu-
rale, pronti e solleciti ognora di mantener soggetta la ragione e la volontà alla
Scrittura e a Dio. In secondo luogo, il passo a cui si riferiscono le citate parole
del Burckhardt, e che credo sia quello che si legge nell' Apologetico, non vuole
già riferirsi a' dotti solo, a' soli studiosi, a una classe sola di cristiani, ma a
tutta la gente umana, come il verso celebre di Darle:
State contenti, umar? gente, al quia.
{Purg. c. Ili, v. 37.)
Parla adunque ivi a tutta la repubblica cristiana il nostro Frate, come del re^co
a tutta la repubblica cristiana riferisce anche gli altri passi analoghi: quando
parla di queste cose il Savonarola lo fa sempre in rapporto alla conoscenza e
alla vita di tutti i cristiani. E appare ciò chiaro dalla Pred. XX sopra Amos.
Xon consiglia ivi forse il nostro grande pedagogista a' padri di fare apprendere
a tutti i loro fanciulli un poco di grammatica e di farli leggere in Cicerone ed
in Omero e di dare a tutti una buona istruzione religiosa e letteraria insieme?
Xon so tenermi dal trascrivervi il passo: « Fanciulli miei, io ho detto
a' vostri padri che saria buono che i figliuoli loro imparassero tutti un poco di
grammatica, (*) e salariare i maestri, che fossero buoni, e dargli buon salario...
Ora dico che sarebbe buono che questi fanciulli imparassero un poco di gram-
matica, perchè il buono naturale, e il buono ingegno nutrito, e aiutato da un
po' di grammatica, fa assai. Ma si vorria fare una legge che tosse escluso Ovi-
dio De Arte Amandi, la Priapea e certi altri libri che non bisogna dirli
qua, i quali insegnano mille lascivie. Tollererei Virgilio, Omero in greco, Tul-
lio, e mescolare una lezione di Sani' Agostino De Cimiate Dei, e di San Giro-
t'}E lo aveva detto nella predica III del medesimo quaresimale sopra Amos.
— 96 —
lamo, o qualche altra cosa di Scrittura Santa; e che non abbiano mai una le-
zione de' pagani, che non abbiano anche una de' cristiani. Sappiate, fanciulli
miei, che questi dei, com' è Giove, Plutone e gli altri, che voi trovate sopra
a quelli libri, furono tutti cattivi uomini, o le son favole. Or sì che si vorrebbe
nutrire questi fanciulli in questa forma, eh' essi avessero qualche lezione delle
cose della Chiesa, se voi volete ancora che gli abbiano delle altre: perchè a
questo modo si nutrirebbero nella eloquenza e nella verità insieme. Or contra
quelli che non vogliono fare questo, e che vogliono pure attendere a queste
cose poetiche e pagane esclama qui il profeta Amos, ecc »
Non cito passi analoghi per brevità, ma il farlo mi sarebbe facilissimo; il
citalo e quelli a' quali rimandai il lettore bastano a mostrare all' evidenza che
il pensiero che il Pastor prese al Burckhardt vuole esser esteso a tutto il po-
polo cristiano, a tutti i fedeli. Posto ciò, nel pensiero del Savonarola che vi ha
di esagerato e di strano? A me pare invece che Fra Girolamo, come è proprio
dei grandi ingegni, precorresse di molto i tempi, presentisse il moderno pro-
gresso e proclamasse già allora le idee che più tardi, all'epoca del Concilio
Tridentino e della restaurazione cattolica, furono proclamate, e sono tuttavia dai
migliori pedagogisti cristiani. Che cosa egli voleva infatti? Voleva nientemeno
che a tutti i giovanetti in generale fosse data una buona educazione letteraria
e classica, voleva die si avessero buoni maestri per tutti; e voleva insieme che
si chiudesse l'orecchio alle cattive dottrine e alle pagane immoralità e si unisse
agli studj letterarj lo studio della religione. Egli diceva al popolo fiorentino ciò
che in modo vigoroso gli ripete dopo 400 anni un suo illustre confratello, il
Cardinale Bausa: « Taluno declama contro il pubblico insegnamento e vor-
rebbe un popolo analfabeto. Io non so perchè non bramano piuttosto un
popolo sordo, poiché tanto danno viene appunto dall'abuso della parola. Un
dono divino è la parola... Nessuno maledica i doni di Dio. » (Lettera per il
Congresso Mariano, 1896.) Ma se egli voleva una certa istruzione per tutti,
solo a pochi ed eletti ingegni permetteva, e con ragione, le alte speculazioni
della filosofia; e quanto agli ecclesiastici desiderava che i più tralasciassero
i libri dei gentili, per cui in quei tempi si trascurava lo studio del libro
santo di Dio; e la meditazione e lo studio delle Scritture e dei Padri fosse la
loro occupazione più diletta. Non a tutti indistintamente deve darsi il difficile
compito di combatter gli eretici, ma tutti devono, se non voglion venir meno
alla loro sacra missione, istruire nella fede e nei buon costumi il popolo di Dio.
E che altro vuole il citato documento pontifìcio sulla sacra Predicazione? Le
conferenze apologetiche e polemiche contro i nemici della fede non le disap-
prova, ma le riserva soltanto a pochi « che sia n campioni bene agguerriti » come
dice il Cardinale Bausa, (v. la citata Lettera Pastorale), affinchè non si parli
« d'errori che spesso non sono nei più dei membri che compongono l'udito-
rio. » Le maggior parte del popolo ha invece bisogno del pane della divina Pa-
rola, ha bisogno del Vangelo, del Catechismo; ha bisogno d'una parola potente
che serva di guida a praticare il bene e fuggire dal male. A chi ci chiede del
pane non dobbiamo gettare le pietre. Nè si lasci di osservare che facendo di-
— 97 —
versamente, si otterrebbe non la vittoria sulle eresie, ma piuttosto P effetto con-
trario. Perchè è certissimo che i più sono inabili per natura a formarsi un cor-
redo di dottrina quale è necessario per ribattere il razionalismo, e ogni sorta di
errore, anche posti sotto la disciplina di buoni maestri, e San Tommaso nel
cap. IV del libro I della Somma contro i Gentili prova bene che scarsissimo è
il numero di coloro che posson giungere alla cognizione della verità di cui è
capace la natura umana in se stessa considerata. Ora niente di più funesto
alla fede che una debole difesa che non convinca l'avversario, il quale si per-
suade che la nostra religione e la nostra credenza si appoggi su quelle futili ra-
gioni e si ostina più che mai nell'errore. E già notammo con San Tommaso
che l'ufficio della predicazione non è comune a tutti i sacerdoti, ma proprio
solo dei vescovi, nei quali, secondo le parole di San Paolo, dev'essere quel grado
di scienza che li renda capaci a nutrire il popolo di sana dottrina e a convin-
cere quelli che contradicono. (')
Ma abbiamo ancora un' altra ragione per dolerci che il Pastor trovasse
esagerate le parole e i pensieri sopra citali da Fra Girolamo : e questa ragione
ci pare gravissima, e per un lato di somma importanza. Poteva Fra Girolamo,
come Domenicano, pensare altrimenti ? Se il Pastor avesse letto le opere del
Riformatore fiorentino, avrebbe veduto che sovente questi afferma che, in simile
questione, egli portava l'esempio delle costituzioni domenicane; e allora forse
avrebbe studiato meglio e Inteso il valore delle espressioni del Frate, e non
V avrebbe leggermente condannato, se non voleva condannar San Domenico e
tutto P Ordine suo, o almeno si sarebbe dato la pena di provarci che tali re-
gole non sono da applicarsi a tutti coloro a cui le applicava il Savonarola, o
alla più triste, che non sono da interpretarsi come il Savonarola le interpre-
tava. Nella predica XX sopra Amos, lagnandosi appunto il Frate che andas-
sero a logica e a filosofia e i frati e ognuno.... e che poi ne facessero pompa,
e che si confidassero nelle loro sottililà e nelle loro scienze, e con queste
pretendessero di difendere la fede e la Scrittura, che non vedevano e non
studiavano mai, come non imparavano il ben vivere che è il miglior com-
mento della parola divina e la miglior prova della verità della fede, diceva
letteralmente: « Sai tu come dicono le nostre costituzioni ? lo te lo voglio dire:
le costituzioni che fece San Domenico e i nostri Padri dicono, che non dob-
biamo legger libri di filosofia, eccetto se non fossi dispensato dal suo generale,
perchè si dava licenza a qualche grande ingegno, come fu San Tommaso, San
Bonaventura, e gli altri ingegni grandi, ne' quali capiva ogni cosa; e davasene
però licenza a pochi; a quattro o sei per provincia. E queste costituzioni non
si fecero per altro se non perchè questa tanta logica e filosofia abbassano la
fede. Vuoi tu vedere? Guarda che da poi che nacque e fu praticata tanta
logica e filosofia, sono stati pochi santi dottori; cioè uno o due, come fu
San Tommaso e San Bonaventura; e pochi altri. » Queste parole, che nelle
opere del Savonarola ricorrono più volte con piccole varianti, invitano natu-
(') Ep. ad Titum, Cnp. I, v. 9.
7
— 98 —
Talmente a pensare. Nelle costituzioni domenicane infatti, e nelle ordinazioni
de'capitoli generali trovansi pensieri intorno alla filosofia e alle scienze secolari
che io trovo essere letteralmente i savonaroliani. Anzi tutto, San Domenico esor-
tava assiduamente i Frati alla predicazione evangelica, e a ricercare per questo
fine con sommo studio la Sacra Scrittura, come è riferito nella lettera del
Rev.mo P. Jandel, 14 luglio 1852; e nel capitolo generale di Bologna 1242 si
dice: « I Frati si esercitino con molto studio in quelle cose che sono contro gli
eretici, e a difesa della fede; » e nel capitolo generale di Montpellier 1271 : « Si
esercitino a preferenza nello studio della teologia che non in quello della filo-
sofia...; ammoniamo gli studenti perchè s'applichino meno allo studio della
filosofia, e si esercitino diligentemente nello studio della teologia.... » E nella
Distinzione III, Cap. XIV: « E lecito studiare di scienze secolari; ma non si ha
da indugiatisi troppo lungamente, nè impiegarvi tutto il tempo; ma piuttosto
esercitarsi assiduamente e sollecitamente nello studio delle Scritture, e in
quelle altre cose che sono loro utili per la salute delle anime. » E nell'antico
testo, allo stesso capitolo, trattandosi della filosofia de' gentili, è detto esplici-
tamente : « Ne' libri de'gentili e de' filosofi gli studenti non studino, sebbene
talora li consultino. »
S' intende da sè che nelle ultime parole si tratta dello studiare senza li-
cenza; onde è anche detto: « Non s'imparino le scienze secolari, nè le arti
che chiamatisi liberali, se non se quando il Maestro generale dell'ordine, o il
Capitolo generale o il Priore provinciale o il Capitolo provinciale vogliano al-
cuna volta intorno ad alcune di esse dispensare altrimenti. » È inutile aggiun-
gere che tali disposizioni furono date, e fatte tali proibizioni per motivo
de'pericoli che potevano derivare dalla lettura de' filosofi gentili e degli autori
profani e principalmente per il pericolo che tale lettura distraesse gli studenti
dallo studio e dalla assidua meditazione delle Sacre Scritture e delle dottrine
dell'Angelico Dottore. Ed è da notare altresì che con tali proibizioni son vie-
tati i testi puri dei filosofi gentili, non i testi commentati da San Tommaso o
dagli altri Dottori, che nelle scuole religiose furono sempre in uso. La cosa è
per sè patente e potrebbe avere una prova, chi ne fosse desideroso, nel Ca-
pitolo romano del 1569.
Ora queste disposizioni sono appunto le ripetute nelle prediche e negli
altri scritti di Fra Girolamo: e servono come di principio e base a tutta
V operetta dell' ordine, e utilità di tutte le scienze.... come può facilmente vedere
chi lo voglia. Come si può adunque condannare per eccesso? Se in un Ordine
istituito per la difesa della verità e la distruzione delle eresie soltanto alcuni
prescelti devono esser nutriti degli studj necessarj a questa lotta e a questa
difesa, nella repubblica cristiana tulli, proprio tutti, dovranno armarsi e com-
battere con l'armi della scienza contro gl'increduli? tutti esser dottori? e stu-
diare tutti egualmente ogni scienza anche profana?! e lo dovranno fare anche
quando il popolo cristiano fosse lasciato in pace da' pagani, dagli eretici e da-
gl' increduli ? Mi parrebbe che vi fosse altro da fare! Nè saprei persuadermi
facilmente che per la repubblica cristiana tornasse buono che tutti i cattolici
— 99 —
in generale avessero a studiar più e meglio negli autori gentili di quello che
devono studiare i Padri Domenicani, i quali adempiono 1' ufficio di predicar la
fede di Cristo, e percuotere, secondo l'opportunità e il bisogno, negli sterpi ere-
liei. Melchior Cario, quel dottissimo uomo dell'ordine dei Predicatori, tanto stu-
dioso della classica eleganza, cliiama santissima la legge sopra riferita, (/) attesa
specialmente la condizione di quei tempi, nei quali tanta follia aveva invaso
le Accademie che molti che si dicevan Teologi invece di armarsi di brave
ragioni teologiche per combattere le nascenti eresie, trascuravano la Scrit-
tura e la dottrina de' Padri per mendicare astruserie dai filosofi pagani. Egli
rassomiglia tali uomini a paladini che combatton colle canne, come fanno i
fanciulli.... « Per loro Averroè è Paolo, Alessandro Afrodisio è Pietro, Ari-
stotile è Cristo e Platone non divino, ma Dio ; » e di questi stolti dice di
averne veduti molti in Italia.... Onde fu necessario che il Concilio Lateranense,
sessione X, biasimasse il superfluo studio delle discipline profane. (2)
Queste norme dell'Ordine suo, il Savonarola non le ha ristrette, ma piut-
tosto in pratica le ha allargate, avuto riguardo ai bisogni dei tempi che corre-
vano; e perciò non si può biasimarlo in nessun modo, se non si vuole bia-
simare tutto l'Ordine domenicano e lo spirito del santo Fondatore e de'Padri
che v'ebber maggior parte. Figlio di quest' Ordine illustre che ha per iscopo
principale la salvezza delle anime per mezzo della predicazione, se il Savona-
rola praticò quello che fino dai tempi del santo Fondatore era stato praticato
e che a tale scopo meglio conduce, non dovremo in questo massimamente lo-
darlo? I Domenicani stessi che in forza delle loro leggi devono nutrirsi di buoni
studj per esercitar degnamente l'ufficio del predicare e dell'insegnare, devono
parimente essere i primi a ripetere : Meglio un predicatore di meno che un
peccatore di più, meglio un dottore o un filosofo di meno che un eretico di più.
Ad ogni modo, se gli umanisti, o naturalisti, vorranno essere severi col Frate,
tra questi non dovrebbe mai porsi anche il Pastor: e se pur egli voglia farlo
tuttavia, noi dal profondo dell'anima plaudiremo pur sempre al vero Domeni-
cano, nè sapremo tenerci dal raccomandarne l'imitazione ai figli di San Do-
menico e segnatamente alla numerosa schiera de' giovani della Congregazione
di San Marco. Guardando nel Savonarola questi ardenti novizj e Padri avranno
un esempio mirabile che insegnerà loro come tenersi fedeli agli ordini de'su-
periori e specialmente a' prescritti che si leggono nella citata lettera del Padre
Generale Jandel; e potranno recare nel mondo in quest' età guasta e superba
vantaggi immensi alle anime, traendole dallo spirito pagano alla semplicità
della vita cristiana e alla stoltezza della fede, alla Croce.
Posto ciò è facile capire chi lia costretto i cristiani a studiare le scienze seco-
lari trovate da' gentili. 11 Savonarola (Apologetico, 111) asserisce francamente, e
(') Est lex apud nostros ganctissima quso in hujusmodi disciplinis solum adolescontes
otnon omnes, sed in^eniosos exercet; giandioi ibus autem natii, ingenioque tnrdiore studia
hsec interdicit. (Do loc. theol. Lib. IX, Gap. IX.)
(•) Cf. Melch. Cano, loc. cit.
— 100 —
nessuno gli potrà contradire, che sono gì' idolatri, i pagani, gli eretici, i gran
maestri, i tiepidi die hanno costretto la Chiesa a studiare le scienze profane e
la spinsero alla filosofia. E infatti scrivendo di filosofia San Tommaso non
dubitò di intitolare il suo volume « Contro le genti. » Ora se questa genia d'uo-
mini non esistessero, che necessità avremmo noi, che necessità avrebbe la fede,
di quella dotta ignoranza? Non basterebbero alla salute il Vecchio e il Nuovo
Testamento con la spiegazione della Chiesa? 11 dire che la fede per sè ha bi-
sogno della filosofia pagana sarebbe un abbassar la fede. Ma pur troppo ci fu-
rono sempre i persecutori del popolo cristiano e non venner mai meno gl'infe-
deli, e le sette de' razionalisti e degl'increduli molestano tuttavia la Chiesa;
nè mancavano i pagani all'epoca del Savonarola. (') Affermi pure il Pastor
(pag. 137) che il Frate di San Marco nel suo zelo passionato aveva perduto di
vista che la Chiesa di natura sua è in questo mondo; ma noi vediamo che egli
sapeva benissimo la vita che è costretta a condurre e che condusse ognora l'im-
macolata Sposa di Cristo; sapeva benissimo che la vita cristiana consiste nel
fare il bene e nel sopportare il male, e sopratutto il male che a' buoni viene
immancabilmente dai tristi, e che la dottrina di Dio, come quella che è la ve-
rità, avrebbe ognora trionfato, sì, ma sostenendo lotte ingenti! Ma se il Savo-
narola così pensava, ognuno lo vede senz' altro, quali conseguenze doveva su-
bito trarne. A somiglianza del suo fratello e maestro Tommaso d'Aquino, il
nostro Riformatore sapendo che i dottori e i predicatori cattolici sono debitori a
tutti, finché si ha che fare con questa gente che non vuol seguire il lume sopran-
naturale, riteneva obbligo e forza che stiano essi al lume naturale e che studino e
siano profondi in tutte le scienze, e colla scienza confutino e ribaltano gli errori
che si tenta seminare nel popolo fedele contro la dottrina del Divino Maestro.
« Il savio, ripete sovente Fra Girolamo, che unisce la scienza alla sem-
plicità, può, ribattendo gli errori contro la fede, e adducendo ragioni pro-
babili a conforto di essa, quasi angelo illuminare gli altri, può illuminare
gli altri come i cieli che illuminano tutto della loro luce.... Costoro guar-
dino adunque le scienze razionali e le matematiche, quanto basti alla utilità
delle altre; si fermino alquanto nella filosofia naturale, sia per la dignità de-
gli obietti, sia ancora per la loro utilità, perchè le cose naturali sollevano
l'animo alle divine; s'indugino alquanto più nella metafisica, che è, nelle
(') È chiaro elio non s'intende con ciò di negare elio la filosofia e le .scienze razionali in
genere valgano anche per quelli cho non rifiutano, ma accettano od hanno il lunio soprannatu-
rale : la lilosolia e le scienze in genere, possono recaro anche a costoro alcuni diletti e vantag-
gi o anche molti e grandi, se vuoisi: ma nel testo si dice solo che la carità cristiana, lo spirito
d' apostolato, la missione cho ha la Chiosa di predicare e difendere la logge di Cristo e am-
maestrare tutti gli uomini, non pur fanno lecito lo studio delle scienze razionali ad alcuni
cattolici, ma lo possono ancho rendere obbligatorio quando non sia necessario por la sai-
Vozza dol prossimo. Qui s'intende poi sempre parlare della filosofia de' gentili e de'libri
degli otorodossi. 10 troppo chiaro elio la filosofia de' Padri o Dottori della Chiesa, e, in ge-
neralo, i libri scientifici de' cristiani sono sempre cosa preziosissima pei- tutti gli studiosi.
11 lasciare il lume della ragione e la prudonza umana dove possono aiutarci, protendendo
di usar solo il lumo dolla fedo o la scienza dello Scritture, per il Savonarola sarebbe un tona
tar Dio. Bisogna adunque intender sompro le proposizioni dol Frate con discrezione.
— 101 -
scienze umane, il fine di tutte. Queste scienze le studino gl' ingegni che vo-
gliono combattere coi dotti e savj del mondo, e confutare gli errori degli
eretici, e risolvere le obbiezioni contro la fede; studino queste scienze coloro
che vogliono esser maestri nel popolo cristiano.... Si studino pure queste
scienze, chè non è proibito ai cristiani di studiare alcuna dottrina, salvo al-
cune superstiziose e divinatorie e perniciose, le quali ancora sono condan-
nate e derise dai filosofi, nè sono da loro connumerate nelle scienze. E si
studino non solo tutte le scienze, ma tutte le parti delle scienze: imperocché
non solo nessuna scienza ripugna alla Scrittura, ma nessuna parte di scienza
le è ripugnante. Infatti i nostri dottori dimostrarono che nessuna parte di
scienza le è ripugnante, e sciolgono e risolvono tutte le apparenti contra-
dizioni, per modo che chiaro si mostra e appare che ogni filosofia come an-
cella serve alla Sacra Teologia, e questa non serve a scienza alcuna, ma
come regina tutte le signoreggia e domina. » (Sopra Amos; Apologetico II;
Trionfo lib. II, cap. Vili e altrove....) (')
Che può desiderare di meglio un cattolico ? Chi per poco s' intende di
Cristianesimo vede subito chiaro chiaro che questa del Savonarola è tutta e
sola la teorica de' Padri e dei Dottori, e la sapienza degli spiriti eletti, la dot-
trina della Chiesa recentemente proclamata dal Concilio Valicano. Perchè adun-
que condannare di eccesso anche qui il Frate già per altro tanto ingiustamente
calunnialo? Doveva proprio il Frate far obbligo a tutti i suoi fanciulli, a tutti
i cattolici di studiar ogni cosa se non voleva dar in eccesso? !
Ma noi ci siamo fin qui trattenuti a parlare degli studj profani, e delle
scienze razionali, mentre la Lettera circolare dice che il predicatore vuole es-
ser nutrito principalmente di sacri. Qui come pensava Fra Girolamo?
Bastano poche parole a provare il senno e la cattolicità del Savonarola
negli studj sacri. Egli voleva, e lo dice nelP Apologetico, e lo ripete molto spesso al-
trove, « che la sacra teologia fosse ognora preposta ad ogni altra scienza; e
asseriva che in essa era la pace nella quale egli dormiva e si riposava, era
quella nella quale deve perpetuamente acquetarsi P uomo sapiente. Insegnava
poi con San Tommaso che « la nostra sacra Teologia non potrà annoverarsi tra
queste scienze, perchè, nè dalla virtù dell' umano ingegno, nè di qualsivoglia
creato intelletto, benché eccellentissimo, può in alcun modo essere inventata;
imperocché si aggira intorno a quell'Ente che da niuno intelletto può natural-
mente essere compreso, e tuttavolta abbraccia tutto ciò che le altre scienze con-
siderano sotto una formale ragione, da essere una sola scienza e non più. (*)
Imperocché, se parliamo della ragione formale per parte dell' obietto, in quanto
è una certa cosa, diciamo eh' essa tratta di Dio sotto P aspetto della divinità. E
questo è il suo obietto principale ; perchè se tratta di altre cose, lo fa'secondo che a
Dio in diversi modi si riferiscono, o come a causa efficiente, o come a fine. Se poi
(') Cfr. San Tommaso, p. T, q. I, a. 5, e risposta al 2° argomento. Cf. Zigliara, Propoc-
dtutica, Lib. I, cap. XVIII.
(2) Cfr. S. Tommaso, loc. cit. a. 3.
— 102 -
parliamo della ragione formale per parte di clii conosce, in tal caso l'obietto dì
quella comune è 1' ente divinamente rivelabile. Avvegnaché tratta di tutte le cose
tanto Divine, soprannaturali e naturali, quanto ancora morali, non già proce-
dendo per mezzo di ragioni naturali, o per mezzo delle creature, ma per via
di un lume soprannaturale. (*) Laonde nelle creature non considera le proprietà
delle cose, e le essenze e le cause prossime, e i loro prossimi principi sìc'
come fanno i filosofi; ma si eleva più in alto, considerando in esse principal-
mente la divina potenza, sapienza e bontà, e mediante queste indaga le pro-
prietà delle cose Divine, non giudicate dal lume naturale, ma sollevate dal
lume Divino, che col suo splendore aiuta 1' intelletto e conforta la mente pur-
gata da ogni macchia, affinchè nelle creature, siccome in ispecclii, contemplar
possa la Divina bontà, e a poco a poco la solleva al di sopra delle altezze
terrene, e in certo mirabil modo la conduce nel seno della santissima e in-
divisibile Trinità, ove si pasce, si riposa e gioisce. » (Apologetico, I.)
« La sacra teologia poi si divide in pratica e speculativa, imperocché
sotto la ragione formale del medesimo obietto sono inclusi, come dicemmo,
tutti gli enti, tanto divini che naturali e morali. Tuttavia è principalmente spe-
culativa; perchè, quantunque il fine del precetto sia la carità procedente da un
cuore puro, tuttavia la carità è ordinata eziandio alla contemplazione della
prima verità, tanto nella patria celeste quanto ancora nella via terrena siccome
a proprio fine, (2) secondo il detto del Signore Gesù: — Chi ama me sarà amato
dal Padre mio, ed io lo amerò e gli farò manifesto me stesso. — La teologia
adunque, in quanto all' una e all' altra parte, è più degna di tutte le scienze
umanamente inventate. Gonciossiachè in quanto è pratica, è ordinata a un fine
nobilissimo del pari che ultimo. Perciò, quando una scienza pratica venga ante-
posta ad un' altra a cagione di un più nobile fine, nessun' altra nel genere
delle pratiche potrà essere paragonata a questa nostra scienza. In quanto poi
alla speculativa, è chiaro come semplicemente sia più degna di tutte percioc-
ché il suo obietto è Dio conosciuto in modo soprannaturale. E anche in quanto
al modo, precede tutte le altre. Avvegnaché le scienze umanamente inventale
hanno la certezza dal lume naturale, che in molti modi viene meno, la teolo-
gia poi dal lume Divino, che in nessun modo può mancare. (3) Per il chè giusta-
mente questa sola è degna del nome di sapienza, lo studio della quale rende
gli uomini perfetti e poco meno che beati, ed è da anteporsi ai regni ed ai
gran seggi; ed in confronto di lei tutte le cose sono da considerarsi come
feccia. Imperocché tanto questa è distante dalle altre scienze, quanto Dio
dalle creature, dicendo la Scrittura: Hanno gli uomini un infinito tesoro, del
(piale coloro che hanno fatto uso, vennero messi a parte dell' amicizia di
Dio. » (4) (Apologetico, II.)
(') Ofr. San Tommaso, loc. oit. a. 7.
(*} San Tommaso, loc. cit. a. 4.
(*) San Tommaso, loc. cit. a. 5.
(') Sapienza, c. Vili, v. 1 o sogg. 0£ San Tommaso, loc. cit., a. 6.
- 103 —
Quanto poi Girolamo Savonarola studiasse in teologia lo mostrano chia-
ramente le sue opere e lo dicono i suoi biografi. Egli non credeva lecito ad
alcun sacerdote esser del tulio estraneo alla dottrina che è nei Santi Padri e
nei Dottori; e il Pico scrive di lui nel capo XIV della Vita, che aveva studiato
per modo la dottrina di Sant'Agostino, di San Girolamo, di Sant'Ambrogio, di
San Gregorio e di San Bernardo, che non avrebbe potuto possederli meglio se
li avesse studiati ognuno singolarmente tutta la vita. Ma in modo speciale Fra Gi-
rolamo studiò nel suo maestro e fratello Tommaso D'Aquino, le cui dottrine
quasi convertì in sua carne e sangue, e può dirsi che senza di questo dottore
egli non ha fermato nel campo del sapere peso di dramma. Io non conosco
alcun altro scrittore nella Chiesa che abbia avuto in alto concetto il Dottore
d'Aquino più del Savonarola; e mi par questo ancora il più bello esempio che
si possa recare a prova delle savie prescrizioni di Leone XIII che richiamano
il clero ad abbeverarsi alle pure fonti del Dottore Angelico. Studiando nel Sa-
vonarola si mostra assai chiaro 1' utile immenso che gli studiosi di filosofia e
di teologia posson trarre da San Tommaso, e quanto bene possano far nel
popolo gli oratori illuminati e riscaldati da questo sole splendidissimo. Già sopra
abbiamo visto in quale alto concetto il Frate di San Marco tenesse San Tom-
maso, e come da lui pigliasse spesso le sue dottrine, e meglio ancora lo ve-
dremo in seguito; onde poteva dir con ragione nella predica XI sopra l'Esodo:
« Io non so nulla; pure quel poco che so, io lo ho, perchè sono stato sempre
nella dottrina di San Tommaso.... Sappiate che la sua dottrina vi ha illumi-
nati; e prima dico quella della Scrittura Sacra, e poi la sua; e benché io non
ve la abbia allegata ogni volta, o è stato per non mi ricordare così de' luoghi
appunto, o per non consumare tempo in allegare. Ma vi dico che è stata
la sua. »
E che egli dicesse il vero è provato da ogni pagina degli scritti che di lui
ci rimangono, ne' quali non pure tu trovi la dottrina di San Tommaso, ma spesso
di San Tommaso vi trovi anche la forma e le stesse parole.
Poche cose ci resta da aggiungere per finire senz' altro il capitolo pre-
sente. Il Savonarola voleva non pure studj remoti e larghi prima di assumere
1' ufficio del predicatore, ma ne voleva anche de' prossimi per ogni predica.
La Lettera Circolare condanna recisamente « coloro che fidenti in certa
loro loquacità, temerariamente salgano il pulpito con poca o nessuna prepara-
zione; » e Fra Girolamo paragona costoro a quelli che sanno ben parlare ma
non hanno sapienza; e dice, che son più presto stolti che savj, e soggiunge che
non s'ha d'aver loro compassione e che non meritano aiuto, ma sono senz'al-
tro da esser ripresi. (Sopra Giob., pred. XX.)
Sovente dal pulpito il nostro Frale pregava il popolo di lasciar quieli co-
loro che predicavano, e così anche lui, perchè potessero studiare la predica; e
nella XXIV sopra Amos e Zaccaria, osservando che Cristo aveva lasciato il
battezzare a' suoi discepoli, dice che così aveva fatto e aveva data questa cura
a quelli, perchè Lui aveva a predicare; e soggiunge: « Però v' ho detto io qual-
che volta, che voi lasciate stare i predicatori, perchè possano studiare la pre-
— 104 —
dica: se non è cosa già di grande importanza. Bisogna, vi dico, che la predica
venga di sopra; lasciateli adunque fare V ufficio della carità, e pensate se Cri-
sto e gli Apostoli suoi facevano questo, a' quali come aprivano la bocca, mini-
strava loro la predica lo Spirilo Santo, se ci ho bisogno io ! »
Si sa del resto che egli passava le giornate intiere e a volte anche le
notti a meditare ciò che aveva da dire al popolo. Ed un' altra ragione era so-
lito anche addurre di questo studio: esser necessario che il predicatore, se vuole
far frutto, non debba mai lasciarsi uscir di bocca cosa che non stia bene e che
abbia da tornare indietro, o essere disdetta. Savie parole davvero, che mo-
strano come Fra Girolamo nel predicare non battesse P aria, ma fosse sodo e
saldo e con I1 animo e con la mente.
Possiamo adunque concludere, chè le prove sono sufficienti, che Fra Giro-
lamo era abbondantemente fornito delle qualità che la Santa Congregazione
de' Vescovi e Regolari e il Concilio Lateranense vogliono nel sacro predica-
tore, cioè: vera pietà cristiana, grande amore a nostro Signor Gesù Cristo, esem-
plare condotta esteriore, zelo ardente della gloria di Dio e della salute delle
anime, buoni sludj, principalmente sacri ; e che non saliva mai temerariamente
il pulpito.
X.
Segue sul metodo di predicazione
di Girolamo Savonarola.
3.
DELLE MATERIE PROPiUE DELLA SACRA PREDICAZIONE.
Sommario.
Importanza dell' argomento. — Materie proprie della predicazione secondo Cristo , la Chiesa e Giro-
lamo Savonarola. — Definizioni del predicare di Fra Girolamo. — Una prescrizione del Concilio
Lateranense e il Savonarola. — Alcune regole del Frate di San Marco per l'interpetrazione della
Bibbia. — Un invito al Pastor. — Giudizio della Civiltà Cattolica. — Una nuova obbiezione. —
Una proposizione eretica combattuta dal Savonarola a propria difesa. — Leone XIII vuole il
predicatore fortificato in tutta la Scrittura. — Predicazione di Fra Girolamo sopra l'Antico Te-
stamento. — Come sia falso che Fra Girolamo avesse per fine solo di esporre sopra l'Antico
Testamento. — Un passo fra i mille. — Il Pastor acconsente e afferma che Fra Girolamo studiava
ed esponeva il Testamento Xuovo. — Merito singolare del Frate di San Marco come sacro ora-
tore. — Come si predicasse all'età di Fra Girolamo. — Perchè il Savonarola esponesse indiffe-
rentemente questa o quella Scrittura. — La Scrittura è l'immagine e la vita di Cristo secondo
Leone XIII e il Frate di San Marco. — Tutta la Scrittura è ordinata a Cristo Crocifisso. —
Bontà del programma Savonaroliano. — Le materie morali nella predicazione e Fra Girolamo. —
— Supremo principio morale del nostro Frate. — Come il Pastor riconosce i successi ottenuti da
Fra Girolamo nel campo morale. — Infelice ed infondato giudizio del Pastor sopra le conver-
sioni operate da Fra Girolamo. — Fra Girolamo e i Novissimi dell' uomo nella predicazione. —
Un nostro desiderio e voto.
È di massima importanza per chi vuole compiere il gran ministero del
predicatore sapere quali cose debba egli esporre al popolo, quali sieno ve-
ramente le materie proprie della sacra predicazione. Perciò Cristo medesimo
volle indicarle a coloro che mandò primi a convertire il mondo, e le vollero
ripetere i Concilj, particolarmente il Lateranense e il Tridentino, la Congrega-
zione de' Vescovi e Regolari, moltissimi pontefici e recentemente Pio IX e
Leone XIII; anzi la Chiesa da Cristo a noi si può dire che non faccia altro
che ripeterle incessantemente a tutti i predicatori suoi. Quali sono adunque
queste materie? Eccole : « La verità dell'Evangelo e la Sacra Scrittura secondo
la interpretazione dei Padri e dei Dottori della Chiesa. » (Pastor, pag. 14-G ;
#
— 106 —
Lettera Circolare, n. 2. Leone XIII, discorso a' Sacri Oratori, 4 giugno 1880;
Enciclica sullo Studio della Scrittura Sacra....)
Ma chi dall' epoca degli Apostoli a Leone XIII fu meglio persuaso di que-
sta verità di Frate Girolamo? Egli era tanto convinto e persuaso che le ma-
terie del predicare sono le Scritture Sante che dalla esposizione di esse definì
senza meno il predicare: « Che cosai predicare? È esporre le Scritture ». Queste
parole che si leggono nella predica XXX sopra i Salmi, il Savonarola le ripete
molto spesso altrove; e ogni volta eh' egli aveva a dire qualche cosa al popolo
che non fosse esposizione della Scrittura, avvertiva subito che voleva ragionare
così un poco con loro e non predicare. Ma parmi sentir dire: Il concilio Late-
ranense da voi citato non dice semplicemente che si esponga la Scrittura, ma
che la si annunzi « secondo la interpretazione de' Padri e Dottori della Chiesa
senza aggiunte arbitrarie di cose discordanti da quella » ; e il Pastor come
pone nel suo libro la prescrizione da voi trascritta, così pone anche la giunta;
ed insinuando, anzi lasciando chiaramente capire, che tali prescrizioni furono
fatte contro i seguaci di Fra Girolamo, pare chiaro che al vostro Frate si mova
il forte rimprovero non d' aver esposto, ma adulterato le Scritture Divine. E
giusta 1' accusa ?
E giusta della giustizia che godono le altre che il Pastor muove contro
il Savonarola. Nel II e nel III libro intorno allo Studio della Sacra Scrittura
secondo Girolamo Savonarola e Leone XIII espongo ampiamente le redole
che il Frate imponeva a se stesso e a tutti coloro che vogliono legger con
frutto la parola di Dio; e là si potrà vedere quanto sia enorme l'accusare
il nostro esegeta di questo delitto. Ecco, fra le altre, quali regole voleva il
Savonarola che osservasse il sacro interprete. « Si onori la esposizione dello
Spirito Santo ; non si vada contro, ma si segua la fede; si segua la esposi-
zione della Chiesa; non si vada contro la sentenza comune de' Padri: noti si
esponga contro la filosofia naturale; nè contro la verità storica.... »E con San-
t' Ilario ripete sovente di guardarci bene dal tirar la Scrittura ai nostri pro-
prj fini, eJ esporla come abbiano prima concepito e secondo i nostri senti-
menti; e inculca invece di accordarci all'intelletto divino, e non mettere il
nostro al posto di quello Ora con queste regole, eh' egli ripete ad ogni piè
sospinto, come potete conciliare l'accusa del Pastor? Davvero, se questo
autore, citando le trascritte parole, intendeva di mordere il Savonarola, e il suo
metodo di predicazione, bisogna ripetere un'altra volta ch'egli non sa ciò che
si dica, o è soverchiamente passionato. No, il Frate di San Marco non espo-
neva la Scrittura contro la interpretazione de' Padri e de' Dottori della Chiesa,
ma fedelmente seguiva questa esposizione, onde sovente dice al popolo le
fonti donde egli trae le sue esposizioni e lo avvisa di non credere eh' esse
siano sue. Quanto poi al farvi aggiunte arbitrarie di cose discordanti dalla Scrit-
tura noi saremmo obbligatissimi al Pastor ove sapesse trovarcene anche una sola
nelle opere del Frate! Si provi, se sa, a farlo, e poi vedrà ch'egli sentirà do-
lore da se stesso di avere scritto come scrisse del Frate, e converrà con noi
che tra le cose buone da farsi da' cattolici vi sarebbe anche quella di raccogliere
— 107 —
dalle opere del Savonarola un intiero commento biblico. Del resto già la Ci-
viltà Cattolica ebbe saviamente a scrivere che il Savonarola « non si contentava
di una lettura qualsiasi della Scrittura; ma ch'egli esponendo la Scrittura
a' suoi uditori ne ricavava splendidi catechismi dottrinali, ne derivava regole
ai costumi, si elevava ad applicazioni ascetiche con maravigliosa eloquenza
popolare. » (Quaderno UH, 3 ottobre 1896.) Quindi si può dire che il modo
come il Savonarola esponeva le Scritture, dai cattolici è oramai approvato e
universalmente lodato come era dagli ammiratori del Erate all'età sua. Ma
io mi sento risuonare dentro la mente un'altra obbiezione non meno ingrata
dell'antecedente: Cristo disse agli Apostoli: Predicate l'Evangelo; e predicate
l'Evangelo ha ripetuto sempre e continua a ripetere la Chiesa, come fa nuo-
vamente la Lettera circolare; e per contro il Savonarola pareva non avesse
per fine se non di esporre qualche cosa dell'Antico Testamento e segnata-
mente i Profeti, senza darsi cura del Testamento Nuovo. È queslo lo spirito
delle prescrizioni della Chiesa? Non è più conveniente e più utile al popolo
cristiano l'esposizione del Nuovo Testamento e sopra tutto dell' Evangelo? (')
Veramente il rimprovero contro il Frate non è nuovo; già glielo facevano
alcuni, lui vivente: anzi era una delle accuse più ripetute da' suoi avversarj.
Ma a me pare che il Savonarola sapesse ancora ben rispondere : studiando
egli adunque ed esponendo gli antichi Profeti si era sentito ripetere di lasciar
quelle cose che già erano passale e di predicare la Scrittura. Ma egli disdegnava
costoro, e diceva che parlavano a quel modo perchè non sapevano che cosa voglia
dire Scrittura: « Alcuni, che non conoscono quello che voglia dire Scrittura, di-
cono a me, — Predica la Scrittura, e lascia star queste profezie. — Errate non
conoscendo la Scrittura nè la virtù di Dio. Amos è Scrittura? Sì, e devesi
credere come l'Evangelo; e chi non lo credesse, sarebbe eretico; si deve cre-
dere come 1' Evangelo di San Giovanni. » E da Amos, (appunto perchè questo
profeta è Scrittura, come gli altri libri del Vecchio e Nuovo Testamento, e
forma con loro una cosa sola), passa Fra Girolamo a dire della Scrittura in
generale e grida: « Dio ha dato autorità alla Scrittura, perchè chi non crede
quella pecca mortalmente. » E amaramente e mestamente osservando che non
si voleva studiare la Scrittura a dovere, e che già in Firenze si leggeva da chi
non 1' aveva imparata, afferma e attesta che egli da tempo si crucciava con
molti che ella fosse così condotta, e dice: « Mi ricordo di un predicatore a Bo-
(') Il Pastor a pagina 123 riporta un passo del Cerretani, nel quale, parlandosi della
predicazione del Savonarola, è detto ohe « solo il suo fine era d'esporre qualche cosa del
Vecchio Testamento. » Non sappiamo se con queste parole (certo poco chiare) s'intenda muo-
vere rimprovero al Frate d' essersi tenuto nel predicare alla esclusiva esposizione dell'Antico
Testamento; anzi pensiamo che il critico d' Innsbruck qui questo non voglia fare; imperocché
nel testo originale (pag. 135) quel solo è tralasciato, e dall'insieme pare che il Pastor non
voglia dire altro se non che il Savonarola aveva per fine d'esporre la sola Bibbia senza
l'eloquenza mondana, di far rifiorire il costume de'Padri antichi senza curarsi di ciarle. Ma
se per caso si volesse intendere, come ad alcuno potrebbe sembrar che si possa leggendo il
testo italiano, che il Savonarola esponeva solamente il Testamento Vecchio e non il Nuovo,
e con ciò biasimare il Frate, allora le cose dette in questo capitolo le volgeremmo anche con-
tro quesf asserzione del Cerretani.
— 108 —
logna, il quale allegò Giobbe e David in una questione, e disse : — Io tengo con
David questa volta e non con Giobbe. — 0 pazzo, o pazzo, chè voglio chia-
marla pazzia ! Le son cose da ridersene delle stultizie loro. Benché chi dicesse
che fosse più autentico il Testamento Vecchio che il Nuovo o questa Scrittura che
quell'altra sarebbe eresia : V uno e l'altro Testamento ha fatto Dio. Chi ha
dunque più autorità? Dio? o Dio? Sciocco che tu se'!.... Sono conformi i
due Testamenti: e se ti è predicato il Vecchio Testamento tanto fa quanto il
Nuovo. Tutta la Scrittura divinamente inspirata è utile ad insegnare (') e però
San Gregorio e Sant'Agostino non sempre parlavano e dichiaravano sopra gli
Evangeli, ma anche sopra molti altri luoghi della Scrittura. » (*)
Davvero, i cattolici che ricordano questa dottrina e sanno che tutti i libri
dell' Antico e del Nuovo Testamento formano un libro solo ed unico, non ripe-
terono mai contro il Frate di San Marco la vecchia accusa, e tanto meno se
avran la mente a quanto scrive nella Enciclica sugli studi biblici Leone XIII !
Leggendo questo insigne documento di sacra sapienza, si troverà subito
non lungi dal principio e quasi in ogni pagina che il Pontefice nostro vuole
il predicatore sacro fortificato non in questa o in quella parte della Scrit-
tura, ma in tutta la Scrittura, e troverà che il Pontefice, come San Paolo,
ritiene e vuole che si creda tutto l' Antico e tutto il Nuovo Testamento, e
tutte le parti loro ugualmente come Scrittura inspirata da Dio, e ugualmente
utile a insegnare, a redarguire a rimproverare, ad erudire nella giustizia af-
finchè sia perfetto 1' uomo di Dio, istruito ad ogni opera buona. E anche il
Concilio Laleranense sopra citato dice che si predichi la verità dell' Evangelo
e la Sacra Scrittura: dunque e l'Antico e il Nuovo Testamento. E non è da
cattolico pigliar la cosa altrimenti.
E vero adunque che Fra Girolamo espose ai Fiorentini l'Antico Testa-
mento; ne son prova le predicazioni sopra i Salmi, sopra l'Arca di Noè, so-
pra Aggeo, sopra Giobbe, sopra Amos e Zaccaria, sopra Gioele, sopra Ruth
e Michea, sopra Ezechiele, sopra l'Esodo...; ma il disapprovare semplice-
mente questo è un errore assai grave che potrebbe accreditare presso il popolo
l'accusa de' protestanti, che i cattolici non vogliali leggere la Bibbia; accusa
quanto ingiusta altrettanto perniciosa.
Ma poi, ditemi, si può in buona fede rimproverare a Fra Girolamo che
avesse solo per fine di esporre qualche cosa dell' Antico Testamento senza
esporre nulla del Nuovo. Ma è forse Antico Testamento l'Apocalisse? Ora è
notissimo che il Savonarola espose questa parte della Scrittura una quaresima
intiera. Sono Antico Testamento le Epistole di San Giovanni? Ma chi non ha
veduto le molte edizioni delle prediche del Frate sopra questa parte della
Scrittura? Sono Antico Testamento 1' Orazione Domenicale e la Salutazione
Angelica? Ma non abbiamo, noi per le stampe I1 Esposizione che ne fece
Fra Girolamo? E i Vangeli sono Antico Testamento? Ma chi non sa che nella
(') II Ep. di S. Paolo a Timoteo, III, 16.
(") Vodi l'opera noatrA già citata, lib. I, pai-te II, oap. VI.
— 109 —
quaresima del 1491 il Frate espose appunto gli Evangeli? Ma v'ha di più. Pro-
testo che non v'è predicazione del Frate nella quale non si esponga qualche
cosa de' Vangeli e delle Epistole o degli Atti Apostolici. Si legga il Quaresi-
male sopra Giobhe e si vedrà subito che il Frate quasi in ogni predica espone
qualche cosa degli Atti. Si legga il Quaresimale sopra Amos e Zaccaria, e si
vedrà subito che il Frate molto spesso e quasi in ogni predica prima di ve-
nire alla esposizione de' Profeti espone il Vangelo del giorno. Nelle opere del
Frate ho notato una completa esposizione dei quattro Evangeli, e non è im-
possibile che un giorno offra a' nostri predicatori e al nostro popolo almeno
i Vangeli delle Domeniche esposti e spiegati dal grave Asceta ed Oratore
Fiorentino.
Ecco del resto un luogo, fra i mille che potrei addurre, nel quale il Sa-
vonarola inculca apertamente al predicatore la conoscenza degli Evangeli: è
tolto dalla predica VII sopra il Salmo Quam Bonus nella quale si discorre
assai del predicatore. Ivi dunque paragonati i predicatori sacri a' legni di Se-
tim che s'osservavano ne' circoli o anelli dell'arca per portarla, nota che questi
bastoni erano e dovevano stare sempre ne' detti circoli (v. Esodo, c. XXV,
v. 12-15)'; e poi ne' circoli vede simboleggiati appunto i quattro Evangeli, e dice
letteralmente: «Io ti ho detto che i quattro circoli sono i quattro Evangelisti;
e in questi dovrebbero stare i predicatori, a questi dovrebbero i dottori assi-
duamente esser affissi, cioè dovrebbero studiare i sacri Evangeli, e predicare
la vita di Gesù Cristo, e de' suoi Apostoli; e loro stanno pure fissi in Aristo-
tile e in Platone; e Dio comanda che e' si predichi 1' Evangelio: Andando nel-
V universo mondo, predicate il mio Evangelo ad ogni creatura. (*) E non lo pos-
sono anche predicare perchè non lo studiano.... »
Del resto riconosce anche il Pastor, che il Savonarola come studiava l'Antico,
così studiava il Nuovo Testamento. A pag. 114 dove sono fatte le più gravi insi-
nuazioni contro gli effetti prodotti dalle idee del Savonarola, e scritte le cose più
stravaganti che si siano mai udite, contro la memoria del povero Frate, asse-
risce il Pastor che Pietro Bernardino, uomo privo di ogni coltura superiore,
per essere assiduo uditore delle prediche del Savonarola e lettore appassionato dei
suoi scritti, erasi appropriata una tale cognizione della Bibbia da saperla presso
che a memoria. Forse è Bibbia solo 1' Antico Testamento o il Nuovo Testa-
mento? Pietro Bernardino non l' imparò nelle prediche e negli scritti del Frate?
Ma lasciamo queste esagerazioni, il Pastor consente esplicitamente che il Savo-
narola fosse studioso come dell' Antico, così anche del Nuovo Testamento, a
pagina 124, imperocché ivi dice che non pure le storie dell'Antico Testamento
riempivano la fantasia del Frate, ma anche del Nuovo; e nella pagina 125 ac-
cenna alla esposizione dell' Apocalisse fatta in San Marco, l'agosto del 1490.
Non si può adunque dubitare che Fra Girolamo esponeva al popolo e predi-
cava la Scrittura come prescrive la Chiesa. Onde qui meritava egli certo che il
Pastor largheggiasse con lui in lodi; imperocché tanto ne è più grande il merito
(') Vangelo di San Marco, oap. XVI, v. 15.
— 110 —
quanto era quasi universalmente allora da' sacri oratori lasciata alla polvere la
Parola Divina. Come era universalmente infelice allora il metodo di predica-
zione, e quanta benemerenza non si acquistò Fra Girolamo opponendovisi come
fece e fortemente e saviamente! Questo noi crediamo d'averlo mostrato fino
all' evidenza altrove (Dello studio della Sacra Scrittura, dal capo I al VII); e la
Civiltà Cattolica ebbe a scrivere: « Al tempo del Savonarola ferveva l'invasione
delle lettere profane, sì chè poco e male si attendeva, non pur dal volgo, ma
ancora dalle persone colte, e perfino da certi uomini di Chiesa alle Lettere sa-
cre. Niuno forse più fortemente e con più senno si oppose a tale disordine che
il Frate Savonarola. » (Quad. citato.) E che nel finire del secolo XV si predicasse
male lo sa molto bene anche il Pastor: (p. 122) « Eranvi predicatori, i quali
recavano sul pulpito troppa erudizione scolastica, si smarrivano in sottili que-
stioni teologiche.... Nè mancavano altresì di quelli che a tutte spese delle sem-
plici e sublimi dottrine del cristianesimo esponevano la sapienza pagana tutta
abbagliante di nuovo scoperta; alle citazioni della Bibbia e dei Padri fino al-
lora usate quasi esclusivamente sostituivano richiami a' poeti e filosofi pagani,
o peggio della mitologia pagana facevano un cibreo colla dogmatica cristia-
na. » (l) Ora essendo chiaro ed evidente che il Savonarola si adoperò a tutta
possa per cacciare dal pulpito Aristotile e Platone, e i poeti che vi erano
saliti, per ricondurvi semplicemente lo spirito di Gesù Cristo Crocifisso, ed
essendo in Firenze riuscito nell' intento, perchè l' egregio storico non rico-
nosce aperto il merito del grande Oratore domenicano? Quando io leggo i
lamenti che allora uscivano dalla bocca del Frate e i rimproveri che egli mo-
veva a' predicatori sacri, mi par proprio di leggere e di sentire le ammonizioni
che ora a' predicatori sacri si fanno dalla Santa Congregazione de' Vescovi e
da altre pie dotte e savie persone ; I,2) e il merito del nostro Riformatore mi
appare allora veramente straordinario, e vedendo che il Pastor non lo rico-
nosce debitamente, ma trova audaci senza misura alcune espressioni di quello
al riguardo (pag. 127), non mi sembra quasi più d'aver che fare con uno
storico cattolico che sappia che cosa sia e possa in un' anima ardente lo zelo
per la gloria di Dio e la salute delle anime.
Del resto, sapete perchè il Savonarola esponeva indifferentemente questa
o quella parte della Bibbia? Perchè in tutta la Bibbia vedeva dipinta la Vita di
(') Ecco, fra i moltissimi che potrei citare un breve passo del Frate nel quale deplora
questo modo tenuto dai predicatoli d'allora: € Et sumpsisti vestimento, tua multicoloriu, et ve-
stita es iìi eis! Questi tuoi vestimenti sono la grammatica, la logica, o retorica: tu le Lai cu-
cite insieme con la Scrittura; un' autorità di qua, una di là e l'ai una palla f atta a scacchi, che
non vi è dentro nulla (Sopra Ezechiele, pred. XXX. Vedi tutta la predica.) E da un codice
autografa, che trovasi in San Marco contenente sunti del quaresimale recitato dal Frate
l'anno 1491, il Villari (voi. I, p. 132) trae lo parole soguenti: • Quidam exponunt cantica de
amasti, etc. Quidam ScriptWOB dicuut esse artem poe.ticam, ete. Quidam cantoni versus Loysii Puliti,
ttc. Quidam lial/cnt BiòllOS in vuìgari errantes. Quidam volunt eos corrigere ut grammatici, etc. »
(2) Vedi, oltre la Lettera Circolare più volto citata, aneliti l'aurea dissertazione De Elo-
qUtntia Sacra del canonico Emilio boiardi, professore di teologia morale e pastorale nel Se-
minario di Faenza.
— 111 —
Gesù Cristo Crocifisso cui solo egli predicava, secondo il precetto degli Apo-
stoli e di tutta la Chiesa. (*)
Leone XIII nell'aurea Enciclica Sugli studi della Sacra Scrittura, dice che
« intorno al Salvatore dell' uman genere altro non havvi più copioso ed espli-
cito di quel che si ha in tutto il contesto della Bibbia; e rettamente affermò San
Girolamo l' ignorare le Scritture essere un ignorare Cristo, perocché da esse
spicca, come viva e spirante, l1 immagine di Lui, dalla quale in modo veramente
maraviglioso si diffonde sollievo de' mali, esortazione alle virtù, invito all'amor
divino. »
E il Savonarola era solilo di ripeter sovente queste medesime cose; e
noi l'abbiamo già dimostrato nell'opera citata, c. VI, e nel c. Vili, parte 1:
« San Tommaso notò che la Scrittura è detta cuore di Cristo (2) perchè il cuore
di Cristo essa ci fa manifesto, » e Fra Girolamo ripete che la Scrittura è libro
nel quale è descritto tutto l'avvenimento di Cristo, è scritta e dipinta tutta la
vita di Cristo, e contenuta la scienza della congiunzione di Dio con la creatura.
Ciò è detto nella predica a' di 28 ottobre 1496 e ci è ripetuto in mille altri
luoghi, e per quello che riguarda l'Antico Testamento e i Profeti ne leggiamo
un motto nella predica Vili sopra l'Esodo: « 11 fine della legge è Cristo; tutti
i Profeti volevano dire di Cristo, e tutti traevano a questo bersaglio: e benché
figurassero il regno e altre cose tuttavia tornavano, lutti qua, e così traggono
al fine tutti a questo disegno. Isaia diceva del Re di Babilonia molte cose, e
poi traeva un motto a Cristo ; e poi descriveva un' altra cosa e poi pure traeva
qua, quasi dicendo: intendimi bene, questo è il mio intento. »
Né secondo Fra Girolamo la Scrittura mirava a Cristo semplicemente, ma
a Cristo Crocifisso: al Crocifisso vedeva il nostro espositore aver riguardato
benché da lungi, tutti i santi Patriarchi : « Essi lo hanno prefigurato con molti
sacrifizj, lo hanno desiderato con tutto il cuore, lo hanno visto per fede: Abraam
esultò per vedere il giorno di Cristo; lo vide e ne ebbe gaudio. In questa fede,
come Abraam, visse Isaac e visse Iacob, in questa vissero e son morti Mosè,
Josuè, Gedeone, David e tutti i Padri del Testamento Vecchio, in questa fede
di Gesù Cristo Crocifisso si sono salvati tutti i profeti.... La Sacra Scrittura mi-
rabilmente eleva il Cristiano alla contemplazione di Cristo, perchè tutta la Sa-
cra Scrittura è ordinata a Cristo Crocifìsso: onde dice l'Apostolo: Il fine della
legge è Cristo. (3) Se l'uomo cristiano adunque il quale ha il lume soprannaturale,
essendo purgato di mente, legge con ogni umiltà le Scritture degli Apostoli e
(.') Un oeiino e quasi un sommario della Vita di disto nella Scrittura l'abbiamo negli
Scritti Inediti alle chiose del cap. XX del IV de' Re. < Cristo per dieci gradi discende tra le
ombre del Vecchio Testamento: e nella resurrezione per i medesimi ritornò al cielo illustrando
ogni cosa. Alcuni pongono questi gradi a questo modo: Il primo negli Angeli ; il secondo nei
Patriarchi; il terzo nella promulgazione della legge; il quarto in Giosuè quando introdusse il
popolo d'Israele nella Terra Promessa; il quinto ne' Giudici; il sesto ne' Re; il settimo nei
Profeti; l'ottavo in San Giovanni Battista; ilnono nell' Incarnazione; il ducimo nella Passio-
np. » Cf. Vito Pomari, Vita di Gesù Cristo.
(*J Quod lib. 12, 27.
(*) Ep. di S. Paolo ai Romani, cap. X, v. i.
- 112 —
de'Profeti, e leggendole le va meditando, e meditandole per virtù della loro intel-
ligenza a Dio per orazione si converte, e così in diversi luoghi di quelle soffer-
mando con debita maturità i loro misteri contempla, sarà mirabilmente elevato
alle cose soprannaturali, e troverà dilettazioni eterne le quali passano tutti i
piaceri di questo mondo. » (Sopra il Salmo, Quam Bonus, XXVI; Semplicità
della vita Cristiana, lib. V, conci. XVI, XVII.)
Il Savonarola adunque leggeva ed esprimeva tutta la Scrittura, perchè
tutta la Scrittura gii parlava di Gesù Cristo Crocifisso, e se questo non fosse
stato non 1' avrebbe nè anche degnata di uno sguardo come dice chiaramente
nel sermone fatto a' suoi frati nella Vigilia del Natale sopra la Natività del
Nostro Signore Gesù Cristo; e ripete sovente altrove. Perciò nel Savonarola
sono sinonime le espressioni: Predicare la Sacra Scrittura e predicare Gesù
Cristo Crocifisso. Onde come ripeteva eh' egli non faceva altro che predicare
la Scrittura, così ripeteva ch'egli predicava Cristo Crocifisso e non altro:
.« Veri predicatori sono quelli che espongono con ispirito le Scritture.. .; in
tutto ciò che dici adopera il testimonio delle Sacre Scritture.... Il predicatore
non deve sapere altro se non Cristo, e Cristo Crocifisso. (Scritti Inediti, po-
stille al Genesi, XLII; Discorso nella Commemorazione de' Defunti; in principio
della Bibbia.)
E un' altra ragione ancora troviamo dello studiare che Fra Girolamo fa-
ceva in tutta la Scrittura; e questa ragione è 1' accennata da Leone XIII nella
famosa Enciclica. « Per ciò poi che spetta alla Chiesa, l'istituzione di essa,
la sua natura, gli officj, i carismi, vi ricorrono nella Bibbia, con sì frequente
menzione, e tanti e tanto rubusti vi son per essa gli argomenti, che con tutta
verità Girolamo disse : Colui che è fortificato colle testimonianze delle Sacre
Scritture è un propugnacolo della Chiesa. » Or il Frate di San Marco che
aveva tanto amore alla Chiesa, e sorse pronto a rimettervi la vita per difen-
derla contro i tiepidi, come poteva trascurare lo studio dellaScrittura? E noi tra
non mollo avremo, speriamo, la ventura di mostrare quali e quanti argomenti
sapesse il Biformatore fiorentino trarre dalla Scrittura per celebrare l'eccellen-
za e la bellezza della Sposa di Cristo, e ribattere i persecutori e i violatori di
quella! Del resto che cosa predicava il Savonarola? Egli lo ripete molto so-
vente: Le verità della Fede. Ma le verità della Fede, dove le troviamo? Nel-
1' Antico e nel Nuovo Testamento. Dunque per necessaria conseguenza Fra
Girolamo era portato dalla bontà del suo programma a studiare e ad esporre
e l'Antico e il Nuovo Testamento; ossia a predicare come la Chiesa prescrive.
Ma con ciò noi non abbiamo compiuto il nostro dire, nè svolto il tema che
abbiamo per le mani. Sia pure che Fra Girolamo scegliesse felicemente a tema
della sua predicazione ie verità della fede, la Sacra Scrittura, Cristo Crocifisso;
ma non è ancor con ciò fatto palese s' egli fosse egualmente felice nel predi-
care al popolo la morale, mostrare al popolo i vizj che doveva evitare, le
virtù che doveva praticare; s'egli sapeva, secondo che l'Angelico vuole che
faccia il predicatore, illuminare non pure nelle cose da credere, ma dirigere
nelle cose da fare, render palese ciò che è da evitarsi, e ora minacciando, ora
— 113 —
esortando, predicare agli uomini. E questo è pur quello che prescrive recente-
mente la Congregazione de' Vescovi; e questo è pur quello che voleva il Con-
cilio Lateranense; imperocché, siccome si legge a pag. 147 del Pastor, questo
Concilio prescriveva che i Predicatori oltre allo spiegare 1' Evangelo ad ogni
creatura ingerissero orrore al vizio e inculcassero la virtù. Che dormiamo
dire qui della predicazione del Savonarola?
Mi parrehbe di far torto a' lettori trattenendomi a mostrare che la predi-
cazione del Savonarola come aveva per oggetto la verità della fede, così mirava
al ben vivere cristiano. Chi può ignorar questo? La vocazione di Fra Giro-
lamo fu la guerra contro l'invadente paganesimo (Cipolla, Storia delle Si-
gnorie, p. 666.); e perciò fu la guerra alla superbia della vita, e alla concupi-
scenza della carne e degli occhi! E che faceva altro il nostro predicatore che
gridare al popolo di tornar cristiano? La semplicità della vita cristiana, ecco
la morale di Fra Girolamo! E a questo mirano tutte le sue predicazioni ; e vi
mira colle predicazioni 1' aurea operetta già tante volte citala che prende appunto
il titolo Della semplicità della vita Cristiana. Del resto qual'era il supremo prin-
cipio morale del nostro predicatore? « La somma giustizia in questo consiste,
che 1' uomo schivi i peccati, e seguiti 1' opere della virtù: ond' è scritto: Partiti
dal male e opera il bene. » {l) (Semplicità della Vita Cristiana, lib. I, con. XI).
Questo adunque il supremo principio morale secondo il nostro Frate; e però già
si può quindi capire che nel predicare egli doveva spiegare questo principio e
applicarlo a' singoli fedeli; e così fu veramente; come appare da tutte le sue pre-
diche, e segnatamente da quelle sopra Giobbe; le quali di proposito trattano della
riforma morale. Basta poi uno sguardo anche superficiale, alla sfuggita e di
corsa agli scritti di lui, per vedere che non vi è vizio, non esiste virtù che il
Frate non isveli al popolo, invitando o a fuggirlo o a seguirla. E che sapesse
movere al bene con promesse e togliere al male con minacce di castighi ed
eterni ed anche temporali, è cosa più che notissima. E lui fortunato che potè
in modo tutto singolare far promesse di premj e minacce di flagelli a Firenze
ed all' Italia e alla Chiesa in nome di Dio ! Ma di questo dovremo occuparci
di proposito, imperocché qui è dove ci par più ingiusto e men cattolico il Pa-
stor. Perora ci basti il notare che non v'ha dubbio ch'egli, secondo l'Angelico,
sapeva predicare ora con minacce e ora con esortazioni, e così movere gli
uditori a fare il bene e fuggire il male, e perciò aiutarli, come vuole Pio IX
che 1' oratore faccia, a scansare 1' eterne pene e a conseguire la gloria eterna.
Del resto che nel campo morale Fra Girolamo ottenesse frutti splendidis-
simi lo dice, copiando letteralmente una intiera pagina dal Villari, molto aper-
tamente anche il Pastor: « I successi da Lui ottenuti in Firenze con le sue
prediche morali specie nel 1495 furono.... straordinarj. La città pareva cangiata
in altra. Le donne, abbandonati i loro ricchi ornamenti, vestivano semplici e
andavano dimesse ; la gioventù libertina era quasi per incanto divenuta mo-
desta e religiosa; i canti carnascialeschi cedevano il luogo alle laudi spirituali.
(') Salmo XXXIII, v. 11.
8
— 114 —
Nelle ore di riposo, vedevano gli artigiani seduli a bottega, con in mano la
Bibbia o le opere del Frate; si riprendevano le orazioni; si frequentavano le
chiese, si facevano limosine. Ma quel ebe più di tutto riuscì mirabile fu vedere
banchieri e mercanti restituire, per scrupolo di coscienza, somme di danaro
male acquistato, che montavano a più migliaia di fiorini. Dalla campagna e
dalle ville si partivano di notte contadini e signori per trovarsi alla predica e
il duomo stesso non bastava più a contenere la folla. Da cinquanta, quali
erano da principio i frati di San Marco, arrivarono ora a duecentotrentotto,
fra questi anche giovani delle primarie famiglie di Firenze ed uomini di ma-
tura età, reputati nelle lettere, nelle scienze e nel maneggio de' pubblici affari,
come Pandolfo Rucellai, Giorgio Vespucci, zio del celebre navigatore, Zanobi
Acciaioli, Pietro Paolo Urbino professore di medicina, l'ebreo Blemmet maestro
di Pico della Mirandola e molti altri. Una vita nuova era cominciata in Firenze....
(Pastor, p. 136; cf. Villari, p. 362, 364). Si hanno nella storia esempj di frutti
più splendidi di oratorj cristiani nel campo morale? E qui non è detto certo
il tutto: basterebbe ricordare, per mostrar che vi sarebbe assai altro da dire,
1' efficacia usata dal Frate sopra gli Artisti e sopra i fanciulli, sua massima
cura. Or qui chi non dovrebbe fare le più alte meraviglie! Chi potrebbe ne-
gare ì migliori elogi all' egregio espositore della Parola divina, all' ottimo ban-
ditore della legge di Cristo? Eppure il Pastor sentì il bisogno di premettere
clie i successi ottenuti dal Savonarola furono straordinarj sì bene, ma per il
momento; e concludendo riconosce che « una vita nuova era incominciata in
Firenze »; ma si domanda subito « Durerà essa a lungo? » e tenendo senz'altro
per negativa la risposta, afferma che « alla sua durata riuscì anzitutto fatale
l'avere 1' ardente Frate nella sua lotta contro la corruzione favorita dai Me-
dici, oltrepassato più d' una volta non pure la retta linea della prudenza, ma
eziandio 1' equità!!! » Pur troppo il mutamento prodotto dalla potentissima
voce del Savonarola ne' Fiorentini non durò quanto era desiderabile ! pur troppo;
almeno ufficialmente per un buon numero de'convertiti, esso fu momentaneo!
Questo mostra quanta ragione avesse'egli quando insisteva per voler predicare
e restar in Firenze, adducendo a prova che lui tacendo, ripullulavano per ogni
dove i vizj, die le tenere piante di quella vigna avevano bisogno di continua
e incessante cura ; che il guasto prodotto dalle tirannide era troppo profondo
per sanarlo intieramente di un tratto! Ma non possiamo assolutamente sotto-
scrivere alla sentenza del Pastor, che neh' imprudenza e mancanza di equità
del Frate ripone la prima ragione di tanto deplorabile fatto ! A farci persuasi
il Pastor dovrebbe almeno ribattere 1' asserzione del Villari : « Il Savonarola
procedeva con una prudenza grandissima » e le prove che questo storico adduce
(a pag. 361 e seg.) a conferma. Se il Savonarola fu imprudente e non equo,
perebè non darcene le prove ? Le affermazioni gratuite sono oramai troppo
poco! Ma della imprudenza, dell'intemperanza, del sovercliio zelo, dello zelo
appassionalo, smoderato, della durezza, del rigorismo e parzialità senza esem-
pio, dello spionaggio, della esclusività e inettezza, della mancanza di scrupolo,
del ridicolo e di altre cose belle die lo storico d' Innsbruck regala al povero
— 115 -
Frale dovremo occuparci in un capitolo a parte: però continuiamo ora l'argo-
mento presente, e non lasciamoci deviare da nulla.
Dalle cose che abbiamo dette fin qui apparisce assai chiaro che cosa pre-
dicasse il Savonarola volendo convertire a Cristo e alla religione il popolo di
Firenze : e che anche qui, per ciò che riguarda le materie proprie della sacra
predicazione, egli è un buon modello da proporsi a chi vuole annunciare la pa-
rola di Dio secondo le prescrizioni emanate d'ordine di Leone XIII.
Con ciò si potrebbe tener compiuto il presente capitolo. Ci si consenta
tuttavia di scendere ad un particolare, perchè la cosa appaia più evidente an-
cora. La Lettera circolare, tra le materie ordinarie della predicazione, annovera,
con le parole di Pio IX, i Novissimi dell'uomo. Or sentite come Fra Girolamo
mettesse in pratica questa prescrizione: « Veniamo alle cose pratiche; e sta a
udire.... Statutum est hominìbus semel mori. (') Pensalo bene questo.... nota que-
sta parola di Dio. Dice l'Apostolo: Egli è statuito, che ciascuno abbia a mo-
rire, e andar innanzi al tribunale di Cristo.... Vieni a' particolari, e vattene da
te qualche volta per il tuo giardino.... e dì: Io ho da morire... e dì: poi che
sarà? (2) Pensa bene al giudizio; e dì : Io ho a esser giudicato, e poi vai filoso-
fando e di: Tutti i filosofi hanno detto che Dio è, e che è uno, e die governa
il mondo; adunque se ha providenza di ogni cosa, può essere che dell'uomo
non abbia providenza? Adunque se è giusto, darà pena ai cattivi, e i buoni
avranno premio. Noi vediamo qua i cattivi avere bene, e i buoni molto male !
Adunque di là avranno bene i buoni e i cattivi male. E così va' discorrendo, e dì:
Ohimè, che io ho a morire! io andrò al giudizio! io ho a andare in inferno in per-
petuo, o in paradiso in perpetuo; non la posso scampare; a ogni modo ho a
morire! Tu non ci pensi?! — Oh! io lo so. — Tu non lo sai; tu non ci pensi!!
Pensa quanto è orribile cadere nelle mani di Dio! pensa e dì: Se io vo in in-
ferno, mai più, mai più, mai più ho ad avere misericordia ! E come avrai pen-
sato a questo, e mangiato questo pane della parola di Dio, tu dirai: Io voglio
far bene, per scampare alle pene dell'inferno. Oli, Signore, se non fosse mai
altro, che per scampare di non stare in quella orribilità dell'inferno; di non
esser neh' odio tuo, di non bestemmiare, come fanno i dannati, io voglio far
bene, e servirti a ogni modo, se io dovessi anche non avere mai vita eterna! »
(Sopra Ezechiele, pred. XXXIII.)
Questo meditare la morte e l' inferno il nostro Frate lo chiama pane, pane
dell'anima come chiama pane dell'anima gli altri Novissimi ; e non teme di dire
che a noi basta la meditazione della morte, del giudizio e dell' inferno a cam-
parci dal far male. Onde segue ivi: « Se tu mangi questo primo pane, vedrai
che non ti bisognerà il secondo. » Ma qui, si sa, 1' abbondanza non può nuo-
cere ; onde aggiunge il Frate: « E se tu pure lo vuoi pigliare il secondo pane, ec-
colo : Nonsunt condignae jjassiones hiiius temporis ad fui urani gloriam....(3) Uomo,
(') Ep. agli Ebrei, cap. IX, v. 27.
('-') E la famosa parola di S. Filippo Neri: « E poi 9 »
Ep. ai Romani, cap. Vili, v. 18.
— 116 —
tu hai paura di un poco d'infermità, di tabulazioni, di pestilenza; non sono
condegne le tribulazioni di qua alla futura gloria. Va'pensando quante sono più
grandi e più belli i cieli e le cose supreme, che queste cose quaggiù; pensa
poi quanto è più bello Iddio; e andrai là su, facendo bene. Dì: questa carne
ha a passare i cieli gloriosa e bella. Va'pensando quale è la maggiore tabu-
lazione, la morte: questa non posso fuggire; e ha a venire una volta. Che ca-
restia o pestilenza? una morte ho a fare a ogni modo, sia quale si voglia.
Questa è la più terribile tabulazione che sia. Va' così dicendo da te medesimo:
Quel poverello tutto dì si affatica per cinque o sei soldi; quella poverella don-
niciuola per una piccola cosa; quel signore per guadagnare mille ducati; quello
per una città; voglio dunque ancora io, per questa poca fatica, cercare vita
eterna. Non sono condegne le fatiche di questo mondo alla gloria, che ho ad
avere neh' altro. » (Ivi.)
Che si potrebbe dire al popolo di più vero e di più fruttuoso? Ma allo ze-
lante Frate neppur questo basta; ma continua facendo meditare a Firenze
la carità de' martiri i quali con la virtù di Cristo, infiammati dell' amore di
lui, patirono ogni maniera di tormento; e mostra come il Signore palesasse
in questo la sua sapienza, la sua potenza e la sua bontà, ordinando i pati-
menti e la morte de' suoi servi a salute della Chiesa. Cosi con l'esempio in-,
fiamma il cuore del popolo di quella carità che tutto vince e di tutto trionfa; e
gli mostra che de' patimenti sopportati per Cristo nulla va perduto; e per tal
modo lo fa bramoso di patire per Iddio, cioè lo spinge al sommo della perfezione
cristiana. Che se alcuno pur volesse resistere, il Frate seguendo, l'invita a con-
siderare la velocità del tempo delle tribolazioni; mentre lussù in cielo nelle
dolcezze staremo in eterno, e non le perderemo mai,... e poi invita a riflettere
che si ha quaggiù a patir sempre, e avere tribolazioni ad ogni modo o si vo-
glia, o no. Ne hanno i cattivi delle tribolazioni, ne hanno i tristi, e ne hanno
anche i buoni; ma chi vuol patire e patisce per Iddio, ha merito; e nelle pene
stesse e nei travagli trova conforto e dolcezza in Gesù Crocifisso; mai ai tristi
ogni caso è aspro ed amaro; e non han mai pace. E così il Frate vien dispo-
nendo la sua Firenze a sopportare il male e a fare il bene e così perseverare
sino alla morte, e per questa via scampare le pene eterne, e giungere alla fe-
licità eterna, proprio come i Maestri cristiani insegnano a fare all' Oratore
sacro.
Resta fermo adunque che anche per la scella degli argomenti Fra Giro-
lamo è un vero ed ottimo esemplare da proporsi ai predicatori dell'età nostra
che vogliono annunziare al Popolo cristiano la parola divina, così come vuole
la Chiesa, così come vollero e prescrissero gli Apostoli, cosi come volle e
comandò Gesù Cristo, Maestro di tutte le genti e salute di tutte le anime. In
Girolamo Savonarola potrebbero trovar materia buona e metodo buono tutti
i predicatori sacri. Per questo, anche per questo, noi saluteremmo con gioia,
con vera gioia, una edizione completa di tulli gli scritti del grande Oratore cat-
tolico! A questo fonie potrebbero bevete e dissetarsi con vantaggio immenso
e proprio e di tutto il Popolo cristiano i banditori della parola divina a qua-
— 117 —
lunqiie ceto e ordine di persone avessero da predicare. Onde non cessiamo di
far voti a Dio perchè voglia disporre finalmente che tale edizione si faccia con-
venientemente; e non dai.tristi, o dagl'increduli, com& già hanno cominciato, ma
per avventura tralasciato; ma da' credenti, dai cattolici; e possibilmente da quel
convento a cui Fra Domenico ila Pescia compagno nelle fatiche e nella morte a
Fra Girolamo, legò le Opere del Maestro, e quasi direi l'obbligo di custodirle e
coltivarle insieme con la memoria del grande Riformatore. (')
(') V. la lettera scritta la sera innanzi il di ilei supplizio da Fra Domenico da Pescia ai
Frrtti ili Siili Domenico ili Fiesole riportata annhc dal Villari, voi. II, p. 2B5.
XI.
Segue sul metodo di predicazione
di Girolamo Savonarola.
4.
FORMA DELLA PREDICAZIONE.
Sommario.
Il sacro predicatore luco del mondo. — Commozione dell'animo nostro, dovendo parlare della stabilita
o fermezza del Savonarola. — Il carattere di Fra Girolamo nella fiacca età presente. — La fede
e la fermezza virtù speciali dell' oratore fiorentino. — Fermezza di Mose e degli Apostoli. — I
predicatori che fanno tempeste e non le curano. — I predicatori legni di canna. — Il Savonarola,.
Lorenzo de' Medici e il Pastor. — Il sacro predicatore cane che sempre abbaia. — Il Savonarola
o San Giovanni Crisostomo. — Come il predicatore sacro deve esser chiaro nella forma della
trattazione. — La predicazione del Savonarola e i fanciulli. — Mirabili virtù del Frate di San
Marco. — I Fiorentini intendono lo difficoltà della Scrittura. — Ondo provenga la semplicità e
chiarezza del (lire (li Fra Girolamo. — La semplicità nel campo dell' arto. — Come si debba oc-
cultar 1' arte. — Ingiusta sentenza del Pastor. — La semplicità che vince. — L' eretico sottile, e
il cattolico semplice. — Fra Girolamo e i predicatori moderni. — Leone XIII e Fra Girolamo
Savonarola o l'eloquenza della Sacra Scrittura. — Fra Girolamo vuole che si predichi la Scrittura
semplicemente. — I grandi oratori e 1' efficacia dell' eloquenza scritturale. — Come fine della pre-
dicazione dev'esser la salute dello auime. — I predicatori legni di sambuco attristano l'animo
del Savonarola. — I tibiciui e i cantatori dell' archisinagogo. — A resuscitar le animo morto ci
vuole Cristo co' suoi discepoli. — Un dubbio dissipato dal libro del Pastor. — Il Cortesio o la
fraseologia pagana uello scienze teologiche e Fra Girolamo. — La nostra sentenza ò la sentenza
del Boiardi e non quella del Pastor.
Restano ora a dire alcune cose intorno alla forma della predicazione, della
trattazione degli argomenti, e de' temi che deve svolgere il sacro predicatore.
É chiaro, anche per quello che ahbiamo esposto antecedentemente, che
il predicatore sacro deve illuminare il popolo cristiano, insegnandogli la legge
di Cristo; deve esser la luce del popolo cristiano; la luce del mondo. Fra Gi-
rolamo scrive nella predica XXV sopra Amos e Zaccaria: « Dovete notare
che il predicatore deve per prima cosa illuminare gli uomini della fede, delle
cose di Dio, e della Trinità, della Incarnazione del Verbo e delle altre cose,
e mostrare all' uomo che il fine suo è vita eterna, e dichiarare i mezzi che
conducono a quel line. » Ma a ciò che cosa si richiede? La Lettera circolare,
— 119 —
con San Tommaso, insegna che « per esser veramente luce del mondo tre cose
deve avere il predicatore della parola divina: prima la stabilità per non deviare
dalla verità; secondo, la chiarezza, perchè non insegni con oscurità; terzo 1' uti-
lità, perchè cerchi la gloria di Dio e non la sua. » (') Ora queste tre cose le vo-
leva Girolamo Savonarola? si trovano nella predicazione di Lui?
Dovendo parlare della stabilità e fermezza del Savonarola, mi sento tutto
P animo commovermi! Chi potrebbe ritrarla adeguatamente? Io sfido il mondo
a trovare una sola verità che il Savonarola abbia disdetta dal primo momento
che aperse la bocca o scrisse per il pubblico fino all'ultimo istante, nel quale
venne spogliato del santo abito che portava! Se io potessi in questa fiacca e
presuntuosa età ritrarre a pieno il carattere del Savonarola, e proporlo nel
mondo perchè fosse imitato, mi parrebbe di non aver vissuto invano ! Tenendoci
qui a ciò che riguarda la predicazione, che abbiamo a dire? La fede e la
fermezza nella dottrina di Cristo e nella celeste missione della Chiesa, nella sua
perpetuità, nella sua divinità, a me parvero sempre le virtù speciali del Frate di
San Marco, quelle che meglio risplendono nella corona dell' Oratore fiorentino.
— La dottrina di Cristo è vera, anzi è essa verità, e deve trionfare di tutto e non
può venir meno; e così non può venir meno la Chiesa depositaria e banditrice
di questa verità, per questa dottrina e per la difesa della Chiesa non bisogna
aver paura di morire; il morire per questa causa è una splendida vittoria, un
esser chiamato con Cristo alla redenzione degli uomini. — Ecco la legge che go-
verna la vita di Fra Girolamo. Per trovare un esempio simile, io non saprei a
qual Santo rivolgermi, se non lo ricerco nell' età de' martiri, o se non pronun-
cio il nome di Agostino e di Girolamo! Per ogni dove la Chiesa per le tene-
brose opere de' tristi minaccia ruina, i tiepidi ammorbano la vita cristiana, il
paganesimo trionfa....; e Fra Girolamo risorge appunto a predicare la eterna
giovinezza della casta Sposa di Cristo e la rinnovazione della medesima, la sua
dilatazione.... Ne prevede il futuro terribile flagello e ne piange con ineffabili
lacrime.... Si volge a' religiosi, alle monache, a' prelati, al papa, a' principi....
tutto invano! E perseguitato egli e il piccolo gregge che lo vorrebbe seguire ed
aiutare: non son lasciali operare e introdurre il ben vivere; da ogni lato vengon
fuori promesse e minacce grandi.... e calunnie diaboliche.... L' ardente Frate
si volge all' estremo rimedio, a Cristo, e prega e chiama e grida; ma par che
Cristo non senta... ! La superbia della carne guasta ogni cosa; i nemici trion-
fano; egli è fatto prigione, processato, condannato...; ma sale il palco di morte
fidente, e dà lieto alle fiamme che lo divorano il corpo, perchè 1' anima voli in
cielo nella gloria della Chiesa trionfante, colla quale si sente già unito anche
prima di esalare 1' ultimo anelito; sale quel palco pronunziando il suo atto di
fede: Credo nella Santa Chiesa cattolica, e muore nella speranza che la Chiesa
militante sarà presto rinnovata, e trionferà poi con Cristo in eterno. Oh! "
se non è fede questa, se non è fermezza, se non è fede e fermezza da Santi,
quale saranno mai esse?! e dove?I
(') Commentario di San Tommaso sopra Mattoo, cnp. V.
— 120 —
Dopo ciò mi paion facili e ciliari alcuni passi che leggo nelle prediche del
Frate: « Bisogna al capitano avere gran fede, e non si alienare per tribolazione
alcuna. Al tempo degli Apostoli, benché avessero molti ostacoli, molte con-
tradizioni, non mai per tribolazione alcuna si alienavano dalla fede di quelle
cose che e' predicavano; ma sempre stettero forti perchè avevano la cer-
tezza di quelle cose che dicevano. Così Mose, come buon capitano, stolte
sempre in fede di quel che Dio gli aveva detto.... » (Sopra Giobbe, pred.
XXXIII.) E nella XV sopra Amos commontando il passo del Profeta : Cercate
lui che creò Arturo ed Orione che cangia le tenebre in mattino (e. V, v. 8), dice :
« Lui ha fatto la stella di Orione; Orione è una costellazione che è nella
fronte del Tauro, la quale nella sua apparizione genera pluvie e tempeste. Que-
sta stella nel Tauro significa i predicatori, perchè nella Scrittura Santa i buoi
significano i predicatori, i quali arano la terra del cuore de' fedeli; i quali
predicatori quando son fatti e mandati da Dio fanno sempre piove e tempeste,
come questa costellazione di Orione, cioè hanno sempre tribolazioni e per-
secuzioni e contradizioni grandi per dire la verità. Ma loro per questo non
curano niente del mondo; ma loro ci vogliono mettere insino al sangue e la
vita per la verità, come facevano quei Santi Martiri. Temete adunque, o uomi-
ni, questo Signore, che fa questi predicatori; il quale ancora converte le tenebre,
nel giorno e nella mattina ; cioè in un subito fa di un peccatore pieno di tene-
bre, uno illuminato e buono.
«Io non so che dirmi qui; oggi non sono i dottori i predicatori legni di
Sethim; ma alcuni a me paiono legni di canna, perchè sono dentro vuoti di
buone opere, e piegansi ad ogni vento. Viene quel principe e quel gran mae-
stro, e soffia e dice: Padre, voi mi piacete molto a predicare nel tal modo,
seguitate, chè voi n'acquisterete appresso il popolo; e così il vento dell'adu-
lazione lo piega da una parte. S' egli accade che pure qualche volta e' pre-
dichino la verità e riprendano, e' viene il vento da un' altra parte, perchè gli
è minacciato; e allora lui si piega e dice: — Ben io mi correggerò, io non
intendo d'offender persona; l'ho caro che voi m'avete avvisato. — E così
questi non sono idonei strumenti da portar l1 Arca. Bisogna esser legni forti
e reggere ad ogni vento e ad ogni acqua.... » (Quam Bonus, pr. VII.) (')
A questo punto io non so che giudizio dare del Pastor ove, anziché ammi-
rare il nostro Frate pel modo che tenne con Lorenzo De'Medici, poco è se non
ce lo mette a carico de'vizj onde fu reo queir uomo pur tanto maraviglioso.
Ecco che cosa scrive al riguardo il professore d'Innsbruck (p. 120): « Invana-
mente Lorenzo De' Medici, tutto inteso a trarre a sé quanto v' era di meglio,
studiò di cattivarsi questo Frate giunto a tanta reputazione. Sebbene questi avesse
offeso quel potente coli' essersi ricusato dopo la sua elezione a priore di fare
la consueta visita di ossequio al Magnifico, che aveva fabbricalo il convento di
San Marco, il Medici scaltro non ne fece caso; di fronte al suo emulo più
(') Coilf, In XXII sopra Escorinolo, o molto altro prediche segnatamente la XXXIVsopra
Amos, o troverai delle coso bollissimo intorno alle qualità del huon predicatore.
dichiarato e violento si contenne da perfetto gentiluomo e politico; ancorché
gravemente offeso, non si lasciò andare ad alcun alto Imprudente e che desse
neh' occhio; con calma affettata si tolse i disgusti e le offese del Frate appas-
sionato. K detto anzi che Lorenzo, giunto in fin di vita, richiese i conforti della
religione da quel Frale impavido od austero. Se il Savonarola avesse saputo
moderarsi, la sua efficacia su Lorenzo, che malgrado la sua indole leggera
era tutt' altro che inaccessibile a considerazioni religiose, avrebbe potuto di-
ventare di incalcolabile momento. Ma il suo spirito irrequieto il trascinava e,
tulio intento alla mira che aveva innanzi di una radicale riforma in ogni or-
dine di cose, dimenticò ogni limite suggerito dalla prudenza e circospezione. »
Lasciamo star per ora i titoli ingiuriosi che 1' egregio storico regala al
Frate, e lasciamo star specialmente quell'emulo (') che nessuno forse riuscirebbe
a capire bene che valga, perchè nessun forse troverebbe in che cosa Fra Gi-
rolamo emulasse il Magnifico; lasciamo slar l'errore marchiano d'aver detto
Lorenzo fondatore di San Marco, fabbricato invece da Cosimo nel 1437, undici
anni prima che Lorenzo nascesse (2); stiamo fermi al punto. Notate che quesle
parole il Pastor le scrive proprio dopo d'aver detto de'successi che il predicatore
Domenicano otteneva fra il popolo Fiorentino, e vi sarà facile capire che valgono
esse. Or dunque, che si vuol ricavare dalla prudenza del grande critico? Che
il Savonarola avrebbe dovuto adulare (se questo non vi piace, ponetevi voi un
altro vocabolo) adulare un poco i Medici, per non disgustarli. Ma il Pastor già
ci fece osservare che « nella residenza di Lorenzo il Magnifico » v' era « or-
rendo guasto morale, scostumatezza largamente diffusa, fredda indifferenza
per ogni principio religioso, freddo sorriso per quanto vi aveva di nobile e
generoso » (p. 123); e a pagina 130 scrive ancora che i guasti in Firenze
contro cui s'era levato il Frate erano « prodotti violentemente da' Medici, » e
a pagina 133 ci dà la notizia che Luca Signorelli autore del Giudizio Univer-
sale nel Duomo di Orvieto, che « eccede per le nudità delle figure i limiti
permessi in una chiesa » pitturò « per Lorenzo il Magnifico alcune figure di
dee tutte nude.... » e a pagina 136 si ripete che la corruzione contro la quale
lottava l'ardente Frate era « favorita da' Medici, » e parla spesso di Firenze
« città malamente guasta da' Medici. » E quanto a Lorenzo in particolare il
Pastor ci fa sapere, che « la sua vita dissentiva troppo spesso dalle norme
della religione cristiana » (p. 79). Ci fa conoscere « 1' avarizia impudente on-
d' egli si usurpò i beni dello Slato, » ci discuopre « le macchie vituperose
che neanco i suoi più caldi panegiristi sono in condizione di cancellare » ce lo
mostra « invischiato in faccende d'amore, » narrandoci che « per anni e anni
(') È inutile che ripetiamo che scrivendo noi specialmente por gl'Italiani abbiamo di
mira, della Storia de' Papi, la versione di Clemente Benetti l'atta con il privilegio dell'autore.
K essa esatta e fedele? Dicono di si (vedi nel secondo volume la lettera del vescovo di Trento
al traduttore); ma forse almeno questo III volume non ó senza diletti. Qni per esempio altri
invece di emulo più dichiarato e violento avrebbe potuto tradurre avversario dei tulio caldo e im-
moderalo; ed invece di perfetto gentiluomo e politico, avrobbo tradotto uomo di inondo politico
raffinato. Comunque sia, le cose da noi dette nel testo sostanzialmente restano le stesse.
(*) V. Marchese, Scritti varii, v. I, p. 47.
- 122 —
mantenne relazione con una maritata » (p. 80). Se il Savonarola ricusò la con-
sueta visita d' ossequio al Magnifico, se non volle immischiarsi tra « licenziose
brigate, » (ivi) merita forse un rimprovero ? I biograti antichi lo lodano e lo
ammirano, secondo voi, per rimanere nelle grazie di Lorenzo, che avrebbe do-
vuto fare il Frate severo? Egli che nella sua prima giovinezza condotto dai
suoi genitori nel palazzo ducale della sua Ferrara non volle mai più in tutta
la vita rimettervi il piede, (*) doveva, secondo voi, in Firenze smentire se
stesso, doveva dimenticarsi per un momento dell' esempio di Cristo, che chia-
mava i Farisei sepolcri imbiancati; dimenticarsi per un momento del pre-
cetto Evangelico, che dice: « Sia il vostro parlare: sì, sì, no, no; imperocché
il resto vien da cosa mala, » (2) mettere un poco da parte questi precetti, e la-
sciar dormire tranquilla Firenze nel vizio; e fare, come chi? come un pre-
dicatore contemporaneo che voi lodate a pagina 124: il predicatore predi-
letto a' Fiorentini allorché capitò in Firenze il nostro, « creatura de' Medici»
Fra Mariano, i cui pregi ; come voi li dite, sono decantati da Angelo Poliziano : « la
voce sonora, le parole elette, l'arte del fraseggiare, l'armonia delle cadenze.... un
uomo insinuante, e ad un tempo circospetto quale non se n' è mai conosciuto.
Egli non respinge con soverchio rigore, nè illude e seduce con intemperante
indulgenza.... Mariano sì che è un uomo tutta moderazione. Sul pergamo cen-
sore severo, come n'è disceso si espande in discorsi affabili che gli accattivano chi
lo ascolta.... » (3) Così, è vero ! avrebbe dovuto essere il Savonarola! Così avrebbe
dovuto fare...! Certo, se voleva poter essere sentito da' Medici, non doveva es-
sere nè fare altrimenti. Ma io non lo voglio giudicare questo Fra Mariano; il Sa-
vonarola mi avvisa (e lo fa stretto dalla necessità) (4) che costui prima diceva in
Firenze dal pulpito villanerió ad Alessandro VI e lo chiamava marrano.... e
poi in Roma elevato a dignità, ne celebrava le lodi dal pulpito, e faceva le corna
per Fra Girolamo.... (5) E questa è la stabilità dell'oratore sacro, questa la li-
bertà apostolica con la quale il predicatore deve parlare al popolo? Del resto
a me non par nemmeno troppo serio il credere che, se Fra Girolamo avesse
saputo moderarsi, la sua efficacia su Lorenzo avrebbe potuto diventare d' in-
calcolabile momento. Se l'educazione di quella ottima madre che fu Lucre-
zia Tornabuoni, non potè far sì ch'egli si serbasse immune da quei vizj ch'erano
pur troppo generali al suo tempo, ma ad essi dobbiamo in parte la prematura
sua vecchiezza, che cosa avrebbe di considerevole potuto ottenere da lui un
Frate che lo blandisse? (Cfr. Cipolla, Storia delle Signorie, pag. GOL) Pensiamo
d'altra parte che Lorenzo morì nel 1492 e ricordiamoci che il Frate prima
di quel tempo nelle sue prediche non manifesta altro che amore grande verso
(•■) Vedi Villari, v. I, p. 13.
(-) Vangelo di San Matteo, cap. V, v. 37.
(3) Cf. Villari, v. I, p. 80. .
(') Lettera del 22 maggio 1497. Vedila pubblicata tutta intiera nella sua traduzione ita-
liana l'atta da Cenare Guasti, nell'opuscolo II Domenicano Savonarola e la Riforma. Tradu-
zione italiana. Milano 1897., p. 67, o più sotto in questo lavoro.
(-) V. Villari, v. II, Appondico, Doe. XIII.
— 123 —
Dio e carità per gli uomini, e non ha nulla che possa direttamente offendere la
Signoria de' Medici come tale, e poi capiremo subito che se Lorenzo avesse vo-
luto far bene, avrebbe certo avuto grande aiuto da Fra Girolamo. Del resto,
appunto facendo come fece, non v' è dubbio che il Savonarola s' acquistò quale
religioso tutta la stima di Lorenzo, perchè appunto questo frate impavido e
austero,, appunto lui volle chiamare al suo letto di morte. Ma quello che è vero
senza dubbio si è, che Lorenzo non voleva già andare lui al Frate per vivere
castamente e con giustizia; ma come studiava intensamente a trarre a sè quanto
v' era di meglio, così voleva trarre a sè anche il severo predicatore, voleva
guadagnarlo coli' oro, voleva farlo legno di canna, e viver così egli quieto
ne' suoi vizj e nella sua tirannide, e continuare colla parola e coli' esempio ad
esercitare la sua « efficacia corrompitrice sui fiorentini. »
Nè le cose che qui diciamo sono immaginarie o congetture, ma sono vere
e reali, sono narrate dal Savonarola e da' contemporanei, nè contraddette nè
messe neppure in dubbio da nessuno de' posteriori, nemmeno dell' età nostra.
Lorenzo smarrito dall' ardire del Frate che sfidava i superbi Signori, non
meno degli umanisti, cioè flagellava il vizio dovunque esso si trovasse, e pre-
dicava (come attesta anche il Cerretani) all' apostolica, combattendo la mol-
lezza del vivere, pensò di fargli lasciare i discorsi infuocati, arditi, pieni di
spirito. Per questo, dopo di aver tentato invano di riuscire nell' intento con
le carezze, le offerte e i ricchi donativi al convento, ricorse alle intimazioni e
alle minacce, e mandò al Frate cinque de' più autorevoli cittadini (') affinchè
lo inducessero appunto a lasciar quel modo di predicare, mettendogli in vista
i pericoli che in caso contrario sovrastavano a lui e a tutto il suo Convento.
Ma il Frate che era pronto a morire per le cose che predicava e a sacrificar
tutto perla verità, e non voleva esser legno di canna, ma legno di Sethim, stette
fermo, e rispose imponendo a'messi di dire a Lorenzo, che facesse penitenza
de'suoi peccati, perchè Dio voleva punire lui e i suoi. Stette fermo, nè si mosse
per crescere che si facesser le minacce; e non mutò soggetto alle prediche,
ma continuò a predicare apertamente la verità a costo di ogni pericolo.
Questo fatto è uno de' meglio accertati nella storia. I personaggi man-
dati da Lorenzo al severo predicatore divennero quasi tutti Savonaroliani e
fra questi si conta anche il Valori; il Frate potè narrare poi l'accaduto al po-
polo e appellarsi per la verità di quanto diceva alla testimonianza di quelli
che ancora vivevano, che erano ben quattro. (*) E questo fatto chiosa assai
(*) V. Villari, v. T, p. 139, d. 2, dove puoi anche leggere i nomi degli autorevoli cittadini.
(2) Ecco le parole del Frate: « Al tempo di Lorenzo de' Medici, vennero a me cinque
cittadini vostri principali, che allora reggevano nella vostra città, e doi quali n' è vivi quat-
tro, e f'eciono ammonizione come da loro, che io non dicessi quello cose, lo gli risposi e tra
lo altre cose dissi: Voi dite che non siete stati mandati, ed io dico di sì: andate, e rispondete
a Lorenzo de' Medici che faccia penitenza dei suoi peccati, che Lio lo vuol punire lui e i suoi,
lo non so se essi glielo dissero : io gli feci questa risposta, se vogliano dire la verità. E di poi,
seguitando io, molti mi dicevano che io non dicessi, che sarei confinato: alli quali io risposi:
Abbiate paura voi delli confini, che avete moglie e figliuoli; io non ho paura, che quando
bene non stessi qua, questa vostra terra è come un granello di leute a comparazione di tutta
— 124 —
bene le parole sopra trascritte e le altre simili che si leggono nelle prediche
del nostro; e chiosa del pari assai bene il ripetere che il Savonarola fa,
come nelle Scritture il predicatore è simboleggiato nel bove, così è simboleg-
giato nel cane, che sempre abbaia che si deve far bene e non male ; e non tace
neppur se i viziosi siano alto locati; non tace, inasta saldo, come stettero saldi
San Giovanni Battista e San Giovanni Crisostomo. (') E certo ad ogni modo
che non la teorica del Pastor, ma il procedere del Frate s' accorda con Sari
Tommaso e la Congrega/ione de' Vescovi, che vogliono, perchè sia lume del
mondo, slabilità nel predicatore della parola divina. Del resto, ripetiamolo ; se
il Savonarola rimase duro con Lorenzo, si è perchè volevano che si predicasse
ad placebo, e non s' intendeva quello che era religione Cristiana. (Sopra Eze-
chiele, Fred. XLIV.)
La seconda dote che deve avere la forma della trattazione si è la chia-
rezza. E questa è una dote che nessuno può negare al nostro Frate, a nes-
suna sua predica, e meno che mai a quelle, e non son poche, eh1 egli volgeva
a' fanciulli. Davvero che non si poteva dire al Savonarola : Parvuli petieruni
pattern, et non erat qui frangerei eis ! (2) (Conf., fra le altre, la predica sopra
Ezechiele fatta il venerdì dopo la quinta domenica di Quaresima.)
Una cosa è singolarmente mirabile nel nostro predicatore, 1' aver saputo
trattare ed esporre al popolo le parti più alte e più difficili della nostra Teo-
logia, senza toglier nulla alla precisione e all' esattezza, e facendole tuttavia
intendere ad ognuno che lo sentiva. Molte e gravissime difficoltà della Scrit-
tura Sacra egli le risolveva a' Fiorentini; e i Fiorentini capivano bene le figure
della Scrittura, come fossero altrettanti buoni studiosi di Teologia! E chi
più di lui tra gli oratori d' Italia rese al popolo familiari le dottrine teologiche e
morali di San Tommaso ? Sarebbe molto facile dalle prediche del Frate ricavare
un buon catechismo, ove si troverebbero esposte le dottrine dell'Angelico Dot-
tore in modo adatto alla intelligenza di tutti. Questo punto non è ancora stato
abbastanza studiato dagli storici del Frate, e quando lo sarà, sorgerà come un
nuovo vivido raggio di luce a mostrare le benemerenze di lui nella Chiesa di
Dio! E tanto più è questo da notare, in quanto che, siccome ora la forma di
molti odierni sermoni tutta si avvolge in ambagi nebulose; così all'età del Sa-
vonarola molti predicatori erano confusi nelle cose che e' dicevano e confonde-
vano poi i popoli. (Sopra il Salmo Quatti Bonus, Fred. VII.)
Anche qui il Savonarola fu salvo dalla bontà del suo sistema e dalle fonti
onde traeva la sua dottrina. Egli, studiando nella Scrittura, aveva imparato
che 1' arte migliore del dire si è esporre le cose come sono, e non servire
alla rettorica come servivano i paganeggianti suoi contemporanei; e volendo
la torni. Io non ino ne curo, l'accia Ini ; ma sappia questo : io sono forosticro, o Ini è cittadino
«il il primo della citta ; io ho da star qua, e Ini se n' ha andare; io ho :t staro e non lui. »
(') l'or la somiglianza di Fra Girolamo al Crisostomo vedi la predica XXXIII sopra
Ezechiele.
I*) Troni ili Oeromia IV, 4.
— 125 —
mostrare al popolo le verità della fede, le quali splendono assai chiare a chi
è disposto a credere e ha l'intelletto e la volontà puri e fa opere huone, vo-
lendo insegnare al popolo il ben vivere cristiano, e che, secondo lui, quale ap-
pare in Cristo e ne' Santi, consiste nella semplicità, così nel suo parlare era
tutto chiaro e tutto semplice, tanto chiaro e tanto semplice quanto si può es-
sere in tali materie.
E qui io addito un altro punto agli studiosi della dottrina del Savona-
rola:— Importanza della semplicità, e naturalezza nel campo dell'arte. — Biso-
gnerebbe illustrare la I e la II conclusione del Libro III della Semplicità della
vita Cristiana. Il Savonarola aveva già elevato a principio che « se si voleva
parlare naturalmente, bisognava parlare secondo 1' uso degli altri uomini con
i quali si è insino dalla puerizia conversalo, e non isforzarsi d' imitare 1' elo-
quenza d' altri, nè parlare con artifizio. Gli artisti debbono sforzarsi di oc-
cultar l'arte delle opere loro; gli oratori imparino l'arte, ma mentre orano
s' ingegnino di occultarla. Piaceranno assai più se appariranno semplici, che se
appariranno artificiosi ; perchè le opere semplici procedono dalla inclinazione
d'una forma inclusa da Dio, e piacciono sopra tutte le altre. »
E qui non possiamo a meno di chiamare soverchiamente rigido e anche
ingiusto il Pastor allorché, a pag. 139, appoggiandosi all'Hase, ha l'audacia di
chiamar triviale il modo di predicate tenuto non di rado dal Savonarola!
Francamente, bisogna essere passionati all' eccesso per dir ciò come cosa se-
ria! Gì' Italiani che collocano il Savonarola in prima linea tra i loro sacri ora-
tori, tutti protestano ! 11 modo di predicare del Savonarola era semplicemente
popolare, quale dev' essere, e acconcio agli uditori suoi, tra i quali se ne con-
tava non pochi senza lettere e rustici. Egli era superiore a tutti, e sapeva, come
poi prescrisse il Concilio tridentino (XXIV, VII), adattarsi al bisogno di tutti.
Ma nessuno ha mai detto eh' egli fosse triviale ; anzi, anche per lo stile, se
noi le consideriamo nel tempo che furono recitate, le prediche di lui sono delle
migliori e più perfette che si abbia: e molte non possono spiacere a nessuno
nemmeno oggidì. Io credo esatto il Villari quando dice che « se ci mettiamo
a paragonare il nostro oratore co' suoi contemporanei più rinomati, come
Fra Paolo Attavanti, e Fra Pioberto da Lecce, i quali o rimanevano sepolti nella
scolastica o ne uscivano solo per discendere a scurrilità tali di linguaggio da
far dubitare che fossero veramente in Chiesa, allora il Savonarola ci parrà
gigante anche ne' suoi momenti meno felici. » (Voi. I, p. 144.) (') Del resto
(') Ne! volume La vita Italiana ufi rinascimento, l'arie, II, Letteratura, vedi una bellissima
conferenza del compianto professore e insigne letterato fiorentino Enrico Nencioni intitolata
La lirica del rinascimento, ove i meriti ilei Savonarola come letterato e poeta son l'atti mira-
bilmente risaltare. Egli riprova « certi .Manuali dove si parla a lungo del Segneri e non è neppur
rammentato il .Savonarola.... perchè il Savonarola scrive in cattiva lingua.... Tanto è vero
die da noi per troppo amor della lingua si perde spesso il carrello. » (p. 288.) >< 11 genio dei pro-
leti e di Dante era in lui e lo comunicò a Michelangelo e palpita ancora immortalo alla volta
e alle pareti della Sistina. Non tacciamo adunque del graudu oratore un Erostrato selvaggio
e un irate ignorante! » (p. Parla con gran lode delle suo liriche e nell'inno del Natale
sente un preludio de^li inni immortali del Milton e dol Manzoni: eppure dico che « 'e più gran
— 126 —
le prediche a noi conosciute di Fra Girolamo sono circa quattrocento, e tutte
queste, sebbene quanto al concetto meditate e studiate a lungo, quanto alla
forma furono improvvisate sul pergamo e raccolte dai suoi uditori, certo
non è difficile il trovarvi dentro qualche espressione non del tutto felice;
ma è giustizia il dire per questo triviale il modo di predicare di lui? Ma quel
che fa meraviglia si è che di triviale le espressioni citate dal Pastor (p. 139)
hanno ben poco, se si riguardino nel concetto; e se ben si osserva son simi-
litudini bibliche molto efficaci sopra il popolo; anzi una di esse è tratta a let-
tera dalla Sacra Scrittura ! (i) No, il modo di predicare di Fra Girolamo,
attese le condizioni dell'eloquenza al tempo di lui, non è triviale, ma semplice
e chiaro come vuole la Chiesa. Ma andiamo oltre.
Un' altra verità oltre alle dette di sopra, una verità di fatto concorse a
liberare il nostro predicatore dalle superbe nebulosità de' suoi contemporanei
e dal servire alla retorica de' gentili : la semplicità cristiana aver vinto i fiumi
dell'eloquenza de' pagani e degli eretici, ed esser destinata a trionfare
d' ogni altezza umana. Nella storia ecclesiastica il Savonarola teneva non mi-
nore la persecuzione eh' ebbe a patire la dottrina di Cristo e la carità dei
suoi seguaci dai filosofi eloquenti e dagli eretici, di quella de' tiranni contro i
martiri. Ma il non aver potuto i fiumi dell' eloquenza prevalere contro al-
l' amore e carità di Cristo, contro la dottrina della Scrittura è per lui una
forte prova della verità delia fede che sa difendersi da se stessa e con armi
proprie e non teme lotta alcuna. « Contro ai fiumi dell' eloquenza Dio mandò
maggiori fiumi che li ributtarono e ritennero l' impeto loro, che non poterono
nuocere agli eletti di Gesù Cristo. Questi furono i santi Dottori Ambrogio,
Agostino, Girolamo, Giovanni Crisostomo e altri infiniti Dottori che Dio ha
mandalo per difendere la Chiesa sua dagli eretici. E non solo l'amore di Gesù
Cristo lia trionfalo degli eretici mediante la dottrina de' Santi Dottori: ma an-
cora li ba superati con la santa semplicità. Onde narra l' istoria ecclesiastica
che disputandosi una volta pubblicamente contro gli eretici, era uno tra loro
più audace e più arguto e sottile nel disputare, che gli altri, in modo che i
poeta in molte sue prediche che nelle vere e proprie poesie »; (p. 291) e fa nn meraviglioso
riassunto d'una sua predica sopra i salmi, Cfr. Anche il Perrens: La predicazione di Fra Gi-
rolamo Savonarola.
(') La prima di queste espressioni biasimate dal Pastor fu da noi sopra riferita a
pag. 20. « La vostra vita è un mo'di vivere da porci. » Ai Fiorentini che sapevano a memoria
molti versi di Dante e specialmento il 12">° del CRnto 29° del Paradiso detto dalla gentile Bea-
trice, non dovevan certo recar meraviglia. Quella poi che rappresenta i principi invasori quali
« barbieri con grandi rasoi » è tolta da Isaia, cap. 7, v. 20: « In quel giorno il Signore per
mezzo di rasoio preso a nolo, per mezzo del re degli Assiri raderà il enpo e il polo dei piedi
e tutta quanta la barba. » Ecco che il Pastor, non volendo, chiama triviale il linguaggio della
Saera Scrittura! Vedi la nota del Martini al versetto e vedrai quanto a proposito il Savona-
rola applicasse questo linguaggio all'Italia d' allora e agli eserciti stranieri che la dovevano
devastare e spogliare. Del resto anche qui il Pastor condanna non ciò che ha letto nel Frate,
ma ciò che ha letto nel Perrens. Di più la prima delle frasi dette triviali dal Pastor, il Por-
rena 'pag. 130), con tutto ciò che vi premette, pare voglia giustificarla; ma il Pastor non tiene
aloun conto della giustificazione. Dell'allegoria poi nello prediche del Savonarola il Pastor
mostra di non saper niente.
— 127 -
nostri cattolici non lo poteano convincere, quantunque fossero dottissimi, per-
chè quando pareva che dovesse esser preso da qualche forte ragione, subito
fuggiva loro dalle mani come 1' anguilla. Era qui un uomo vecchio pieno di
Spirito Santo, ma ignorante; e' salta fu ora per disputare con quel filosofo
eretico. I Padri Santi e quelli Vescovi non volevano, per non metter a peri-
colo la fede. Questo sani' uomo fece istanza dicendo che non dubitassero, che
10 convincerebbe; que' Padri gli dettero licenza. E tanta fu la grazia e l'effi-
cacia die dette Iddio alle semplici parole di quel vecchio, che quel gran filo-
sofo ammutolì, e non seppe che rispondersi : e maravigliandosi ognuno, disse
11 filosofo: « Sappiate che insino a qui io ho dato parole a parole, e non m' è
stato difficoltà a rispondere a nessuno. Ma poi che io ho udito questo vec-
chio, m' è parso che lo Spirito Santo abbia parlato in lui, e per tanto io non
so che rispondermi. Vedi? questo gran fiume d'eloquenza fu assorto da que-
sto piccolo fiume; vedi che l'amore di Gesù Cristo prevalse contro a questo
gran fiume. » (Sopra il Sai. Quam bonus, XV. Conf. 1' Apologetico e le prediche
sopra Amos e Zaccaria.)
Se così pensassero i predicatori nostri, certo la Congregazione de' Vescovi
e Regolari non avrebbe avuto bisogno di lamentare in molti odierni sermoni
< la mancanza di quella sacra impronta, di quell'alito di pietà cristiana, di quella
unzione dello Spirito Santo, per la quale il banditore evangelico dovrebbe sem-
pre poter dire di sè : Il mio parlare e la mia predicazione fu non nelle parole
persuasive della umana sapienza, ma nella manifestazione di spirito e di virtù.»
Oh davvero che neh' umana sapienza come tale contava poco il nostro grande
predicatore della parola divina, e per contro mollo teneva ad improntare di
sacro i suoi sermoni, e a farvi alitare per entro la pietà cristiana e 1' unzione
dello Spirito Santo; imperocché ben sapeva allora che la parola del predica-
tore, a somiglianza della parola della Scrittura, rappresenta al popolo la bontà
divina del Crocifisso; e fa gli uomini re, cioè dominatori delle proprie passioni.
(Sopra il Salmo Quam Bonus, XX.)
Ma più ancora che lo studio de' Padri, de' Dottori e della Storia ecclesia-
stica, insegnò al Frate di San Domenico la semplicità del dire lo studio assi-
duo della Sacra Scrittura; che, come dice il Sommo Pontefice Leone XIII,
dev'essere il primo fonte della sacra eloquenza. Fra Girolamo non solo am-
metteva che nelle Sacre Scritture risplende un'eloquenza mirabilmente varia e
copiosa e degna delle cose grandi; ma questa eloquenza la celebrava inces-
santemente con lodi da uomo inspirato. Ecco alcuni de' passi del Frate al
riguardo: « Eloquentissima è la Sacra Scrittura, perchè è scritta da Dio il
quale narrò i suoi misteri in modo di cui nessun altro può trovare il migliore....
Volle Iddio trovare un tal modo di parlare, che mai non aveva usato veruno,
nè che altri potrebbe in seguito usare, il quale fortificasse gli animi nella
umiltà e li infiammasse di carità. Chè in questo la Sacra Scrittura si differen-
zia dalle altre scienze, perchè questa, mentre si legge, umilia l'animo e lo ri-
scalda, la scienza pagana invece lo gonfia e getta a terra.... Il modo di par-
lare e il processo delle Sacre lettere è tanto singolare che niuno de' nostri
— 128 —
Dottori, quantunque eccellentissimo ed espertissimo in ogni genere di eloquenza,
lo ha mai potuto imitare, nè si trova tal modo di parlare in altri autori che
ne' Profeti e in quelli altri ai quali lo Spirito Santo ha dettato i Libri Santi.
E benché gli Scrittori dello Spirito Santo sieno stati in diversi tempi ed uno
sia più eloquente dell' altro, nientedimeno hanno tutti serbato un modo di
parlare, il quale mai non hanno serbato, nè potuto serbare gli altri uomini,
nè possono, anche se eglino si sforzassero. » (Apologetico, libro IV, Trionfo,
lib. II, cap. Vili, sopra Amos, XXXIX....)
Per tutte queste ragioni Fra Girolamo condannando recisamente coloro
i quali andavano dietro solo alla eloquenza pagana, alla retorica, a Cicerone
ed a Platone ed a' Poeti de' gentili, voleva che si predicasse e predicava la
Scrittura semplicemente; e così parlava con un sermone vivo ed efficace e
più penetrante di qualunque spada a due tagli e giungente fino alla divisione
dell' anima e dello spirito. Quella sentenza mirabile che Francesco Tarugi ap-
prese da San Filippo Neri: « Parola uscita da bocca giunge sino all'orecchio,
parola uscita dal cuore non si ferma, finché non arrivi ad un altro cuore; » (l)
pochi meglio del Savonarola mostrarmi di conoscerla. Che se alcuna volta av-
veniva ch'egli, per pagare il debito suo ai gran maestri che volevano pure stare
al lume naturale, adduceva le ragioni de' filosofi, se era la mente che parlava,
si vedeva allora venir meno o quasi 1' attenzione dell' uditorio, ma la riotteneva
subito, appena si volgeva di nuovo alle Scritture. Allorché Leone XIII ad-
duce a prova della mirabile eloquenza delle Scritture la testimonianza de' più
eminenti oratori sacri, i quali riconoscenti a Dio, affermano di dover la loro
fama precipuamente all' assidua famigliarità colla Bibbia ed alla pia medita-
zione di essa, ben avrebbe potuto annoverare fra questi, quando gli fosse pia-
ciuto, anche Girolamo Savonarola. Infatti questi nel cap. Vili del 11 libro del
Trionfo, scrive letteralmente così: « Dio mi è testimonio che molle volte pre-
dicando al popolo, mentre che io vagava per le sottilità della filosofia per di-
mostrare la profondità delle Sacre Scritture agli scioli e superbi ingegni di
questo mondo, vedeva il popolo manco attento; ma subito ch'io mi conver-
tiva alla esposizione delle Scritture, vedeva rivoltare gli occhi tulli a me e così
forte fissi pendevano dalle mie parole, che parevano statue di marmo. Ed ho
ancora per esperienza conosciuto, poiché io lasciai di predicare le questioni
teologiche e mi convertii alla esposizione delle Scritture, il popolo essere stalo
molto più illuminalo di prima e la predicazione aver partorito più fruito,
traendo più numero di gente a Cristo e provocandoli a più perfetta vita. »
E per questo, per trarre gente a Cristo e provocarli a più perfetta vita, e
non per altro, predicava il nostro Frale, e non per uccellare, come il Pastor dice
che facevano parecchi a quell' età, ad una vana gloriuzza, o attirare a sé bat-
timani oil applausi; e come nella Lettera Circolare si dice che fanno parecchi
oggi giorno. Il Savonarola non poteva tollerare coloro che, dovendo predicare la
(') Oapeoelatro, Vita ili finn Filippo Si ri, Lib. Ili, e x.
— 129 -
parola sacra, non cercavano la gloria di Dio e la salute delle anime, ma sì
bene se stessi. Che sante parole non son quelle che il Pastor (trascrivendole
dal Villati) riporlo a pagina 127, 128; che sante paiole, e quanto zelo non mo-
strano esse nelP ardente predicatore ! Eppure lo storico tedesco non vi vede
altro che un' audacia che passa ugni misura! A noi non pare di vedervi altro
che una troppo triste verità e un vero passo parallelo allo scritto sapiente
della Congregazione de' vescovi dopo le parole dell' Em. Cardinal Bausa.
S' addolorava immensamente il Frate di San Domenico in vedere che i dot-
tori e i predicatori erano «legni di sambuco, che non avevan dentro sostanza
alcuna; sicché, se tu avessi radunato tutti gli scritti che e' facevano, e tutte le
parole che e' dicevano e predicavano, non ne avresti cavato senso nè ammae-
stramento che buono fosse.... Certi predicatori che avevano quel bel pallai-
Tulliano, che facevano quelle belle orazioni con tanti sinonimi, con tante fin-
zioni e similitudini e figure poetiche, che e' facevano stare attenti ognuno; ma
che finalmente non v'era utilità.... » attristavano di troppo l'anima del-
l' austero Frale, e nelP amarezza del suo zelo usciva egli in parole aspre e
forti: e voi, anziché ammirarlo e lodamelo, osate dargli biasimo, e dirlo audace
sopra ogni misura! Gli altri non avevano vergogna di lordarsi di vizj e ren-
dersi rei in ogni modo con danno e scandalo immenso del popolo, e il Savo-
narola non poteva, per zelo della salute delle anime, aprir bocca e chiamar le
cose co' nomi loro? A me pare che s'egli avesse fatto altrimenti da quanto fece
e dal modo come lo fece, si sarebbe reso colpevole del rimprovero che secondo
le parole di San Paolo (l) la Congregazione fa a' predicatori moderni, di non
curare che le anime rimangano vuote; ma che cerchino di lusingare gli uditori
gratlando così loro un poco le orecchie, senza parlar mai del peccato, mai de'no-
vissimi, mai di altre verità gravissime che potrebbero contristare a salute, ma
parlando solo parole piacevoli... Sarebbe caduto nell'errore fatale ripreso con
forti parole dall'Eni. Bausa nella lettera dell' 1 1 Giugno 1892: «Disapprovo
il sistema di taluni i quali per rendere più accette le verità del Vangelo ne
occultano molte e per tema dei loro sermoni preferiscono i vantaggi che il Cri-
stianesimo ha recato alla società per viver bene in questi pochi giorni della
vita presente. Inganna il popolo e tradisce il suo ministero chi vi predica Gesù
Cristo per metà, mutilando quel Vangelo di cui è scritto che neppure un apice si
deve trascurare. Pretendono essi che il Verbo Divino, la sapienza incarnata abbia
detto inutili cose? » (p. 8). No, il Savonarola a questo non sapeva rassegnarsi;
egli sapeva che « il buon dottore deve sempre tendere alla utilità de'popoli e
(1) Ep. II a Timoteo IV, 3. Le parole del Savonarola contro i cattivi predicatori, anche
quelle ove il Frate, secondo il Pastor, passa audacemente ogni misura, non son certo più
amare di quelle notissime di Dante, Parad. Canto XXIX, v. 103-126. E il Domenicano Fassa-
vanti nello Specchio di vera Penitenza chiama i cattivi predicatori «Amatori adulteri della
vanagloria, giullari e romanzieri buffoni, a' quali concorrono gli uditori come a coloro che
cantano de' Paladini.... infedeli ed isleali dispensatori del tesoro del Signor loro, cioè della
scienza della scrittura » pag. 100. Ed. Firenze lb2l. Ct'r. l'Opuscolo LXV di San Tommaso : Del-
l'ufficio del Sacerdote, in fine
9
— 130 —
fuggire le questioni inutili: » e vedendo che allora si faceva tutto il contrario,
non poteva tenersi dal dirlo e gridarlo forte: « Quelli che scrivono oggi e clie
predicano, non propongono se non questioni e sottilità e cose curiose, die grat-
tano così un poco l'orecchio, e all'anima inferma non fanno utile nessuno, non
la movono a contrizione, non la illuminano delle cose necessarie alla salute, non
la sanano dal peccato, non la risuscitano dalla morte. A me pare che oggidì i
dottori e i predicatori sieno come questi tihicini e cantatori, che erano in casa
della figliuola dell' archisinagogo morta, e cantavano e sonavano quivi canti
e suoni lugubri, e da incitare al pianto, e non resuscitavano però la morta.
Così fanno oggi i dottori e predicatori: gli stanno tutto il dì intorno alle anime
morte, e vorrebbero pure che le risuscitassero con quelle loro questioni e sot-
tilità, e con quelle belle similitudini e autorità d'Aristotele, di Virgilio, d'Ovidio,
di Cicerone, e con que' belli canti di Dante e del Petrarca; e non v' è ordine.
Oh! che canti lugubri da morti fanno eglino, in modo che non solo e' non resu-
scitano, ma bene spesso l'anime vive ammazzano! E però il Salvatore entrando
in casa dell' archisinagogo, e vedendo questi tibicini e la turba tumultuante,
presto li mandò fuora e co' suoi discepoli resuscitò la morta. Bisogna, dico io,
altro che Virgilio e Aristotele a resuscitare l'anime, e ad intendere le questioni
necessarie alla salute! » (Sopra il Salmo Quam Bonus, Pred. VII.)
Prima che uscisse il Libro del Pastor alcuno poteva forse credere che un
po' di esagerazione anche qui vi fosse nelle parole del Savonarola; e che egli
perciò alcuna volta inveisse davvero con troppa audacia contro la corruzione....
e la cattiva usanza de' dottori e de' predicatori, ma dopo il libro del Pastor
ogni dubbio è dileguato; come vedremo andando innanzi. Qui per mostrare
che davvero nelle amare e tristi parole del Frate non v' era esagerazione al-
cuna, mi basta a provarlo quanto l'egregio storico ci riferisce di Paolo Corte-
sio, segretario di Alessandro VI, più tardi protonotario apostolico. « Il Cortesio
si attiene bensì alla dottrina della Chiesa e confuta le false idee de' filosofi pa-
gani, pur nondimeno è tutto compreso della necessità delle dottrine della filo-
sofia antica per ispiegare e interpretare i dogmi religiosi. Indubbiamente peri-
colosa è la veste pagana che il Cortesio ha dato alla sua dogmatica, nella quale
non soltanto per designar persone e ordinamenti del culto, ma eziandio per
esprimere concetti puramente teologici si adoperano frasi pagane. Cristo, per
esempio, dicesi il Dio del tuono e del fulmine, Maria la madre degli Dei, i tra-
passati i mani. Agostino è celebrato pel Dio de'Teologi e per il tipico veggente
della teologia; Tommaso d'Aquino per l'Apollo della Cristianità. La dottrina
del peccato originale esordisce colla proposizione, doversi ora prendere in con-
siderazione il Fetonte del genere umano. L' inferno descrivesi per intero alla
foggia pagana siccome il tartaro coi fiumi Cocito, Averno e Stige. » (p. 97).
Era questo un trastullo da lasciar passare così alla leggiera? era questo
un trastullo niente pericoloso? 11 Pastor è il primo a rispondere negativa-
mente. E si può da chi ha zelo comportare tacendo la introduzione della fra-
seologia pagana e dell' elegante stile umanistico nella scienza teologica? So
bene che il Libro del Cortesio, segretario del Papa e protonotario apostolico
— 131 -
uscì nel 1502 quando già il Savonarola era stato mandato al cielo; ma è esso
un caso isolato, nato d'un tratto senza precedenti? Basta un'occhiata all'Apo-
logetico di Fra Girolamo a persuadersi del contrario; anzi basta un'occhiata alla
più bella parte del libro del Pastor ripieno di vasta erudizione, per esser completa-
mente convinti e persuasi che 1' abuso del linguaggio pagano nelle cose spiri-
tuali ed ecclesiastiche era molto generale e danneggiava assai alla schiettezza
e santità della dottrina di Cristo. E quai frutti dovevan produrre coloro che
così parlavano? Si potevan essi commendare?! * Oh veramente gran frutto
delle anime il dilettare le orecchie del popolo, il trarre a sè le lodi di Cristo,
il citare a piena bocca i filosofi, il cantare con vana modulazione i versi dei
poeti, il tralasciare o il proferire interrottamente l'Evangelio di Cristo e l'in-
segnare al popolo la superba e stolta sapienza dei pagani, che mandò in per-
dizione i proprj autori! » (Apologetico, lib. IV.)
Se il Pastor vuole chiamare audace oltre misura il Frate nostro nella mi-
sura e nel modo dei rimproveri che move al clero e specialmente a' banditori
della parola divina, lo faccia pure a sua posta; noi piuttosto col nostro Berardi
(Dissertazione citata) ripeteremo nulla esservi di più pernicioso che una siffatta
maniera di annunziare il Verbo Divino; e i predicatori di tal genere stimeremo
doversi annoverare fra i più grandi persecutori della Chiesa non immuni certo
da peccato mortale; onde non sapremo quali elogj tributare al severo Frate che
osò levar contro di loro la voce e condannarli inesorabilmente, anche a costo
di tirarsi sul capo il cumulo degli odj e delle accuse che dovevano opprimerlo.
XII.
Le feste promosse e le feste vietate in Firenze
da Fra Girolamo Savonarola.
Sommario.
Cose antecedentemente provate che si hanno da conceder per vere. — Nuove accuse lanciato contro il
Savonarola, e difficoltà di conciliarle con le virtù di lui. — Un giudizio del Perrens. — Le fun-
zioni sacre in Firenze prima del Savonarola. — Ogni cosa è ordinata a Dio, e i tiepidi volgono
a sè ogni cosa. — Dio non degna i sacriHcj de' tiepidi. — La festa di San Giovanni ridotta a gi-
randole, spiritelli e lascivie. — Il canto figurato e il canto fermo. — Le acque del giudizio di Dio.
— Processioni a cui il prato avrebbe voluto non essere stato. — Le feste e lo processioni de' Savo-
naroliani. — Festa e processione nel carnevale del 1496: relazione e giudizj del Savonarola. — La
mutazione de' fanciulli fiorentini opera di Dio. — Raffronti. — Relazione del cronista Landucci. —
Predica e processione della domenica dell'olivo, 1406. — Ordine e ornamenti. — Gli evviva a Cristo. —
Le pazzie dell'amore Divino e le pazzie dell' ambre mondano. — La Domenica dell' ulivo in Gerusa-
lemme e in Firenze. — Per rispondere ai savj del mondo. — David o ìlicol. — Gli occhiali de' Prin-
cipi de' sacerdoti e il Salvatore. — Il carnovale in Firenze nel 1498, secondo Jacopo Nardi e il Bur-
lamacchi. — Il significato d'una parola. — Cose taciute indebitamente dal Pastor. — Alto significate!
della festa savonaroliana. — Il trionfo di Cristo del nostro Frate, e il trionfo della Croce del
Duprè. — F/u' eccezione non dev'essere eretta a regola. — La gravità nelle feste. — Lo prediche
buttate via. — Che cosa combattesse nel culto Fra Girolamo. — Inni da cantarsi a preferenza —
La carità per i poveri o le feste del Savonarola. — Elemosine raccolte nello processioni di Fra
Girolamo. — Le processioni in Italia all'epoca del rinascimento secondo il Pastor. — Il Corpus
Domini in Viterbo 1' anno 1462. — Le feste del rinascimento e quelle del nostro Frate. — Feste
in Forrara 1' anno 1459-60 o Girolamo Savonarola. — Giudizio dell'Aquaroue e nostra ipotosi.
— Stiamo con San Filippo e non con il Pastor. — Il Pastor e il Gaspary egualmente condanna-
bili dai cattolici. — Un passo del Gianuotti cho ha bisogno di spiegazione. — Quello che avrebbe
dovuto fare il Pastor. — Divertimenti e foste vietate dal Savonarola. — La mondanità nelle lesto
religioso. — Il giuoco ai sassi. — Lo mascherate e i canti carnascialeschi all' epoca medicea. —
Lodo al Savonarola. — Corso al palio, quando sconsigliate da Fra Girolamo. — Il Gianuotti o il
Savonarola. — Il bruciamento delle vanità. — Il Pastor loda o biasima la stessa cosa. — Chi
sia ridicolo.
Ma noi udiamo levarcisi contro, non solo dal Pastor, sì bene anche da
parecchi altri, delle gravi obiezioni. È d' uopo sentirle tutte, a una a una. Si
conceda pure che Fra Girolamo avesse le eccellenti e rare doli esaminate
fin qui e fosse adorno in sommo grado delle qualità richieste dalla Lettera cir-
colare nel predicatore della parola divina, fosse cioè fornito di vera pietà cri-
stiana, compreso di grande amore a Gesù Grislo, e cercasse soprattutto la sa-
— 133 -
Iute delle anime e la gloria di Dio ; ammettiamo altresì che la pietà cristiana
rispondesse anche nella condotta esteriore di lui sì ch'egli fosse « un modello
vivo e parlante dei principj che inculcava » (Pastor, p. 127), e che alla pietà
e alla virtù cristiana andasse in lui congiunta anche la scienza; e diamoci an-
che per vinti in ciò che riguarda le materie e la forma della predicazione. Si,
l'Oratore fiorentino predicava la Scrittura ritenuta da lui per primo fonte del-
l'oratoria sacra, e la predicava mirabilmente; era luce del popolo, illuminan-
dolo nelle cose che s' hanno da credere, dirigendolo nelle virtù che s' hanno
da praticare, mostrandogli i vizi che s' hanno da evitare. Acconsentiamo an-
cora che 1' animo del Nostro Frate fosse adorno di una mirabile fermezza e
eh' egli splendesse nelle sue prediche per vera semplicità evangelica, e che
ognora nel predicare non cercasse mai se slesso; e che a tutte queste belle
doti egli dovesse i suoi più segnalati trionfi oratorj. Ma che perciò? Concede
volentieri anche il Pastor (p. 122) che molte buone qualità della predica-
zione di allora fossero nel Savonarola « sviluppate in sommo grado; » ma tanto
il Pastor quanto altri insigni scrittori potranno legittimamente biasimarlo, se
a tali ottime doti andavano unite altrettante « cattive qualità, » sviluppate
anch' esse « in sommo grado. »
E per venir subito al punto, non vi pare (ci dicono) almeno assai strano
in molte cose il vostro Frate? Come potrete scusare il ridicolo che vi è in
lui? « Le non sane esagerazioni de' fiorentini in materia religiosa, le quali
erano dirette con poteri illimitati dal Savonarola, eccitarono le beffe di tutta
Italia.... Dopo le sue prediche i suoi fautori si atteggiavano sovente in strane
fogge, ciò che essi dicevano essere — pizzi per amore di Cristo. — Anche il
così detto bruciamento delle vanità prendeva un carattere triviale e da tea-
tro. Quando si dava fuoco alla catasta, la Signoria usciva sul balcone, la cam-
pana di Palazzo Vecchio suonava a distesa, canti e squilli di tromba riempi-
vano l'aria; quindi si muoveva alla piazza di San Marco per celebrarvi una
festa di maggior pazzia, come la (') chiamava lo stesso Savonarola. Si for-
mavano tre circoli, nel più interno i Domenicani di San Marco alternati con
fanciulli vestiti da angelo, di poi giovani preti e laici, nell' esterno vecchi cit-
tadini e preti. Tutti cinti il capo di corone ballavano quindi sulla piazza il rid-
done. 11 Savonarola non capiva il ridicolo di tali spedienti, anzi difendeva
queste strane danze, ricordando Davide, ed annunziava non andrebbe molto
che si vedrebbero cose più straordinarie. » (Pastor, pag. 137, 139, 1 4-0.)
Ecco una prima accusa grandissima senza dubbio ! Pigliamola in esame,
e vediamo di venire ad una sentenza giusta e ben motivata.
È proprio vero adunque che fossero ridicole le processioni e le altre fun-
zioni del Frate in Firenze? e ch'egli fosse la colpa del ridicolo e non si ac-
corgesse del medesimo? Non ha egli in queste feste merito alcuno, ma solo
torto e tutto il torto, guardando, s'intende, con occhio cristiano? Di queste
(') Nella traduzione italiana, che noi esaminiamo, si legge lo. Se non è un orrore ti-
pografico è un tedeschismo che C. Renetti non doveva conservare in italiano.
— 134 —
funzioni il Frate parla molto sovente, e le descrive con molti e minuti parti-
colari. Mettiamone insieme una descrizione completa, e poi vedremo se
un cattolico pratico e fervente, avuto in ispecie riguardo alle circostanze di
luogo e di tempo, le possa chiamar ridicole e condannare senz'altro. S'intende
ch'io non mi propongo di dare qui una descrizione artistica, ma semplicemente
vera ed esprimente tutto il disegno del Frate. Raccoglierò adunque passi di lui;
chi legge intenderà bene da sè, e potrà senz'altro pronunciare un giudizio equo
e a ragion veduta; e son certo che non condannerà il Frate; ma, se è cattolico,
gli darà per contrario molta lode. Per queste descrizioni mi servirò di due pre-
dicazioni del Frale: quella sopra Amos e Zaccaria; e quella sopra Rut e Michea.
E prima, quali erano in Firenze le funzioni pubbliche, e come vi si face-
vano le processioni avanti la riforma del Frate? Mi pare che il Savonarola
nella XVIII sopra Amos e Zaccaria, parli con una sicurezza e con un'evidenza
tale da non permetterci punto di credere che egli esageri, tanto più se si pensa
che, qualora avesse esageralo o detto il falso, tutto il popolo avrebbe potuto
levarsi a contradirlo, o almeno 1' avrebbe dovuto disapprovare e togliergli sti-
ma. Sentiamolo adunque: « Guardatevi d'esser tiepidi; e guardatevi da loro,
perchè tutta la guerra noslra viene da questi tiepidi, e non abbiamo altra
guerra che questa. — Frate, tu hai detto che questa dei tiepidi sarà così gran
guerra ; sarà ella così ? — Io ti dico, che sarà così come ti ho detto. Ora state
a udire quello che dice di loro il nostro profeta : Io odio e rigetto le vostre fe-
stività, e non gradirò gli odori delle vostre adunanze. (4) Il culto divino esteriore
ti ho detto altre volte che è ordinato allo interiore, e tutto 1' ordine di questo
universo è ordinato a Dio, e per dare gloria al Creatore, acciocché gli uomini
vivan bene con umiltà e carità. Le cerimonie della Chiesa sono ordinate ai sa-
cramenti, i sacramenti sono ordinati all' uomo, e 1' uomo al bene e beato vi-
vere e il beato vivere a perfezione dello universo, e quella è ordinata a Dio ;
sicché ogni cosa viene a essere ordinata a Dio, come a primo principio. Ma
i tiepidi hanno fatto tutto a rovescio, perchè dove ogni cosa è ordinata e
debbesi fare per gloria di Dio, eglino hanno convertito ogni cosa in gloria loro,
e hanno fatta sua ogni cosa che doveva essere di Dio. I tiepidi preti e reli-
giosi ordinano là quelle belle feste e uccellano a pane, danari e candele; e
poco si curano dell' onore di Dio. Voi, secolari, aspettate le feste per fare
onore a voi e non a Dio, e vestite allora più pomposamente, quando si do-
vrebbe andar più onestamente a onore di Dio. Le donne vanno il dì della
festa più spettorale (2) che gli altri giorni, e hanno conversa la festa tutta in fare
C) Amos, V, 21; of. Isaia, I, 11; Geremia, VI, 20; Malachia, I, 10.
(2) La necessita, di predicare contro questo guasto era stata già rilevata da Dante:
Tempo futuro ru' è già nel cospetto
Cui non sarà quest'ora molto antica,
Nel qual sarà in pergamo interdetto
Alle slacciate donne fiorentine
L' andar mostrando colle poppe il petto.
E il Savonarola lo faceva quasi sempre mostrando comò esempio da seguirsi, la Vergini»
Maria. Of. anche sopra, p. 52.
— 135 —
stimare sè, e non in onore di Dio. Se tu vuoi udire ragionare di desinari e
cene e di trebbiani, va nelle chiese il dì delle feste; se tu vuoi udire cattive
cose, va nei cori. Così va, vedi le belle banche ornate nelle chiese il dì delle
feste, per mettervi suso le belle madonne, i giovani stanno là a fare la siepe,
e le donne passano pel mezzo, e loro dicono mille disoneste parole! Parti a
te che queste feste sieno ordinate in onore di Dio? Dice il Signore Dio : Io non
piglierò questo odore de' vostri sacrifizj ; io non piglierò di queste vostre messe,
chè si vede in certe chiese quei calici brutti, quei corporali neri. Ma lasciamo
andare questo, che non fa molto; diciamo di quelli che giuocano la notte e
tengono concubine, e poi la mattina vanno a dir messa: Io non piglierò di
questi sacrificj, dice il Signore, e sarebbe meglio che voi non li faceste. Quel-
1' altro dice messa da cavalcare e da caccia : (*) io non le piglierò, dice il Si-
gnore. In effetto non vi è più riverenza nel culto Divino; e se qualche oDera
esteriore si fa, si fa per proprio onore, e ognuno fa le cappelle con le arme
sue. Che vuole dire? se io ti dicessi : Dammi dieci ducati per dare a un povero,
tu noi faresti ; ma se io ti dico, spendine cento in una cappella qui in San Marco,
tu lo farai, per mettervi 1' arme tue e farailo per tuo onore, non per onore di
Dio ; e però Lui, vedendo questo, dice : Che se voi mi offerite gli olocausti e i doni
vostri, io non gli accetterò, e non volgerò gli occhi alle grasse ostie offerte per
volo da voi. (*) Io non riguarderò i vostri voti, e li vostri digiuni. E benché la
festa sia fatta per digiunare, tuttavia non è ordinata però per mangiare. Va, vedi
la tua festa di Santo Giovanni, che è il tuo padrone, come tu 1' hai ridotta?! A
fare girandole, e spiritelli (3j e mille altre lascivie. (*) Però dice Dio, non le riguar-
derò queste vostre feste. Cittadini, si vorrebbe che voi faceste una legge; che
per quella festa non si faccia più girandole, nè correr palj o simili cose; per-
chè altrimenti Dio si adirerebbe con voi. (5) Ancora, perle ville si fanno balli il
dì delle feste, e si vorria che voi faceste provisione, che i podestà e i ret-
tori, che sono in quei luoghi, non li lasciassero fare; il Signore non vuole
queste cose ; ma dice : Lungi da me lo sconcerto de' vostri carmi, io non ascol-
(4) La frase: Messa da cacciatore, è sempre viva noli' uso fiorentino.
(J) Amos, V, *2.
(3) Gli spiritelli probabilmente erano amorini o putti, o piccole Xinfe e Grazie. E usato
anche dal Varchi, Storia Fiorentina ; ed. Firenze 1833-41. voi. 2°, p. 355: « La mattina di San
Giovanni (1530) invece di ceri e paliotti e spiritelli e d' altre feste e badalucchi (trastulli)
che in tal giorno a' buoni tempi si solevan fare, si fece una bella e molto devota Proces-
sione. » Nel senso di amorini è usato anche dal Boccaccio. Vedi Vocabolario deila Crusca a
questa voce.
(4) V. Guasti, Le feste di San Giovanni in Firenze, 1884; e Aurelio Gotti, altro opuscoletto
col medesimo titolo, Firenze, 1887. Ambedue questi autori convengono nel dar lode a Fra Gi-
rolamo d'aver fatto si che dalle feste di San Giovanni si dismettesse ogni profanità-
O Fra Girolamo fu ascoltato e nel 1494 la festa esteriore si ridusse alla semplice pro-
cessione e all' offerta. Ma dopo la morte sua « si tornò alle feste di San Giovanni, ai fuochi,
alle mostre, ai palii, ai carri, e le donne a far pompa della loro bellezza e adornezza e gli
uomini del vigore prestante e della balda gioventù. • E si andò poi tant' oltre che la festa
di San Giovanni del 1513 fu dal cronista Cambi chiamata con piena ragione « festa diabo-
lica. » Cf. Gotti, op. cit.
— 136 —
terò le canzoni cantate da te sulla lira;(l) dice Dio: Leva via quelli tuoi belli
canti figurati. Egli hanno questi signori le cappelle dei cantori, che bene
pare proprio uno tumulto, come dice qui il profeta, perchè vi sta là un can-
tore con una voce grossa che pare un vitello, e gli altri gli gridano attorno
come cani, e non s'intende cosa dicano. Lasciate andare i canti figurati, e
cantate i canti fermi ordinati dalla Chiesa: voi volete pur sonare organi, voi
andate alla Chiesa per udire organi; dice Dio: io non odo i vostri organi, voi
non volete ancora intendere. La vendetta verrà fuori come acqua, e la giustizia
come impetuoso torrente. (2) Il giudizio di Dio, vi dico, si rivelerà, e uscirà fuori come
una grande acqua. Hai tu mai veduto quando egli è un'acqua ascosta, e
eh' ella esce in un tratto fuora e cuopre tulla la terra? Così verrà il giudi-
zio di Dio, perchè Lui ha nella mano sua di molte acque, le quali Lui farà
rompere fuora da ogni banda per tutta la Italia, che non potria rimediarvi,
credimelo a me. Voi credete pure per fare e' vostri officj e vostre cerimonie
aver placato lo eterno Iddio, e io vi dico che Egli è adirato massime contro
di voi preti, e frati cattivi, cominciando da Roma, perchè questi tali hanno gua-
sto tutto il culto divino interiore. »
E non meno espressive sono le frasi della predica IX sopra Ruth e Michea:
« E' si vorria che in questa festa del Corpus Domini, si facesse una processione
di Dio e non del Diavolo. Fra l'altre cose, si vuole che le donne non slieno
per le strade, e quando passa il Corpus Domini, che elle non stieno là appa-
rate come meretrice nella sua sella. Io mi ricordo già quando sono andato a
queste processioni, che poi quando io sono tornato, vorrei essere stato piutto-
sto a fare una grande penitenza. Venivano là quelli garzonotti tra' frati e dice-
vano mille ribalderie. Fate che siano divisi gli uomini dalle donne, e passata
la processione, la Signoria andrà poi, e poi gli uomini e poi le donne, pregando
ognuno Dio che mandi lo Spirito Santo nel core dei suoi fedeli, e che vi dia
grazia di avere bene, e non male. E chi non può andare per la moltitudine,
stia dentro a 1' uscio e non per le strade. »
Dopo tali prediche che cosa si faceva? Già nella I sopra Amos e Zaccaria
troviamo una pagina preziosa. Ivi il Frate si compiace di una festa e di una
processione de' suoi fanciulli assai ben riuscita, fatta nel carnevale del 1496:
e dice tra 1' altro. « Vedete quanto frutto fanno 1' orazione con la buona vita,
e predicazione, che la città di Firenze, che nel tempo del carnasciale, soleva
esser tutta dissoluta, questa volta è stata in gran divozione, e i fanciulli vostri
che solevano fare a' sassi e stili e molte altre pazzie, (3j ora sono rivoltati alle
laudi divine e hanno fatto una processione il di di carnasciale, che mi pareva
di vedere quei fanciulli e quel popolo che andarono incontro al Salvatore quando
venne in su l'asina e l'asinelio in Gerusalemme. Credi a me, che questo non
(') Amos, V, 23.
O Ivi, V, 24.
(3) Parla di questi giuochi il Villari, voi. I, p. 414, o riferisco che il (jiuoco da' «assi orti
dotto dai cronisti pazzo e bestiale.
- 137 -
è stalo fallo senza mistero, benché gli uomini carnali non lo conoscono. Que-
sti fanciulli saranno quelli che godranno la felicità di Firenze, e la governe-
ranno bene, perchè non avranno presa la piega del ciambellotto, come hanno
presa i padri loro, (') che non si possono spiccare dal reggimento tirannico,
nè sanno conoscere quanto è grande questa grazia della libertà. E che questa
mutazione de' fanciulli sia stata opera di Dio, tu ne hai di molti segni. E pri-
ma, perchè tu sai che per i tempi passati non si è mai potuto per forza di al-
cun magistrato, nè per bandi e pene forti rimuovere quella mala consuetudine
di trarre i sassi in carnasciale, che ogni anno ne moriva qualcuno, e ora un
fraticello con poche parole, mediante l'orazione dei buoni, l'ha rimossa. Se-
condo, tu sai che per il carnasciale si facevano molti peccati, e ora si sono
confessati anche i fanciulli, ed è stato questo carnasciale come una quaresima,
che non può essere se non opera Divina. Terzo, solevano accattare i fanciulli
per fare stili, (2) e ardere scope e mangiare e bere, ora hanno accattalo tanti
danari per i poveri, che tu che sei sì savio non avresti trovati tanti. Quarto,
per il ridere, per le dissoluzioni che soleva fare il, popolo in quel giorno: tu
sai quante lacrime furono sparse, quando si sentivano quelle voci puerili can-
tare le laude del nostro Signor Gesù Cristo, e della sua Madre Maria; gri-
dando spesso ad alla voce tutti insieme con gran giubilo: Viva il Signore Gesù
Cristo Re nostro, e la nostra Regina Sua Madre Vergine Maria. Quinto, tu sai
che tutte le opere di Dio hanno contradizione, e però, insieme con gli altri se-
gni, la contradizione che ha avuta questa santa opera è segno che è stata da
Dio. Prima molti non volevano che la si facesse; alcuni per malizia, alcuni per
un certo zelo indiscreto, alcuni altri per poca fede e pusillanimità, perchè te*
(') Di questi fanciulli si formò poi « quella plebe ingenua ed incorrotta temprata alle dot-
trine del frate, che sotto lo strano nome di Piar/noni » comprese ai tempi dell'assedio « gli uomini
in arme più. prodi e di fede incrollabile. » V. Capponi, Storia della Rep. Fiorentina, Libro IV,
cap. 6». 8° h lo».
(2) Gli stili « erano bastoni con cui i radazzi sbarravano la via alle spose novelle per
averne da far cene e baldorie. Il Savonarola volgeva a bene gli strumenti di corruzione per
poi toglierli affatto. » Isidoro Del Lungo. Arch. St. Ital. N. S. XVIII, p. I Nota al Docum. 5°
Dalla Vita del Savonarola ms. di F. Serafino Razzi dei Pred., lib. II, cap. 4 (fol. 92 retro del ms.
Laurenziano) togliamo questo passo che ci dà notizia degli stili, dei capannucci e del gioco
dei sassi. « Acciò meglio conoscano i benigni lettori la gran mutazione di questi figlioli è
da sapere come anticamente in Firenze nel tempo del carnovale si congregavano i fanciulli
in diverse compagnie, da loro potenze chiamate, e costumavano di porsi al capo di qualche
strada con un'asta da loro chiamata lo stile, e quando vedevan passare alcuna donna e
massime fanciulle nobili, correndo attraversavau queir asta; e se ella voleva passare, biso-
gnava cbe pagasse loro un beveraggio; e di tali danari facevano tra loro cene; e compra-
vano ancora un albero lungo il quale chiamavano lo stile del capannnccio, e rizzandolo sul
crucicchìo di qualche strada, lo circondavan di fascine e di scope e poi la sera del carno-
vale l'abbruciavano. E ciascheduna potenza si sforzava di superar l'altra col fare il suo
capannnccio maggiore e lo stavan tutto il giorno a guardare, ciascuna potenza il suo; acciò
non fosser venuti quelli d'un' altra a metterci fuoco: e per quest'altra cagion si facevano
gran battaglie fra loro, prima con le pugna e bastoni e poscia coi sassi e con l'armi; e ne
rimanevano talora alcuni morti e stroppiati, nè ci valeva per reprimerli nè autorità di bar-
gelli nè di Signoria. Riparò nondimeno a tanto disordine il solo Jeronimo Savonarola.... »
Quanto ai capannucci deducesi qui dal Razzi che avevano la forma usata in Toscana pei pa-
gliai, l' asta dei quali chiamasi stile o stollo.
— 138 -
mevano di qualche novità. Di poi hanno avuto i fanciulli di gran contradizione
dai cattivi, dai quali sono stati beffati, scacciali e perseguitati, e niente di meno
loro, come vecchi di senno, hanno avuta pazienza e hanno insegnato a chi do-
veva insegnare a loro. Questi cattivi, quando li vedevano a far male e tirar i
sassi, non li correggevano, anzi ridevano ; ora che li vedono a far bene si se-
gnano e li perseguitano, in questo dimostrando che sono piuttosto diavoli, che
buoni. Sesto, Dio te ne die' segno: piovendo tutta la notte, e la mattina pa-
rendo il tempo tutto rannuvolato, ti fu detto dal predicatore (*) che predicava
allora, che non pioverebbe e che sarebbe buon tempo, e così fu. Sicché tu
vedi, o popolo, quante cose fa Dio mediante l'orazione; questo non vedono i
superbi e savj di questo mondo, quando dice il nostro Salvatore: Io son ve-
nuto in questo mondo per far giudizio, acciocché quei che non vedono, veggano, e
quei che veggono, diventino deciti. » (2)
E di nuovo il Frate si compiace di questa processione nella predica VII,
vero segno che in essa i fanciulli dovevano aver davvero commossa tutta la
città! E che egli non errasse lo prova ad evidenza la descrizione lasciata dal
cronista Landucci (3j che giorno per giorno scriveva quanto avveniva in Fi-
renze: « Avendo predicato Fra Girolamo più giorni innanzi, che e' fanciulli do-
vessino, in luogo di pazzie del gittare i sassi e fare i capannucci, dovessino
accattare e fare litnosine a' poveri vergognosi; e, come piacque alla divina
grazia, fu fatta tale commutazione, che in luogo di pazzie accattorno molti dì
innanzi; e in luogo di stili trovavi su per tutti i canti Crocifissi nelle mani della
purità santa. » Seguita poi a descrivere la processione fatta nel carnevale e ci
dice che « i savi uomini e buoni lacrimavano tenerameule dicendo: Veramente
questa è opera di Dio. Questi giovanetti son quegli che hanno a godere le cose
buone promesse.... Furono stimati sei mila fanciulli o più, tutti da 5 o 6 anni
infino a 15. » Racconta poi dell'offerta che « fu slimata parecchie centinaia
di fiorini. Vedovasi dato loro ne' bacini molti fiorini d' oro e la maggior parte
grossi e alienti. Fu dato loro veliere, cucchiai d' ariento, fazzoletti, sciugatoi
e molte altre cose. Si dava senza avarizia. Pareva eh' ognuno volesse offe-
rire a Cristo e alla sua Madre. Io ho scritte queste cose che sono vere; e io
l'ho vedute e sentito di tal dolcezza, e de' miei figlioli furono in fra le be-
nedette e pudiche schiere. »
Ma più di proposito si diffonde il Savonarola a parlare delle sue proces-
sioni nelle prediche XXXIII, e nella XL: « Fanciulli miei, io intendo che volete
fare una processione la Domenica dell'Ulivo; io prego voi cittadini, che gli la-
sciale fare, perchè egli è istinto divino. Voi dite: tante croci, tante croci che gli
han fatte! Non abbiale paura di croci, ma abbiate paura delle spade e non
delle croci, perchè le croci hanno a salvare la vostra città. Orsù, fanciulli miei,
fate ogni cosa con gravità, che induciate gli uomini a lacrimare, e la Signoria
(') Fra Domenico da Poscia.
C) Vang. di San Giovanni, IX, 89.
(a) Diario Fiorentino. Ed. Firenze 1883, p. DU-12Ò.
- 139 —
vi presterà anche della sua autorità, e aspettate Domenica la vostra predica. »
(Sopra Amos e Zaccaria XXXIII.)
E la domenica, che era appunto quella dell' Ulivo, fece proprio la predica
a' fanciulli, esponendo il capitolo XXI di San Matteo, e segnatamente il ver-
setto: Osanna al figliuolo di David: benedetto colui, che viene nel nome del Si-
gnore: Osanna nel più alto de' deli: disponendo cosi i fanciulli e tutto il popolo
a fare a Cristo una processione e una festa simile in tutto a quella che si fece
nell'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme: e poi sul finire: « Oggi alla
processione ognuno; uomini, donne e fanciulli, grandi e piccoli. Andranno
prima i fanciulli con le croci, poi gli uomini secolari, i quali tutti porterete
V ulivo, e anche saria bene porlare la vostra crocetta in mano. Poi le donne
con le fanciulle, ina non portino ghirlande le donne, se non le fanciulle, perchè que-
sto saria segno di levità nelle donne. Lauderà ognuno il Signore, e pregherà per
la città, e per i cattivi che si convertino. Or su ... . guardate di non vi af-
freddare nelle orazioni .... Inoltre vada ad offrire ognuno ; . . . . ognuno
aiuti e aumenti questa offerta, la quale si fa per il Monte di pietà. Fate sopra
lutto che cominci ad andare la processione di buon'ora, che almanco a dician-
nove ore si cominci. Laudiamo colui che è venuto nel nome del Signore. Lau-
diamo Gesù che è venuto nel nome suo; laudiamo il Salvatore che è venuto a
salvare: 0 Signore dell' universo, o speciale nostro Signore, quanto è mirabile
il nome tuo ! .... » (Sopra Amos e Zaccaria XL.) i1)
E la processione si fece ad un sole splendidissimo e sorridente; e i canti
furono così dolci e gravi, e fu tanto il fervore delle preci, che non pure i fan-
ciulli, ma tutto il popolo, non polendo contenere dentro l'anima T immenso af-
fetto per Gesù, ruppero in mollo pianto di commozione e in alte grida di: Ev-
viva Cristo. Anche questa processione è narrala dal Landucci, (2) che ci dice
che « furono stimati 5 mila fanciulli e poi grande numero di fanciulle tutti
vestiti di bianco e cosi le fanciulle colle croci e coli' ulivo in mano e di poi
tutti gli uffici di Firenze e tulte le Gapitudini; di poi tutti gli uomini di Firenze,
di poi le donne che non fu mai fatta la maggior processione. Non credo re-
stasse nè uomo nè donna che non andasse a far tale offerta. E offersesi in
San la Maria del Fiore in su un altare per fare il Monte della Pietà. » E giusta-
mente il Frale Tse ne compiaceva col suo ditello popolo e diceva poi nella pre-
dica XLI: « Io vi ho pur fatti una volta diventar tutti pazzi; e^li è vero? Egli è
pur stato Grislo, e non noi. E' furono qua ier maltina pur gli uomini che comin-
ciarono gridare: Viva Cristo, non i fanciulli. Io vi ho predicato tanto a parole
contro la sapienza umana che mi pare che oramai voi facciate con i fatti, e che
(') Anche con i simboli portati nelle processioni, il Frate voleva insegnare cose belle e
buone. La veste bia nca de' fanciulli era simbolo della semplicità, purità e mondezza di co-
scienza in cui essi dovevano allevai si. La croce simboleggiava i1 ben vivere cristiano che
consiste nel fare il bene e patire il male e sopportare le tribolazioni. L'ulivo significava che
Dio illuminerebbe Firenze, se essa facesse bene, di olio e di Spirito Santo. Vedi la citata pre-
dica XL sopra Amos e Zaccaria.
(') Landucci, ivi, p. 128.
— 140 —
voi la confondiate! Che direte voi se vi farò fare un dì maggior pazzia? Ma non
sarò io; e'sarà pur Cristo, che farete un dì un ballo, là in piazza, attorno al Cro-
cifisso; io dico ancora i vecchi e le vecchie; che direte voi allora? Orsù, sopra
questo io ti dirò una parola in ultimo della predicazione .... Io so che volete
apparecchiarvi tutti alla Santa Comunione questa Pasqua. Egli è ben lecito qual-
che volta fare come ieri, e impazzire per amor di Cristo; ma poi bisogna tornare
alla gravità. Fassi di queste cose rade volte; ma quando si fanno, è perchè Cri-
sto vuol dimostrare che se l'amor mondano fa fare agli uomini delle pazzie,
molte maggior cose fa l'amor Divino: e come io sarò alla fine della predica-
zione ve lo mostrerò per le Scritture del Testamento Vecchio e Nuovo. Bisogna
adunque ora ritirarsi in sè medesimo e nella sua gravità, e pensare a comuni-
carsi a questa Santa Pasqua. »... E al fine della predicazione mantenne
la promessa; e parlò al suo popolo come segue: « Or su, dilettissimi, che di-
remo noi delle pazzie che costoro dicono, che voi faceste ieri? Or su, egli è
stato per amore di Cristo. Voi avete fatto già per il passato tante pazzie ne'vo-
stri carnesciali; e ricordomi già quando io ero al secolo, veder fare a' vecchi e
vecchie, ch'erano reputati gravi, di molte pazzie. Sicché, se è lecito per amore
del mondo, quanto maggiormente l'amore Divino cava alle volte l'uomo de'sen-
si, e fagli fare mille pazzie! perchè è più gagliardo l'amor Divino che
l'umano. Ma questi tiepidi mormoreranno In questo giorno dell'Ulivo,
quando Cristo andò in Gerusalemme, dice l'Evangelio, si commosse tutta la
città .... Cosi è stato qui; molti si sono commossi, e il Salvatore venne ieri
in Firenze, e non ci era altra differenza da questo dì a quello, che voi non ve-
devate il Salvatore e allora fu veduto; ed eranvi gli angeli che giubilavano, e
ci è chi ha visto giubilare gli angeli .... Or torniamo a proposito nostro.
Egli è lecito qualche volta per V amor Divino uscir dalla sua gravità; tu hai
1' esempio in David; il quale, quando si portava l'arca del Signore in Gerusa-
lemme, disse: Da'qua una veste bianca ancora a me: e misesi là attorno l'arca,
e saltava alto e ballava, e eccitava gli altri a saltare, e diceva: Che state voi a
fàre?('} Eppur David era re, e profeta così grande! (') Micol sua moglie lo ri-
prese; alla quale incontrò una cosa ch'io li dirò di sotto. Voi vi fate beffe di
queste cose, perchè non avete studiate le Scritture. Elia, quando venne la piova,
andò correndo, e saltando innanzi al Re; e [iure era profeta. (3) Ma più forte,
dimmi : il nostro Salvatore è divenuto egli mai pazzo in questo mondo? Va,
leggi in San Marco, al terzo capo, dove e' dice che venne in tanto furore che
i parenti uscirono fuora a tenerlo. I suoi andaron per pigliarlo, imperocché di-
cevano: Ha dato in pazzia. » (4) Che diremo degli Apostoli quando vennero in
Spirito Santo, che giubilavano e cantavano, e la brigala diceva: Che forse co-
storo sono ubriachi? (5) Similmente a San Paolo, essendo venuto in gran fu-
(') Mb. II dei Se, cap. VI, v. 14 e segg.
(-) Dante, Pttrg. : C. X v. (16: « E più e raon che re era in quel caso. .
(3) Tiibro III dei Re. cap. XVIII, v. 46.
(') Vang. di S. Marco, cap. Ili, v. 21.
(5) Atti itegli Apostoli, cap. IT, v. IH.
— 141 —
rore dinanzi ad Agrippa, fu detto: Paolo, tu impazzi. (') Rispose: io non sono
pazzo. Agrippa lo guardava e disse: Tu mi conforli un poco a farmi cristiano;
e Paolo rispose: fo desidero che tutti gli uomini sieno ebrj come me. Di San
Francesco ancora si legge ch'era inebbriato dall'amor Divino. Io ho udito dire
che una volta facendo un ballo (2) cantando laude i nostri religiosi, uno di que-
sti vecchi venne in tanto spirito, che cadde là rovesciato in terra, e però vi
dico, voi non avete provato quello che fa fare l'amore Divino. Che direste voi,
se io vi facessi ballare un giorno e i vecchi e le vecchie, e ognuno attorno al
Crocifisso, e io più pazzo di nessuno in mezzo a tutti voi? Or intendete bene,
io non dico che facciate di queste cose spesso; ma io vi ho allegate queste ra-
gioni, perchè voi sappiate rispondere a' savj del mondo e ai tiepidi i quali di-
cono: quel cittadino è impazzilo; e quel vecchio e quel prete ha fatto le paz-
zie, ha gridato per le strade e portato la croce e saltato. Micol donna di David
stava alle finestre quando l'arca veniva, e domandò: Dov'è il Re? Fu risposto:
egli è quello che salta e balla là attorno all' Arca. Per la qual cosa, come fu
giunto in casa, lei gli disse: Che bella cosa è questa che tu sia Re, e in pre-
senza del popolo e delle ancelle come un buffone abbia saltato e ballato? Da-
vid le rispose: Saul tuo padre fu superbo, e non volle umiliarsi, e per quella
superbia fu riprovato: io non voglio esser superbo; ma voglio umiliarmi in
mezzo degli schiavi e delle ancelle, e voglio diventar pazzo per amore di Dio.
Dice la Scrittura che da quel punto innanzi Micol moglie di David diventò ste-
rile. Quando adunque il Salvatore entrò in Gerusalemme, si commosse tutta la
città, e i principi de' sacerdoti, vedendo i fanciulli che acclamavano nel tempio
e dicevano: Osanna al figliolo di David, s' indignarono. (3) Si sdegnarono i tie-
pidi vedendo che i fanciulli e il popolo laudava il Salvatore ; e perchè avevano
gli occhiali, quello che era buono gli pareva cattivo, e avrebberlo morto, se non
che avevano paura del popolo. Andarono dunque a lui, e dìssergli: Non odi tu
che i fanciulli ti laudano? 11 Salvatore rispose: Non avete mai letto: Dalla
bocca de' fanciulli e de lattanti ito fatta perfetta la lode? {*) E lasciatili uscì
dalla città. Partissi il Salvatore da loro, e li lasciò, e andossene fuora della
città perchè non meritarono che stesse con loro. Così farà ancora in questi
tempi, e partirassi da questi savj e da' tiepidi. State adunque voi uniti col Sal-
vatore e lui non si partirà da voi. » (Predica XLII.)
Parlando Fra Girolamo sopra della processione fatta la Domenica del-
l' Ulivo, diceva, come abbiamo sentito or ora, che un giorno i suoi Fioren-
tini avrebbero fatto cose anche più grandi e celebrato feste anche maggiori.
Nè mal si appose. Infatti nel carnevale del 1498 si celebrò in Firenze dai
Savonaroiiani una festa quant' altra mai celebre e singolare.
(') Atti degli Apostoli, cap. XXVI, v. 21.
(s) Da questo passo sembra si possa dedurre che i balli di cui parloremo or ora non
fossero del tutto estranei nei religiosi di San Domenico; e che quindi non siano nemmeno
un trovato de' Savonaroiiani. Vedi anche Razzi. Ms. citato, p. H\ retro.
(3) Vangelo di San Matteo, cup. XXI, v. 15 e segg.
{*) Salmo Vili, v. 3.
— 142 —
Anche in quel carnevale, come puoi leggere nelle Istorie di Iacopo
Nardi, (voi. I, pag. 140) « i fanciulli e i giovinetti della riforma, i quartieri di-
visi tutti secondo l1 ordine usato, portando in processione un bello o ornalis-
simo tabernacolo con la immagine di Gesù Cristo, andarono per I ulta la città
cantando inni e salmi e laudi volgari; e la sera medesima, essendo ricondotti
alla piazza de' signori, furono da quelli arse molle cose disoneste, lascive e
vane, che nei precedenti giorni da' medesimi fanciulli erano state accattate e
ragunate nel modo che l'anno passato avevano usato di fare; e tutto con gran
letizia e festa di detti fanciulli, e di tutte quelle persone che alle profezie del
detto Frate prestavano fede. Di modo che que' giorni, i quali sogliono essere
esposti comunemente a' servigi e piaceri del mondo, parvero quella fiata che
fossero stali consacrati tutti e celebrati od onore e gloria di Cristo. »
Poi, se si deve credere al Burlamacchi (e qui il Paslor pare che gli creda,
o almeno gli crede il Perrens dal quale il Pastor copia, e lo fa assai spesso),
« collocarono la immagine del nostro Salvator Crocifisso con i quattro tabernacoli
de' quartieri, intorno a' quali fecero tre balli. Prima tulli i Frati, deposte le
cappe, con gran fervore uscirono fuori del convento, e ciaschedun novizio si
accompagnò con uno di quei fanciulli vestiti da angelo, e fecero il primo ballo
tondo. Dipoi i giovani del convento accompagnandosi ciascheduno con un gio-
vane secolare fecero il secondo ballo tondo cantando. In ultimo i vecchi, e i
sacerdoti, lasciata ogni sapienza umana, con ghirlande d'ulivo in capo accom-
pagnandosi ciascuno con un cittadino maturo fecero il terzo ballo, nel quale
restava chiuso il primo e il secondo, con gran giubilo e festa, e cantando
molte laudi intorno al Crocifisso stettero con gran fervore quivi fino al tra-
montar del sole. »
Osservo che il Nardi e il Somenzi (l) non accennano al Crocifisso innalzato
in mezzo alla piazza, nè accennano tampoco che i sacerdoti e i secolari vec-
chi adornassero il capo di corone; ma solo dicono che i seguaci del Savona-
rola avevano in mano ramoscelli d'olivi. E che nella descrizione del Burlamac-
chi siavi qualche aggiunta o abbellimento, apparisce anche dalla citata Cronaca
del Landucci che non parla neppure dei balli. E siccome questi scriveva pun-
tualmente giorno per giorno quanto accadeva, non saprei intendere come
avrebbe taciuto questa singolare particolarità. Certo la descrizione del Nardi e
del Landucci, come quella del Somenzi, meglio si accordano con le prediche
del Frate. Ma crediamo pure, se piace, al Burlamacchi. Dove trovate ad ogni
modo qui il ridicolo ? dove trovate che tutti ballassero semplicemente il
riddonet La parola ballo a questo luogo del Burlamacchi si può certo intendere
per un semplice muoversi misurato in giro cantando. Il Villari a buon conto si
contentò d'interpretare il biografo del nostro Frate cosi : « Intorno al Crocifisso
frali e secolari, dandosi la mano formarono tre cerchi e girando cantavano salmi
(') Vedi la lettera di quest'oratore del duca di Milano in Firenze, noi Villari; voi. I,
doc. XXVI. Essa si limita per altro a dare notizia della processione.
— 143 —
e laudi spirituali. » (') In verità non mi par qui cosa essenzialmente diversa
da una processione comune. Questa in ciò solo differisce dalle altre che le
genti per natura del luogo qui movevano in giro, mentre nelle altre vanno
innanzi. E una cosa ancora mi viene in mente. Non potrebb'essere che si fos-
sero i frati e i preti e i cittadini cosi disposti per aiutare i fanciulli a dir me-
glio e più sicuramente le lodi di Cristo, e ad impedire che questi innocenti
fossero disturbati da' compagnacci, e che nessuno facesse ingiuria al loro Re ?
Per vero, nella processione che precedè questo ballo e questi canti i fanciulli
ebbero a patire non poco dagli sfacciati loro avversar)', i quali scandalizzarono
anche il Nardi che li disapprova aspramente. Così forse interpretando la cosa,
non potremmo veder somma prudenza, dico umana, dove ad altri pare di
scorgere ridicolaggine? Ci sembra assennato il Landucci quando dice: « Gli
sciocchi si ridon del male come del bene » (p. 151). Del resto chi non sa che
queste usanze devono esser giudicate secondo lo spirito dei tempi? Chi ha letto
il Pastor troverà spesso accenni a costumanze italiane che, ripetute oggidì, pro-
vocherebbero al riso. Chi, per esempio, potrebbe oggi in Firenze raltenere il riso
vedendo sulla sommità del carro di San Giovanni un uomo dell' infima plebe
vestito di pelli con diadema in testa e una croce in mano, legato ad un palo
fare le parti del Santo Precursore, perla moneta di lire dieci, stabilita per leg-
ge? Eppure questo spettacolo si ripetè ogni anno in mezzo a quel popolo, che
era il più culto del mondo, fino al 1 749! (*) Chi non rimarrebbe oggidì poco meno
che scandalizzato se si rinnovasse la curiosissima festa dello sposalizio del Ve-
scovo di Firenze coli' Abbadessa di San Pier Maggiore che rappresentava la
chiesa fiorentina ? Eppure questa festa si ripetè, come ci dice il Del Lungo,
« tante volte, quanti vescovi (salvo rare eccezioni) ebbe per parecchi secoli la
Firenze del Medio Evo, del Rinascimento e del Principato Mediceo ! » (3) Ma sia
di ciò quel che si vuole. Ditemi piuttosto: perchè voi tacete ciò che tutti affer-
mano, le preghiere ferventi e i canti sacri e gli inni di quei festanti? Vi paion
esse cose indifferenti e che si possano lasciare, senza nuocere alla verità? Ad
ogni modo, perchè guardare sempre poco benignamente queste cose? Perchè
non vedervi altro che ridicolaggini e non ammirare invece 1' alto significato che
ha in sè la festa? Non è qui un simbolo e una prova per il popolo del trionfo di
Cristo? del trionfo sopra tutte le vanità, sopra tutte le superbie della vita pagana ?
Un cattolico il quale conosca il modo come il Savonarola era uso di rappresen-
tare il trionfo della Croce di Cristo, qui resta ammirato dell' ardita concezione
(') Villari, v. II, p. 95. Questi balli o giri nel tempo del Carnevale erano comuni. Anche
Isidoro Del Lungo. L e. ci dice che solevansi tare nel carnevale i capannucci carnevaleschi e
intorno ad essi si danzava e si giocava ai sassi. Anche in questo caso il Savonarola non
avrebbe fatto altro che volgere al bene un'usanza profana che già esisteva. E forse il severo
Frate aveva di mira in modo speciale di cristianizzare le canzoni a ballo, o almeno di trarre
quel bene che si poteva per allora dall' usanza tanto antica in Firenze e tanto abusata dai Me-
dici de' canti in accompagnamento de' giri del ballo. Che poi i secolari si unissero ai frati in
questi balli, si deduce dal 1. c. del ms. del Razzi: « I primi cittadini di Firenze non si sdegna-
vano, deposti in terra i lor lacchi.... mettersi in ballo tondo con altri secolari e frati.... »
(*) V. Gotti, opusc. cit., p. 25.
(*) Cfr. La donna fiorentina nel volume La vita italiana nel rinascimento. 1, Storia, p. 18b\
— 144 —
del Frate, e spontanee si sente piegar le ginocchia per adorare il gran mistero
della nostra redenzione. Io nel vedere elevato in aria il Crocifisso sopra le ceneri
delle vanità, sopra le ceneri dell'anatema; nel sentire le voci innocenti de* fan-
ciulli che ne cantan le lodi e il trionfo, e con queste unite le voci de' sacerdoti
e del popolo, sento nell' anima che son davanti a qualche cosa di veramente
sublime, davanti a uno spettacolo di fede che mi rapisce e m' inebria l'anima, mi
conforta nel bene e quasi non dissi che mi stacca dalle basse lordure della sciocca
e turpe nostra età. Non ho mai potuto contemplare il Trionfo che lo scalpello del
Duprè scolpì sopra la porta di Santa Croce, senza che mi ricorresse alla mente
Fra Girolamo. Una differenza sola corre fra i due; che il Trionfo del Frate era
un trionfo vivo e reale; quello del Duprè è un Trionfo rappresentato. Insomma
io non so persuadermi come un cattolico possa qui astenersi dall' ammirare e
lodare, e tanto meno so capire che vi sieno cattolici che possano biasimar
tutto e non vedervi nulla di bello e di buono. Io chino il capo e adoro, adoro
la potenza, adoro la stoltezza delia Croce di Cristo che confonde la superbia
dei sapienti del secolo.
Del resto, pensando bene ogni cosa, si può credere proprio sul serio che
gli eccessi dal Pastor accusati, non siano puro effetto di un singolare slancio
di amor divino? Si può credere sul serio che fosser cose riflessivamente vo-
lute e ordinate preventivamente dal Savonarola tutte quelle che avvennero
in queste processioni e feste? Sopra che cosa poggerebbe questa fede od
opinione? E come si spiegherebbero poi le parole del Frale tanto sovente
ripetute, che non si doveva uscire di gravila, che di quelle cose non se ne dove-
vano fare spesso, che era lecito solo qualche volta uscire dalla sua gravità
per l'amor di Dio?... Le stesse ragioni che adduce a favore d'alcuni partico-
lari, non vi mostrano eh' egli scusa il fatto straordinario, ma che avrebbe
condannato l'abitudine? Era così severo in ciò il Frale, che dal pulpito non
dubitò più volte di riprendere i suoi seguaci perchè gridavano troppo so-
vente e per troppo tempo per le strade, ne' forti entusiasmi, il nome di
Gesù. « Voi, diceva aspramente; fareste venire a noia anche questo nome
benedetto. » (*") Si compiaceva che l'amor divino li avesse falli uscire un
momento fuori di sè, ma voleva che rientrassero subito nella solita gravità.
Non è giusto far regola di un' eccezione. Del resto forse neppure una volta
parla egli delle sue feste, senza raccomandare la gravità. Nella predica XXVI
sopra Rulli e Michea, avendo saputo che avevano ordinata una processione
i1) Nella IV sopra Amos e Zaccaria dice ai fanciulli: • Io non voglio che voi gridate
più: Viva Gesù, per insino alla domenica dell' Ulivo, se io non vi dico altro; perchè tanto gri-
dare questo nome, come voi fate, verrebbe poi in qualche modo in dispregio alla gente; e
le cose di Dio non si vogliono avvilire, ma farle a tempi e con ogni riverenza. Sicché farete
quanto vi ho detto. » Terminando la predica XIX sopra Ruth e Michea aveva egli gridato:
Viva Cristo; e il popolo andava riputendo Viva Cristo. Ma nella predica XXII, diceva: « Non
dico che gridiate; ina fate orazione e non gridate anche più: Viva (ir.»», mi dimenticai l'altra
volta di dirvvlo. Voi lareste venire a vile questo nome: si vuole dirlo di rado e con reverenza,
e per tempo di qualche gaudio. Sicché non gridate più.... »
- 145 —
per il dì d'Ognissanti disse: « La processione che avete ordinato si vuole
fare, ma fatela divotamente e col cuore volto a Dio, e prima confessatevi, e
chi non può per di qui a domenica, innanzi la processione sia confessato; ad
ogni modo innanzi ad Ognissanti. Poi il di d' Ognissanti comunicatevi devota-
mente. Secondo, non si vuole andare ornati in questa processione; ma tutti
umiliati andare pregando Dio tutti per la città, e che Dio ci liberi da un certo
gran male. Pregate ancora per questi cattivi che Dio li converta.... Or su,
alla processione: pregate adunque per la città e fate che le donne siano se-
parate dagli uomini, come si fece 1' altra volta.... »
No, nelle feste del Savonarola cerretaneria non ne trovate. Anzi, come per
altri abusi, troverete che egli lottava anche per questo, per toglier via ogni
mondanità dalle feste religiose. In questo, come in tutto il resto delle cose,
egli non voleva altro che la gloria di Dio e la salute delle anime. Per que-
sto gli piacevano poco le predicazioni fatte nelle feste di tumulto. « Io ho
detto qualche volta che quando si fanno le feste, ognuno vuole la predica
alle sue feste, non per bene o utilità che credino che abbia a fare il popolo;
ma per una certa usanza; e io ti dico che in quei tumulti le prediche sono
buttate via; però vogliamo tor via quella usanza in quanto possiamo ». (Sopra
Amos e Zaccaria, Pred. XXVIII ; e Pred. XVII, sopra Ruth e Michea.)
Piuttosto che accusare Fra Girolamo di favorire e dirigere non sane mani-
festazioni religiose, il Pastor sarebbe stato più giusto se avesse detto che il Sa-
vonarola combatteva anche nel culto quanto non era stato ordinato da Cristo,
dagli Apostoli, dalla tradizione, dalla Chiesa. Qui forse avrebbe potuto lo storico
d'Innsbruck trovare nel Frate della severità e del rigore.Per esempio nella XXIV
sui Salmi riprova tanti canti figurati e tante musiche nei monasteri : « Tutti i
di canta, canta, canta, e poi non c'è nulla di spirito; le monache tutto dì orga-
ni, organi, e poi non c' è nulla ». E nella XX sopra Rut e Michea è severo
contro i suoni, i balli e gli organi quali erano in uso nel suo tempo. E segui-
tando, si compiace delle laudi che cantavano i fanciulli la mattina, ma pur
mostra che darebbe in chiesa la preferenza agli inni della Chiesa. « Ora a
voi fanciulli parliamo un poco; ascoltatemi. Voi cantate qua delle laudi la
mattina, e sta bene ; ma io vorrei ancora che voi cantaste qualche volta de'canti
della Chiesa com' è Ave maris stella, o Veni Creator Spiritus. E non saria an-
che male nessuno che il popolo rispondesse, e quando io vengo in pergamo,
se io trovassi che cantaste quella Ave maris stella, canterei forse ancora io:
non dico già che voi la cominciate per questo, ma parlo cosi, quando venissi
a caso ; ch'io venissi, e voi 1' aveste cominciata ».
Queste erano le musiche che il Savonarola gustava e voleva, quelle che
inducono alla compunzione e al pentimento dei peccati. (') « Gesù Cristo non
venne in questo mondo per darsi piacere e buon tempo » diceva, e così vo-
leva che anche noi cercassimo soprattutto la « compunzione.... e così verranno
(') Vedi: Dì Musica Sacri; Dissertalo, autore Aemilio BerarJi.
10
- 146 -
giù quelle dolci lacrime delle quali si pascono 1' anime rrostre in questa valle
di miserie. Vedi come bene apparse a Sant' Agostino.... quando lo risolvette
in lacrime e lamenti, onde di lui è scritto: Quando egli udiva cantare qne'begli
inni e cantici della Chiesa, ne pigliava gran piacere ; e quelle voci della Chiesa lo
riducevano a lacrimare, e godeva, dice, con quelle lacrime. (l) E quali erano
quelle voci della Chiesa se non le parole di Dio che uscivano dalla bocca di
questi uomini santi come di trombe? »
Che poi il Savonarola non riprovasse se non gli abusi, è manifesto dalla
predica tenuta il dì 4 giugno 1495 allorché diede le istruzioni sulla proces-
sione da farsi per portare in Firenze il miracoloso simulacro della Vergine
dell' Impruneta : « Orsù, fate che si conduca con lumi assai e trombe e suoni e
onorevolmente e li uomini separati dalle donne; porterassi a Santo Felice in
Piazza secondo 1' ordine.... » (XVIII sopra i salmi.)
Del resto il Pastor se intende in ciò condannare il nostro predicatore, non
pensa qui o dimentica una cosa molto importante, uno de' fini pe' quali Fra
Girolamo e i suoi ordinavano queste processioni. Siamo sempre nel tempo
della terribile carestia, la città è sempre ripiena di poveri, le provvisioni di
grano son sempre difficili, gli usurai continuano sempre a rovinare molti. Anzi
appunto di questi anni scrive il Nardi, che « la città si trovava in gran travaglio,
perchè quivi concorrevano le intere famiglie di contadini ed altri mendicanti
forestieri grandi e piccoli, e molti d' essi per la lunga fame condotti in tanta
debolezza e in modo consumati, che non si potevano più ristorare. De' quali
essendo pieni tutti gli ospedali e altri luoghi perciò di nuovo ordinati, non
bastavano a ricevergli; sì che, venendo meno, cadevano morti per le strade, e
sopra i muricciuoli appresso alle porte delle case, e negli sportelli delle bot-
teghe, in tanto che nella città ne morirono di fame alcune migliaia >. (Lib. II,
pag. 115.) E miserandi casi racconta anche il Landucci : « Ci cascava uomini e
donne e fanciulli per la faine e alcuni ne moriva, e molti ne moriva allo spe-
dale, eh' eran venuti meno per la fame.... » (p. 145.) E il Frate commosso nel-
1' animo suo per gì' indigenti continua a predicare la carità e s' industria a
trovare elemosine : e una delle industrie sono le feste che fa celebrare, le
quali, oltre ad uno scopo religioso, hanno adunque anche un altissimo scopo
umanitario e filantropico: sono inspirate e da amore verso Dio e da amore
per il prossimo, segnatamente per i bisognosi. Già abbiamo visto sopra qualche
cosa della carità per i poveri che scaldava l'animo del Savonarola, e ne ab-
biamo anche una prova nella predica del dì 8 giugno 1495 fatta appunto
nel tempo della carestia. Era stata portata processionalmente in Firenze la
Vergine dell' Impruneta, come soleva farsi nei casi di pubbliche calamità;
e già lo abbiamo veduto; e il Savonarola si compiace della processione ben
riuscita. E dovendosi due giorni dopo far la processione del Corpus Do-
mini, diceva: « Ognuno si disponga a quest'altra processione del Corpo di
(') In officio proprio 'S". Auguhtini.
— 147 —
Cristo, e così poi a quella di San Giovanni, le quali si facciano in questa forma
che si è fatta questa ora alla Vergine, e non correre tanti polii, come solete fare,
ma più presto dispensare i danari di questo palio di San Giovanni ai po-
veri, ovvero li prestate al Comune che ha bisogno ». (Predica XIX sopra i
Salmi.) Questo si raccoglie da tutti gli scrittori del tempo, ed è una grave
omissione nel Pastor il tacerlo. Perchè uno storico possa dirsi imparziale e ve-
ritiero, non basta che tutto ciò che narra sia avvenuto, me è necessario che
narri 1' avvenuto intieramente senza dimezzare alcun fatto.
Notate, per esempio, l'elemosina ordinata dal Frate pei poveri vergognosi
in quattro chiese il 6 dicembre 1494, « che (come dice il Landucci) fu sì grande
da non poterla stimare d'oro, e d' ariento, pannilane, perle ed altro; ognuno
porgeva con tanto amore e carità (p. 90) ». E a dì 8, « fu fatta una processione
molto maravigliosa e tuttavolta s'offerse pei detti vergognosi che non fu manco.
E fu di sì grande numero d'uomini e di donne d'una stima grandissima e con
tanto ordine e ubbidienza del Frate.... Non fu manco limosina che la prima
della domenica (cioè del giorno 6); non ebbi el vero del numero della limosina,
ma furono migliaia di fiorini (p. 90-91)». Sappiamo altresì che nella processione
del 1496 vennero dai fanciulli raccolte tante elemosine che se ne fondarono ben
quattro monti di pietà. Perchè dunque il Pastor non dice una parola di tutto ciò?
Nè crediate già che il raccogliere elemosine in tali feste fosse cosa del tutto
secondaria ; no, era invece uno de' fini importanti che Fra Girolamo si propo-
neva. A persuaderci di ciò anche lasciando i cronisti del tempo e i biografi del
Frate, che dicono cose mirabili, basta aprire le prediche sopra Ruth e Michea:
« Or su, alla processione.... Offrite elemosine assai, e ordinate che vadano agli
uomini di San Martino, che le distribuiscano poi loro ai poverelli. E voi poveri uo-
mini buoni, non dubitate, chè se voi vi confidate in Dio, senza dubbio alcuno
Lui vi aiuterà ad ogni modo, se voi farete bene. Io non ho mai letto, nè mai
inteso dire, che io mi ricordi, che nessun servo di Dio morisse di fame. Orsù,
offerisca adunque ognuno per aiutare i poverelli, e voi ricchi offerite abbon-
dantemente oro ed argento. E questo è quanto io v' ho voluto dire per ordine
della processione.... Tu povero uomo, che temi la carestia, di': L'ha fatta ve-
nire il Frate. Io ho buone spalle, dite pure quanto male volete di me : povero
uomo che tu sei! Io ho esortato ognuno a lavorare ed ho fatto fare processioni
e trovare limosine per te: domanda pure quelli di San Martino che lo sanno ».
(Pred. XXVI e XIX.) Ma del resto erano poi proprio queste feste e queste pro-
cessioni del tutto cosa del Savonarola? Prima di lui in Italia, in Firenze non
se ne facevano di simili? Già non abbiamo visto di sopra che anche prima del
Savonarola se ne facevano; e il Pastor ha cura di notarlo nell'introduzione
del suo libro dove parla del bene in Italia all'epoca del risorgimento; e si com-
piace di dirci che le feste cristiane erano accompagnate da una pompa e da
un gusto, di cui il settentrione non aveva alcuna idea.... Le descrizioni de'con-
lemporanei ci mostrano come in tali occasioni venisse in servizio della religione
tutto lo sfarzo e lo splendore delle festività sì altamente sviluppato neh' epoca
del rinascimento. E già nel II volume a pag. 198-199 lo storico de' Papi com-
— 148 —
move e rapisce con 1' artistica descrizione della processione del Corpus Vomirti
celebrata in Viterbo da Pio II l'anno 1462: « Tutta la pompa ned' epoca del
rinascimento, venne in tali circostanze messa a servigio della religione.... Uni-
versale stupore destarono gli arazzi superbi dei cardinali francesi. Altri del
sacro Collegio avevano esposti dei quadri viventi: p. es. il Torquemada la isti-
tuzione dell' ultima Cena, presso la quale si vedeva una statua di San Tom-
maso d' Aquino. Il Carvajal aveva rappresentato la caduta degli angeli ru-
belli, il Borgia una fontana zampillante vino, e il SS. Sacramento adorato da
due angeli, il Bessarione un grande coro di spiriti celesti. Accanto si vedevano
altresì composizioni ancora oggi assai difficili ad intendersi, come le lotte di
uomini selvaggi con leoni ed orsi. Sulla piazza del mercato era imitato il
santo sepolcro, dal quale all' avvicinarsi del papa, il Salvatore sorgeva ed an-
nunziava al popolo in versi italiani la redenzione. In simil guisa si poteva ve-
dere la tomba della beatissima Vergine; dopo il pontificale e la benedizione
venne quivi parimente rappresentata da figure viventi l' assunzione di Maria.
Oltre a ciò tutte le vie, per le quali si moveva il corteggio solenne, erano
adorne di olezzanti corone, di drappi azzurri brillanti di stelle dorate e di
altari ed archi trionfali sontuosissimi; in ogni luogo risonavano sacri concenti.
A migliaia erano gli accorsi dai dintorni per vedere la processione, nella quale
Pio II in preziosi abiti pontificali portava il Santissimo. A detta dei cronisti
di Viterbo, non solo la città loro, ma nemmeno l' Italia intera aveva mai ve-
duta una festa ecclesiastica cotanto maravigliosa ». E venendo a parlar proprio
di Firenze, il Pastor nota a pag. 65 del Voi. Ili che, « Un carattere semidram-
matico aveva la famosa processione solenne il giorno di San Giovanni in Fi-
renze, della quale ci rimangono descrizioni degli anni 1439 e 1454.... E
evidente, che nel solenne corteggio si rappresentava l'intera storia universale
dalla caduta di Lucifero fino all' ultimo giudizio ». E un' altra particolarità di
quella festa ricordammo noi di sopra. (') Ora, quale differenza corre Ira que-
ste pompe religiose e quelle del Savonarola? Questa solamente forse: che
le feste del Savonarola erano un poco più semplici e fatte con più fervore,
con più abbondanza di spirito cristiano e con più riguardi a' fanciulli, e niente
altro. Da quelle del Savonarola non dovevano gran fatto differire le dirette
(') Una completa ed interessante descrizione di questa festa vedila nella Storia della
Repubblica Fiorentina del Capponi, voi. II, pag. 531, tratta da tìoro Dati. Parlando delle
feste Savonaroliane bisognerebbe non dimenticarci die quella € era l'epoca de' grandi
corteggi, di processioni ecclesiastiche, cavalcate, corse carnascialesche, tornei, gare, com-
battimenti di tori; l'epoca in cui Lucrezia e Cesaro Borgia uscivano a cavallo seguiti da
centinaia di cavalieri; quando cardinali di case regnanti recandosi a cavallo al Vati-
cano, per lo spazio e il numero del loro seguito gareggiavano cogli stessi re; quando
vita secolaresca e pompa profana aduggiavano il costume ecclesiastico >. (Reumont citato
dal Pastor a pag. 452). Vedi anche nel Pastor medesimo a pag. 33 il testo e la nota 2 molto
importante. Questa finisce cosi: « Anche oggi l'evangelo della passione vien cantato nella
Chiesa cattolica drammaticamente a voci diverse; tutt' oggi essa celebra le processioni simbo-
liche, la sepoltura, la resurrezione così da appagare i sensi ». Prendendo a rigore le osservazioni
del Pastor contro le feste del Savonarola, dovremmo condannare tutta la letteratura dram-
matica sacra.
— 149 —
dai Domenicani di Pistoja e fatte da un sodalizio di giovanetti che colle loro
« processioni simboliche » e « spettacoli sacri » commovevano il popolo fino
alle lacrime. (Pastor, pag. 3(i.) Perchè dunque il Pastor biasima nel Frate
ciò che loda, e si rallegra di vedere in tanti altri?
Del resto il Savonarola può forse anche aver preso altrove l' idea di tali
feste. L'Aquarone (Cap. 1) trae dalle Antichità Estensi del Muratori una breve
descrizione delle sontuosissime feste celebrate 1' anno 1459-60 in Ferrara, al-
lorché fu accolto, nell'andata al Concilio di Mantova e nel ritorno da esso,
Pio II Papa: (') e nota che nella descrizione minuta del Muratori si vedono
sulle sponde del fiume, disposte di mano a mano rappresentazioni festose e
magnifiche di Dei e Dee, di Giganti e Virtù.... Succedevano fanciulli e fanciulle
in numerose schiere, con ghirlande in capo, die cantavano e frammischiavano
a' loro canti i: Viva al Papa e al duca Borso. » (2)
« 11 fanciullo Ieronimo, » segue l'Aquarone, « figlio di persona addetta alla
corte, non può non aver veduto e sentito a parlar di quelle feste anche da
vicino: e se era tuttavia fanciullo, era pure in età da poterne serbare memo-
ria. E di esse si sarà forse ricordato nel convento di San Marco, meditando
la riforma della Chiesa; e quelle rappresentazioni di Dei e di Dee, le schiere di
que' fanciulli e fanciulle acclamanti al duca e al Papa, mentre appunto la
mezzaluna minacciava vittoriosa da Costantinopoli, avranno ad essergli ap-
parse quasi uno sciierno e un dileggio al principio cristiano. » (3J
Ma chi sa che, come la Chiesa trasse da' pagani molte cose e le volse a
celebrare le glorie di Dio vero; così il Savonarola non pensasse di trarre queste
usanze che arieggiavano il paganesimo, a gloria di Cristo Dio vivo? Questo pen-
siero forse non è del tutto falso. Guido Biagi nella conferenza intitolata : La
vita privata dei fiorentini (*) dice: « La paganità rinascente invadeva le feste
religiose e le trasformava ai suoi fini ». Non potrebbe dirsi che il Savonarola,
non potendo del tutto togliere quanto di profano era nelle feste, cercasse di
rivolgerlo a fine cristiano? Certo questo si conforma e consuona al sistema
del Frate di San Marco. E in questo caso, non s' avrebbe a far altro che tri-
buirgli nuova lode e gloria. Ad ogni modo, se il Pastor vorrà persistere nel
(') Anche il Pastor parlando di questo viaggio di Pio II non solo scrive, che tutti i
luoghi toccati da quello facevano il possibile per un solenne ricevimento del vicario di
Cristo, e preti e laici gareggiavano nel testimoniargli la loro riverenza; ma nota di più
anch' egli che « fanciulli e ragazze con corone di alloro in capo e palme d'olivo in mano, augu-
ravano lunga vita e felicità all' ospite eccelso. » (Voi. II, p. 35, vedi anche p. 41 e p. 419-422.)
(*) V. anche Villari, voi. I, p. 10 e 11.
(3) Ci sembra anche molto a proposito il notare qui ciò che si legge nel Pastor (II,
p. 200) rispetto alle feste di Santa Caterina celebrate ne' chiostri Domenicani: «Ogni anno
ne' chiostri dei Domenicani l' anniversario di Caterina era una festa: si predicava delle
virtù di lei e donzelle recavano dinanzi alla sua effigie mazzi e ghirlande di fiori. In sulla
sera nell'atrio esterno del chiostro si rappresentavano in scene drammatiche le azioni più
importanti della sua vita; i cori cantati in tale circostanza ci rimangono tuttavia. « O città
della Vergine » vi si dice, « o dolce patria Siena, la gloria di questa povera vergine sopravanza
ogni tuo splendore ».
(4) Nel volume cit. La vita italiana, ecc. pag. 139.
— 150 —
condannare qui il Savonarola, lo faccia: noi crediamo di poterlo non pure
assolvere, ma lodare; pensando alla consuetudine che vige tuttora nella Chiesa,
specialmente la Settimana Santa; ci piacerà sempre stare con San Filippo, il
quale, come c'insegna 1' eminentissimo cardinale Gapecelatro, imitò in questo
il Frate di San Marco. Non rileviamo poi 1' accusa che il Pastor lancia contro
i seguaci del Savonarola, nella nota prima della pagina 140, dicendo che il
loro « tramenio ricorda in molti tratti quello dell'esercito della salute a' tempi
nostri » : essa non ha nulla di vero; e non ci pare affatto seria. Stiamo anche
qui col Capecelatro: « Gli effetti che derivarono sì dalle radunanze del Savo-
narola, sì da quelle di San Filippo furono sempre un ravvivamento grande di
fervore religioso e un ritorno di tutti al sentimento della severa morale cri-
stiana ». (Vita di San Filippo, lib. II, cap. V.)
Un'altra cosa che un cattolico spiega difficilmente, si legge nel Pastor:
la condanna del Frate di San Marco per i divertimenti che proibiva: « Nel
suo zelo smoderato il Frate Domenicano proibiva divertimenti per sè lecitis-
simi ». Qui il severo critico s' appoggia anche al Gaspary, e indirettamente
ad un passo, che ei chiama notevole, del Giannotti. Ora che dice al propo-
sito il Gaspary? Ecco : dopo d'aver accennato alla religiosità specialmente
de' letterati nel secolo XV, diversa da quella del secolo XIII, alla religiosità
divenuta più fredda, più razionale, più mondana; dopo aver detto che nel se-
colo XV, si credeva ancora nel cielo, ma accanto anche la terra faceva valere
i suoi diritti, le pie consuetudini erano ancora mantenute e praticate, ma non
formavano più il contenuto più importante della vita e dovevano tollerare presso
di sè altri interessi; dopo d' aver detto tutto questo, afferma che: « Ciò disco-
nobbe il Savonarola quando sullo scorcio del secolo volle ricondurre la fede a
tutta la sua forza e purezza: egli non si avvide che i tempi erano mutati, e,
mentre si opponeva alla indifferenza e alla corruzione crescenti, esagerò la
sua reazione, volle rinnovare 1' ascetismo medioevale. Perciò (segue sempre il
Gaspary) egli potè trovare per qualche tempo seguaci si aderenti e pieni di
entusiasmo; ma 1' opera sua, per la quale incontrò il martirio, non fu dure-
vole ; chè egli non seppe, come Lutero, legare la sua riforma con nodi indis-
solubili alla realtà ». In nota poi, quasi a spiegar meglio il suo pensiero, il
Gaspary aggiunge: « Il Savonarola, come i predicatori di penitenza, che lo
avevano preceduto, abbruciò le vanità, maschere, imagini e libri frivoli; Lu-
tero abbruciò la bolla papale di scomunica ». (Storia della Letteratura Ita-
liana, voi. II, part. 1, pag. 185-186.)
Per un cattolico mi pare che questo linguaggio non abbia bisogno di molti
commenti. Lascio alcune inesattezze di giudizio intorno all' opera del Savona-
rola. Vedremo fra poco se sia vero che il Frate esagerò la sua reazione; ora
stando al punto e all' intento principale del Gaspary, dico che il linguaggio di
lui, ebreo, non è linguaggio da cattolico. Un cattolico è impossibile che sotto-
scriva semplicemente la sentenza di condanna a chi vuole ricondurre la fede a
tutta la sua forza e purezza e per 1' opera sua incontra il martirio. Un cattolico
capisce subito che questa non è esagerazione, nè perciò un cattolico pronun-
— 151 —
cierà in disapprovazione le parole ascetismo medioevale, fatte, o quasi, sinonimo
di forza e purezza di fede. II raffronto, o meglio, I' antitesi fra il Savonarola
e Lutero è tutta verità; ma i cattolici non devono stare in dubbio nemmeno
un istante nella scelta de' due sistemi; e la parola realtà, così come l'usa il
Gaspary, pe' cattolici può anche essere senza significato; ed è impossibile che
questi tengano per buona la sentenza di quello in proposito. Certo si deve
pensare che il Pastor, poggiandosi a questo passo, Io facesse con tutte le
debite riserve, e non intendesse altro se non di dire .che anche il Gaspary
tiene il Frate per troppo severo ed esagerato.
Ma nulla del resto fin qui si capisce de' divertimenti e de' piaceri per sè
lecitissimi proibiti dal Frate: a questo si riferisce piuttosto il passo del Gian-
notti citato in appendice dal Gaspary, e a quello ancora ci rimanda il Pa-
stor. Eccolo adunque: « Si vede manifestamente, che chi vuole privare gli
uomini di questi piaceri mondani, cerca combattere contro la natura. Siccome
noi vedemmo che fece Fra Girolamo, il quale, volendo fare gli uomini buoni,
messe tanto terribili e violente usanze, togliendo via tutte le allegrezze e feste
pubbliche, che ebbero poca stabilità, ed insieme con la voce di quello rui-
narono ».
Che valore ha questo passo? Ci mostra l'efficacia della parola di Fra
Girolamo, e poco o nulla altro: mostra che aveva ragione il Frate quando
diceva che, essendo ancor tenera la pianta del ben vivere da lui messa in
Firenze, terra avvilita dalla lunga servitù, aveva bisogno di assidua coltura,
aveva bisogno del continuo aiuto della parola divina, e che, mancando questo
anche per poco, la pianta aduggiava e intristiva, i vizj crescevano e dilaga-
vano. Questo si raccoglie chiaro chiaro da questo passo notevole, nel quale
si constata che i costumi e gli uomini buoni minarono con la ruina del Frate,
ma nuli' altro veramente si rileva.
L' espressione poi che dice che il Frate pose terribili e violenti usanze, la
esamineremo in seguito e vedremo che valore abbia e quanto erronea sia ;
per adesso mi contento d' affermare che è manifestamente falso che il Savo-
narola togliesse via tutte le feste pubbliche: già dal narrato fin qui è mani-
festo il contrario. La parola allegrezze richiederebbe pur essa qualche schiari-
mento, se si vuole che abbia un senso: o almeno un senso preciso. Il let-
tore poi resta certo sempre con un desiderio : quali sono i piaceri mondani
de' quali Fra Girolamo volle privare i Fiorentini? E chiaro che la frase può
aver buono e cattivo senso. Se i piaceri mondani fosser i condannati dalla
morale del Vangelo, o anche semplicemente dalla morale civile, chi potrebbe
rimproverare il Frate d'averli proibiti? Egli non avrebbe fatto altro che il do-
vere del buon predicatore e del buon cittadino. Ma starebbe altrimenti la cosa
se questi piaceri mondani fosser di quelli leciti e permessi da ogni legge e
buona costumanza, chè allora il Frate avrebbe imposto a tutti pesi che il
maggior numero degli uomini non sono obbligati a portare; e forse avrebbe
anche imposto oneri importabili biasimati anche dal Vangelo ; il che non po-
trebbe essere senza danno, nè passare senza biasimo.
- 152 —
Procura il Pastor forse di risolvere questa questione? chiarisce questi dubbj?
Per nulla; assolutamente per nulla. Afferma che « nel suo zelo smoderato il
Frate domenicano proibiva divertimenti profani anche lecitissimi, » e questo gli
basta. Dunque, se vogliamo capir qualche cosa, non ci resta altro che cer-
car noi quali sieno queste feste e questi piaceri mondani, questi divertimenti
profani e pur lecitissimi, che il Frate non voleva e proibiva, allora forse e
soltanto allora potremo dare sentenza ragionevole sopra di lui e valutare il
peso delle parole del Pastor e del Giannotti: altrimenti ci troveremmo nel
caso di votare con un « non liquet ».
Ma in parte noi già abbiamo visto quali feste, quai divertimenti spiaces-
sero al Frate di San Marco : gli spiaceva la mondanità nelle feste de' Santi
Cristiani ; ma qui nessuno si accorge, tra i buoni, che il Savonarola fosse ani-
mato da zelo smoderato; anzi ognuno vi trova uno zelo assai giusto e lode-
vole. « Si fa certe feste le domeniche di quaresima, diceva, a San Gaggio, a
Fiesole, al Paradiso, e vassi qui alle taverne.... Figliuoli miei, io non voglio
che vi andiate. Provvedete voi, cittadini, che queste feste non si facciano. Fi-
renze è la città di Dio, e però bisogna che viviate costumatamente.... Dovete
attendere ad unirvi con Cristo e vivere costumatamente e andare ai vespri il
dì delle feste, e non a Fiesole e in questi altri luoghi, che non sta bene in questo
tempo di quaresima andare in simili luoghi, massime i fanciulli che vi sono poi
sviati ». (V, sopra Amos.) Le sue parole non erano già contro a' divertimenti
profani come tali, ma a quel culto esterno che piegava al soverchio e al super-
stizioso; le sue parole suonavano semplicemente disapprovazione della cerre-
taneria nelle feste di Dio; volevano toglier semplicemente dalla chiesa la dissi-
pazione. Volle anche toglier via, e vi riuscì, il gioco dei sassi, •(') ma anche di que-
sto dobbiamo lodarlo, e lo lodarono tutti, amici e nemici; e anche il Giannotti,
come vedremo quanto prima, conviene in ciò col Frate. Era tanto poco lecito
questo divertimento, che finiva sovente con la morte di alcuno de' giocatori, e
recava sempre danno e turbamento non piccolo a'cittadini. (Cf. Nardi, v.I, p. 96.)
Oltre alla mondanità nelle feste cristiane e « al bestiale gioco de' sassi e
altre cose più dannate del corrotto secolo » come si esprime il Nardi (I, p. 1 14),
il Savonarola volle anche toglier via da Firenze, e riuscì nell'intento, i canti
carnascialeschi, i trionfi, le mascherate, quali erano in usò' al tempo de'Medici. (*)
Ma anche qui è impossibile che un cattolico biasimi o condanni il Frate nostro.
De' carnasciali fiorentini medicei molto è stato scritto. Con magnifico ap-
parato Mascherate e Trionfi uscivano fuori nel dopo pranzo, e duravano fino
a tarda ora di notte; tiravansi dietro un codazzo di gente riccamente vestita
a cavallo; a volte passava i trecento, nè minori contavansi i pedoni, i quali veni-
vano portando in mano torce bianche accese la sera, sì che rendevano al par
del giorno luminosa la notte. In tal guisa con la mimica espressiva degli attori e
(') V. sopra, pag. 137, nota 2.
C) Anche il Perreus (p. 13"»), nota ohe « sparve o<;i)i canzone oscena od anche profana »;
ma non pare perciò eh' egli biasimi il Frate.
— 153 -
delle attrici, a quattro, a otto, a dodici e sino a quindici voci accompagnate da
varj strumenti con musica armoniosa cantavansi i trionfi e i canti carnascialeschi,
una modificazione delle canzoni a ballo, che nel primo concetto hanno qualche
cosa de' saturnali antichi, ripieni di oscenità. E non è certo punto esagerato
il Villari quando scrive che i canti carnascialeschi che formavano la prediletta
occupazione d' un principe lodato per tutto il mondo, e tenuto come il modello
d'ogni sovrano, un prodigio d'accortezza, un genio politico e letterario, oggi
1' ultima plebe li avrebbe a sdegno, e 1' andarli cantando per la città sarebbe
considerato un'offesa al pubblico decoro, nè resterebbe impunito.^) Predicano,
dice il Carducci (2), aperto il disconoscimento d'ogni legge morale, o fanno della
disonestà una galanteria, o agli amori inverecondi alludono con equivoci con-
tinuati ad allegoria. Non pare che si possa mostrar meglio in suo regno lo
spirito pagano sensuale di quello che si mostri in tali componimenti; tasse
metafore, figure invereconde, quando non si parla sveltamente e in senso
proprio, sono chiamale, meglio che a velare, a rappresentar vivo vivo quanto
v' ha di brutto neh' uomo rotto al turpe vizio di lussuria.
Pittori, scultori, meccanici, musici, poeti, facevano prova, scrive il Lasca,
a chi più lussuriosamente sapeva porgere sollazzo al popolo fiorentino. Roma
e Grecia, dicesi, non videro spettacoli più grandiosi. Gli effetti di tuttociò quali
furono? Corruzione tale che i giovani, scrive il Marchese, (3) parevano non ago-
gnare ad altro che a lascivia, nè saziare mai loro voglia. Ogni idea di libertà,
ogni generoso sentimento, ne' cosiffatti spegnevasi; cresceva l'ateismo pratico;
i buoni attristavansi. E sovente quelle feste erano anche un insulto alla comune
miseria, perchè vi si gettavano incredibili somme. Nella citata conferenza di
Isidoro Del Lungo La donna fiorentina (*), vien descritta l' eccessiva sontuosità
d' una festa fatta il 7#febbraio 1468, nella quale il solo Lorenzo dei Medici, allora
giovanetto, spese 10,000 fiorini. Invero giusto e mite era Savonarola quando scri-
veva nel suo Trattato del Reggimento di Firenze: « Il tiranno molte volte, massima-
mente in tempo di abbondanza e quiete, occupa il popolo in spettacoli e feste,
acciocché pensi a sè e non a lui; e che similmente i cittadini pensino al governo
della casa propria, e non si occupino nei secreti dello stato, acciocché siano
inesperti e imprudenti nel Governo della città Il tiranno sempre
cerca di corrompere la gioventù, e tutto il ben vivere della città, come cosa a lui
sommamente contraria. E se questo è grande, anzi sommo male in ogni città
e regno, massime è gravissimo in quelle de' Cristiani » (5)
(') Villari, voi. I, pag. 41.
(2) Delle Poesie di Lorenzo de' Sledici, Prefazione all'edizione Barbèra, 1859.
(3) Scritti varii, v. I, p. 142.
(4) Voi. citato La vita italiana, ecc. p. 172 e segg.
() Anche il Pastor parlando del carnovale, certo non pari a' Medicei, celebratosi in
Roma da Paolo li, che pur non era un tiranno, nè corrompitore degli uomini, dice: «Già
fin d'allora si levarono del resto voci di biasimo contro simili procedimenti assai mondani;
ma esse non trovarono ascolto presso Paolo II, il quali1 si partiva dal calcolo che mediante
gli avariati sollazzi popolari, si sottraeva il terreno alle mene demagogiche e rivoluzio-
narie ». (Voi. II, p. 2S0-281.;
— 154 -
L'esser adunque il Savonarola riuscito a far cessare questa inverecondia,
a noi pare che non sia 1' ultima delle benemerenze di lui verso la civiltà e la
religione, verso la libertà e il buon costume. Se alcuno lo volesse condan-
nare perciò, credo non farebbe altro che condannar se stesso. E certo il Pastor
nè altro cattolico moverà qui rimprovero d' alcuna sorta al severo Riforma-
tore. E come potrebbero farlo?!
Ma il Savonarola proibiva pure altre feste, per esempio, il correr del pa-
lio.... Ecco : a Fra Girolamo certo non piaceva molto che il correr del palio gua-
stasse la gravità e la santità delle feste religiose : ma non troverete che con-
dannasse mai la cosa in sè ; nè che si adoperasse di proposito per far cessare
questa usanza come tale. Ben è vero che per consiglio di lui non furon corsi
alcuni palj, ma se consideriamo bene le circostanze nelle quali ciò avvenne,
ammireremo la prudenza e la carità del Frate. Ciò avvenne o quando la città era
piena di poveri che pur ne morivano molti di fame per le vie, o quando la città
trovavasi in pericoli estremi, o per lo meno in condizioni finanziarie strettissime.
Già abbiamo visto per esempio (pag. 35) che non si corser i palj nell' anno
1495, ma si rilegga quel capitolo, e poi non pure un cattolico, ma un uomo
mondano, solo che abbia un poco di cuore e di senno, ammirerà e loderà la
saviezza del Frate. Mentre pur morivano di fame « molte migliaia » a che
correr palj? Non fu opera eminentemente cristiana il destinare il denaro a
sollevare un poco la miseria de' poveri ? Parimenti nel 1496, quando la città
era ancor piena di poveri ed era stremata di finanze e in manifesto pericolo
pe' nemici esterni, il Frate, avendo inteso che si voleva correre il palio, disse
dal pulpito: «Io intendo che il dì di San Barnaba si corre il palio. Pare egli
a voi che sia tempo da palio? lo vi dico che egli è tempo da piangere e non
da ridere. Voi dovete più presto fare ne' vostri Consigli, che quei denari si
dieno alla compagnia di San Martino per distribuirli a' poveri vergognosi, e
farete cosa che piacerà più a San Barnaba che correre palio. Così dico del
palio di San Giovanni: fate eh' e' si faccia senza palio, e San Giovanni l'avrà
molto più per bene, altrimenti lui I' avrebbe molto per male. Io vi dico che
gli è tempo da piangere e non da ridere. E' si vuole in questa festa di San
Giovanni, che è il padrone della terra vostra, che voi vi confessiate, e farete
cosa che gli piacerà. Non tanti spiritelli, non tante frasche; bisogna che le
cose vostre sieno tutte unite a Cristo, perchè egli è tempo, vi dico, da pian-
gere. Bisogna essere apparecchiati a piangere ed ululare, perchè il tempo si
approssima da patire per amore del nostro Salvatore Gesù Cristo ». (Sopra
Ruth e Michea, pred. IX.)
Ora chi dice che, se i tempi fossero stati d' altra guisa, il Frate no-
stro avrebbe avuto difficoltà di permettere siffatti divertimenti, certo per sè
leciti?
Ma nel Giannolti si rimprovera di questo solo il Frate? Veramente questa
domanda avrebbe dovuto moverla il Pastor a se stesso; e diligente ricerca-
tore come è, doveva vedere un poco in concreto che cosa apponesse questo
politico al suo condannato: le accuse vaghe valgono poco; bisogna specificare.
— 155 —
Ma questo non fecero nè il Pastor nè il Gaspary, e forse noi potevan fare. Nel
C. VI, del L. IV della Storia della Repubblica di Firenze, nel quale si legge il
passo notevole come lo chiama il Pastor, di che parla il Giannotti ì « De' pasti
pubblici. » Or qui che c' entra il Savonarola? Ma i pasti pubblici sono un
particolare; l'importante è il principio generale da cui move il Giannotti, e pel
quale crede condannabile il Frate. Qual è questo principio? Ecco: « Il desiderio
che hanno gli uomini di rallegrarsi è tanto naturale, che eziandio quelli che
sono involti in qualche miseria cercano, sforzati dalla natura, che s' aiuta
quanto può, con qualche lieto rinfrescamento temperare i loro affanni: e però
si vede manifestamente che chi vuole privare gli uomini di questi piaceri mon-
dani cerca combattere contro la natura ». E perciò il Giannotti condanna con
le parole sopra trascritte il nostro Frate, ma la condanna si tiene del tutto
sulle generali e non è illuminala punto, nè motivata da nessun fatto.
Ora, è per sè evidente che prima di obbligarci a tener per vera questa
sentenza è assolutamente necessario dimostrare e provare che il Savonarola
togliesse via tutte le allegrezze e feste pubbliche. Ma questo come potrà farlo
il Giannotti? Il Frate tolse via semplicemente quelle feste ed allegrezze che
non avevano i caratteri che il Giannotti vuole che abbiano le feste, e nel ca-
pitolo citato, e nel XVIII del libro III. E come il Giannotti, riteneva ancora il
nostro Frale che « bisognava proibire con ogni diligenza tutte quelle cose che
assuefanno gli uomini a pigliar piacere del male operare, siccome è il giuoco
delle pugna e de' sassi ; l'andare in maschera col pallone facendo quelle in-
solenze che si solevano nella città di Firenze fare, e finalmente tutte quelle
cose che rendono gli uomini nemici 1' un dell' altro ». E come il Giannotti,
il nostro Frate pensava ancora che « non basta proibire il male, senza intro-
durre il bene, a voler fare gli uomini buoni »; e perciò, siccome voleva il
Giannotti che tutti quei costumi dai quali nascono i sopraddetti inconvenienti
fossero proibiti, e che « s'introducessero tutte quelle usanze che producono
il contrario»; così del pari voleva e predicava il Savonarola.
Il Savonarola adunque senza vietare alcuna festa lecita, credeva col grande
politico fiorentino « esser necessario ad ogni bene ordinata repubblica provvedere
che nelle allegrezze e feste che fanno gli uomini in qualche tempo dell'anno non
si faccia cosa alcuna che trapassila civile costumatezza e moderanza.... le com-
medie e mascherate volevache fossero di buon esempio, e fossero in modo ordi-
nate che non dessero autorità al male ». Al Savonarola, come al Giannotti, « spia-
cevano le feste e i sollazzi che guastavano i bei costumi, anziché educare gli
animi; spiacevano le maschere carnevalesce piene di violenze e di stranezze,
le nozze alla guisa di quelle di Jacopo Fornaciaio, e giudicava che fosse da fare
ogni opera che i giovani fossero allevati di sorta che apparissero poi temperati,
gravi, reverenti ai vecchi, amatori de' buoni, nemici de' malvagi (o meglio della
malvagità), studiosi del ben pubblico, osservatori delle leggi, timorosi di Dio;
e in ogni loro azione lieti e giocondi ». Dopo ciò noi crediamo di aver diritto
di annullare con quella del Pastor e del Gaspary, anche la sentenza del po-
litico fiorentino, che condanna il Frale di San Marco; e di annullarla nel
— 156 —
nome stesso di lui che l'ha pronunciata, e proclamare anche qui perfetta-
mente puro il grande riformatore.
Ancora una parola con ispecial riguardo al bruciamento delle vanità. 11
Pastor si spiccia presto su questo fatto importantissimo; e già abbiamo notato
alcune inesattezze nelle quali incorre parlandone. Qui ci piace di osservare e
di aggiungere solamente che un' altra volta il Pastor, condannando il Frate,
pare dimentichi se stesso. Infatti a pag. 120 nota, non senza compiacersene,,
che « uno de' primi successi de' predicatori di penitenza era il bruciamento
delle vanità, cioè dadi, carte, maschere, capelli finti, amuleti, quadri scanda-
losi, canzonieri profani, strumenti musicali. « Tutte le quali cose (dice) portale
su di una pubblica piazza e fattane una catasta, a cui veniva di solito collocata
in cima una figura di demonio, eran date alle fiamme. » Ora che facevano di
differente i seguaci del Frate? E, come ci piace notare, questi fuochi in Fi-
renze non furon cosa nuova introdotta dal Savonarola, come taluno crederà.
Era comune in tempo di carnevale I' uso dei capannucci più o meno grandi che
facevansi per le piazze e poi ardevansi V ultimo giorno di carnevale in mezzo
ai canti e alle danze; (4) e questo costume rimane ancora in molti paesi d'Italia
ove si brucia, come dicesi, il carnevale. Se il Savonarola anche in questo con-
vertì a scopo eminentemente morale un divertimento già esistente, chi vorrà
condannarlo? Il Frate anche qui, come nota bene il Del Lungo, (I. c. nota al
doc. V), volgeva al bene gli strumenti di corruzione per poi toglierli affatto. E
quanto agli oggetti che si ardevan ne' carnevali savonaroliani, sono appunto
come quelli numerati dal Pastor a pag. 138, che i ragazzi adunavano sulla piazza
per farne una catasta e darvi il fuoco : « carte, dadi, arpe, liuti, essenze odo-
rose, specchi, maschere e opere di poeti ». Perchè, se là si faceva bene, qui si
deve disapprovare? — Ma in Firenze si bruciaron libri di poeti! — Che questo
bruciamento si riducesse a poca cosa è ormai dimostrato troppo bene dal Vii-
lari, (*J e non è più possibile ripetere la stolta parola del Maffei che, dopo aver
narrato la morte di Fra Girolamo, esclama: « Le ombre del Boccaccio e del Pe-
trarca furono vendicate!! » (3) Gli onesti applaudiscono; come, dopo aver rac-
contato di Pico della Mirandola che convertito per opera del Savonarola bru-
ciò tutti i suoi versi d' amore, invece di dolersi di quella perdita (per taluni
certo lacrimevole) il prof. Nencioni esclama: Grande e raccomandabilissimo
esempio! {*) — Ma in Firenze quando si dava fuoco alla catasta suonavan
le campane, suonavano le trombe, si cantavano inni .... — E che perciò?
Dov'è qui il carattere ridicolo e triviale? È poi credibile proprio che i predica-
tori di penitenza bruciassero le vanità senz'altro apparato? Ridicolo e triviale?!
Ma pure i cronisti affermano che le lagrime per la commozione calavano giù
(') V. sopra, p. 137, n. 2.
C) Lib. I. p. óOó e segg.
{3) Marchese, Scritti rarii, voi. I, p. 211.
(') Conf. La lirica nel rinascimento, nel voi. citato: La vita italiana, ecc.
— 157 —
a' pii astanti; e che tutti i buoni ne pigliavano grande edificazione Ri-
dicolo e triviale?! Ma i nostri missionari si stimerebbero certamente felici se
potessero fare in ogni luogo il simigliante! I santi, soltanto i santi, posson giungere
a tanto! (*)
(') Jl P. Marchese (L e, p. 212) cita l' esempio di San Bernardino da Siena, che fece un si-
mile bruciamento in Perugia il 29 settembre 1425 c con la stessa pompa e festa che Fra Giro-
lamo fece in Firenze ».
XIII.
Se lo zelo passionato facesse dimenticare al Savo=
narola che la Chiesa di natura sua è in questo
mondo.
Sommario.
L' accasa di eccesso contro il Savonarola ripetuta dal Pastor. — Il l'astor e il Perreus. — L' Amba-
sciatore di Mantova e valore delle parole di lui. — Esame diretto delle accuse. — Parole oscure.
— Se il Frate fosse troppo severo nell' imporre e nel vietare. — Domande al Pastor. — Il lusso
delle gioie e Fra Girolamo secondo il Perreus. — Un perchè cui il Pastor dovrebbe dire. — La
regola del Savonarola. — I bisogni della vita corporale e spirituale e i bisogni dello stato. —
La semplicità savonaroliana nelle cose esteriori non convieue egualmente a ciascuno. —
Diversità di stati e ufficj, e relativi segni esteriori. — Misura della semplicità esteriore secondo
la condizione di ciascuno. - - Autorità e principi assunti dal Savonarola. — Le vesti, le abitazioni,
le mense. — Il tutto per il Savonarola sta nell' evitar lo scandalo, e mostrarsi cristiano. — Fra Gi-
rolamo a Giovauua Caraffa e Diouora della Mirandola. — La penitenza nella Confessione. — Kuovo
senso alle parole del Pastor. — 11 Savonarola non esigeva troppo per la vita spirituale. — Pen-
sieri del Frate sopra la preghiera. — Esposizione del precetto di Cristo di pregare incessante,
mente. — Asserzioni del Savonarola che contradicono alle asserzioni del Pastor. — L' accusa
senza appoggio. — Xostra istanza. — I tristi e i buoni nella Chiesa. — Sentenze del Frate. — Il
Savonarola a Stefano da Codipoute. — Siamo ancora da capo. — Accusa di durezza contro il Sa-
vonarola nella ginsta lotta coi tristi. — Si ribatte. — Accusa contro il Savonarola di eccesso Del-
l' imporre quaresime e digiuni. — Essa non è degna di un cattolico. — Un' ipotesi. — La predica-
zione di San Paolo in Efeso e quella del Savonarola in Firenze. — I digiuni del nostro Frate non
sono eccessivi, ma pieni di prudenza e mitezza. — Passi del Savonarola. — Fra Girolamo a Lodo-
vico Pittorio. — Precetto e consiglio. — Conclnsione.
Ma andiamo oltre, chè molto ci resta ancora da fare, e già da alcuno si
desidera di vedere il fine. Il Pastor ripete contro Fra Girolamo ben altre ac-
cuse. Sopra una poi insiste di proposito a pag. 137-138: è l'accusa che il
Savonarola fosse eccessivo nella sua riforma. Infatti dice il Pastor che: « In-
dubbiamente colle migliori intenzioni egli voleva segregare dalia Chiesa ogni
cosa che sapesse di mondano, nel suo zelo passionato perdendo però di vista,
che la Chiesa di natura sua è in questo mondo. Senza essere mai venuto a
vicino conlatto colla vita pratica, applicò le sue vedute di claustrale a tutte le
— 159 —
varie attinenze del civile consorzio, e con una durezza e parzialità (l) senza esem-
pio riprovò altresì cose che per sè eran lecite. Il biasimo continuo de' suoi
emuli, voler lui della città di Firenze formare un solo convento e di tutti i
suoi abitatori altrettanti frati e monache, non è infondato. Ciò che la Chiesa,
la quale tenne in ogni tempo la giusta misura, raccomanda come consiglio e (2)
soltanto ai perfetti, egli di spesso predicava come prescrizione e obbligo per
tutti quanti: « Un frate di San Domenico » scriveva già il 17 novembre 14-94
l'ambasciatore di Mantova, « ha messo tanto sgomento nella popolazione, che
« tutti si sono dati alla pietà, e tre giorni la settimana non vivono che a pane
« ed acqua e in due solamente prendono vino e brodo. {3) Le fanciulle ed in parte
« anche donne maritate si sono rifuggite ne' chiostri, di maniera che in Firenze
« non vedi più che garzoni, uomini e vecchie ». Si venne a tale, che fu me-
stieri abbassare la tassa che i macellai avevano da pagare alla città, per causa
della rovina totale che minacciava la loro industria.... Coloro che non aderi-
rivano al nuovo movimento, facevano alti clamori, perchè contro la volontà loro
si trovavano involti in garbugli manifestamente esagerati e le molte volte ridi-
coli, talmente che perfino alcuni partigiani del Savonarola presero in ultimo a
credere che la cosa andasse troppo avanti. Il nostro Frate sentì la necessità di
rassodare i suoi devoti e di confutare in una predica le obiezioni che ogni
giorno diventavano più forti. « Fratello, tu ci hai rovinati del tutto: tutto il
« giorno pregare e digiunare, e da capo digiunare e pregare. Non possiamo
« più durarla; siamo diventati la favola di tutta Italia. I nostri vicini in aria
« di beffa ci domandano: Non si digiuna più in Firenze? Per il nostro inces-
« sante digiuno ci si perseguita. Firenze, dicono, ha indossato la cocolla, il po-
« polo adesso è una schiera di frati. Non ci regge più l' animo a sostenere lo
« scherno, che questo digiunare ed eterno pregare ci tirano addosso. — Vieni
« qua un poco! Su, dì, quello che fai, è buono o cattivo? Tu non puoi già af-
« fermare che il digiuno e la preghiera siano alcun che di male. Se pertanto
« è qualche cosa di bene, tira innanzi e lascia dire la gente >.
Le accuse, ci vuol poco a vederlo, son gravi assai; ma, e le prove? Anche
qui il Pastor trascrive senza darsi cura d' esaminare se ciò che trascrive sia
vero e provato. Trascrive dal Perrens, (4) ma vi interpone anche il giudizio e la
(') Questo vocabolo parzialità della versione italiaua è almeno oscuro. Forse il voca-
bolo tedesco porta con sè l'idea di unilateralità non proprio nel senso del nostro parzialità,
ma vorrebbe dire che il Savonarola vedeva le cose come da un lato solo, cioè vedeva me-
glio il lato cattivo di esse che non il buono. Forse si vuole anche dire che il Frate era
esaltato di quell' esaltazione che nasce dal vedere una cosa sola e dal pensare solo ad essa.
A noi varrà sempre la scusa che esaminiamo la versione e non il testo originale; e poi le
cose che qui diciamo stanno ferme ad ogni modo. Anche l'accusa di unilateralità e di esalta-
zione sarebbe infondata e non giusta.
(•) La congiunzione è della versione italiana.
(3) La parola brodo è della versione italiana; il testo della lettera dice }/ane. Cf. pag, seg.
{') Il eut (Savonarole) le tort grave de vouloir transformer une ville en un couvent, des
oitoyens en religieux, et, en les invitant à passer presque tout le jour à 1' église, de les dé-
tourner du travail.... (pag. 145).
Presque la moitié de l' année ètait donnée au 'jeùne et à l' abstinence. Quiconque
— 160 -
sentenza di un contemporaneo del Frate, l'ambasciatore di Mantova che toglie
dall'Archivio Storico Lombardo, I, 331, o meglio dal Grisar. (') Che valore daremo
alle parole di quest'oratore? Certo esse non sarebbero state possibili, se già
nel 1494 le prediche del Frate non avessero prodotto effetti al tutto mirabili
ne' costumi di Firenze: ma non ci par poi che sia necessaria molta avvedu-
tezza e critica, e nemmeno molto spirito cristiano per iscorgervi dentro una
esagerazione. E ad alcuni cattolici son certo che esse devono puzzare subito
di sensuale; e per tutti sanno almeno di mondanità o di poca religiosità.
Ecco le parole precise che l'Oratore Angelo Gliivizzano scriveva al Duca
di Mantova il 17 novembre 1494: « Tuti sono dati alla divotione e (il Frate)
fa che tri giorni della settimana tuta questa terra digiuna pane et aqua ; et
dui pane et vino, etc. Apresso a fato fugire tute le donzelle e parte delle ma-
ritate in de monasteri per modo che non se vede in Fiorenza se non fante
e schiavone e vecchiame, ecc. » Il linguaggio stesso tenuto dal documento mi
sembra die ne indichi abbastanza il valore. Del resto il Pastor, se avesse
letto tutta intera quella lettera del Ghivizzano, non avrebbe penato molto a ri-
conoscerne il vero valore; ed avrebbe veduto e provato col Cosci che « vi si
contano cose strane »; e quanto alle parole ove il sarcastico Oratore parla
del Savonarola, avrebbe ripetuto col Cosci medesimo: « Non è difficile rilevare
che qui egli scherniva la santimonia del Frate ». (*)
Nè mi fa meno male al vedere il Pastor trarre argomento contro il ri-
gore del Frate dal passo di lui citalo dal Perrens. Anche qui mi pare che
per un cattolico sia facile scorgere il giusto merito delle parole del predica-
tore di penitenza; e fa davvero meraviglia che il Pastor s' unisca invece con
achetait de la viande. les jours fixés par Savonarole pour l'aire pénitence, devenait un objefc
de scandalo, et bientòt il fallut réduire la taxe que payaient a l'État les boucliers, rnenacés
d* une ruine complète. Dans les rues, on n' enteudait plus quo le chaut des laudes et des can-
tiques spirituels : toute chanson obscèno ouméme profane avait disparu. (Pag. 135).
Les jeùnes, les macérations, toutes les pratiques 1 eligieuses redoublèrent ; il n'était plus
question d'autre chose dans Florence, et. cette ville était devenue pour cela la risée de touto
l' Italie. Les Arrabbiati se plaignaient si vivement d'ètre enveloppès malgré eux dans le ridi-
cule que les Piagnoni faisaient rejaillirsur la citò tout entière, que quelques-uns de ceux-ci
finirent par croire qu'ils allaient trop loin. Savonarole sentit la nécessitó de les raffermir
dans sa voie : « Frère, tu nous as rais sur les dents. Tout le jour des prières et des jeùnes, des
jeùnes et des prières! Nous n'en pouvons plus, nous sommes la table de l'Italie. No fait-on
plus de caréme a Florence, disent nos voisins? On nous persi'cuto avec ces carèmes: Florence,
dit-on, a pria le froc: ce peuple s'est fait moine. Nous ne pouvons plus supportcr les raille-
ries que ces carèmes et ces oraisons nous attirent. — Qk, vions ici ; ce que tu f'ais est-il bien ou
mal? Tu ne peux dire que ce soit mal de prier et de jeùner. Continue donc, puisque c'est
bien, et laisse parler ». (Pag. 179-1S0).
(') Nella Zt'itschr. far Kathol. Theoloqie, articolo intitolato: Za den neuen Pabìicationen
ueber Savonarola, IV, 391, Innsbruck, 1880, dove son tutte le parole riportate dal Pastor.
(■) Arci). St. Itti., Serie IV, voi. IV, anno 1879, pag. 293. In questa lettera del Ghivizzano
ha il lettore un saggio di quel cho i nemici del .Savonarola facevano in Firenze per attiz-
zare il fuoco contro di lui presso i potentati d'Italia. Questo punto già rilevato bene dal
Villari mariterebbe di essere vieppiù studiato; e si vedrebbe chiaro il perfido modo usato
dai inulti nemici del ben vivere per nutrirò questo fuoco cho poi doveva scoppiare in un fa-
tale incendio a danno del Frate e di tutta la repubblica.
— 161 —
un razionalista nel dar loro un senso e una portata che non hanno e che
anzi le aggravi più che il razionalista non faccia. (*)
Ma lasciamo ciò e veniamo ad esaminare le accuse in se stesse a parte
a parte.
È vero che nel suo zelo passionato il Savonarola perdesse di vista che
la Chiesa di natura sua è in questo mondo? Qui per rispondere bisognerebbe
prima di tutto che il Pastor chiarisse un poco il suo giudizio. Le sue parole
sono piuttosto oscure. Non v'ha dubbio che il critico d' Innsbruck intende par-
lare della Chiesa militante, perchè altrimenti le sue parole non avrebbero
significato alcuno. In che senso dunque il Savonarola avrebbe dimenticato
che la Chiesa militante di natura sua è in questo mondo? Chi lo sa?!! Il Sa-
vonarola dice sovente (e lo vedremo chiaramente andando innanzi), che la
Chiesa è composta de' buoni e de' cattivi e ripete che de' cattivi ve ne saranno
sempre e da per tutto ad esercitare la pazienza de' buoni. Non si può dunque
intendere 1' accusa del Pastor nel senso che il Frate di San Marco dimenticava
che nel mondo vi sono dei cattivi cristiani. Questo sarebbe follia. Dunque non
resta altro che intendere che il Savonarola dimenticasse che i buoni i quali
appartengono alla Chiesa come membra vive, i buoni odiati e perseguitati dal
mondo che, come sta scritto, non conobbe Cristo, sono di natura in questa terra
mentre che vivono., Ed allora noi domandiamo : che si vuol dire quando s'afferma
che il Savonarola perdè di vista che i buoni membri della Chiesa militante
sono per natura loro in questo mondo ? Si vuol dire che il Frate fosse troppo
severo coi buoni n eli' imporre e nel vietare.
E questo mi par probabile che sia veramente il senso delle parole del
grave critico, imperocché nella stessa pag. 137 scrive che « il Savonarola portò
nella vita religiosa una strettezza, una scrupolosità e uno zelo soverchio, al
medio evo affatto (2) sconosciuti. Rigorista, di un pensare affine a quello di Ter-
tulliano, egli non seppe tenere mai il giusto mezzo ».
Il Savonarola adunque sarebbe per Firenze un nuovo Licurgo o un Dra-
cone: avrebbe imposto a' cittadini della bella città oneri incomportabili . . . .
Avrebbe preteso da loro un grado di perfezione impossibile a raggiungersi dal
maggior numero; avrebbe imposto oneri non imposti da Cristo, nè dalla Chie-
sa, o almeno aggravati e gli uni e gli altri; sarebbe stato soverchiamente ri-
gido nella sua ascetica. Ma in che consistevano questi pesi? e qual è questo
soverchio rigore? e perchè il Pastor non ce lo dice chiaramente? Ecco: « 11 Sa-
vonarola applicò le sue vedute di claustrale a tutte le varie attinenze del civile
consorzio; e con una durezza e parzialità senza esempio riprovò altresì cose per
sè lecite. Volle formare della città di Firenze un solo convento, e di tutti i
suoi abitatori altrettanti frati e monache ». — E le prove? Le autorità a cui si ap-
(') Crediamo che le parole soprascritte sieno quelle che si leggono nella predica XXXV
sopra Amos e Zaccaria. Il lettore veda colà il passo intiero, e capirà subito che non è giusto
il dargli quel senso e valore che gli dà il Pastor.
(J) Quest' affatto è della versione italiana. Cf. il testo, p. 148.
11
— 162 —
poggia il Pastor non ci bastano per dar senz'altro come vera un'accusa tanto
grave! Quali sono poi le cose per se lecite che il Frate nel suo zelo passionato
riprovò? Dove trovate ch'egli volesse fare di Firenze un convento e de' suoi
abitatori altrettanti frati e monache? Certo 1' accusa del Pastor non può rife-
rirsi alle feste che il Savonarola vietava: abbiamo all' evidenza mostrato
che ciò che il Savonarola vietava nelle feste era quanto in esse accadeva di il-
lecito; e se talvolta sconsigliava feste per se stesse lecite, come certi giuochi
e palj, ciò faceva in circostanze in cui il farle sarebbe stato illecito, perchè in-
sulto grave alla miseria e alle calamità altrui. Chi sa? forse le cose per sè le-
cite e pur vietate dal Savonarola saran quelle delle quali il Perrens parla a
pag. 131 ; il lusso delle gioie e de' diamanti. Ma noi già abbiamo visto (p. 33, 34)
le occasioni straordinarie nelle quali il Savonarola predicava sopra questi argo-
menti. Perchè il Pastor, se vuole sostenere quest'accusa, non dimostra che
quelle straordinarie circostanze non esistevano o anche in quelle la prescri-
zione del Frate è eccessiva? Del resto, la proibizione anche del lusso era poi
proprio assoluta? Ma il Perrens medesimo dice pure che il severo riforma-
tore « lo permetteva questo lusso in una certa misura alle donne di più alta
condizione e stato ; ciò che mostra eh' egli voleva solamente evitare, dice sem-
pre il Perrens, che la vanità delle femmine facili a dimenticare la modicità
delle loro risorse non portasse la ruina nelle case, o non s'impiegasse in orna-
menti inutili denaro che poteva esser meglio impiegato e contribuire alla
prosperità di Firenze ». (Pag. 131-132.) Or questo sarebbe eccesso? E perchè,
se mai, togliere dal Perrens 1' accusa e non la giustificazione, o almeno le atte-
nuanti? Il Pastor dovrebbe dircelo questo perchè.
Tanto è falso che il Savonarola in ciò fosse duro e parziale senz' esem-
pio e scrupoloso, che per contrario era a mio giudizio tutt' altro; era pieno di
riguardi, era largo più che molti non sarebbero nemmeno oggi giorno! Ve-
diamolo leggendo neh' aureo libro che parla di proposito della Semplicità della
vita cristiana. La conclusione V del libro IV è già mollo importante e potrebbe
dimostrare non solo infondata 1' accusa che esaminiamo, sì ben anche molte
di quelle che vengono poi. Bisogna leggerla intiera. « L' uomo cristiano può
senza peccato desiderare e dar opera d' aver le cose necessarie al bisogno
dello stato suo, quando bene non fossero necessarie alla vita spirituale o
corporale. Imperocché essendo, come è detto, 1' uomo animale civile, e vivendo
comunemente con gli altri uomini, non deve essere in offensione dei prossimi,
o rendersi inutile alla comunità, ma più presto farsi membro utile e neces-
sario di quella.
« Quando adunque alcuno, o sia principe, o sia cittadino, o sia artefice,
non intende di abbandonar il mondo, e farsi prete o religioso, o altrimenti
mutar lo stalo suo, ma vuole più presto starsi al secolo e secondo la sua
condizione vivere civilmente, dico che se questo tale avesse solo quelle cose
le quali sono necessarie alla conservazione della vita corporale, non po-
trebbe decentemente vivere nella sua città. E però, non essendo ad alcuno
proibito, anzi più presto essendogli comandato il vivere decentemente, non
— 163 -
pecca colui il quale cerca d'aver quel solamente che è necessario al bisogno
dello stato suo, quando bene non fosse necessario alla conservazione della
vita spirituale, o corporale; anzi non conversando secondo che alla sua con-
dizione si richiede, si parte dall'ordine debito, sì perchè si dimostrerà essere
un ostentatore di scienza, e sarà più presto giudicato un ipocrita che un
vero cristiano, e così offenderà più presto 1' animo di molti che lo edifichi,
sì perchè si renderà inutile alla sua comunità, non potendo per questo one-
stamente esercitar gli ufficj ovvero magistrati della città, i quali ricercano
veste idonea, facoltà competente ed uomini onorati, sì ancora perchè non potrà
sovvenir a' poveri, e così far molti altri beni e utilità ». (4)
E nella conclusione V. del libr. Ili, dice pure: « La semplicità nelle cose
esteriori non conviene egualmente a ciascuno. Imperocché noi vediamo che
le opere della natura sono opere semplici, e nientedimeno vediamo in loro
ineguaglianza, perchè certe cose sono più belle e più perfette che le altre
differenti in preziosità di natura, e in figura ; come è manifesto negli alberi
inferiori e negli animali e nelle altre cose naturali. Così ancora, essendo
tutte le opere e tutti i beni esteriori della vita cristiana semplici, sono però
differenti in preziosità, in colore, in figura e in altre differenze, secondo che
ricerca la condizione di ciascuno. Imperocché, essendo 1' uomo animale civi-
le, perchè egli non è per sè solo sufficiente a provvedersi tutte quelle cose
che gli sono necessarie alla vita corporale e spirituale, bisogna che insieme
si raduni moltitudine d'uomini sotto qualche reggimento, acciocché l'uno
aiuti all' altro. (2) Onde è necessario che in ogni moltitudine d' uomini, sieno
diversi gli ufficj, gradi e opere. E perchè gli uomini conoscono e governano
le cose interiori per le esteriori, bisogna ancora che queste diversità delle
opere, delle dignità, e degli ufficj sieno distinte per alcuni segni esteriori, in-
fra i quali le vesti tengono il principato. Di qui è adunque che gli uomini
nel vestirsi sono diversi, e in colore e in figura e in preziosità di vesti; e si-
milmente hanno le abitazioni e le altre lor cose esteriori diverse per rispetto
della diversità predetta. Con ciò sia dunque che nessuno debba vivere incon-
venientemente, ma si debba ciascuno conformar nel bene a quelli con i quali
vive, però non deve alcuno stoltamente intendere questa semplicità esteriore,
cioè che voglia vestire, o abitare in quel modo nel quale non fa alcun altro,
perchè questo sarebbe più presto ostentazione che semplicità ».
Vogliamo anche qui venire a qualche particolare; e lo facciamo togliendo
(') Vedi questa dottrina in San Tommaso, Somma, P. II-II, qu. XXXII a. 6, ove si ha la
distinzione della necessità per la conservazione della vita e della necessità per la conservazione
del proprio stato e della propria dignità. San Tommaso, come il Savonarola, ritiene che sarebbe,
regolarmente parlando, azione disordinata il dare elemosina sottraendo a se stessi il neces-
sario alla vita ed anche alla conservazione del proprio stato, ed eccettua solo tre casi: 1° allor-
ché l'uomo muta stato, come quando entra in religione; 2° quando il danno che ne viene può
esser agevolmente risarcito; 3° quando nel prossimo è necessità estrema o privata o pubblica,
nel qual caso dovrebbe l'uomo spogliarsi anche di quello che ordinariamente stimasi conve-
niente alla conservazione del proprio stato e della propria dignità.
(2) San Tommaso, De regimine principum, L. I, c. I.
— 164 —
dalla conclusione VII del medesimo libro HI: non si lagni il lettore se saremo
un poco lunghi; l'obbligo della difesa c'impone di mostrare almeno l'ombra
del vero Savonarola: qui il Frate è calunniato assai e l'ombra sua richiede
che le si tergano le brutte tacce.
Nella detta conclusione V Asceta domenicano tratta della misura della
semplicità esteriore secondo la condizione di ciascuno; e comincia dall' affer-
mare ch'essa si può trarre dalle Sacre Scritture. E poiché gli uomini sogliono
misurare dalle vesti la semplicità esteriore, da queste egli comincia a parlare.
Ma perchè intendiamo eh' egli non tratterà tutti i semplici cristiani come
tanti frati o monache, vuole subito farci avvisati che non si vuol credere che
si possa per le Scritture dare particolarmente a ciascuno stato una regola spe-
ciale quanto alla figura, ai colori, ed alla preziosità ovvero viltà di esse vesti
in quel modo che i Santi Padri hanno fatto colle loro regole ai religiosi.
Dice quindi ch'egli assume come autorità i passi dell' Epistola Ia di San Pie-
tro, cap. III, v. 3: « Non abbiano esse donne capillatura scoperta e non sieno
ornate d'oro o di culto prezioso di veste, ecc. », e della Ia di San Paolo a Ti-
moteo, cap. II, v. 9 e 10: « Le donne in abito ornato si adornino con vere-
condia e sobrietà non con i capelli intorti o con oro, o con perle e vesti
preziose, ma in quel modo che si conviene alle donne, le quali hanno pro-
messo a Dio di vivere piamente ». Poi ferma ancor cinque principj, cioè che
ne' detti passi gli Apostoli non intendono di parlare alle sole donne maritate
o alle sole povere o alle sole ricche. Secondo, che gli Apostoli stessi si rivolgono
alle donne, perchè naturalmente la donna più dell' uomo è inclinata all'ornato
del corpo; ma intendono a più forte ragione di parlar anche degli uomini;
terzo, che, benché noi per le vesti preziose comunemente intendiamo quelle le
quali sono d' oro e d' argento e di seta, è però da considerare e misurare
questa tale preziosità secondo i diversi gradi di dignità: imperocché tal cosa è
preziosa ad uno che è vile ad un altro. Quarto, che la proporzione e la mi-
sura deve stabilirsi secondo il sentire comune degli uomini, sicché per cia-
scun grado e dignità s' abbiano a reputar preziose le vesti le quali presso
degli uomini tolgono comunemente 1' opinione della santità nella quale sen
vive ogni cristiano: che sia preziosa insomma quella veste che da te portata
debba alla comune degli uomini mostrarti men che cristiano. Quinto, che
ogni cristiano, in quanto cristiano, fa professione di santità e di vita spiri-
tuale, la qual vita non può essere senza la semplicità del cuore e delle cose
estrinseche.
Poste queste verità e fermati questi principj, volendo scendere ad alcuni
particolari, ci avvisa che egli parlerà « secondo V umana fragilità per rispetto
della infermità della carne e della già inveterata mala consuetudine, consigliando,
non comandando ; e così dirà a ciascuno in che modo, volendo vivere spiritual-
mente e da cristiano, debba e nelle vesti e nelle abitazioni e in tutte le altre
cose esteriori serbare essa semplicità ». E perchè, contro 1' accusa che gli
movono i suoi critici, egli sapeva benissimo la diversità degli stati e delle
condizioni sociali, lo fa e per le donne e per gli uomini, e per i ricchi e per i
— 165 —
poveri, e per i vecchi e per i giovani, e per i secolari e per i preti, per i reli-
giosi e per le monache. Sentiamo le prescrizioni per le donne (') le quali poi
valgono di norma per gli altri successivamente: « Secondo il comandamento
del Signore e il voto del battesimo, le donne cristiane le quali hanno promesso
di vivere mediante le lor buone opere piamente, non si debbono per alcun
modo ornar d' oro, di perle, o di vesti preziose, o con altri ornamenti, a pompa
e a lascivia. Secondo, diamo questo per consiylio non per comandamento, che le
regine e le lor figliuole o nuore, e così ancora le duchesse, e le altre donne
dei principi, non debbano usar se non rarissime volte e per razionabile ca-
gione, ed anche allora con temperanza, veste molto preziosa, cioè d' oro e
d' argento, nè gemme le quali pretendono ostentazione di ricchezze e gloria
secolare. Terzo, dico consigliando, che le donne di tanta dignità possono usar
veste di seta, nè questo è in tali donne contro alla semplicità cristiana, ancora
che in esse fosse qualche poco d' oro e d' argento temperatamente permisto,
questo per cagione della lor dignità, ancoraché noi estimiamo esser meglio
che loro, per dar di sè buon esempio, usino spesso veste di lana ; non però
dicendo di lana dico intanto vili, che in esse apparisca una certa ostentazione
di santità, ma dico preziose per cagione, come ho detto, della dignità. Quarto,
diciamo che le donne nobili, i mariti delle quali non hanno dignità d' alcun
principato, non dovrebbero usar vestimenti di seta, ma di lana, in modo che
le lor più preziose vesti fossero di panno di grana con le maniche però di
seta, come è di consuetudine. Se già alcune non fossero, i mariti delle quali,
benché non abbiano principato, sono però di molto nobile stirpe, e abbon-
dano assai di ricchezze. Queste possono alcuna volta, benché di raro, usar
vesti di seta. Tutte però debbono comunemente vestir di panno ancora manco
prezioso che di grana, e massime quelle che sono di più età, o che già
hanno passati trenta o trentacinque anni, perchè queste tali dovrebbero
usar panni neri, o d' altro color onesto. Le donne degli artefici o degli altri
i quali comunemente non sono secondo la consuetudine dell'umana con-
versazione chiamati nobili, non debbono vestir di panni di grana, ma d' altri
panni di manco valore, e più o meno preziosi secondo la condizione di cia-
scuno. Le donne dei contadini o dei famigli e degli artefici di più vile
(') Quanto fossero opportune allora queste prescrizioni, che fan pensare alle tante leggi
suntuarie dei secoli XIV-XVT, appar chiaramente da quanto il Pastor narra a pagina 72. In-
fatti nota egli che il lusso, grande allora per ogni dove, era eccessivo, specialmente in Fi-
renze. « L' arredamento di un un' unica stanza, al dire di Leon Battista Alberti, costava più
che non una volta l'intera abitazione adornata per una festa di nozze.... » Alessandro Strozzi
in una lettera dell'anno 1446, parlando del futuro matrimonio del figliuolo, scriveva: «Non
mi pare da darsene ora pensiero, e massimo essendo il temporale che corre al presente;
che de' giovani che sono nella terra, volentieri si stanno senza tor donna: la terra è in
cattivo termine; e mai si fece le maggiori spese in dosso alle donne, che si fa ora. Non è
si gran dote, che quando la fanciulla va fuori, che tutta l'ha indosso tra seta e gioie.
« Al tempo di Lorenzo de'Medici, quando universalmente incominciò un deterioramento,
si diedero perfino de' casi che taluni, causa il lusso, andarono in completa rovina.... Le
nozze di Bernardo Bucellai con Nannina de'Medici celebrato nel giugno 14'ì6 assorbirono
oltre 150,000 lire a ragguaglio della nostra moneta ! »
— 166 —
condizione abitanti nella città, debbono usar panni grossi e di poco pregio.
E così ancora certe poverelle e ignobili, come sono serve e simili. Ma le
monache, avendo fatto professione di servar povertà, se esse vogliono perfet-
tamente custodir il voto loro, debbono vestir de' panni vili, perchè esse sono
tenute a dimostrar non solo dentro della mente, ma ancora di fuora una vera
povertà e da ogni parte assoluta semplicità. E anche perchè esse non sieno co-
strette a domandar ogni dì elemosine, o andar fuori del monastero, debbono
quando esse lor vesti sono stracciate, racconciarle spesso e portarle sino a
tanto che esse possono esser utili. E la ragione di questo nostro consiglio è,
perchè parlando gli Apostoli alle donne ricche, le quali, avendo copia d' oro e
di gemme, sono naturalmente molto inclinate al culto del corpo, considerando
noi lo stato diverso di quelle, diciamo alcune vesti esser preziose ad alcune
donne, le quali non sono preziose ad alcune altre. Onde alle contadine sono
preziose quelle vesti, le quali usano però convenientemente le donne degli ar-
tefici, alle quali sono ancora preziose quelle che usano le donne dei nobili,
così come a queste quelle che usano le regine e le duchesse, alle quali diciamo
similmente essere quelle vesti preziose, le quali sono appresso di ciascuno as-
solutamente preziose giudicate. Però, se noi ben consideriamo la consuetudine e
il modo onesto del vivere di questi tempi, e con questo insieme quello che
1' uomo cristiano ha nel suo battesimo promesso, cioè di rinunziar a Satana
e a tutte le sue pompe e opere, si vedrà manifestamente, o che questa è la
misura retta delle vesti in qualunque grado e condizione, o che, se io non ho
cosi ben tentila la via di mezzo, eh' io son più presto declinato all' eccesso che
al difetto ». (')
Quindi, seguendo, mostra chiaramente che una cosa gli sta a cuore in que-
ste materie e nelle affini, dell' abitazione, dei cibi e simili, delle quali pur di-
scorre con ammirabile prudenza, che si eviti cioè lo scandalo e si dia buon
esempio, o non si diminuisca la fama della vita spirituale. Questo per lui è
tutto. Ma dove son qui vietate le cose per sè lecite ? Trovatemi una sola pro-
posizione nel Savonarola, (non nel Perrens o nell' Hergenròther, ma nel Savo-
narola) che sia contraria agi' insegnamenti della Chiesa, alla Scrittura, ai Ca-
noni, ai Padri, e allora mi darò per vinto. Ma per trovarmi questa proposizione
dovrete leggere le Opere del Frate; e leggendole tutte, restereste vinto da quelle
ed emendereste i vostri giudizj.
Nè sappiamo in alcun modo sottoscrivere alla sentenza di coloro che vo-
lessero fare del Savonarola un direttore di spirito stretto, troppo rigido e scru-
poloso: un rigorista nella condotta delle anime. Anche in questo senso le
(4) Questa spiegazione del testo allegato di San Paolo è al tutto conforme a quella
che ne dà San Tommaso nel commento a questo passo, Lezione IT, salvo, s' intende bene,
quelle particolarità elio riguardano 1' uso del tempo. Nelle quali chi ben consideri non troverà
nulla di rigoroso o di esagerato. Noti eziandio il lettore quanto il Savonarola era remissivo
nelle sue opinioni, scusandosi anche qui se per caso non avesse tenuto il giusto mezzo. E il I'a-
stor, senza legger sillaba di questi documenti che orano ai Fiorentini d'allora norma di vita,
gli gotta in tàccia appunto l' accusa di non aver tenuto il giusto mezzo!!
— 167 —
accuse del Pastor sarebbero infondate e niente esatte. Ci basti a provarlo la
lettera che il Nostro scriveva a' dì 3 aprile 14-97 a Giovanna Caraffa e a Dio-
nora sorella di Gio. Francesco della Mirandola, pubblicataci dal Padre Mar-
chese: « Vi scrivo » diceva adunque il pio Asceta, « nel nome del nostro
Salvator Gesù Cristo, che voi vi sforziate di gustare e conoscere quanto è
buono e soave il nostro Signore Gesù Cristo, il quale, benché non voglia noi
andiamo per la via larga de' peccati, nientedimanco non richiede da noi la co-
scienza tanto stretta, che ogni festuca vogliamo riputare una trave. Al nostro
Salvatore piace la coscienza serena, tranquilla e pacifica, la quale speri tanto
nella sua bontà e nel suo sangue che la creda che i peccati nostri minuti sieno
facilmente dalle viscere della sua pietà assorti: e vuole da noi ci guardiamo da
peccar ancora venialmente quanto possiamo. Niente dimanco, ancora gli piace
che, poiché l'uomo è caduto per fragilità, non si contristi tanto che perda la
tranquillità della mente; anzi subito riguardi la sua gran dolcezza e dica: Il mio
benigno Signore satisfarà per me, facendo sempre buon proposito di servire a
lui di buon cuore. Perchè chi si fa scrupolo d'ogni cosa più che non bisogna,
mostra che ha poca fidanza nella bontà divina, la quale non richiede da noi,
se non quello che noi possiamo. Ma star senza veniali noi non possiamo : e
voler poi fare de' veniali, mortali, è inquietare se medesimo, e far la vita cri-
stiana serva, la quale per grazia di Dio è massimamente libera, e fare legge di
timore quella che è legge d'amore. Date il cuore al nostro Signore Gesù Cri-
sto, e lasciate l'affetto del mondo, e servitelo con amore realmente: perchè
lui è tale amante, che non si adira mai; anzi cerca chi non l'ama, e del con-
tinuo reintegra l'amore con la sua sposa. Sicché allegramente camminate per
la via sua, considerando spesso la felicità eterna; la quale lui ha apparec-
chiato ai suoi diletti ».
E nella predica XLI sopra Giobbe venuto a parlare del Sacramento della
penitenza, dice fra le altre cose belle: « Tanto potrebbe nel peccatore la con-
trizione, che scancellerebbe da sè ogni pena, che dovesse portare in purgato-
rio. Ma perchè pur sempre rimane del delitto qualche segno, però bisogna
che per il giudice sia tassata e segnata questa pena. E però sono ordinati i
sacerdoti confessori, che tassino questa penitenza; i quali sacerdoti debbono
avere le due chiavi, cioè la scienza di sapere discernere il peccato, e la po-
testà da potere assolvere; e però tal confessore non deve essere ignorante,
acciochè sappia discernere da lebbra a lebbra; e saper dare quella penitenza
che sia conveniente. E deve il sacerdote avere questa avvertenza, se il confi-
dente è gran peccatore, dargli poca penitenza per non lo spaventare; e così
ancora a quello eh' avesse grandissima contrizione dargli poca penitenza, per
mostrargli che il Signore gli abbia perdonato. Ma a quelli eh' hanno medio-
cre contrizione bisogna dargli maggiore penitenza, acciocché meglio si soddi-
sfaccia alia pena che meritano i suoi peccati; la quale pena si viene ancora
ad alleggerire mediante quelle parole che dice il confessore nell'assoluzione:
omnia bona quae fecisti et facies et mala quae patieris sint tibi in remissionem
tuorum peccatorwn, ecc. ».
— 168 —
Dunque Fra Girolamo Savonarola ai suoi Fiorentini non vieta nulla di
quanto è per sè lecito, nè riguardo alle abitazioni, nè riguardo al vestito, nè
riguardo al vitto, nulla; o si discorra di quelli che vivono al secolo di qua-
lunque stato o condizione siano, o si discorra di quelli che vivono ne' chio-
stri. Qui non appare in lui nessuna durezza, nessuna parzialità; se non già
vogliasi dire parzialità la distinzione delle classi sociali. In Fra Girolamo non
si vede nulla che mi dinoti strettezza, scrupolosità, zelo soverchio al medio
evo affatto sconosciuto, non si trova che il Savonarola fosse rigorista, di un
pensare affine a quello di Tertulliano, ch'egli non seppe tenere il giusto mezzo;
panni invece di non sentir altro che savj e mitissimi consigli. Quali sono
adunque le cose per sè lecite che il Savonarola vietava? quali gli oneri
che imponeva? quale il suo eccessivo rigore? Tocca sempre al Pastor a dircelo.
Il Perrens fa colpa al nostro Frate d' aver avuto il torto di pretendere
che i Fiorentini vivessero di solo spirito: « l'uomo non vive di solo spirito»,
osserva questo biografo, « ma anche di pane, e questo dimenticava il Savo-
narola. Egli faceva pregar troppo, pretendendo nella vita spirituale l' impossi-
bile ai più, invitava i Fiorentini a passar pressoché tutto il giorno alla Chiesa,
ritogliendoli al iavoro, dimenticando che 1' uomo ha troppi bisogni fisici ». Che
intenda proprio questo anche il Pastor? Forse sì, imperocché ha comune col
Perrens l'accusa che il Savonarola facesse pregar troppo i suoi Fiorentini. Si
incolpa dunque qui il Frate di non aver capito la natura umana, e di aver
dimenticato che noi siamo uomini di questa terra e non angeli.
Ma si ha ragione di farlo? Se ne ha tanta ragione quanta di negare che il
Savonarola è nato nel secolo XV in Ferrara e nel secolo XV venne ucciso e arso
da' suoi nemici in piazza della Signoria in Firenze. Essendo già stata ribattuta
di sopra 1' accusa del togliere il popolo al lavoro e di non pensare a' bisogni
del corpo, mi sbrigherò qui cogliendo alcuni pensieri dall'aureo Trattato della
preghiera e proprio dal capitolo nel quale si parla della durata della preghiera.
Se gli avversarj del Frate non si chiameranno soddisfatti, tirino in campo le loro
ragioni, vengano al particolare, e noi siamo pronti a riprendere la questione.
Che dice ivi adunque quel Frate rigorista che stancava i Fiorentini e li rendeva
ridicoli con farli pregare? Comincia subito coli' affermare, che sopra questa mi-
serabile terra non è possibile di pregare incessantemente a cagione delle molteplici
necessità della vita; e per conseguenza ritiene necessario d'interpretare sommaria-
mente la sentenza di Nostro Signore: Bisogna pregare incessantemente ; (') e pensa
che con San Tommaso si possa tale precetto intendere del desiderio della carità che
spinge l'uomo a ricorrere sovente alla preghiera. (*) In questo senso, dice adun-
que il Frate, Nostro Signore non ha voluto comandarci altro che il desiderio di
incessantemente pregare. Ma nota che il santo Dottore aggiunge che è sempre
così di lutti i cristiani in istato di grazia. Chi è in grazia, anche se non esprima
il desiderio di pregare e che attualmente non preghi, può tuttavia dire, che
(') Vang. di San Luca, c. XVIII, v. 1.
(2) Vedi questa dottrina in S. Tommaso, P. II-II, Qu. LXXXIII a. 14.
— 169 —
e' prega incessantemente, perchè egli conserva la carità, sorgente e principio
della preghiera- Nè di ciò si contenta ancora; ma segue insegnando che, se-
condo un' altra interpretazione, 1' uomo prega senza interruzione quand' esso
non manchi di pregare al tempo fissato dalla Chiesa : come quando si reci-
tano le ore canoniche, o in qualunque altro momento della giornata, secondo
la devozione di ciascheduno, e ogni volta che si sente tribolato per qualche ne-
cessità spirituale. (*) Si può ancor dire che preghi incessantemente colui il
quale non cessa di fare qualche opera buona, e che principalmente riferisce
tutta la sua vita all'onore e al culto di Dio, secondo il precetto dell' Apostolo :
— Sia che voi mangiate, sia che voi beviate, sia che voi facciate altra cosa, fate
tutto per la gloria di Dio. — (2) Operando in questa guisa, ogni nostro passo sarà
meritorio, e degno di lode, e noi pregheremo incessantemente, perchè noi
faremo ognora opere che il Signore ricompenserà, dandoci vita eterna come
se noi gli avessimo domandato questa grazia nella preghiera. E qui il buon
Frate trae dalla vita de' Padri un racconto che illustra assai bene il suo pen-
siero e la mite e soavissima sua dottrina. Un solitario diceva di pregar senza
interruzione, perchè egli, dopo d'aver recitato le preghiere d'uso, lavorava e
guadagnava così di che nutrirsi e fare elemosina. Quest' elemosina, diceva
egli, continua a pregare per me quand' io dormo, e mangio e bevo e fo altra
cosa dopo d'aver pregato. (3) — Egli, aggiunge il nostro Asceta, aveva ragione;
perchè la Santa Scrittura ha detto : Deponi 1' elemosina nel seno de' poveri ed
essi pregheranno per te, liberandoti da ogni male. (4) Pertanto, conclude, chi
vuol pregare senza interruzione riferisca tutte le sue azioni a gloria di Dio,
compia le opere corporali e spirituali di misericordia; protegga le vedove e gli
orfanelli, consoli gli afflitti; soccorra quanto gli è possibile coloro che sono vit-
tima della malizia degli uomini, perchè i cuori compassionevoli piacciono molto
al Signore.
Segue quindi a parlare della durata della preghiera sempre attenendosi a
San Tommaso e a Sant' Agostino, e con uno spirito così dolce eh' io non so se
nelle norme che dava ai suoi discepoli il mitissimo San Filippo Neri e negli
scritti di San Francesco di Sales e degli altri migliori asceti cattolici si possa
trovar di meglio : e concede tanto alla debolezza umana e al gusto individuale,
che coloro i quali lo condannano per 1' opposto o non devono certo averlo
letto, oppur devono essere di quelli che le cose spirituali non intendono. E
dire che questo trattatello della preghiera fu scritto ad istanza della superiora
d' un convento, e perciò con riguardo speciale alla vita de' religiosi ! Quanta
maggior larghezza non avrebbe dunque usato se avesse discorso a' secolari! (5)
Del resto ripeta pure il Pastor che il Savonarola faceva troppo pregare il popolo,
(') Questa spiegazione è del Ven. Beda ed è accettata da S. Tommaso. Vedi Catena aurea
a questo luogo, e sul v. 17, cap. V, ep. I ai Tessalonicesi.
(2) Ep. I ai Corinti, X, 31. Anche questa interpretazione si trova in S. Tommaso 1. c.
(3) Anche questo fatto, tratto dal libro .De vitis Patrum, è riferito da San Tommaso, 1. o.
C) Ecclesiastico, P. I, XXIX, 15.
(5) V. Bayonne, Opere spirituali di Fr. G. S., I, p. 120 e segg. Off. la XVIII sopra Amos.
— 170 —
e lo voleva pressoché tutto il giorno in Chiesa.... ch'egli era d'un rigore ecces-
sivo, di uno zelo smoderato.... ma io trovo per contro che egli diceva che
nessuno deve sforzarsi di troppo nelle cose spirituali, perchè, venendogli meno
il fervore e il gusto, si volgerà poi per piacere alle corporali; trovo che il Frate
imponeva che si deve il debito suo al corpo, perchè non ne fosse aggravata
anche l'anima; trovo per contro che nessuno gridava più forte del Savonarola
contro i farisei d'ogni guisa che imponevano ingiuste gravezze al popolo; trovo
che nessuno semplifica meglio di lui la vita del cristiano : e'non fa altro che
ripetere: la carità rompere ogni altra legge; dov' è la carità e il Crocifisso, es-
servi tutto, e diventare presso che inutili le altre imposizioni. (*) Continuamente
gridava essere un tentar Dio il non valerci della prudenza umana e dei mezzi
che naturalmente Dio ci ha dati ; e faceva obbligo ad ognuno di dar opera af-
fine di procacciarsi, secondo il proprio stato, il necessario alla vita corporale e
spirituale. E andò in queste cose tanto avanti da porgere perfino a' liberaleschi
moderni il pretesto ch'egli fosse uno de' loro antecessori. Quindi sono obbligato
a respingere anche qui come ingiusta e infondata 1' accusa. Veda il Pastor le
Opere del Frate, per esempio la predica XXII sopra Amos, e giudichi se non
ho piena ragione di affermare che, egli, condannando il Savonarola, bestem-
mia ciò che ignora.
In che cosa si fonda, il Pastor, quando gli piace sottoscrivere la sentenza
comune agli Arrabbiati che accusavano il Frate di voler far di Firenze un con-
vento, e de' suoi abitanti altrettanti frati e monache? Le poche parole dell'Am-
basciatore di Mantova, come già abbiamo mostrato, hanno troppo poco valore
e forze troppo deboli per tanta accusa; e la dottrina del Frate le condanna con
chiara evidenza. Dunque?! Se il Pastor vuole tuttavia aver ragione, se la fac-
cia, ma non con sole affermazioni e con periodi tolti da razionalisti; se no, non
gli crederemo, apparendoci evidente il contrario.
Ancora una volta: qual fatto si adduce per provare che nel suo zelo pas-
sionato Fra Girolamo dimenticasse che la Chiesa per natura sua è nel mondo?
Forse Fra Girolamo vuol dire che nessuna macchia, nessuna ruga, dev' essere
nella casta Sposa di Cristo? Ma queste parole che son di San Paolo (2) devono
propriamente intendersi della Chiesa trionfante, e così intese sono una verità
sacrosanta, e sarebbe eretico chi dicesse il contrario. Forse vuol dire eh' essa
in teoria non tollera vizio nè errore di sorta alcuna, ma, come Dio, avversa
ogni male? Ma anche questa è una verità sacrosanta, e sarebbe eretico chi
dicesse il contrario. La fede vince ogni errore. Forse vuol significare che in
pratica la Chiesa non deve tollerare gli erranti e i cattivi, ma deve far sì
che i buoni faccian corpo assolutamente da sè? Forse sperava con la sua
riforma di toglier di mezzo tutti i viziosi per modo che non avesser più noia
i buoni? Ma che significa allora la postilla negli Scritti Inediti sul XXVII di
Ezechiele: «La Chiesa sempre tribolata è sempre forte nelle tribolazioni?»
(') Vedi più innanzi la teorica della legge secondo il nostro Frate.
(J) V. Lettera di S. Paolo agli Efesini, V, 27.
— 171 —
Allora la predica XI sopra l'Esodo, e le altre simili dove il Savonarola parla
del male che posson fare e degli errori in che possono cadere i prelati e
il Papa stesso, come si potrebbero spiegare? Anzi, come si concilierebbero
con questa opinione i molti luoghi ne' quali il Savonarola inveisce contro la
Chiesa, affermando che intende parlare de' tristi, de' cattivi cristiani? Le stesse
regole che ci dà per V interpretazione della Scrittura, e specialmente quella
che riferisce al corpo vero e simulato di Cristo, sarebbero inesplicabili, e
non avrebbero senso le molte pagine nelle quali egli conforta i giusti a so-
stener la lotta pel bene, mostrando che è condizione essenziale alla vita
cristiana il dolore ; e che, siccome la Chiesa fu perseguitata prima dagP im-
peratori e poi dagli eretici e dai filosofi, così allora era perseguitata da'tiepidi, e
avrebbe sempre dovuto lottare fino al trionfo finale in cielo. Nè avrebbe più
senso la postilla inedita del capo XXI del li de' Re : « La Chiesa ha combatti-
mento co' demonj tutti i giorni di questa vita ». No, in questo senso il Savonarola
non aveva zelo passionato; anzi il contrario : imperocché riprendeva coloro che
mostrassero zelo siffatto. Non so tenermi dal dare qui tradotta la bella e affet-
tuosa lettera del Padre a Fra Stefano da Codiponte novizio. (*)
« La pace di Dio che sorpassa ogni senso prenda possesso dell'anima tua, fra-
tello in Cristo dilettissimo. Sommerso nelle occupazioni non ho potuto soddi-
sfare al tuo desiderio, poiché a volte dimentico di me stesso, non valgo a
compiere i miei voti e i miei disegni. Ora, ad ogni modo, per 1' affezione tua e
il tuo smoderato fervore sono obbligato a pregarti che voglia camminare nella
vocazione nella quale sei stato chiamato. Nel cielo son buoni tutti; nell'inferno
tutti cattivi; in questo mondo si trovano de' buoni e de' cattivi, nel quale per
vero non potrai trovare che sia mai stato diversamente. Molti adunque desi-
derando di viver bene, e non volendo acquietarsi all' esperienza de' vecchi,
cercano in questo mondo l'impossibile; imperocché vogliono dimorare tra i
santi, senza incontrare un solo uomo cattivo od imperfetto. Il che non venendo
a loro, si dipartono dalla propria vocazione, e s' aggirano per una strada non
vera. Sono ingannati dal demonio e tratti e precipitati d' errore in errore, nè
più tornano in appresso alla smarrita via della verità, alla sapienza. Figlio mio,
viver bene vuol dire fare il bene e sopportare il male, e così perseverare fino
alla morte. Chi vivrebbe male tra i santi se non 1' uomo perverso e destituito
affatto d'ogni grazia di Dio? Non è gran lode viver bene tra i buoni. E queste
cose ti dico, non già perchè coloro fra i quali tu vivi sian cattivi, anzi son
buoni, sebbene forse alcuni di quelli siano imperfetti, ma perchè di una pa-
gliuola ne fai una trave. Bisogna fuggire i cattivi, bisogna fuggire i perversi e
conversare co' buoni. Imperocché sta scritto: « Sarai santo coi santi, eletto co-
gli eletti e coi perversi ti pervertirai ». (2) Ma se tu pretendi di fuggire assoluta-
ti È pubblicata in latino dal Villari (II, Doc. X); e il Bayonne traducendola in francese
(Opere Spirit. di Fra Girolamo Savonarola, III) premette appunto che il Savonarola la scrisse
al giovane novizio a fine di moderarne il nuovo ardore e lo zelo indiscreto.
(J) Salmo XVII, 27.
— 172 —
mente i cattivi, sarà necessario uscire di questo mondo. Senza dubbio tu già ne
sei uscito e crederai di entrare senz'altro in Paradiso. E nell'atrio del Para-
diso certo entrasti ; ma non ancora in esso Paradiso propriamente. Nel mondo
tu se' vissuto fra gli scorpioni; e nel chiostro hai da vivere bene fra i perfetti,
gì' incipienti, gì' imperfetti e non più fra i cattivi. Che se vi si trovi qualche
falso fratello, non te ne farai le meraviglie; anzi meravigliati se non se ne
trovi alcuno. Nella casa d' Àbramo, nella casa d'Isacco, nella casa di Gia-
cobbe, nella casa di Mosè, nella casa di David, nella casa di nostro Signor
Gesù Cristo e degli Apostoli e di tutti i Santi si trovò qualche empio e per-
verso, persecutore dei buoni; come dunque puoi tu credere che vi abbia casa
alcuna quaggiù senza cattivi? Erri, erri, o fratello: grande tentazione è questa
tua e suggeritati sottilmente dalla perfidia del diavolo. Cerca adunque la pace
con perseveranza: cammina alla presenza di Dio, e umiliati sotto la polente
mano di Lui : raccogli la rosa tra le spine, credi ognuno migliore di te ; se
vedrai cosa che non ti piaccia, pensa ch'essa sia stata inspirata da buona in-
tenzione. Molti sono migliori dentro di quello che non appaion di fuora. Datti
pace adunque, datti pace, fratel mio, studiati di esser umile, sottomesso,
obbediente : e prega incessantemente e sappi che la sede del Signore è
nella pace. Prega per me e raccomandami al tuo maestro e a' tuoi condi-
scepoli ».
Chi sapeva scrivere così, poteva dimenticare che i buoni cristiani, la
Chiesa è per natura sua nel mondo? Siamo adunque daccapo : che vuol dire il
Pastor quando accusa il Savonarola d' aver dimenticato che la Chiesa è per
natura sua in questo mondo? Mi par quasi di sentirmi rimproverare di non
aver capito da principio: — Vuol dire che il Savonarola eia soverchiamente duro
nella lotta, pur giusta, contro i cattivi: qui sta la sua asprezza e la sua par-
zialità senza esempio : mancava di carità verso la debole natura umana, verso
1' uomo che nasce guasto e corrotto e si sente dalla natura viziata portato
al male.
Ecco una pagina, fra le bellissime degli Scritti Inediti, che prova direttamente
il contrario e s'intitola: — Le ottime regole per combattere al giorno d'oggi. — «Se
alcuno ha un figlio ammalato, l'ama ancora e prega chiedendo aiuto; lo favo-
risce e lo aiuta: usa ogni rimedio, chiama il medico, e al medico raccomanda
se stesso e il figlio: non dice: Taglia, o medico; brucia; ma riserba queste pa-
role quanto può. E perchè noi amiamo più le membra nostre che non il figlio
e il fratello, quest'ordine medesimo noi manteniamo molto più quando si tratta
d' esse membra. Nè osiamo dire al medico : Amputa questo membro putrido,
se non allora che già abbiamo appreso non restarci altro rimedio. E nè anche
allora osiamo di chieder ciò senz' altro ; ma appena il facciamo con cenni,
mentre con le parole diciamo piuttosto il contrario. Finalmente non c' esce di
bocca se non quel: fate voi, fate piano. Cosi adunque, dapprima amiamo quel
membro; secondo, ne domandiamo la salute; terzo, nessuno ha in odio quella
carne e quell'osso quantunque putrido, ma lo nutrisce e gli usa speciali ri-
guardi, ecc. Nella stessa guisa dobbiamo comportarci contro i cattivi che son
— 173 —
nostri figli in Cristo, e nostre membra. Prima, li dobbiamo amare ; secondo,
pregare; terzo, far del bene a coloro che ci odiano; quarto, correggerli frater-
namente; e se sia conveniente, domandare anche perdono a coloro che noi
non abbiamo offeso e cercare ogni rimedio: finalmente chiamare il medico e non
dire: Uccidi, taglia via questo membro, cioè questo mio nemico, ma: Salvami,
salvami, liberami; e tentare ogni cosa perchè non lo si abbia da uccidere, nè
tagliar via: chè se non si possa fare altrimenti, dire: Fa, o Signore, ciò che
esige la giustizia e la verità tua per la salute mia e del popolo, ma non per
vendicar me, o per contentarmi.
« E quest'ordine, » diceva il Frate, « tiene la pia Chiesa. Imperocché, dopo
che ha tollerato i nemici, con animo pronto si amano, si prega per loro, si
fa lor del bene, pur vedendo che non si convertono, ma vogliono tenersi in
fiore e perseguitare e tradire i figli di Dio che paiono abbietti e giacere in
mezzo ad essi ».
In nessun senso adunque regge l'accusa del Pastor: essa è campata in
aria, o per lo meno fu proferita leggermente; è falso che il Savonarola appli-
casse le sue vedute di claustrale a tutte le varie attinenze del civile consor-
zio: è infondato ed assurdo il biasimo che gli Arrabbiati e i Medicei davano
al Savonarola, di voler lui della città di Firenze formare un solo convento, e di
tutti i suoi abitatori altrettanti frati e monache. Girolamo Savonarola non
dimentica mai in nessun senso che la Chiesa di Dio è per natura sua in que-
sto mondo. Girolamo Savonarola non riprova cose per sè lecite non riprovate
dalla Chiesa. Il ripetere questa proposizione non è da buon critico; ed è asso-
lutamente illecito ripeterla gratuitamente.
Ma le penitenze, i digiuni, le quaresime che il Frate imponeva al popolo non
erano eccessive? Il fatto stesso che si dovette abbassare la tassa che i macellai
pagavano alla città per la ruina totale che minacciava la loro industria, non
dimostra un eccesso intollerabile? Ecco qui un'altra volta: leggendo nel Per-
rens o in un economista moderno quest'accusa e questa ragione, sorriderei; ma
leggendola nel Pastor, mi fa del male, mi attrista. Anche questo mi pare un
linguaggio non conveniente ad un cattolico. Ditemi francamente: Se un predi-
catore potesse riuscire a persuadere noi nel secolo XIX dell' obbligo che si ha
d'osservare i digiuni prescritti dalla Chiesa, e di astenersi dalle carni ne'gioini
che ci son vietate; e magari riuscisse a persuaderci che per devozione ci aste-
nessimo dai cibi grassi anche in qualche altro giorno, commetterebbe costui un
reato di rigore e di durezza eccessiva? E se tutti noi osservassimo davvero
queste astinenze, ditemi ancora, i macellai nostri, tutti i nostri macellai avreb-
bero ancora da vendere quanto ora vendono? non avrebbero proprio danno
alcuno? Dunque per volere evitare la ruina di alcuni negozj di carne, non sarà
più lecito osservare i precetti della Chiesa? Ma dove si va allora colla nostra
critica? Proprio allo spirito rivoluzionario ed economico de' protestanti e de' li-
beraleschi dell' età nostra. Quest' accusa mi richiama a mente il capo XIX
degli Atti degli Apostoli. Paolo con la spada della parola di Dio aveva ornai
tratto a Cristo gran parte dell'Asia, e fatto frutti copiosissimi con 1' aiuto an-
— 174 —
che di Gaio e Aristarco in Efeso. Ma ivi con la sua predicazione recava egli
danno non piccolo a'fabbricatori di idoli, tanto che un certo orefice, per nome
Demetrio, il quale faceva in argento certi tempietti di Diana, (*) dava non poco
guadagno agli artigiani. Convocati i quali, e quelli che di cose simili lavoravano,
disse : 0 uomini, voi sapete che da questo lavoro vien la nostra ricchezza. E
vedete, e sentite, che non solo in Efeso, ma in quasi tutta l'Asia, questo Paolo
con sue persuasioni ha fatto cambiare di sentimento a molta gente, afferman-
do che non son dei, quelli che si fan con le mani. E non solo è pericolo, che
questa nostra professione vituperevole divenga, ma di più il tempio della grande
Diana sarà contato per niente, e comincerà a distruggersi la maestà di lei,
cui l'Asia tutta e il mondo adora. Udito questo, coloro si riempirono di sde-
gno, e sclamaron dicendo: Gran Diana degli Efesini ! E si riempiè la città di
confusione, e corser tutti d' accordo al teatro, trascinando Gaio e Aristarco
Macedoni, compagni di Paolo. E per più ore gridavano tumultuando: Gran
Diana degli Efesini !...
Non aggiungo parole!! Andiamo oltre.
E poi vero che Fra Girolamo fosse tanto rigido neh' imporre digiuni? Io
vorrei che il Pastor mi provasse che il Frate comandò pur un digiuno che
non fosse degl' imposti allora dalla Chiesa, e che ne consigliasse pur uno
grave senza che la città si trovasse in condizioni straordinarie e bisognevole
di speciali aiuti di Dio. Io, leggendo le prediche del Savonarola, trovo che in
ciò egli certo era allenissimo dalla larghezza dello spirito mondano de'tempi
nostri: ma insieme trovo che era assai mite e benigno, avuto riguardo agi' in-
segnamenti e a' precetti della Chiesa, e alle consuetudini e agli usi del popolo
cristiano d' allora. Non trovo che raccomandi mai il digiuno senza mostrare
nel tempo medesimo di conoscere che tutti non lo potranno fare, e non pro-
curi perciò di sostituirvi qualche altra cosa, dove si possa. No, oneri insop-
portabili il Frate di San Marco non ne imponeva, e chi dice il contrario non
lo ha letto. I peccati dell' età sua eran molti, e perciò molte dovevano essere
le penitenze, se si voleva placare la giustizia divina e chiamare sopra la
città le grazie celesti ; ma il Savonarola qui non mi sembra che abbia mai
dato neh' eccesso, e, se non si tenne nel giusto mezzo, bisogna riconoscere
che fu piuttosto benigno che troppo duro, ed ebbe riguardo alla consuetu-
dine e agli animi affiacchili. « Orsù, quest' avvento che faremo? Alla qua-
resima. Dico prima che non si mangi carne, parlo a chi è sano. Non si mangi
ancora cacio, nè uova; ognuno faccia questa quaresima, piccoli e grandi,
altrimenti sareste ingrati a Dio, massime che dobbiamo prepararci sem-
pre a qualche maggiore grazia. Vuoisi anche digiunare, e se non puoi digiu-
nare tutta la quaresima, digiunane parte. Se non puoi anche fare quaresima
tu che se' debole, fa almanco senza carne, mangia delle uova. Vuoisi che
(') Il tempio di Diana celeberrimo per tutto il mondo eia continuamente visitato da
forestieri che, per tenerne ricordo, compravano queste piccolo riproduzioni in argento fatte
dall' orefice Demetrio.
— 175 —
conosciate il beneficio di Dio, almanco in qualche cosa ». (Predica XXIX
sopra Ruth e Michea fatta a' dì 20 di novembre 1496.) E nella predica
fatta il 27 novembre dell'anno stesso (la su Ezechiele): «Fate l'avvento,
chi può. » E nella II delle prediche sopra Ruth e Michea il dì dell'Ascen-
sione, 12 maggio 1496, ripete ed anzi allarga le medesime cose. Ivi, come
del resto sovente altrove, il Savonarola dimostra apertamente che la peni-
tenza principale è quella che consiste nel mortificare tutto 1' uomo: cioè nel
cattivare l' intelletto alla fede e la volontà all' amore di Cristo e de' beni
eterni: neh' usar la memoria a ricordare del beneficio della creazione e della
redenzione : nel tener ferma la fantasia che s' ha da morire, e non immagi-
nare altro che il Crocifisso. Quindi tenere gli occhi che non guardino cose vane,
gli orecchi che non ascoltino le persuasioni de' tiepidi, la lingua che non dica
male.... E venendo al gusto, vuol che ognuno dica: « Gusto mio, e' bisogna che
facciamo un poco di penitenza. Orsù, dilettissimi, che direte? Una quaresima.
— E' bisogna, dico, fare un poco di penitenza, se vogliamo avere grandissima
grazia da Dio. Orsù non si mangi carne di qui a Pasqua (di Pentecoste), (*)
e' sono pochi dì, sarà penitenza discreta. — 0 Frate, tu avrai qualche inimico,
questi beccari si dorranno. — Oh, c'è tant' altra gente che non viene alla pre-
dica che basterà loro; ma predicatelo voi per tutto. Orsù, e' saria bene, accioc-
ché e' non si dolgano questi beccari, che voi gli levaste un poco delle gabelle;
non mangiale adunque carne voi, io non parlo degli infermi o deboli, ma dico
chi è sano lo faccia. Io ve lo comando per obbedienza; se volete mangiar delle
uova, io lo rimetto in vostra libertà. Il digiuno chi può saria bene farlo, ma non
(') La Pentecoste chiamasi anche Pasqua di Rose. Tra 1' Ascensione e la Pentecoste cor-
rono 10 giorni, 4 dei quali erano vigilie comandate dalla Chiesa. Per vedere che questa asti-
nenza non fosse in nessun modo esagerata, basta osservare che il precetto allora praticato
nella Chiesa era di astenersi dalle carni tutta la quaresima e tutto l'avventi/, e però l'asti-
nenza di pochi di, non poteva sembrar cosa strana. Giova anche riflettere alle tristi condi-
zioni di quei giorni in cui il Savonarola fece quella esortazione. Le disgrazie si erano accu-
mulate alle disgrazie. Una grandinata e nevata terribile il 22 marzo aveva quasi distrutte le
future raccolte e minacciava gran carestia. Correvano nel popolo le voci pur troppo avverate
della venuta del Re di Francia e false notizie si spargevano di bande di Veneziani, Lombardi
e Genovesi. Il Re non curava il donativo di due leoni fattogli dalla repubblica e si avvici-
nava.... Nel popolo si sparse la favola spaventosa, non creduta dagli uomini di giudizio, che
a Siena fosse piovuto sangue sopra due porte. I Fiorentini erano in guerra coi Pisani e agli
8 e ai 24 d' aprile avevan toccato la peggio. Nelle campagne la fame cresceva e i contadini
atterriti correvano in città.... In undici mesi non era quasi mai cessato di piovere ed alla
carestia minacciava di succedere la peste di cui s' erano già scoperti varj segni e contro cui
già dal 3 marzo 96 si eran presi provvedimenti, ma che poi venne terribile.... (v. Landucci,
Diario, p. 128 e segg. Cf. Villari, v. I, p. 473 o segg.) Tutto questi), attesi ancora i vizi di quel
tempo, all'occhio del cristiano non poteva ragionevolmente considerarsi se non un vero ga-
stigo di Dio. E se il Savonarola per placare la collera divina voleva che il popolo facesse
penitenze speciali per pochi giorni, dovrà per questo riprovarsi? Quanti altri esempj di
Santi predicatori di penitenza dovrebbe riprovare il Pastor, da lui stesso raccontati e lodati!
Osservazioni analoghe valgono per alcune altre penitenze consigliate dal Savonarola, per
esempio quelle delle quali è discorso nella line del sermone XIX sopra i Salmi, recitato il
18 ottobre 1493 allora che la città era in pericolo per le mene di Piero de' Medici: e quelle
proposte nel finire la IV sopra Aggeo (che fu la prima dopo la cacciata de' Medici stessi)
perchè Dio usasse misericordia alla città. Cf. anche nel Cappelli, doc. 55 e 56.
r
— 176 —
lo voglio comandare a nessuno. Oppure aimanco questi cinque dì, cioè due ve-
nerdì, due sabati e il mercoledì sarebbe bene digiunare: io intendo di quelli che
sono sani e che possono ; non dico dei deboli. La tua moglie, se fosse indebolita, non
la lasciar digiunare. Inoltre s'ha a fare orazione, pregare per tutta la Italia, per
la Chiesa, per la città e per voi. Ogni dì si dica i setti salmi, ma vorrei che si
dicessero a un'ora tutti, e non so che ora mi trovare che sia più comoda a
ciascuno. Orsù, come suona vespro ognuno gli dica; acciocché Dio ci perdoni
i nostri peccati. Ognuno si confessi e comunichi in questa Pasqua, grandi e pic-
coli, chi è da comunicare. Orsù, i miei fanciulli digiuneranno anche ora un dì,
cioè la vigilia della Pasqua ».
Ma io non so tenermi dal recarvi qui ancora alcuni pensieri che il Frate
ha neh' Operetta Della Vita Vedovile nel capitolo II della parte II, il quale
tratta per V appunto del digiuno e dell' astinenza.
Ivi esordisce col detto dell' Apostolo ai Galati V. 17: « La carne lotta contro
lo spirito »; e agli Efesini V. 29: « Nessuno odia mai la propria carne, ma la nu-
trisce, e ne tien conto » ; e segue affermando che per vivere saggiamente in questo
mondo, è necessario evitare i due eccessi: per una parte cioè, non mortificare
troppo il corpo e per 1' altra di non permettere alle spine di soffocare il buon
grano dello spirito ; e che la scienza della misura e della discrezione è parti-
colarmente necessaria alle vedove, le quali, all'esempio di Sant'Anna, deside-
rano di servire il Signore notte e giorno nel digiuno e nella preghiera. Poi
dice che questo è un punto delicato, e che è molto difficile fissare una regola
pratica, a cagione della diversità de'temperamenti, delle usanze, de' costumi,
e delle numerose circostanze, che cambiano, per così dire, d'ora in ora. Nien-
tedimeno si possono stabilire de' principj generali con la dottrina comune
a' Santi : e chi li segue, si avvicinerà ogni giorno alla giusta misura, anche se
qualche volta non arrivi ad intenderla perfettamente. L' essenziale si è di non
voler peccare : imperocché colui è perfetto che non pecca nulla affatto per in-
tenzione. Dopo tutto ciò, ecco la regola eh' egli dà come conveniente alle ve-
dove nella pratica del digiuno. « Primo, quelle che stanno bene e non hanno
alcuna legittima scusa devono osservare devotamente tutti i digiuni prescritti
dalla Chiesa. Di più, come il buon Samaritano, cioè a dire il nostro Salvatore
Gesù Cristo, ha detto all'albergatore: «Tutto ciò che tu avrai speso di
più te lo rimborserò fedelmente al mio ritorno », (') mi sembra che sia
bene di fare qualche cosa di più, e che ogni vedova che sia in buona
salute digiuni nell'estate almeno una volta la settimana; al venerdì in
onore della passione di Gesù Cristo: imperocché se noi sapremo sof-
frire con lui, noi saremo anche glorificati con lui. Questa è la regola seguita
dagli ordini religiosi: e se ella vorrà digiunare un altro giorno, sia per un mo-
tivo particolare di devozione, sia a causa d' una vigilia, io non la saprei biasi-
mare, solo che vi metta il sale della discrezione ». In secondo luogo osserva il
Frate, che vi è un altro digiuno, che ogni uomo di qualunque condizione sia,
(') Vangolo di San Luca, X, 35.
— 177 —
può e deve osservare: questo è quello che consiste nel praticare la tempe-
ranza, e non mangiare che secondo il bisogno naturale. Ma dice che qui è im-
possibile di fissare una regola, per l'infinita varietà delle complessioni: ognuno
può dirigere se stesso con V aiuto dello Spirito Santo, il lume del quale illu-
mina i discepoli prediletti i quali l' implorano umilmente con fervide preghiere.
Dice ad ogni modo: « Senza dubbio, il troppo e il poco, il più e il meno sono
egualmente difettosi; ma, come è difficilissimo all'uomo di trovare il giusto
mezzo, allorché alcuno vi s'accosta sufficientemente, non pecca punto e non
si allontana dalla virtù; e nel caso che alcuno non sappia evitare l'uno dei due
estremi, va meglio portarsi leggermente verso il meno che verso il più : per-
chè la natura in questo punto si contenta di poco e in qualità e in quantità.
Ora la sobrietà conviene a tutti gli uomini, ma particolarmente alle ve-
dove.... » (*)
Ma non ho ancor finito. Le accuse del Pastor sono fatte con tanta insistenza
e ripetute con tanta sicurezza e autorità che vogliono essere ribattute bene,
perchè siano distrutte ne' loro effetti. Stiamo ancora un poco sopra il digiuno:
ecco una lettera al riguardo di Fra Girolamo a Lodovico Pittorio:
« Firenze, 3 agosto 1497.
« Amatissimo in Cristo Gesù. — Non bisogna del digiuno osservar 1' ora
di nona cosi appunto, ma s' intende largamente, cioè che non si anticipi nota-
bilmente. Vero è che, secondo gli antichi, l'ora di nona era dopo mezzodì; e
la Chiesa, considerato che gli uomini allora comunemente mangiavano a
mezzodì, cioè all' ora sesta, volea che differissero il mangiare infino all'ora di
nona, quando si digiunava, acciocché in quel differire 1' uomo facesse qualche
astinenza. Ora, avendo gli uomini ridotto in consuetudine di desinare ad altra
ora che non facevano gli antichi, hanno ancora mutato consuetudine, non solo
nell' ora del digiuno, ma ancora 1' ordine degli offìcj : onde la Quaresima si
solea mangiare dopo vespro, per fare ancora maggior penitenza che negli al-
tri tempi. Ora, se sia stato per gola o per debilità dei corpi, il vespro è stato
ridotto alla mattina la Quaresima, per parere di osservare la norma data. E
perchè questa consuetudine è prevalsa, essendo lo statuto dell' ora del digiuno
di diritto positivo, a me pare, che al presente V ora di nona circa al di-
giuno sia da osservare secondo la consuetudine della città, cioè dopo 1' ora
nella quale comunemente si desina quando non si digiuna, dico dopo un' ora
o due, o più o meno, secondo la consuetudine della città, massime quando si
costuma, sonata nona nella Chiesa : la quale ora ancora essendo prevenuta
dall' uomo notabilmente per qualche causa razionabile, non giudico peccato
alcuno; ma senza causa chi prevenisse, non in fraude del digiuno nè in di-
spregio, ma per qualche compagnia o per ignoranza o per inavvertenza, giu-
(') Veda il lettore il rimanente del capitolo nel quale l'Asceta domenicano si ferma a
dar regole per la mortificazione de' sensi esterni ed interni e resterà ammirato dalla saviezza
del Maestro.
12
— 178 —
dicherei peccato veniale. Dunque voi avendo prevenuto, per essere in casa
d' altri e aver avuto rispetto di non dar noia al padrone o alla famiglia, se-
condo il mio giudicio, non avete perso il merito del digiuno, e non vedo in
questa vostra cosa peccato alcuno espressamente, nè anche veniale. E per
l'avvenire, non potendo voi fare altrimenti senza perturbazione dove siete, la
quale ancora vi inquieteria lo spirito, giudico sia meglio fare come avete fatto,
massime per dispensazione del vostro confessore o dell'ordinario, quando si
può avere, e serbare la pace dell' anima, che star a inquietar voi e gli altri.
Circa al ritardare troppo il mangiare, non credo sia peccato, perchè il di-
giuno è fallo per penitenza, e quanto più l'uomo indugia, tanto più macera
il corpo ». (*)
Or qui (parlo a' cattolici) dov'è l'eccesso? Dove la durezza, la parzialità?
Dove la strettezza, la scrupolosità, lo zelo soverchio, al medioevo affatto
sconosciuti? Dove passa il nostro Frate il giusto mezzo? Dove son qui le ve-
dute del claustrale applicate a tutte le varie attinenze del civile consorzio?
Dove sono i digiuni che minacciano la rovina totale dell'industria.... de' ma-
cellai?!!!
Vorrei finire; ma non so chiudere il capitolo senza scrivere ancora una
parola intorno ad una asserzione speciale: « Ciò che la Chiesa, la quale
tenne in ogni tempo la giusta misura, raccomanda come consiglio e soltanto
ai perfetti, egli di spesso predicava come prescrizione e obbligo per tutti
quanti. »
11 lettore che ci ha seguiti fin qui in questo capitolo credo che già ri-
tenga senz' altro per infondata quest'accusa; ma certo, come noi, desidererà
che il Pastor od altri degli accusatori accenni almeno un caso particolare in
cui il Savonarola sia andato così oltre, e abbia così trapassata la giusta mi-
sura contro la consuetudine della Chiesa; ma questo desiderio non ci sarà
forse mai soddisfatto. In verità leggendo le Opere del Nostro non mi son mai
accorto di tanto! Ma invece vide e conobbe che il severo Frale non racco-
mandò mai in generale come precetto quello che è semplicemente consiglio ;
e tanto meno prescrisse a tutti quanti ciò che la Chiesa raccomanda soltanto
ai perfetti. La frase più forte eh' io abbia letto nel Savonarola si è che nulla
esiste che sia semplice consiglio che alcuna volta non possa diventare ob-
bligo. Ma questa frase eh' egli ripete quasi sempre quando invoca il soccorso
per gì' indigenti che muoion di fame se tu che puoi non li soccorri del tuo,
1' appoggia, anzi attribuisce, a Sant' Agostino, a Sani' Ambrogio, a San Tom-
maso, ed è ad ogni modo ben lontana dal giustificare o anche semplicemente
dallo spiegare l1 accusa del Pastor che esaminiamo.
Del resto che il Savonarola avesse ben chiara in mente la distinzione fra
precetto e consiglio appare già dalle conclusioni sopracitate della Seinjrìicità
(') Vedi questa lettera pubblicata dal Cappelli. Fra Girolamo Savonarola e notizie intorno
al suo tempo, nel voi. IV degli Atti e memorie della II. Dep. di storia patria per le Provincie mo-
denesi e parmensi. Modena, 1862.
- 179 -
della Vita Cristiana, e si può vedere anche nel capitolo XII del libro III del
Trionfo della Croce. Ivi, dopo di aver parlato de' comandamenti della legge
cristiana e dimostrato la eccellenza di questa sovra ogni altra legge, dice ap-
punto che la dottrina cristiana, dopo i precetti, « ha sopraggiunto i consigli per
fare perfetta la purità del cuore insieme con la carità necessaria alla vita cri-
stiana, alla perfezione del divino amore » ; e dice letteralmente: « Cristo con-
siglia a chi vuol essere perfetto che venda tutto il suo e dialo a' poveri, e se-
guiti Lui. E perchè sia ancora più spedito, gli consiglia la castità; e per farlo
diventare ancora più perfetto, gli consiglia che vada alla religione, alienandosi
non solamente da tutte le cose terrene, ma eziandio da sè medesimo, accioc-
ché sia sempre fisso con 1' animo su le cose eterne e diventi in certo modo
una cosa con Dio ».
Questa è la dottrina che il Savonarola svolge nelle sue predicazioni e
non un' altra. E non troverete mai eh' egli imponga nella pratica una sola
cosa come obbligo, se come obbligo non l'abbia imposta Cristo e non la im-
ponga la Chiesa. Egli era così lungi dal prescrivere come precetto a tutti
quanti ciò che era solo consigliato ai perfetti, che anzi diceva che questo
avrebbe guastato ogni cosa. Se volete venire ad un particolare, aprite per esem-
pio il Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, e vi per-
suaderete subito che il nostro Frate intendeva a perfezione la massima che
dice: l'ottimo esser molte volte il nemico del bene: « Molte volte accade che
quello che è ottimo assolutamente, non sia buono, anzi sia malo in qualche
luogo o a qualche persona, come è lo stato della perfezione della vita spiri-
tuale, cioè lo stato religioso, il quale in tè è ottimo stato; e nientedimeno non
è da imporre tale stato a tutti i cristiani ; nè tal cosa si debbe attentare, nè
saria buona, perchè molti non la potranno portare, e fariano scissura nella
Chiesa, come dice il nostro Salvatore nell'Evangelio: Niuno cucia il panno
nuovo al vecchio, altrimenti-si romperla il vecchio e fariasi maggiore scissura,
e niuno metta il vino nuovo negli otri vecchi, altrimenti si romperanno gli otri
e spargeriasi il vino. (') Onde noi vediamo ancora che qualche cibo in sè per-
fetto è cattivo a qualche complessione ». (Capitolo II.)
Mi tirino fuori gli accusatori del Savonarola un solo passo, un solo detto
del Frate, il quale non sia conforme a questa dottrina, che non sia conforme
alla dottrina dei Padri e dei Dottori e segnatamente di San Tommaso; mi ti-
rino fuori una sola proposizione del Frate che non rispetti la giusta misura
ognora tenuta sapientemente dalla Chiesa e noi ci daremo per vinti.
Ma già abbiamo detto troppo : concludiamo adunque un' altra volta : Bi-
sogna leggere prima di giudicare, e leggere bene.
C') Vangelo di San Matteo, cap. IX, v. 16 e 17.
XIV.
Nuove accuse contro Fra Girolamo e difesa relativa.
Sommario.
Perchè Girolamo Savonarola si ritenesse ognora nella giusta via. — Cammino che ci resta da fare nel-
P Apologia (lei Frate. — Nuove accuse del Pastor. — Pazienza richiesta ad esaminarle tran-
quilli. — Testimoni a discarico. — Se il Pastor creda o no alle sue accuse. — Il Pastor ag-
grava indebitamente le accuse del Perreus. — Infelicità di metodo. — Come le pene che secondo
il Perrens erano invocate, nel Pastor diventino per opera del Savonarola applicate. — Si richie-
dono prove. — Nostra meraviglia e interpretazione di alcune parole del Pastor. — Cose verissime.
— Passi Savonaroliani. — Uagione della trascrizione e nostra protesta. — I passi del Savonarola
provano contro il Pastor. — Il critico d' Innsbruck eccessivamente rigoroso. — Questioni da ri-
solvere. - • Concessioni. — Fra Girolamo nella punizione de' viz.j mira alla tutela sociale. — Ai
cattivi quanto a sè basta la correzione fraterna. — Distinzione importante. — Parole oscure del
Pastor. — A cho si riduca la questione. — Aiuti che ci porge il Pastor. — L' usura, il gioco, ht
scostumatezza, gli schiavi, la sodomia nell' Italia del Risorgimento e loro condanna e pene se-
condo il Pastor e il Savonarola. — Ragioni speciali a Firenze che spiegano le punizioni e la po-
lizia del Savonarola. — I viziosi nemici dello Stato di Firenze. — Mezzi di perfezionamento cri-
stiano secondo Fra Girolamo. — Azioni pubbliche. — La mania del gioco e le schiave. — I cittadini
e i maestri corruttori corretti e accusati agli Otto dai fanciulli. — La pena del tallone agi' ingiusti
accusatori. — I fanciulli della riforma Savonaroliana e le donne. — Beno ottenuto. — Il secolo
del Savonarola e il secolo nostro.
Abbiamo veduto assai chiaramente che non ha fondamento veruno 1' ac-
cusa di rigorista nella vita religiosa, ripetuta troppo leggermente dal Pastor
contro Fra Girolamo, e che anzi questi seppe in questo campo tenersi ognora
nel giusto mezzo; e se pensiamo alle tristi condizioni dell'età sua, in cui sem-
brava doversi a mali estremi porre estremi rimedj, la sua ascetica ci sembra
piuttosto larga che stretta. Ma così è: chi ha per guida la Scrittura, i Padri, i
Dottori, la tradizione della Chiesa Cattolica, chi vuol praticare nella semplicità
del suo cuore la dottrina di Cristo e chiede a ciò umilmente lume a Dio, si
tiene sempre nella giusta via, e, colla grazia del cielo, cammina retto e i suoi
piedi non offendono in laccio di sorta alcuna.
Ma noi con ciò non siamo ancora a mezzo del cammino che abbiamo
da percorrere, nel difendere dalla taccia di eccessivo Fra Girolamo Savonarola.
- 181 —
Il Pastor non è fin qui intieramente vinto; perchè egli rincara la dose dell'ac-
cusa entrando in un altro campo affine al percorso, ne' mezzi usati dal nostro
Frate nell' attuazione della sua riforma.
c Anclie i mezzi usati dal Savonarola onde attuare la sua riforma non
sono guari tutti commendevoli. Il rigore delle sue pene non conosceva con-
fine. Il giuoco andava punito issofatto colla tortura, la bestemmia colla perfo-
razione della lingua. Con tutta serietà esigeva (l) lo spionaggio della servitù
contro il padrone di casa.... I mezzi coattivi più bruschi, lo spionaggio e la denun-
zia, dovevano congiurare a ristabilire nella vita di tutti i cittadini una perfe-
zione, la quale in questo grado non sarà mai possibile, se non a pochi.... Che
il Savonarola colla sua esclusività e rigidezza fosse 1' uomo più inetto a com-
piere realmente un durevole cangiamento delle pubbliche condizioni, non et lo
potrebbe forse più evidentemente mostrare che il fatto di aver commesso
tutta la sua polizia tirannica nelle mani di fanciulli non peranco giunti all' uso
di ragione. Cotesti inquisitori dovevano percorrere la città per dar la caccia ai
viziosi. La loro giurisdizione si estendeva fino alle fanciulle e alle donne. Ne
seguiva che questi ragazzi penetravano con forza nelle case, dove ai giuoca-
tori toglievano di mano carte e dadi, persino il danaro.... Il malumore contro
queste insopportabili vessazioni aumentava ogni dì più; ma il Savonarola se ne
rideva. E poiché molti cittadini di contro a questi fanciulli petulanti usavano
del loro diritto e li mettevano alla porta a furia di picchiate, il Savonarola diè
loro delle guardie a difesa ». (Pag. 138.)
Ma questo è un terrorismo intollerando! Davvero che questi mezzi di
riforma non sono tutti guari commendevoli !! (Ivi.) Chi avrà ancora il coraggio
di chiamarsi piagnone o savonaroliano ? ! Basta la verità di una sola di queste
accuse, così come suonano nel Pastor, per far ruinare intieramente la fama
del Savonarola non pure come politico, ma anche come uomo e come religioso!
Ma quali prove adduce il Pastor a conferma di queste accuse? Trascrive forse
dalle opere del Frate, giudicandolo dalla sua stessa bocca? Trascrive forse
dalla legislazione fiorentina? Da documenti autentici dell'età del Frate, da uo-
mini degni di fede, d' animo religioso, non presi da odio contro il reo? Pro-
cura di mostrarci le circostanze straordinarie nelle quali si trovava il severo
Riformatore? Procura almeno di provarci che tali circostanze non c'erano?
Permettetemi subito che ve lo dica. Il dolore, eh' io provai nel leggere e nel
trascrivere queste accuse fu dei più grandi eh' io abbia sentito mai. Qui non
riconosco davvero più il Pastor, il professore tedesco che scrive storia con
buona critica. Ad esaminarle quieti si richiederebbe molta virtù, molta pazienza!
Facciamolo per amore della verità, e per cooperare secondo le nostre forze
a sradicare dalle menti i pregiudizj immeritamente coltivati da chi men do-
vrebbe! La responsabilità del Pastor qui mi pare terribile non meno delle ac-
(') La espressione: « Con tutta serietà esigeva, ecc. » è un poco ambigua. Si poteva forse
anche tradurre: « esigeva in tutta la sua gravità, ecc. ».
cuse ; crederò d'avergli fatto un vero beneficio, se lo persuaderò a ripensare
T argomento.
Ecco come sta la cosa: il Pastor afferma e scrive questo cumulo di accuse
senza darsi il minimo pensiero di vedere se sieno sostenibili o no; e le trascrive
dal Perrens, citandovi insieme anche il Bòhringer. E così diremo subito che
la difesa è già compiuta: il Pastor non fa altro che affermare. Ora ad as-
serzioni gratuite avendo noi il diritto di opporre asserzioni gratuite, per noi
sarebbe già troppo trar fuori la lunga serie degli scrittori cattolici, e anche
non cattolici, che dissero il contrario, perchè questa parte del processo che il
Pastor fa al Savonarola non valga più nulla. E quali uomini avremmo pronti
a testimoniare in favore del nostro reo! Vedete l'operetta del Padre Ferretti
« Per la causa di Fra Girolamo Savonarola: Fatti e Testimonianze » (l) e
vi persuaderete subito subito, che con la serie dei testimonj in favore, non
potrebbero sostenere il contrasto i pochi testimonj che il Pastor adduce a
carico. Ma crede poi il Pastor alle testimonianze che adduce? Se vi crede,
perchè poi a pag. 377 chiama il Savonarola « uomo d' ingegno, moralmente
irreprensibile !t » E se non vi crede, perchè darle così solennemente come
certe e provate? In vero qui qualunque lettore del Pastor, che solo abbia fior
di senno, desidera spiegazioni; qui la confusione aumentata dalle contradizioni
è più grave che mai; e il lettore da sè non riuscirà a chiarirla e tanto meno
a toglierla di mezzo o a comporla intieramente!
Un'altra cosa ho da osservare: Qui il Pastor, come abbiam detto, copia
di nuovo dal Perrens: ma non ci sembra che trascriva del tutto debitamente;
nè che ritragga tutto il pensiero di quello; ci sembra anzi che lo falsifichi o al-
meno che lo aggravi assai più di quello che abbiamo visto fare nel capitolo
antecedente; quasi siamo per dire che qui la passione e la parzialità nello
storico d' Innsbruck appaiono manifeste. E un pensiero grave da cui P animo
rifugge, ma ci è difficile cacciarlo del tutto. Sarebbe desiderabile che il Pastor
desse una qualche spiegazione e si scagionasse in qualche modo; é vorremmo
che lo potesse fare appieno e trionfalmente. Leggendo la principal fonte a cui
attinge il Pastor in questo luogo, proviamo indubbiamente un' impressione
molto meno triste che non leggendo nel Pastor medesimo. Qui appare sempli-
cemente raccolto e aggravato tutto ciò che là è detto con attenuanti a carico
del povero Frate! E così stando la cosa, chi potrà essere rimproverato, se
afferma che il critico par che desideri di pronunciar condanne e quasi senta
piacere di trovare i motivi e pretesti per farlo?
Infatti il Perrens dice che il Frate voleva puniti i giuochi; ma riconosce che
i fiorentini avevano gusto al giuoco giunto a tanto di frenesia che li spingeva
alle più cattive azioni per procurarsi il danaro o riparare alle perdite; dice, sì,
anche egli, il Perrens, che il Frate s'immischiava in cose domestiche; ma af-
ferma poi che la promiscuità nelle famiglie è attestata con tanta asseveranza
da non poterla affatto mettere in dubbio; dirà del pari questo biografo che il
(') Milano, 1697. Tip. Pontificia San Giuseppe.
— 183 —
Frate voleva punito con pene severe un vizio innominabile, ma non si asterrà
dal dirci nello stesso tempo, che di tal vizio erano infetti uomini tutt' altro che
volgari! (Pag. 130 e seguenti.) Dice anch' egli, il Perrens, che il Frate voleva
in alcuni casi la tortura, voleva introdurre la delazione nelle famiglie, e voleva
proposte ricompense a' servitori che denunziassero i loro padroni; ma adduce
anche qui le straordinarie circostanze nelle quali si trovava Firenze. Chiama
ancora il Perrens quella de' fanciulli vera tirannia e la peggiore di tutte, per-
chè i fanciulli (secondo lui) non avevano ancor l'uso della ragione: ma rico-
nosce ad ogni modo ch'essi furono con tuttociò di grande aiuto al Frate a rifor-
mare i costumi di Firenze. (Pagina 130 e seg. e 140-142.) E cosi chi legge nel
Perrens vedrà in Fra Girolamo un medico rigoroso che a mali estremi invoca
estremi rimedj e nient' altro o poco più altro. Ma chi legge l' accusa nel
Pastor giudica ben altrimenti: egli nel Riformatore di Firenze vede addirittura
un crudele esecutore di leggi crudeli! Ora questo metodo noi lo crediamo (e
10 abbiamo detto fin da principio) infelicissimo, e non dubiteremo dirlo anche
illecito. Se vuole il Pastor dare alle accuse un senso più grave che non si
rilevi dalle fonti dalle quali le trasse, giustifichi la sua sentenza con buoni mo-
tivi, e dia prova eh' egli ha saputo far nuove ricerche e instruire un nuovo re-
golare, formale processo.
E un' altra cosa non so tacere. Nel Perrens si raccoglie chiaramente che
11 Savonarola faceva sforzi inauditi, esagerati anche, dava incoraggiamenti fu-
nesti per estirpare i vizj del lusso, del giuoco, della bestemmia, della sodo-
mia; e che tutta la vita lottò per questo con gravi minacce e invocando severe
pene; ma non è detto che di queste minacce n'abbia applicate mai alcuna,
e tanto meno delle eccessive. Anzi in particolare lo storico francese scrive che
« se altri faceva fracasso del rigore e dell'intolleranza di Fra Girolamo, questi
ad ogni modo si tenne in generale entro giusti confini ». (Pag. 131.) Per con-
tro nel Pastor si legge chiaro chiaro che il Savonarola poneva senza meno in
pratica le pene invocate e minacciate: « 11 rigore delle sue pene non conosceva
confine. Il giuoco andava punito issofatto colla tortura, la bestemmia colla per-
forazione della lingua; con tutta serietà esigeva lo spionaggio della servitù
contro il padrone di casa.... » Ma in qual legge del Savonarola è scritto que-
sto? E in modo così semplice ed assoluto? Chi fu torturato per opera del Savo-
narola? Chi ebbe la lingua perforata? Qual servo fu delatore e n'ebbe da lui
o dalla repubblica ricompensa? Lo storico non deve asserir nulla come fatto,
Dè accagionare alcuno in particolare, senza aver prove e documenti che mo-
strino che ciò che asserisce è realmente un fatto, e tanto meno quando tale
asserzione ritoglie fama ad un personaggio famoso, amato e venerato da
molti. Qui dunque noi preghiamo con insistenza il Pastor perchè ci voglia dire
sopra quali documenti egli si fonda, per pronunziare con tanta sicurezza
le gravi accuse. Accurato com' è di illustrare e confermare con ricchezza di
documenti quanto asserisce, segua anche qui il suo metodo, che è il solo si-
curo; e ci provi almeno che in Firenze fu inopportunamente e per opera del
Frate stabilita la barbara legislazione che gli attribuisce; dico barbara, perchè
— 184 —
non doveva esser in vigore in nessun'altra città d'Italia. Allora potremo
un'altra volta discutere; ma finché questo non si faccia, noi ci crederemo in
diritto di non tener conto alcuno delle accuse soprascritte.
Ma questi nostri argomenti non bastano a mostrare la verità e a persua-
dere i desiderosi di conoscerla, nè a far veder nulla del vero Savonarola, e nem-
meno a distruggere intieramente o a spiegare le tacce date al nostro Riforma-
tore. Veniamo adunque ad un esame diretto delle asserzioni del Pastor, ve-
diamo come stia la cosa, come predicava il Savonarola su questo proposito e
come si diportava.
Notiamo prima di tutto che Fra Girolamo non invocava pene solamente
per il giuoco e la bestemmia, ma ancora per l' usura, la scostumatezza e l'in-
nominabile vizio, che appestava l'Italia. Ci fa meraviglia che di questo
il Pastor si taccia. Forse non osò il severo critico d'incolpare qui il Frate;
o forse, chi sa? intende parlar velatamente di quest'altri vizj, allorché dice
che « i mezzi coattivi più bruschi, lo spionaggio e la denunzia dovevano
congiurare a ristabilire nella vita di tutti i cittadini una perfezione, la
quale in questo grado non sarà mai possibile se non a pochi ». Certo, se que-
ste parole debbono avere un qualche significato, e almeno una lontana appa-
renza di verità, è necessario cosi interpretarle. Comunque sia, noi, anche per
rispondere al Perrens ed ai futuri Pastor, se ve ne saranno, e per mostrare ai
lettori anche qui il vero Savonarola, diremo un motto anche di questi vizj.
E verissimo che Fra Girolamo nelle sue prediche si scaglia sovente e con
molta veemenza contro 1' usura, la scostumatezza, il giuoco, la bestemmia, la
sodomia e anche contro gli usurai, gli scostumati, i bestemmiatori, i sodomiti:
Ecco alcuni de' passi più incisivi: « Io ti voglio dire, Firenze, che tu faccia
giustizia; leva via i giuochi, castiga il vizio sodomitico.... Io vorrei pure vedere
tre fuochi in piazza. — Oh! tu se' crudele, Frate! — Crudele sei tu, che per
un tristo vuoi pericolare una città ». (Sopra i Salmi XXV.)
« Stamattina voglio parlare a te, Firenze, e tutti esortare a voler pur-
gare e mandar via i tuoi peccati; perchè questo è il secondo anno (') della tribu-
lazione: e però bisogna mutar nuova vita ed espurgar via i peccati vecchi.
Onde diremo con 1' Apostolo : Togliete via il vecchio fermento, affinchè siate
come una pasta nuova ; un poco di fermento corrompe tutta la massa.... (*) Tu,
Firenze, vuoi, a posta di un ribaldo o di due, o di cento, rovinare la tua città;
uno, ti dico, fa capitare male molti. Credete voi che io ve Io dica di mio capo?
Io dico che l'Onnipotente Iddio ha molto per male che non facciate giustizia.
Popolo, bisogna levarsi su, e pigliare uno di questi ribaldi, e menarlo là, e
dire : costui merita la morte: questo vogliamo che muoia. Quelli che sono
pubblici sodomiti, e pubblici giuocatori e bestemmiatori, non hanno bisogno di
(') Questa predica è «tata fatta, presenti i magnifici signori e tutti i magistrali, a di
28 di luglio 1495. •»
(') Ep. I di San Paolo ai Corinti, Cap. V, vers. 6-7. Questa testimonianza di San Paolo
è applicata nello stesso senso del Savonarola da San Tommaso che reca le stesse ragioni.
— 185 —
testimonj; menalo là e dì: questo è il luogo tuo della giustizia; altrimenti peri-
colerai tu e la tua città. Vedete che un poco di fermento corrompe una massa
di farina; così un tristo fa male a molti altri....
« Il non punire le cose minime fa poi venire alle cose grandi. Firenze,
tu hai dell'anatema. Bisogna punire, dico, i cattivi, e purgar via l'anatema....
10 dico a voi, magistrati: temete Dio; purgate via i peccati, levate via i vizj :
fate giustizia di questo vizio maledetto contro naturam; non punite di danari,
nè secretamente; ma fate un fuoco, che ne senta tutta l'Italia. — Oh! Padre
e' non si vuole così malmenare i cittadini! — 0 figliuolo, e' non si vuole cosi
rovinare questa città e il bene comune; chè potreste rovinarla in parte, chè in
tutto non si può. Vuoi che mille o dieci mila rovinino per un ribaldo? Le poe-
sie son causa dell'ira di Dio: guardate i vostri figliuoli, con le poesie, in che
luogo voi li mettete. Le meretrici rimettetele là tutte al luogo pubblico, e fa-
tevele menare con le trombette. — 0 padre, eccene tante che farai mettere
questa città in gran confusione. — Or su, comincia da una e poi andrai ad
un' altra. Tu le farai almanco più cautamente ire : Si non caste, tamen caute. E
i giuochi fate che si puniscano ; e sappiate che ci son giuochi senza dubbio. Fate,
Magnifici Signori, che per le strade non si giuochi a giuoco nessuno del mondo,
nè piccolo, nè grande; e se voi trovate che uno giuoca cinquanta ducati, man-
date per lui, e dite che il comune ha bisogno di mille ducati; innanzi che si
parta di qui, bisogna che tu li presti al comune. I bestemmiatori fate che sia
loro forata la lingua a chi è trovato in peccalo, e che sieno puniti acerbamente.
San Lodovico di Francia facendo cauterizzare tutte le labbra della bocca a un
bestemmiatore, disse: Io mi terrei beato che a me fosse fatto questo e nel mio
regno non fosse più alcun bestemmiatore. I balli levate via, perchè io vi dico
che non è tempo da ballare adesso, (4) fateci provvisione che non si facciano
questi balli, nè in villa, nè in Firenze; e tenetevi spie, e punite chi erra. Le ta-
verne ordinate che alle ventiquattro ore sieno serrate; e s'è già detto loro
tante volte, e poi, passato qualche dì, par che l'abbiano dimenticato. Serrate gli
occhi ancora voi e fate vista di non vedere, e poi a un tratto raccoglieteli tutti
e fategli pagar la pena. Ancora intendo che si tengono aperte le botteghe il
dì delle feste: io dico che si ponga rimedio: e gli speziali fate che non si ten-
gano se non quelli che sono ordinati il dì delle feste per rispetto alle medi-
cine; ma non dovriano vendere se non medicine in quelli dì, perchè in quello
non si può far altro. Se tu che fai i conviti vuoi i pinocchiati freschi, fagli fare
11 sabato per la domenica. Se ti duole un dente, farlo cavare la festa non è
male; ma stare là a vendere bossolettie mille zacchere è ben male ». (Ivi, XXVI.)
« Voi cittadini se volete esser partecipi delle grazie divine bisogna che
purghiate tre vizj della vostra città. Prima è necessario che scacciate il vizio
della sodomia; e se voi avete paura degli eserciti, abbiate anche più paura di
(*) Che il Savonarola non errasse, dicendo che non era tempo di ballare, si vede a
colpo d' occhio leggendo le storie di quel tempo. Appunto in quei giorni Firenze era trava-
gliata dalla guerra e minacciata dalla carestia.... Cf. la nota la della pagina antecedente.
— 186 -
questo; perchè questo vizio è il maggior esercito che vi possa offendere. Se-
condo, è necessario che voi scacciate il vizio della bestemmia, il quale è tirato
dal giuoco. Io intendo che si giuoca, provvedetevi voi magistrati che non si giuo-
chi per le case. Voi fanciulli, se lo intendete, accusategli, ma non andate a
voler entrare nelle case per forza, che non voglio che facciate scandalo. Io
vi ho detto altra volta che Santo Lodovico re di Francia facendo ardere le
labbra a un bestemmiatore disse: Dio volesse che a me fosse fatto questo, é
nel mio regno non fosse più alcun bestemmiatore. Terzo, vi bisogna correg-
gere il vizio delle usure; io mi ricordo già che al tempo mio, quando ero fan-
ciullo, solevano essere gli usurai nella terra mia in abominazione come giudei ;
e quando i fanciulli vedevano uno di questi usurai dicevano: guarda quel ri-
baldo: e ognuno li aveva in abominazione. Gran vizio per certo è questo: la-
sciategli far ragione là al vescovado a chi gli domanda: e che siano spogliati,
e siano infami, e anche si vorria che non gli rendessi le fave (l) quando va
a partito.... ». (Sopra Amos e Zaccaria, pred. XVII.)
< E' sarebbe bene che si facesse una provvisione che quando gli usurai
sono accusati al vescovado, che il vicario potesse avere il braccio secolare per
castigarli. Inoltre io voglio dire questa mattina a voi magistrati, cominciando
alla Signoria: E' non piace al Signore la vostra tanta dolcezza, perchè voi non
fate giustizia: e vi bisogna, dico, declinare alla parte crudele, (io non vi ag-
giungo parola nessuna) altrimenti Lui si adirerà; io vel dico un'altra volta:
punite crudelmente, io vi dico, chè non piace a Dio questa vostra dolcezza >.
(Ivi, XXI.)
« I fanciulli hanno più zelo loro dell'onore di Dio che non avete voi. Ma
si è levato su contro di loro cittadini, preti e frati. 0 Signore, che gran cosa
è questa, che e' non sono lasciati far bene? Questi fanciulli sono il flagello
del tempio, che va flagellando per tutta la città, e scacciando i giuochi e le
mense de' nummularj, cioè le tavole de' giuocatori. Che cosa è questo che è
venuto oggi tra' cristiani, che quando uno vuol far bene o sia prete, o frate, o
fanciullo, ognuno gli è addosso »? (Ivi, XXVII.)
« Cittadini, levate via il peccato della sodomia: io ve l'ho detto tante volle,
che voi ne porterete poi le pene; e ci sono molli che sono infami; e non bi-
sogna altra esamina; se voi non li volete ammazzare, scacciateli almanco
dal vostro territorio. Io vi ho a dire questo stamattina. Io non voglio poi
esser tenuto alla pena. Signore, ecco ch'io glie lo detto: bisogna levar via que-
sta feccia.... — 0 Frate, costoro saranno tuoi nemici, e perseguiteranno. —
Io non me ne curo. Se io non pensassi che c' è altra vita che questa, io
ne farei stima. Dice quell'altro : — Siamo nelle mani de' fanciulli. — Dimmi,
i fanciulli son eglino in magistrato, son eglino degli Otto? Vien qua, chiama
uno di questi tali, che sono infami e dimandalo: E bene o male a levar
(') he fave bianche e nere servivano allora por ilare i voti. Dar le/ave, qui signifioa dare
il voto o eleggere alle magistrature-
— 187 -
via questa feccia della città? E' ti risponderà e storcerassi e dirà: oh! eh!
ed infine non saprà che si dire. E' bisogna rispondere altro, che oh! eh! E però
vi dico che spegnate via questi vizj, cliè altrimenti e' non può essere che Dio
non vi mandi una gran mazzata ». (Ivi, XXXVII.)
« Fanciulli, andate vedendo, che io intendo che si giuoca di nuovo. I Si-
gnori Otto vi daranno licenza che voi togliate le carte ai giuocatori che voi
trovassi, ma non togliete loro altro. E' saria bene che si facesse provvisione a
voler spegner questo giuoco, che chi fosse trovato in peccato avesse avere
qualche tratto di fune. Sicché, fanciulli miei, andate vedendo che non si giuo-
chi ». (Sopra Ruth e Michea, predica II.)
« Tu, vecchio ribaldo, scellerato; io parlo a te che sei vecchio d'anni e
non di senno; sei pieno di vizj e puzzi di dentro e di fuori e da ogni canto, e
parli tanto disonestamente ai fanciulli e a ognuno, che si vorria pigliare un
bastone e darti tanto che tu lasciassi i tuoi vizj da un canto ». (Ivi, V.)
« Nelle botteghe i maestri parlano ogni cosa alla scoperta alla presenza
dei discepoli e dei fattorini; e loro imprendono ogni male. Non ci è semplicità
alcuna, nè nei grandi, nè nei piccoli ». (Ivi.)
« Io vi ho detto altre volte che questi garzoni di queste botteghe, quando
passano le donne dabbene, gli traggano mille bottoni. (l) E' si vorria fare una
legge, o Signori Otto. 0 Signoria di Firenze, io dico a tutti quelli a chi appar-
tiene, che tutti quelli che danno noia in questo modo alle donne dabbene per
le strade, che la prima volta avessino qualche tratto di fune, e poi 1' altra
volta confinarli nelle Stinche. (2) Ma tu che noi vuo' fare, e non vuoi che si
faccia giustizia di questi tali scellerati, mostri di essere simile a loro ; altri-
menti non lo patiresti. Tu, popolo, fai che tu gli ammonisca questi tali che sono
nei magistrati e non vogliono punire, nè far giustizia dei cattivi. Dagli sem-
pre a questi tali delle fave bianche, quando vanno a partito un'altra volta, e
a questo modo gli ammonirai. Andatelo dicendo per tutto il popolo, che quando
va a partito, chi non vuol far giustizia, che si facci nevicare. (3) Questo è se-
condo la ragione, che il popolo castighi i magistrati che fanno male. Tu po-
polo, sei il signore e sei il vicario di Cristo nostro Re, e a te appartiene fare
osservare la giustizia ». (Ivi, V.)
« Tu non vuoi ancora levar via i giuochi e le meretrici per le strade! Che
state voi a fare, signori Otto? Voi siete ministri di Cristo, che è Re della vo-
stra città, se voi non farete giustizia, lui vi punirà. Guai alla barba vostra. Io
ve lo dico, andate provvedendo che questi non sieno nella nostra città. Così
voi, fanciulli, andate cercando dei giuocatori, toglietegli le carte. Voi citta-
dini a che fine siete voi fatti de' magistrati ? Forse per nutrire i peccati? No,
vi dico io ; questo non è il fine, voi fate il rovescio. Voi siete creati magistrati
(') Qui bottoni vale -scherzi o motteggi.
(') Le Stinche erano le prigioni di Firenze in quel tempo, ed ebbero tal nome perchè i
primi che vi furon messi erano d' un certo castello del Chianti detto appunto le Stinche.
(') In Firenze dai tempi più remoti fino al presente i voti neri son favorevoli e i bian-
chi contrarj, sicché imbiancare o far nevicare vale disapprovare nei partiti.
— 188 —
per toglier via i vizj e i peccati, voi lasciate il fine e non imparate di fare
quello che è vostro ufficio ». (Ivi, Vili.)
« Intendo che i giuocatori sono per tutto e più che mai, e tu non ne
vuoi far giustizia nessuna.... A questo giuoco e a' vizj voi non vi mettete rime-
dio. — 0 Frate, i fanciulli hanno preso ardire! — Dimmi, donde viene che ti
pare gli abbiano preso ardire? Tu non vorresti che togliessino le carte, e che
e' levassino via i giuochi per le strade. Fanciulli, io non voglio già per niente
che facciate scandalo. Se voi potete torre le carte loro e levar via i giuochi senza
scandalo, fatelo. Ma tu che consenti eh' e' si giuochi, debbi essere giuocatore
ancora tu. Io t' ho detto che tu non hai altro Re che Cristo in Firenze, e lui
non vuole che si giuochi, e da parte sua ti dico che si punisca agentes et
consent ientes.
« Io li prometto, popolo, che se tu non provvedi a questo, che noi faremo
tante orazioni che tu avrai qualche flagello. Io te lo prometto su questo pul-
pito. 11 popolo è signore, e debbe fare eh' e' si viva bene, e dire alla Signoria,
(dico con buona reverenzia): Noi vogliamo eh' e' si viva bene e che si levi i
vizj.... Tu di' che hai buone novelle e buone lettere; non sperare di aver nulla,
se non fai questo. Io ti dico che tu non avrai nulla, se non fai questo. Io non
ve lo dico senza causa, di questa riforma delle donne. E' sono causa questi ve-
stiri di molti gran peccati. Tu non sai ogni cosa; se io ti potessi dire, io ti farei
stupire delle cose che abbiamo negli orecchi. Io non confesso, ma mi viene con-
sigli per le mani. Fate andare anche i famigli vestiti per casa e non in farsetto,
fate che stieno sempre vestiti onestamente, fa' anche che poco conversino uo-
mini con donne. Io dico anche i proprj fratelli; io non trovo queste cose di
mio capo, io vorrei che voi viveste santamente. Tu di' dei fanciulli; domanda
ai confessori che differenza è nei fanciulli in questo tempo, da quelli di qual-
che anno addietro. Vedrai che son molto più purificati dai vizj, senza compa-
razione, che prima. Tu gli riprendi che tolgono le carte; basta che non faranno
male. Bisogna che abbino spasso, ed è meglio spassarli nelle cose buone che
nelle cattive. Volete che io vi dica, cittadini? Voi avete del vecchio, voi siete
pusillanimi, perchè siete avvezzi sotto un governo che tutti i dottori che scri-
vono del tiranno, lo dicono, che il popolo diventa pusillanime. Voi avete paura
de' visi d' uomini e non volete far giustizia. Abbi paura della mano di Dio e
della sala del popolo e non d' altro. Pigliatevi insieme quattro, quando vedete
una cosa buona e dite: Noi vogliamo così ». (Ivi, IX.)
« Io ti dissi 1' altro dì in Palazzo, che se tu volevi che le cose tue andas-
sino bene, che tu dovevi purgare la città dai cattivi, e prima fare che il clero
fosse buono, e ti dissi che se c' era nessuno prete o frate cattivo che fosse
causa del corrompere la tua città, come io li dissi allora, che tu dovevi farlo
punire a' suoi superiori o al Papa; e se non lo voleano fare, che poi tu lo cac-
ciassi via, ma non tanto che tu non faccia il bene: tu fai tutto a rovescio. Tu
favorisci i cattivi e non per ignoranza, ma per la tua mala volontà, ed anche
forse per qualche presente sottecchi. In effetto, tu non vuoi eh' e' si faccia
giustizia; fai venire su la ruota che io l'ho detto, e vedrai che si farà giustizia.
— 189 —
Popolo, fai venire quesla ruota, (') perchè la è cosa buona. Quando siate tutti
in Consiglio, lievati su tutto il Consiglio e di': Noi vogliamo questa ruota.
« Quando una cosa è buona, il popolo la debbe volere. Dico bene che an-
diate con ogni debita reverenza ai magistrati, ma in effetto il Signore è il
popolo.
« I sodomiti ancora, che meritano d' essere arsi, voi magistrati, a chi si
aspetta, non ne volete fare giustizia. Tu popolo, anche non vuoi farlo. — Oh,
io non me ne impaccio. — Tu debbi impacciartene, tu se' il Signore, tu debbi
provvedere eh' e' si faccia giustizia. Voi non la volete fare, e però Dio vi met-
terà tra il mare e il monte. Oh! come ne verrete voi poi a me, e direte: Pa-
dre, fate orazione. Ed io, perchè tu non vuoi fare giustizia e le cose che sono
buone e che piaccion a Dio, farò orazione e pregherollo, e così fo adesso, che
ti dia una tale bastonata che tu la facci. Inoltre, io intendo che a questi giorni
fu assaltai una fanciulla qui in Santa Reparala e non se ne fa caso; chè meri-
teria quel tale, per una cosa a questo modo, che il popolo gli fosse andato
dietro, e che non ne rimanesse minuzzolo de' fatti suoi.(l) I giuocatori intendo
che stanno rinchiusi per le case e giuocacisi più che mai. E' si vorria fare una
legge che le schiave che rivelassino quando si giuoca in casai padroni, fossero li-
bere, e che i famigli, che ancora rivelassino il giuoco, avessino qualche premio.
E'ci saria di molti modi da fare, se tu volessi; ma, cittadini miei, voi non volete
fare giustizia, ed io vi dico che se non la fate, non sperate nulla; e fate quanto
volete, chè se non fate giustizia, non avrete nulla ». (Ivi, pred. XI.)
« E' non mi piace a me che tu abbi dipinta la giustizia là nel tuo Palazzo,
senza poi osservarla. Butta giù, giustizia, quella spada, chè ad ogni modo tu
la tieni indarno. Fa' giudizio, dice il Signore, cioè atto di giustizia. Io non vor-
rei tante dipinture, ma che voi faceste giustizia, e che i Conservatori della
legge e gli altri magistrali a chi si appartiene la facessino osservare.
« Firenze, e' mi pare che tu lasci andare ogni cosa, tu non punisci per-
sona che erra. E' può giuocare chi vuole, può bestemmiare chi vuole, e se i
giuocatori son avvisati e dettogli che non giuochino, e' cavano fuori la spada.
Parti a te che questo sia ben fatto? Che a chi tu mandi a farli la correzione
gli sia cavata fuori la spada? Tu non vuoi fare giustizia, tu non vuoi vincere
le buone leggi....
« Voi dite pure che si fa giustizia: a me non pare che se ne faccia nes-
suna. E' si giuoca per tutto e si bestemmia, e parlasi ogni male. E' mi pare a
me che ognuno abbia licenza di fare e dire ciò che e' vuole, anzi quelli che
fanno male sono bene accarezzati. Dicono questi fanciulli: — 0 Padre, quando
noi andiamo a fare che non si giuochi, ed a fare la correzione fraterna, e' ti-
(') La Ruota, che il Savonarola voleva che si creasse era un tribunale di giudici citta-
dini savj, ricchi e ben pagati, acciocché fossero incorruttibili. Cf. Villari, V. I, p. 301.
I*) Anche nella Predica XXIII sui Salmi si lamenta di un caso simile: « E' ci sono
stati alcuni di quei tali che hanno voluto torre qualche fanciulla. Non sapete voi che per
uno peccato Iddio punisce tutti gli altri »?
— 190 -
rano fuori le spade — Questa parli giustizia, che di una simile cosa tu non ne
facci dimostrazione alcuna? Mi pare a me che i fanciulli ne fanno più di voi,
perchè vogliono che si viva costumatamente e che si faccia giustizia, e non
possiamo, ma voi potete e non volete. Meritano questi cattivi giuocatori, che
non solamente e' sia tolto loro le carte e dadi, ma meriterebbero anche di es-
sere arsi nel fuoco. Castiga, ti dico, ognuno, e così questi che dicono tanto male.
— 0 Frate, tu vorresti che si castigasse chi dice male di te? — Non ti dico cosi
io, che io voglia che per me tu castighi persona: anzi queste mormorazioni e
V essermi dato calunnie sono la mia corona appresso a Dio; non me ne curo
punto per me, nè voglio che tu castighi persona per me, come io ti dissi ieri.
E distinsiti che in quanto predicatore tu facevi ben male a mormorare e dire
male della dottrina di Cristo, ma in quanto me, non me ne curo. Ma e1 ci è
ancora di quelli che fanno peggio ». (Ivi, Pred. XX.)
« Io li ho scritto che tu facessi giustizia e scacciassi via i vizj della tua
città, e che altrimenti tu avresti tribulazioni assai. Va' un poco astrologando e
vedendo che giustizia tu hai ancora fatta, e che purgazione dei vizj....
« Guarda un poco se si giuoca per tutto nella tua città, i fanciulli la pur-
gavano da' vizj e da' giuochi, e tir gli hai impediti. Fanciulli, io dico a voi: la-
sciate giuocare, non ve ne impacciate più, lasciate correre.... 0 Firenze, Firen-
ze, vai un poco astrologando; tu vedrai che si giuoca per tutte le strade, e
fatinolo anche per dispregio delle cose di Dio. Io dico di molti, che dicono :
Giuochiamo pure, il Frate ha detto che facciamo buone poste, e' dicon proprio,
e' fanno male per dispregio. Ed anche di questi che giuocano n' è alcuno in
magistrati. E finalmente anche i poveri giuocano per lutto. Orsù, giuocate,
poveri, provocate l'ira di Dio contra di voi; io dico, poveri, che voi morrete
di fame.
« Da questo giuoco ancora viene la bestemmia: che ti voglio dire, che
non è molto che uno, al quale posso credere, venne a me e dissemi, che pas-
sando per la via dove si giuocava, sentì uno bestemmiare che benedisse l'anima
di Cristo (inlendi al contrario). E dissemi queste parole: Padre, io non so ve-
dere come Dio possa più sostenere.
« 0 Firenze, Firenze, che modi ti paiono questi? d'avere tribulazioni o
no? Va' un poco astrologando queste cose e vedrai quello è da giudicare. Fi-
renze, tu di': Noi siamo chiari: io ti dico che io sono chiaro, die se tu non
torni indietro, che tu capiterai male. Io te 1' ho detto: fa' tu ». (Ivi, pr. XXVI.)
« Religiosi e donne, fate orazione, questo è l'officio vostro. E voi cittadini,
aiutate la città col fare giustizia. 0 Firenze, o Firenze sorda, io dico a te: fa
giustizia e rigida, così vuole il Signore. 0 cittadini, non impedite la giustizia:
scacciate via i sodomiti, ardeteli senza misericordia nessuna, scacciate via i
giuochi e tutti i vizj della vostra città.
« Piiformate i fanciulli e le donne, e ognuno al bene ed onesto vivere. Dei
conladini intendo anche che le donne loro portano le cintole d'argento. Io mi
meraviglio di voi, cittadini, a patirlo, ed anche intendo che tutti questi conta-
dini giuocano; provvedeteci a questo e all'altre cose. Che si sta a fare, o Si-
— 191 —
gnori Otto? 0 signori Otto, che slate voi a fare? Bisogna pure che io vel dica
da parte del Signore. Bisogna gridare qua, poiché non volete udire. Dite, cit-
tadini, alla Signoria nuova che se non vogliono fare gli Otto e i magistrati,
tocca a lei a dirizzare queste cose, e se lo farà, vedrà addirizzare tutte le cose
in bene, altrimenti vi resta ancora qualche bastonata ». (Ivi, pred. XXVII.)
Abbiamo trascritti tutti questi passi perchè ci piace che appaia qui evi-
dente la verità ad ognuno, e che ognuno possa giudicare a ragion veduta. Pro-
testo che nelle prediche del Frate io non ne trovai de' più severi e credo che
de'più severi non ve ne siano. (') Ora risulta da essi che proprio il Frate nel ri-
gore delle pene non conoscesse confini? risulta che il giuoco fosse issofatto punito
con la tortura? la bestemmia con la perforazione della lingua? No certo.
In particolare: è vero ciò che il Pastor scrive della polizia tirannica dei
fanciulli non per anco giunti all'uso di ragione? (2) E vero ch'essi dovevano per-
correre la città per dar la caccia ai viziosi? che penetrassero con forza nelle
case, e togliessero ai giuocalori persino il denaro? che fosser petulanti? che il
Savonarola se ne ridesse del malumore de' cittadini per queste insopportabili
vessazioni? Non dico che non possa essere venuto qualche particolare abuso
nelP ufficio che adempievano i fanciulli, e che alcuno non possa essere stato
poco prudente e non abbia dato in qualche eccesso; ma anche questo bisogne-
rebbe provarlo. (3j
Molli biografi e cronisti dicono certo i! contrario, e il contrario dice an-
che il Savonarola il quale, per esempio, nella XXX predica sopra Amos e Zac-
caria afferma con molta franchezza, che sebbene qualche volta si fosse dubitato
che i fanciulli farebbero scandalo, però i fanciulli non l'hanno mai fatto. (Gonf.
(') Qui non s'intende parlare delle pone invocate dal Savonarola contro chi volesse
guastare il nuovo ordine di cose, e farsi tiranno. Di ciò diremo di sotto, ne'capitoli sulla po-
litica del Frate.
(•) Qui non si capisce tanto bene che cosa il Perrens, e il Pastor che lo trascrive, inten-
dano per età della ragione. Quale età dovevano avere i fanciulli della repubblica Savonaro-
liana? Dal Nardi (pag. Ili) si raccoglie che potevano averne diciotto ; e dalla predica IV sopra
Amos e Zaccaria si vede che ne potevano avere anche venti, e non dovevano contarne
meno di dieci. Prima di quest' età il Savonarola non li voleva neppure alla predica, ma vo-
leva che i genitori se li tenessero a casa; e non li ammetteva alla comunione, siccome
appare dalla citata predica IV e dalla XLI dello stesso quaresimale, se non quando ne
avessero undici e mostrassero discrezione. Perchè dunque ripeter così leggermente che
questi figliuoli non erano per anco giunti all'uso di rayionc? Nè osta il passo del Landucci
da noi citato a pag. 138, perchè ivi soltanto si parla dei fanciulli che prendevano parte alle
processioni e che erano tutti da 5 o 0 anni fino a lo.
(') Il fatto che riporta il Landucci nel suo Diario (Firenze 1833, pag. 123) dei fanciulli
che « levorno di capo una veliera a una fanciulla e fuvvi scandalo di sua giente » non fu
certo voluto dal Savonarola; nondimeno lo stesso Landucci non lo riprova; loda anzi «die
dovessino correggere le disoneste portature », e soggiunge che allora « le donne andavano
con ogni onestà. Erano venuti in tanta reverenzia e' fanciugli che ognuno si guardava dalle
cose disoneste e massimamente dal vizio inominabile ». E conchiude: « Sia lodato Idio da
po' eh' io vidi quel piccolo tempo santo.... l' prego Iddio che ce lo renda quel santo vivere e
pudico ». E verosimile assai che nel fatto surriferito i fanciulli abbiano con buona maniera
pregato la fanciulla a lasciare il disonesto abbigliamento; e che lo scandalo venisse tutto
dalla famiglia della fanciulla.
- 192 -
la predica XLV1I.) Ad ogni modo è chiarissimo che nessuno di questi abusi era
certo nel voler del Frate; ed è falsissimo che egli si ridesse del malumore dei
cittadini contro vessazioni insopportabili! Non v' ha dubbio che il Savonarola
voleva che i suoi fanciulli facessero V ammonizione fraterna, ma con tutto
rispetto e con tutta prudenza, e solo quando poteva dare buoni frutti; ed
evitassero in ogni caso lo scandalo. E poi addiritura calunnioso il dire e
l'insinuare ch'egli li lasciasse penetrare nelle case de' privati per forza.
« Fanciulli, io non voglio già per niente che voi facciate scandalo. Se voi potete
torre le carte e levar via i giuochi senza scandalo, fatelo.... Non andate a voler en-
trare nelle case per forza, chè non voglio che facciate scandalo.... ».
« I Signori vi daranno licenza di togliere le carte ai giuocatori che voi trovate,
ma non togliete altro » . Come si accordano queste espressioni, questi comandi
con le sentenze crudeli del Pastor? Si giuocava per tutto e si voleva impedire
ai fanciulli di togliere il giuoco? E il Savonarola gridava: « Fanciulli, io dico a
voi : lasciate giuocare, non ve ne impacciate più, lasciate correre » ! Dov' è qui la
petulanza? Dov' è la violenza? Eccessivo e niente preciso ci pare il Pastor an-
che quando dice che molti cittadini dicontro a questi fanciulli petulanti usa-
vano del loro diritto e li mettevano alla porta a furia di picchiate, e che il Savo-
narola die loro delle guardie a difesa. Ma dove aveva il Savonarola le guardie da
dare all'altrui difesa? e quando le diede alle migliaia de' fanciulli per difendere
la petulanza contro il diritto de' cittadini? Non mi par serio. La verità è che ai
fanciulli che compievano 1' ufficio permesso loro dagli Otto di impedire i giuo-
chi, non nelle case, ma per le vie, si resisteva; e si resisteva tirando fuori le
spade. Si dovevano qui lasciar proprio soli i fanciulli inermi? e non levar nem-
meno una voce a loro difesa? Il caso ad ogni modo è sempre un poco diffe-
rente dal modo con cui ce lo vorrebbe far credere il Pastor. Mi par che cada
qui il nostro critico nel vizio che appone al Savonarola. Egli è eccessivamente
rigoroso con questi fanciulli, e, forse, per compenso, si mostra troppo benigno
coi tristi.
Ma ci resta tuttavia molto a dire. Forse alcuno obietterà: Non v' è dubbio
che il Savonarola invocava pene assolutamente severe per cose che a volte non
sono considerate delitti sociali; egli invocava pene eccessive. Sia pure ch'egli
non facesse torturare nessun giuocatore, nè perforasse la lingua a nessun be-
stemmiatore, nè bruciasse alcun sodomita, nè punisse altrimenti alcun usuraio
resta però sempre vero che queste pene egli le invocava di cuore e in modo
intemperante, eccessivo e spietato. È sempre vero che i mezzi coattivi più
bruschi, lo spionaggio, la denunzia dovevano, secondo lui, congiurare a ristabi-
lire nella vita di tutti i cittadini una perfezione la quale non sarà mai possibile
se non a' pochi....
Chi ragiona così mi par che non sappia bene ciò che si dice, nè di
(piali tempi egli parli. Qui bisogna ragionar bene. (') Ammettiamo tutta la cruj
(') Non iscrivo per il popolo; e credo che i miei lettori conoscano la legislazione ni«-
dioovalo contro i bestemmiatori, fjl' eretici, i rei di magìa, ili delitto contro natura, i l'alai
— 193 —
dezza delle espressioni che abbiam trascritto più sopra; ammettiamo pure
che ripetute oggidì, anche nella foga del dire, anche da un oratore a cui la
buona vita desse il diritto di gridare più forte, sarebbero addirittura esagerate
e violente; non invochiamo nemmeno le attenuanti che potrebbero offrirci i
fatti e i casi speciali in cui il Savonarola le pronunciò, per esempio V aggres-
sione in chiesa d' una fanciulla.... e tanto meno cercheremo di spiegarle come
effetto solamente di zelo, e come espressioni enfatiche uscite a lui di bocca
nel calore oratorio. Sappiamo che al Savonarola questo non soleva succedere:
egli non pronunziava sentenze per ritirarle poi. Ma domandiamo prima di tutto:
Voleva il Frate di San Marco puniti semplicemente questi vizj in se stessi,
oppur mirava anche ad ottenere la perfezione morale de' peccatori? alla
difesa della città e' del bene comune? La questione non è priva d'impor-
tanza. 11 Perrens scrive, per esempio, che il Frate non perseguitava il giuoco
per se stesso, ma che voleva impedire la ruina delle famiglie. Ora il mede-
simo non si potrebbe ritenere per altri vizj? Francamente, sì. I vizj che ab-
biamo nominato il Savonarola non voleva punirli solo per se stessi, ma prin-
cipalmente in quanto erano ruina della città e del bene comune. Questo
appar chiaro chiaro dai passi citati: « Per un tristo vuoi pericolare una città....
Tu, Firenze, vuoi apposta di un ribaldo, o due, o cento, rovinare la tua città....
Un tristo fa male a molti altri.... E' non si vuole così rovinare questa città e il
ben comune: tu vuoi che mille o diecimila rovinino per un ribaldo.... ». Non vo-
leva puniti i viziosi solo per conto proprio, ma quelli che corrompevano anche
gli altri: « i vecchi che puzzavano di dentro e di fuori e parlavano disonestamente
a' fanciulli; i maestri che parlano d' ogni cosa alla scoperta alla presenza dei di-
scepoli e de' fattorini insegnando loro ogni male; i garzoni delle botteghe che in-
sultano le donne dabbene quando passano per le strade ». Le stesse meretrici si
contentava che si levasser dalle strade.... e si facessero stare a' loro luoghi al-
meno pei- certi tempi (sopra Amos XLIII), perchè non facesser pericolare gli
innocenti. Esplicitamente poi il nostro Frate lo dice nella predica X sopra Ruth
e Michea, eh' egli non vuole puniti i cattivi semplicemente in quanto a sè ; per
questi basta la correzione fraterna. Egli non parla mai di punire i singoli viziosi,
ma sempre di purgare la città dai vizj di coloro che sono corruttela del prossi-
mo, di coloro il cui male è nocivo alla salute degli altri.
monetarj, i venditori fraudolenti, i ladri recidivi Altro che perforazione di lingua e caute-
rizzazione di labbra!! Costoro erano attanagliati, mutilati, impiccati, bruciati. La Chiesa,
alla quale è affidato lo spirito dulia nuova legge, che è legge di amore, apparve ognora re-
lativamente mite, come si può vedere anche dalla bolla a San Luigi di Francia de' 12 lu-
glio 1268, e nella lettera con la stessa data al re di Navarra di Clomente IV, nelle quali il
Pontefice rimprovera la troppa severità contro i bestemmiatori; ma ad ogni modo le leggi
furon quelle, anche negli stati ecclesiastici o sotto la protezione della Chiesa. Che se penso
ai processi fatti in Firenze nel 1498, al palco eretto in piazza della Signoria, e al rogo acce-
sovi a' di 23 maggio dell'anno stesso, e alle vittime che divorò, non chiedo altro per ritenere
che le parole del Savonarola sono mitigate dagli usi del tempo. E questo sarà tanto più vero
ove si accetti, nel caso, per buona e vera la spiegazione delle parole: falsa et pestifera dog-
mata, che il Pastor ci dà nella nota 1 della pagina 377!!
13
— 194 —
E qui ancora voleva che si distinguesse secondo che si trattava o del bene
privato o del bene comune. E nel primo caso voleva sempre che si usasse cle-
menza, nel secondo richiedeva severità. « Ne' giudizj si deve discernere il bene
comune dal bene privato; e aver l'occhio più sempre al bene comune; e chi
fa contra quello, punirlo acremente; e chi contra al bene privato, punirlo con
misericordia. Però ho detto a voi più volte che voi conserviate il bene comune.
Ma tu di': — Io giudico sempre con misericordia. — Io li rispondo che questa mi-
sericordia, permettendo che si guasti il bene comune, è crudeltà. Dice Sant'Ago-
stino, che il frate che fa contro il bene comune e degli altri si deve scacciarlo
via; e non guardare al bene del particolare». (l) Di qui si può scorgere che non
son chiare le parole del Pastor che dice che per il Savonarola i mezzi coattivi
più bruschi, lo spionaggio, la denunzia dovevano congiurare a ristabilire nella
vita di tutti i cittadini una perfezione la quale in questo grado non sarà mai
possibile se non a' pochi; queste parole forse non significano niente : certo non
se le merita affatto il Riformatore de' Fiorentini. Ma andiamo oltre.
Date tutte queste cose, la questione si riduce tutta qui: vedere se Fra
Girolamo errasse e facesse male assolutamente proponendo le pene che pro-
poneva per i vizj nominali, o se almeno egli facesse male con richiamare senza
bisogno in vigore pene felicemente cadute. 11 primo caso dai cattolici deve es-
sere subito escluso, perchè altrimenti si dovrebbe dare alle fiamme più d' uno
de' Sacri Libri e non poche leggi ecclesiastiche, per tacere di quelle di molti
stati, e bisognerebbe anche cancellare qualche nome dal catalogo de'Santi. (*)
Dacché le pene invocate dal Savonarola esisterono e furono approvate del di-
ritto divino ed ecclesiastico, i cattolici non devono nè possono tenerle sempli-
cemente ed assolutamente illecite, senz' alcuna considerazione di tempo e di
luogo. Per risolvere la seconda questione bisognerebbe entrare nella condizione
de' tempi d' allora e sopratutto ne' costumi di Firenze. Ma come si fa a compier
tutto questo coi limiti che deve avere il nostro scritto? Ma per buona ventura il
lavoro è compiuto in modo mirabile dal giudice stesso del Savonarola, è com-
piuto dal Pastor ed è esposto nel volume che esaminiamo. Non ci resta adun-
que altro a fare che aprir questo volume e leggere, e vedere se i vizj condan-
nati e voluti punire dal Savonarola fossero a tale gravezza allora da richieder
pene pubbliche: e se le pene si infliggessero con la legislazione e pratica del tem-
po, o almeno se gli uomini animati da vero spirito ecclesiastico ne minacciassero
e invocassero. È evidente che quando e l'unae l'altra questione fosse risolta af-
fermativamente, il Savonarola sarebbe pienamente scusato, se pure, per lo spi-
(') In Iìegula: « Non eniin boc fit crudeliter, sed misericorditer, ne contagione pestifera
plurimoH perdat ».
(2) S. Tommaso II-II, q. LXI V, art. II, (Se sia lecito uccidere i peccatori) insogna che come
lodevolmente si recide, ove torni espediente alla salute di tutto il corno umano, il membro
putrido o che corrompo gli altri membri, cosi del pari so un uomo sia di' pericolo alla comu-
nità e la guasti per gualche peccato, lodevolmente e salutarmente lo si uccide, per conservare
il t>eno comuno; imperocché un poco (li fermento corrompe tutta la massa. CI', anche la qu. LXV,
art. I.
— 195 -
rito rivoluzionario che soffia nelle legislazioni moderne, meglio fatte pe' tristi
che pe' buoni, non si voglia in tutto lodato. Sentiamo adunque il Pastor,
ed egli ci dirà che l'usura e la frode, all'epoca del rinascimento, andavano
compagne al lusso promosso dalle ricchezze e dal traffico, e che risultò chiaro
che non erano mica i soli ebrei i quali in modo inaudito dissanguassero il
popolo: « gli uomini cristiani esercitavano questo loro mestiere in una guisa
molto più intemperante. Va da sè che questa piaga doveva mostrarsi più che
mai cancrenosa in quelle città le quali, come Firenze e Venezia, erano il cen-
tro del commercio, segnatamente del traffico del denaro: tutti i patrioti e gli
scrittori della città dell' Arno, i loro oratori e legislatori nominano », dice te-
stualmente il critico d' Innsbruck, « in primo luogo e come male maggiore e
fondamentale 1' usura. Documenti autentici confermano che coleste non erano
guari esagerazioni rettoriche: un interesse del 30 °/0 non era nulla d' inso-
lito. Neil' anno 1420 si emanò il divieto ai prestatori di pegni di esigere ol-
tre il 20 per cento; ma le cose non volsero in meglio. Dieci anni dopo fu
preso un altro spediente e si cercò d' infrenare 1' usura da parte de'cristiani,
dando libertà agli ebrei a' quali venne permesso di riscuotere il 20 per cento.
Tutto indarno: ebrei e cristiani ora uniti insieme succhiarono il popolo».
(Pag. 73, 74.) Ci dice il Pastor che « il decreto emanato in Firenze per l'ere-
zione del monte di Pietà consigliato dal Savonarola (*) scopre tutto il marcio
di questa pubblica calamità; in tal decreto si dice che gli ebrei stanziati
in Firenze imprestavano al 32 i/i per cento con l' interesse composto, in ma-
niera che s'era visto, che 100 fiorini imprestati alla ragione ordinaria arri-
vavano dopo 50 anni a 49,792,556 fiorini, 7 grossi e 7 danari ». (Pag. 76.)
Così stando le cose, chi oserà dir troppo gravi le espressioni di Fra Girolamo
contro cosiffatta peste ? Gli altri buoni oratori cristiani tacevano forse ed erano più
miti di lui? Nota il professore d' Innsbruck che « preti e laici si sfogano in terribili
lamenti: Sant'Antonino scrisse un apposito libro contro la usura in cui fa sentire
più che mai forte la sua voce contro questo vizio. Vent'anni dopo la morte del
santo (1479), l'onesto Vespasiano Bisticci gridava: «0 città di Firenze, ti biso-
gna dare indietro, chè tu se' colma d'usura e di disonesti guadagni. Uno con-
suma 1' altro, turpe inimicizia ha inimicato 1' uno contro 1' altro. Il malfare è
venuto così in costume che non èchi ne abbia vergogna. In questi ultimi tempi
si son vedute appo i tuoi cittadini cose tanto inaudite, tali disordini e fallimenti,
che ben si mostra essere un castigo di Dio; e tuttavia ti ostini nel tuo induri-
mento. Per te non ho speranza, perciocché tu non pensi che a far danari, e
vedi pure come la roba de' tuoi cittadini se ne va in fumo appena che essi
hanno chiuso gli occhi ». (Pag. 74.) In verità che il Savonarola è anche qui in
buona compagnia e mostra davvero d'essere animato da buono zelo per la
salute delle anime e il bene di Firenze !
Che poi contro di questo vizio rovinoso fosser minacciate e applicate pene,
.
■
(') Questo decreto fu emanato il 28 deceoibie 1495.( V. Landucci, Diario, ed. 1883, p. 135 n. 3.)
— 196 —
il Pastor lo afferma e lo dimostra apertamente. « In ogni luogo, dice, i predi-
catori inveirono contro l' usura ed in parecchie città si fulminavano le pene più
severe, come il rifiuto della Santa Comunione e della sepoltura ecclesiastica.
Già San Bernardino da Siena sferza le varie specie d'inganni e soverchierie
onde i mercatanti si rendevano colpevoli e riprende duramente gli Stocchi »(4),
e afferma che « dovrebber venir messi al bando della città; così pieno d'indi-
gnazione il santo si scaglia contro gli usurai cristiani » (pag. 73). Nè dovevano
mancar pene de' magistrati, come appare dalla citazione che il Pastor medesi-
mo fa di Della Corte. In vero che qui, se si ricercan bene le prediche del Sa-
vonarola, troveremo ch'egli concesse assai a Firenze, e che nelle sue condanne
e prescrizioni fu giusto, mite, anziché severo e acre, anche cogli stessi ebrei,
tanto più che al suo tempo 1' usura come appare dalle Opere dello stesso Frate,
durava bruttissima più che mai! (2)
Come saggio della sua temperanza in questo punto è anche noto il parere
che il Savonarola diede alla repubblica di Lucca che chiedevagli se si potevano
ricevere gli Ebrei prestatori. Il Savonarola dice che gli Ebrei « non sunt e ci-
(') Famiglia senese.
I2) c Aumentando il numero dei ricorrenti alle case di prestito, dice il Pastor, cresce-
vano naturalmente le spese di amministrazione, per cui bisognò desistere dal prestito gra-
tuito e introdurre un piccolo risarcimento onde sopperire alle spese dell'istituto; contro di
che i Domenicani sostenevano che in tal modo si mancava alla proibizione canonica di riscuotere
il censo. (Cf. Jannet 13, e Bruder Staatslexicon 111. 1093.) La saggezza della Santa Sede seppe anche
qui tenere il giusto mezzo > (pag. 76.) Che i Domenicani si opponessero con tutta forza al vizio
dell'usura è certissimo; ed è loro gloria l'aver sempre sostenuto la tesi di San Tommaso co-
mune tra i teologi: Essere illecito prender ricompensa per il denaro mutuato; (Somma Teol-, P. II-II,
qu. 78, a. 1) ed è noto che il B. Ambrogio Sansedoni Senese mori appunto per la rottura d'una
vena cagionatasi dalla grande veemenza con cui predicò contro gli usurai. Questa, ripeto, è
loro gloria. Che poi nell' interpretar la dottrina di San Tommaso tenessero il giusto mezzo
e si mantenessero sempre conformi alle leggi giuste e ragionevoli, sarebbe facile provarlo; e
può vedersi che un compenso, non vi mutui, ma per altre ragioni comò del lucro cessante, del
danno emergente, ecc. è ammesso esplicitamente da San Tommaso (1. e), Sant' Antonino (P. II,
Tit. I, cap. XVII e segg., P. Ili, Tit. Vili, cap. Ili) da San Raimondo (Somma Lib. II, Tit. VII),
dal Gaetano nel commento al citato articolo, dal Billuart De contractibus, Diss. IV a 5, § V, e
in generale da tutti i teologi dell' Ordine Domenicano. Ma noi dobbiamo occuparci del Savo-
rola. Ebbene, ecco a questo proposito un brano tolto dalla XXI su Amos recitata appunto
poco tempo dopocbè era stato emanato il decreto di cui parla il Pastor, che spiega chiaro se
almeno questo Domenicano (e con lui i Domenicani di S. Marco, che certo non discordavano
dal maestro) sostenesse esser illecito quel leggero compenso : «Tu sai che tu hai fatti ufficiali
che faccino un monte di pietà per levar via e' giudei della tua terra. E' si vuole questa cosa
mandarla innanzi; e pigliate quel modo, se vi pare, che dicano questi padri di San Francesco,
cho io per me credo che si possa sostentare e che non vi sia scrupolo nessuno di coscienza, »
vuoisi farlo anche confermare alla Sede Apostolica,... perchè, benché la regola sia: Mutuum date
nihil inde sperantes, questo s'intende: scilicet, ratione mutui; onde dice: Nihil inde, idest, ralion*
mutui sperantes, ma questo danaro del monte della piota non si dà ratione mutui, ma per la
fatica delli ministri (Pastor: onde sopperire alle spese dell' istituto), delli quali non son quelli
danari, ma a loro si costituisce cosi un poco di salario per la fatica loro. Vero è che sari*
più retto quando la comunità costituisse loro un salario o cosi prestando non pigliorebbono
nulla ». Parla degli ufficiali del monte, e espone di nuovo il suo pensiero verso la fine della pre-
dica XXXIII dello stesso quaresimale. E nolla predica XX V I dice chiaramente che il prestai»
senza frutto alcuno, regolarmonte non ò di precetto, ma è solo di consiglio e diventa solo di
precetto quando v'ò l'estrema necessità d'aiutare il comune.
— 197 —
vitatibus 'Christianorum pellendi » ma che, 1' usura essendo proibita, non si
deve conceder loro alcuna facoltà di praticarla. (i)
Quanto al giuoco non sappiamo davvero capire come potesse il Pastor, per
esser coerente a quanto ne scrisse, condannare recisamente e senza nessuna
considerazione il Frate di San Marco.
Che scrive egli infatti di questa brutta passione? Da lui apprendiamo che
c al pari dell' usura era fin da antico assai radicato in Italia il malvezzo del
giuoco »; che « in nessun altro paese del mondo aveva questo nell' epoca' del
risorgimento trovato una sì larga diffusione come qui. Già nel secolo deci-
moterzo e decimoquarto poveri e ricchi si abbandonavano a questa passione ».
(Pag. 77.) Nè tutto ciò gli basta, ma non dubita il Pastor di chiamare il
giuoco di allora una mania, « la mania del giuoco ». E il Savonarola conferma
tutto ciò in molte sue prediche e particolarmente in quella sopra i Salmi reci-
tata il 9 giugno del 95: « Tu sai, Firenze, che non molto tempo fa tu avevi
una poca fede ed erano spente in te quasi tutte le virtù e giocavasi in pub-
blico per quasi tutte le strade e dagli uomini dabbene e in presenza dei loro
figliuoli, ed erano venuti in tanto lascivia che facevano infino i dadi d' am-
bra, d'argento e d'oro e bestemmiavano Iddio e la Vergine; e il vizio della so-
domia era in te sommo quanto poteva essere; le donne giocavano e andavano
scoperte infino al mezzo, e non si vergognavano e avevano fatto faccia da me-
retrice.... ». Così stando le cose, e pensando anche a ciò che abbiamo sentito
più sopra dal Perrens e della mina assai facile a capirsi che il giuoco accom-
pagnato dagli altri vizj recava a molle famiglie, e alle bestemmie che gene-
rava, chi si maraviglierà che il Savonarola si levasse contro? E qui, non meno
che nel vizio dell'usura, i tempi davan ragione al Frate nel chiedere l'azione
della legge; imperocché nota opportunamente il Pastor che « di tutte le
numerose raccolte di statuti civili non ve n' ha una, la quale non contenga
ordinanze contro i giuochi. In Firenze fin dal 1285 vennero interdetti i giuochi
al dado e i giuochi di sorte ». (Ivi.) Solo par che si lamenti l'egregio storico
•che simili decreti rinnovati, come egli nota, nel secolo decimoquinto approdas-
sero a poco; per la ragione che in certi giorni veniva permesso il giuocare.
E si compiace a questo proposito nel dichiarare che miglior successo ebbe
l'intervento di uomini di un pensare strettamente ecclesiastico, come a dire
del B. Dominici, di San Bernardino e Sant' Antonino.
Di quest' ultimo racconta poi al proposito un fatto che davvero fa mera-
viglia come poi fosse da lui dimenticato allorché parlò del Savonarola e de'fan-
ciulli da lui riformati: «Una volta Sant' Antonino, predicato che ebbe nella
chiesa di San Stefano, venne a passare per Borgo Santi Apostoli. Giunto presso
la loggia de' Buondelmonti e scorto una brigata che stava giuocando, entrò e
ribaltò le tavole a terra ». (Pag. 77.) Or che facevano di diverso i savonaro-
liani? E se il Savonarola seppe così bene far rivivere lo zelo di Sant' Antonino
nelle anime de' giovani di Firenze, perchè condannarlo? Nè varrebbe il dire
(') Villari, v. I, app. p. XXXIX, n. 1.
— 198 —
che que' giovani non erano Sant'Antonino; il Savonarola risponderebbe che
come ogni azione di Cristo è nostra istruzione, così è nostra istruzione ogni
azione lodevole de' Santi. Erano altrettanti Santi Antonini i fanciulli di Firenze
in quanto facevano con lo stesso spirito ciò eh' egli aveva fatto....
E un' altra cosa è da notare. Sapete da quale sventura 1' opera dei sud-
detti riformatori, venne, secondo il Pastor, frustrata? « Dai disordini che cardi-
nali e nipoti de' Papi di vita mondana si permettevano ». (Pag. 77.) Davvero che
di cento parti non ne diceva una il severo domenicano e ben a ragione lo ri-
prendevano : « Ma padre, voi non dite la centesima parte » ! (Vedi discorso fatto
il 16 febbraio 1497, s. f.) Davvero eh' egli fu mite e seppe moderarsi, se pen-
siamo a tutto lo zelo che gli divorava l'anima per l'onore di Dio, la salut
delle anime e il bene comune di Firenze! I suoi lamenti e le sue accuse son
inferiori al male, alle colpe di chi, pur dovendolo edificare, faceva rovinare i
popolo! Ma non anticipiamo.
E della scostumatezza che diremo? E forse necessario trattenerci a no-
tare che nel secolo XV essa era assai grave nella città fatta serva da' Medie/
e segnatamente da Lorenzo il Magnifico ? « Un lato oscuro, e certamente il
più brutto nella vita degli Italiani di allora, scrive il Pastor, era la scostuma-
tezza. I lagni che ne fanno i contemporanei, nominatamente i sacri oratori,
sono infiniti. Uno di essi, Roberto di Lecce, arriva nientemeno a dire che al
suo tempo la disonestà si era più estesa che non avanti il diluvio. Per quanto
ciò sia esagerato, non sussiste dubbio che il libertinaggio nell' epoca del rina-
scimento fece rattristanti progressi in tutte le grandi città e perfino in molte
di minor conto, che segnatamente fra la gente colta e signorile assai frequenti
erano enormi dissolutezze ». (Pag. 77.) E le corti? Si legga nel Pastor la pag.
78 e seguenti, e si vedrà che triste spettacolo! Quando io lessi la prima volta
alcune pagine delle prediche di Fra Girolamo, mi pareva che egli in qualche
punto si lasciasse prendere davvero da soverchio zelo ed esagerazione a que-
sto riguardo. Ma dopo che lessi il Pastor, mi sono anche qui intieramente per-
suaso del contrario. Uno de' luoghi che mi dava più da dire era quello che si
legge nella predica XXVIII sopra i Salmi, dove il Frate deplora che sotto i reg-
gimenti de' tiranni (ed ha certo riguardo speciale a' Medici) anche gli uomini
dabbene hanno a dire gran mercè agli schiavi; e accagiona i tiranni stessi di
comperare schiavi circassi e tartari, e trattar meglio costoro che i proprj fi-
gli .... ! Lo stato dei popoli d'Italia appare al Frate simile a quello di
Sorìa, cui Dio puniva per i suoi vizj. Questo era uno de' passi più forti per me;
ma il Pastor si prese egli (certo involontariamente) 1' ufficio di chiosar le fosche
parole del Frate e di mostrarle vere e miti anch' esse, in ispecie se pensiamo
che quegli le pronunziava nel tempo che il tiranno faceva tentativo di ritornar
nella bella città, e le pronunziava perchè i Fiorentini divenuti liberi sapessero
reggersi da liberi. Ma leggiamo il Pastor. « Di assai trista efficacia sui costumi
della classe agiata fu, in uno colla pessima letteratura, specialmente 1' uso vi-
gente in Italia fin dalla metà del secolo decimoquarto, di tenere in qualità di
schiave fanciulle orientali, più di rado ragazzi e giovanotti. Avanti le conquiste
— 199 —
dei Turchi erano a preferenza giovani tartarine e circasse, che in ispecie per
opera dei Veneziani e Genovesi s'importavano in Italia. Posteriormente s'in-
contrano in maggior numero fanciulle serbe, bulgare, greche e albanesi. Cre-
scendo ogni dì più gli abusi, le leggi relative a questo traffico divennero via
via più severe. E' fa una strana impressione il trovare, come in lettere private
di personaggi, anche spettabilissimi, si parli di questo brutto costume come della
cosa più naturale del mondo e con tutta ingenuità si descriva la complessione
e le fattezze delle schiave. In quasi tutte le maggiori città d' Italia, in Venezia,
Firenze, Mantova, Ferrara, Lucca, Genova e Napoli si può con documenti pro-
vare la presenza di questi servi e serve forzati. Nelle splendide corti principe-
sche si tenevano per singolarità, insieme cori nani e giullari, sempre alcuni
mori e morette, alla cui nerezza davasi una speciale importanza. Gli artisti di
corte ne hanno perennato alcuni ne' loro affreschi. Presso che tutte le nobili
famiglie in Firenze tenevano schiave. La brutta costumanza portò seco il ca-
stigo. Non di rado la pace domestica era turbata dalla presenza delle schiave,
e figli legittimi ed illegittimi crescevano su alla rinfusa, come per esempio nella
casa medicea, dove Carlo, in seguito prevosto di Prato, figliuolo di Cosimo il
Vecchio e di una schiava turcassa comperata in Venezia, veniva allevato in com-
pagnia con gli altri figliuoli, dovechè di Maria, figliuola di Piero di Cosimo, non
consta chi ne fosse la madre. Si può dire: in tutte le famiglie, dove teneansi
delle schiave, la moralità dei signori non era guari modello. Da lettere private
ci consta come i giovani nobili mercanti aborrissero dal matrimonio ; in propo-
sito di che Alessandra Strozzi scrive una volta a'suoi figliuoli: «Il diavolo non
è cosi nero, come lo si dipinge ». (Pag. 86 e S7.)
E del disordine delle cortigiane che si può scrivere? Le pagine che vi de-
dica il Pastor non credo siane da leggersi da tutti! Cerio esse non sono meno
fosche di alcune analoghe del Savonarola; eppure il Pastor, dimenticando se
stesso, fa rimprovero al Predicatore fiorentino d' averle pronunziate! (') « Ma
il disordine delle cortigiane non era tuttavia il pessimo de' mali che travaglias-
sero l'Italia del rinascimento. Lo storico di questo periodo non può non toc-
care un lato vie più doloroso. Testimonianze tristissime non lasciano dubbio
che il nefando vizio nazionale dei Greci tornasse allora a nuova vita.... Coi
miti ellenici i quali lo presentavano in veste attraente, e coi poeti romani che
ne trattarono in modo frivolo e licenzioso, di soppiatto s'infiltrò nuovamente
nel mondo moderno » (p. SS-89J. E quanti uomini pur degl' insigni, special-
mente tra gli umanisti, non bruciarono il loro incenso a questa infame turpi-
(') A proposito di cortigiane è notevole, per la città in cui scrivo, uno statuto di Astor-
gio HI, proprio dell'anno più romoroso della vita del Savonarola del 1497. Questo statuto è
riportato dal Matterelli — Rerum Faventinarum Scriptores — colonne 792-795. E fatto ad repri-
mendum inordinatum sensum et appetitimi meretricum habituntium in civitate Faventiae; e rie-
sce una prova molto chiara che il male era cresciuto assai anche nelle piccole città. Mi de-
sta anche meraviglia il vedere in questo statuto rispetto a queste infelici creature espresse
alcune idee che trovo quasi identiche nel Frate di San Marco, e specialmente nel Quaresi-
male Sopra Amos e Zaccaria, recitato, com'è noto, nel 1496.
- 200 -
tudine! ! « Il peggio per la nazione italiana », soggiunge il Pastor, « si era che
cosiffatti vizj penetravano anche nelle classi inferiori. Oramai al tempo della
discesa di Carlo Vili un cronista scriveva che l' intero paese, tutte le grandi
città, Roma, Firenze, Napoli, Bologna, Ferrara, n' erano infette.... ».
Or pensate a che dovesse condurre in religione una depravazione simile !
Il Pastor si contenta di dire che doveva di necessità condur molti all'indiffe-
rentismo religioso ; e certo non dice troppo. Ma quale impressione doveva fare
10 spettacolo di tanta corruzione nell'anima intemerata di Fra Girolamo!? Che
santissimo sdegno provocare su quest' uomo di una irreprensibile moralità di
vita!? (*) Di quale zelo santissimo doveva riempiergli e infuocargli l'anima
quand'egli meditava la sua riforma?! quando voleva che Cristo trionfasse un'al-
tra volta sopra le superbia pagana?! Era possibile che egli qui desse in ec-
cesso?! « Roma, io ti ho detto che tu faccia penitenza, Milano, io ti ho detto
che tu faccia penitenza, Venezia, io ti ho detto che tu faccia penitenza.... Io
1' ho detto a tutti i savj del mondo; e non ci è rimedio, se non penitenza!
Voi non volete credere, voi non volete aprire gli orecchi, voi ve ne fate beffe!
Per questo dice Iddio: io detesto la superbia vostra e ho in odio le case vo-
stre le quali saranno arse e spiantate e voi andrete a casa del diavolo » ! (So-
pra Amos e Zaccaria, XXI.)
Ma era poi solo nella Chiesa a lottare il nostro Frate? e lottava egli con
più severità degli altri? con zelo non voluto dalla Chiesa? Sentite ancora il
Pastor: « Molti predicatori italiani designano le piaghe degl'Italiani, le guerre,
la carestia, e il terremoto, come un giusto castigo del cielo per questa scelle-
raggine continuata. Il Patriarca di Venezia, Alfonso Contarini diceva l'anno
1511 a' suoi connazionali interroriti da forte terremoto, ch'esso era la puni-
zione di Dio, perchè non si cessava dalla vita viziosa (p. 91). San Bernar-
dino da Siena predicò in pubblico contro il vizio innominabile, minacciando
l' ira di Dio, la quale manderebbe il fuoco come sopra Sodoma e Gomorra.
Dei predicatori venuti dopo furono Roberto da Lecce, Michele da Milano e Ga-
briele Barletta quelli che nominatamente alzarono la voce ammonitrice contro
11 crescente mal costume » (p. 90). Or che altro faceva Fra Girolamo? In vero
che anche qui egli si mostra misurato, si mostra mite, a preferenza degli altri
oratori onorandi.
Nè ciò basta. « Anche, soggiunge lo storico di Innsbruck, la legislazione
civile cercò con pene assai severe di porre un argine alla corruzione. La Chiesa
e la legislazione sorta con lei e sotto la sua efficacia avevano minacciato con
tremendo rigore questo vizio, impressovi il marchio d' infamia.... ». Dunque?!
E troppo chiaro che Fra Girolamo non errava lungi dallo spirito della Chiesa,
allorché levava la voce contro i vizj che vedemmo ; è chiaro chiarissimo
eh' egli non chiedeva importunamente la punizione de' medesimi. (2) Essi
(') Pastor: Savonarola.... moralmente irreprensibile (p. 377).
(') Per mostrare vieppiù che i rigori delle peno devon giudicarsi secondo i costumi del
tempo, citiamo qui la pona imposta dalla Chiesa per colpo assai mono gravi delle accennato
— 201 —
nuocevano troppo non pure al viver cristiano, ma anche alla famiglia ed alla
società ; e un riformatore cattolico che voleva la costituzione dello Stato coi
principj dell' Evangelo, proprio come la vuole il nostro Leone XIII, non poteva
non adoperarsi per vedere di metter riparo a questo tenente impuro, limac-
cioso, che minacciava di travolgere seco ogni bel costume, ogni fede ed ogni
libertà.
E per Firenze occorrevano anche ragioni speciali. Il Savonarola non in-
tendeva che Cristo fosse per burla Re di quella città, ma che davvero la go-
vernasse con la sua dottrina, coi suoi esempi, con la sua fede, col suo aiuto,
col suo lume, e ciò doveva naturalmente procurare. Ora i nemici del nuovo stato
erano appunto i Compagnacci, i Medicei, la gente libera e bestemmiatrice. Per
un lato gli amici della libertà riconoscenti a Dio e al Frate guardavano a San
Marco e gridavano: Viva a Cristo; per altro lato gli avversar)' del nuovo ordine
di cose si sfogavano bestemmiando, e con le bestemmie e con il giuoco pare
che intendessero fare le beffe al Frate, a' nuovi signori, al nuovo popolo, al
nuovo Re. E il Frate e i nuovi signori ministri di Cristo, il nuovo popolo vi-
cario di Cristo doveva necessariamente combattere 1' opposizione nel campo
ove ella si era messa. E perciò il Frate gridava sovente che non punendo i
viziosi, i bestemmiatori, i giuocatori, i sodomiti, si andava incontro alla ruina
della città. (*) Costoro miravano a cacciar Cristo dal trono e spianavano la via
lubrica al tiranno, e gli aprivano le porte di Firenze, onde il Frate, come sen-
tinella avanzata, gridava incessantemente. E così fosse piaciuto a Dio che l'aves-
sero ascoltato di più, e che 1' avessero sostenuto e meno combattuto i prin-
cipi e i gran maestri ! La sua riforma ci avrebbe davvero dato un esempio di
stato cristiano quale non se n' era ancor forse veduto e quale forse non se
ne vedrà tanto presto neh' Europa.
Alcuno forse resta tuttavia in dubbio per la qualità delle pene invocate
dal Savonarola? Il Pastor ci aiuta anche qui a toglier di mezzo ogni esitanza.
A pag. 417 parlando d' una maschera che aveva in Roma osato proferir
parole poco gradite a Cesare Rorgia, dice che essa « espiò la sua libertà di pa-
rola col taglio d' una mano e della lingua che a quella venne attaccata ». E per-
chè non ce ne facciamo le meraviglie, detto ciò, usa per Cesare Rorgia una be-
nel testo. Nel libretto intitolato Ordine delle processioni che s' hanno a fare in Firenze e suo
distretto stampato in Firenze senza data, ma certo verso quel tempo (Bibl. Naz. di Firenze,
Cust. D, n. 9) si cita tina Bolla della Santità del Nostro Signore, ove sotto pena di scomunicazione
e di ducati X d'oro si comanda che alle dette processioni nessun uomo si mescoli fra le donne,
ma vadino gli uomini eie donne separate; e parimente sotto pena di exeomunicatione lata; sen-
tentice si proibisce di dar mangiare o bere ad alcuno innanzi che si facesse la processione.
Questo, evidentemente, facevasi per impedire l'ubriachezza. Rifletta il lettore se i tempi in
cui si usava tale severità devono giudicarsi cogli stessi criterii dei nostri; e se perciò è
lecito movere al Savonarola le accuso che gli mosso il Pastor, e cosi corno fa questo storico!
(') Vedi la Lettera ad un amico e troverai compendiata in una bella pagina la predica-
zione del Frate riguardo alle punizioni che voleva s'infliggessero ai cattivi, e alla giustizia
che incessantemente invocava da Firenze; e vedrai chiaramente che il Fiate perchè non lo
volevano in ciò ascoltare, nè cacciar via i cattivi, prevede la ruina della città.
- 202 —
nignità che per Fra Girolamo moralmente irreprensibile non crede di usare e nota
che « tali pene allora erano universalmente in uso ». Se questo è vero, e nessuno
ne dubita, Fra Girolamo ha preceduto, anche nel punire i delitti, i tempi: Del-
l' età in cui universalmente si puniva in modo assai crudele e vendicativo, egli ci
si mostra davvero misurato e alieno da crudeltà e da vendetta, come avremo
anche occasione di vedere disotto. Non si dica più adunque che il nostro
Frate (il quale non ha del resto mai punito nè fatto punire alcuno in particolare)
nel rigore delle sue pene non conosceva confine: sarebbe un parlare troppo
apertamente contrario alla verità storica.
Poche cose ci restano a dire perchè sian tutte e intieramente ribattute le
soprascritte accuse del Pastor contro del nostro Frate, poche cose rispetto
allo spionaggio e alla denunzia volute dal Savonarola, e poi della giurisdi-
zione data ai fanciulli sopra le donne.
Il Pastor asserisce con molta franchezza, prendendo sempre dal Perrens,
che questi « bruschi mezzi coattivi dovevano congiurare a ristabilire nella vita
di tutti i cittadini una perfezione, la quale in questo grado (*) non sarà mai
possibile se non a pochi >. Ora noi abbiamo già visto che è per lo meno inesatto
dire che il Savonarola si valesse di questi mezzi unicamente per la morale privata
e la perfezione degli uomini.
Per ottenere nel popolo cristiano la perfezione morale e religiosa, non
1' eccessiva, ma quella che ad ognuno si conviene, quella che si può e deve
richiedere da ogni cristiane secondo il proprio stato, i mezzi usati dal Savo-
narola erano la predicazione della Scrittura, la preghiera, e segnatamente la
frequenza de' Sacramenti e poi la correzione fraterna ; (*) cose tutte sante e
perciò per nulla brusche nè illecite. I mezzi coattivi, lo spionaggio e la dela-
zione, il Frate li avrebbe consentiti solo per riuscire a far osservare le giuste
leggi e ad impedire i delitti e la ruina delle anime innocenti e del bene co-
mune da parte di scellerati. Così, per esempio, il Frate non sarebbe stato alieno
per guarire la mania del giuoco dal consigliare agli Otto di valersi delle schiave
per iscoprire i siti dove quella veniva coltivata contro le disposizioni degli sta-
tuti; e anche di proporre una ricompensa ai famigli che rivelassero i padroni
che tenevano giuoco : « I giuocatori intendo che stanno rinchiusi per le case
(') Riesce difficile capire quale sia questo grado; nel Pastor non è detto.
(2) Non mi trattengo qui a parlare della correzione fraterna e del modo come la voleva
fatta il Savonarola, sebbene non sarebbe del tutto fuori di luogo; ma penso che sia impossibile
che un futuro Pastor critichi a tale riguardo l'apostolico Frate. Chi volesse ad ogni modo
vedere qualche cosa al proposito legga per esempio la predica XXI e la XXVII sopra Amos
e Zaccaria, e sarà soddisfatto. Ivi troverà per esempio che « la correzione fraterna è intro-
dotta per medicina del peccato; ma il peccato si può considerare in due modi: primo si
considera in quanto è contro a colui che pecca, secondo in quanto è contro la comunità.
Quanto al priruo modo, la correzione fraterna si adibisco come medicina per rimuovere il
male del peccato, perchè è atto di carità tale correzione. Quanto al secondo modo, quando
è detrimento del bene comune, la correzione si adibisce come atto di giustizia e questo per
medicare la comunità, e conservare il bene pubblico >. Cf. San Tommaso, Somma Teol.,
P. II-II, qn. XXXIII. Il Pastor sembra aver dimenticata questa dottrina e questa importan-
tissima distinzione.
— 203 —
e giuocano più che mai. E' si vorria fare una legge, che le schiave che rive-
lassero quando si giuoca in casa i padroni, fossero libere: e che i famigli che
ancora rivelassero il giuoco avessero qualche premio ». Qui è impossibile non
capire che si tratta non già di giuochi di divertimento e di conversazione, di
piccoli giuochi che le famiglie facesser tra loro e cogli amici, ma sibbene di
giuochi vietati, di giuochi rovinosi, di quei giuochi che il Pastor medesimo si
compiaceva di veder repressi. Ora le case dove si giuocava più che mai, dove
stavan rinchiusi i giuocatori, le case dove si tenevano giuochi vietati, quale po-
litico non doveva cercar di conoscerle e sorvegliarle ? La legge consigliata dal
Savonarola era certo un bene e per Firenze e per quelle misere creature tenute
schiave e costrette non pure a servire ma a servire a passione così scandalosa.
Del resto quanti credete che avrebbero avuto occasione di denunziare i giuochi?
Ben pochi: l'effetto della legge, 1' effetto immediato doveva esser quello di ces-
sare tal giuoco e non adoperarvi o farvi assistere schiave. Il che sarebbe già
stato tanto di guadagnato. Un' altra considerazione poi mi convien fare: lana-
tura speciale del governo fiorentino a' tempi del Savonarola faceva il popolo
signore; e quindi ognuno doveva aver cura del bene comune ed era in qualche
misura obbligato alla tutela della cosa pubblica; e perciò, qual meraviglia che
il Frate nei casi più gravi non esitasse a consigliare agli Otto di valersi del-
l' opera de' cittadini per estirpare i vizj, che erano di nocumento al pubblico? A
me pare che in questi casi il Savonarola non si governasse in modo molto dissi-
mile da quello che usa la Chiesa la quale, per esempio, fa obbligo ad ognuno
di denunziare gl'impedimenti canonici a contrarre il matrimonio e i sacri or-
dini. Quindi, se anche le parole sopra scritte del Savonarola dovessero avere
il senso (e non 1' hanno) che ad esse attribuiscono il Perrens ed il Pastor,
il servo che avesse narrato non sarebbe stato condannabile, e perciò non con-
dannabile il consigliere del servo.
Del resto, col mirare a liberar quelle infelici creature da' padroni viziosi,
il nostro Frate mostra ancor una volta la carità molta che gli scaldava l'anima
per i miseri e gli sventurati, carità di cui il Pastor avrebbe pur dovuto tenere
qualche conto! Che del resto il Savonarola con simili proposte non mirasse alla
correzione privata direttamente e solamente, ma al bene pubblico e al bene
comune, il quale deve sovrastare ad ogni altro nella città, ci è provato da
molti passi. Eccone uno che può bastare per tutti : « Se avrà peccato contro
di te il fratel tuo (') Nota perchè dice contro te : vuol dire che se il pec-
cato è noto a te solo, correggilo da te solo ; ma se gli è pubblico, correggilo
pure in pubblico. Contro te, s'intende ancora quando non è conlra la comu-
nità. Se tu sapessi che uno facesse contra al pubblico, e tu credessi poterlo
da te a lui correggere, fallo; ma perchè il bene pubblico importa grande-
mente, se tu dubitassi da te solo poterlo correggere, questo caso dubito debba
notificarlo; perchè quando tu se' dubbio, devi più presto inclinare al bene pub-
blico, che al privato; perchè ancora che tu qualche volta errassi per zelo del
(') Vangelo di S. Matteo, cap. XVIII.
— 204 —
bene pubblico, non è gran peccato; e benché tu punissi qualcuno, che non avesse
cosi errato come tu credi, se tu se' indotto solo dallo zelo del bene pubblico,
servate le debite circostanze, non fai gran male. Così dicono ancora i dot-
tori della Chiesa, d'un eretico; che se tu dubitassi di non poterlo correggere
da te, devi accusarlo. E nota questo parlare del testo: Se aorà peccato contro
te: chè, se il peccato d' uno è noto a te e non è pubblico, che tu devi correg-
gerlo da te a lui; la ragione è questa, perchè si deve conservare la fama del
prossimo: massime cl>e alle volte la infamia di uno nuoce a molti. Vedi che
l'infamia d'una figliuola d'un uomo, nuoce molte volte alle altre sue sorelle,
e a tutta la casa : però fanno gran peccato coloro che infamano una fan-
ciulla.... ». (Sopra Amos, predica XXI.)
Ma vi era poi un caso nel quale il Savonarola consigliava apertamente a
servi, alle serve e agli alunni di pubblicare i vizj de' padroni o de' maestri e
degli altri : quando questi avesser voluto ad ogni costo corromper quelli ed
abusarne. « Fanciulli miei, io ho detto a' vostri padri, che sarà buono che i
figliuoli loro imparassero tutti un poco di grammatica, e salariare i maestri, e
che fossero buoni e dargli buon salario. Ma se non fossero buoni quegli mae-
stri, e vi volessero fare qualche male, fanciulli miei, accusateli agli Otto ». (So-
pra Amos e Zaccaria, XX.) « Se nessuno di questi ribaldi che attendono a
quel maledetto vizio vi dicesse parola disonesta in secreto, la prima volta cor-
reggetelo da voi a lui; e dite: ribaldo, vergognati, ecc. La seconda volta siate
parecchi e fategli la correzione fraterna: la terza, siate tutti insieme, e fategli
la baia là in piazza, e ognuno dica: questo è il ribaldo; o voi lo accusate agli
Otto ». (Ivi, predica III.)
Questa era tirannide? questi i più bruschi mezzi coercitivi? Io lo con-
fesso francamente, e sento di far bene a confessarlo, che sarò felice sé i
figliuoli miei intenderanno bene quest' insegnamento, e saran pronti e disposti
a metterlo in pratica senz' alcuna paura. Noi siamo ancor troppo usi a' governi
tirannici, e odiosi ; siamo ancora troppo usi a costituzioni poco felici e poco
buone, siamo ancor troppo usi a piegarci innanzi alla prepotenza del ladro e
del vizioso, nè perciò sappiamo ancora spiccarci dalle tradizioni che ci fanno
considerare 1' autorità sociale come un peso, la società come un male. Firenze
aveva avuto per consiglio del Frate una libertà che non meritava, uno stato
troppo cristiano, troppo amabile, troppo superiore agli stati che ha anche
di presente l'Europa e però troppo più caro di quanto noi si capisca e troppo
più degno, degli stati moderni, che i cittadini ne avesser cura e lo difendessero!
Per questo non sappiamo capire del tutto il merito di alcuni mezzi che il
Frate consentiva a tutela di quella. Quando V intenderemo, dovremo ammi-
rarli; e allora apparirà cinta di nuovi raggi la persona del politico Fiorentino.
Ma anche di questo fra poco ritoccheremo.
Del resto nessuno creda ad ogni modo che la delazione consentila dal Sa-
vonarola potesse non essere seria e fondata. Il Frate in questo caso l'avrebbe
voluta punita gravemente: « E' si vorrebbe che quando uno sparla di un cit-
tadino, che quel magistrato a chi s'aspetta, mandasse per lui e dicessegli :
— 205 —
Vien quu, se tu mi giustifichi quello che tu di', io voglio punire quel tale cit-
tadino ; ma se non è vero, io voglio punire te poena talionis, cioè quella me-
desima pena che meritava lui, io voglio che tu V abbia tu. Se si facesse così,
non si mormorerebbe tanto. Ma voi avete troppi riguardi a vostre specialità, e
non volete punire chi erra. Donde nasce che le vostre specialità guastano la
città vostra ».
Dunque nulla di male, nulla di condannabile, nulla di eccessivo troviamo
fin qui ne' mezzi onde il Frate si valeva per conseguire la sua riforma: e per
contro ci appaiono essi fin qui tutti pieni di saviezza. Mail Pastornon è ancora
del tutto soddisfatto, nè è forse contentato in ogni suo desiderio il lettore no-
stro. « La giurisdizione de' fanciulli si estendeva fino alle fanciulle e alle
donne ». Quest'accusa del critico d' Innsbruck non è ancora in modo d:retto
ribattuta nè gettata a terra: si potrà forse già capire ed argomentare dal detto
fin qui eh' essa non regge, ma in modo esplicito non si è ragionato contro di
essa, e anche un solo dubbio eh' essa abbia qualche fondamento è già cosa
grave.
Esaminiamo adunque brevemente questa sentenza. Osserviamo prima di
tutto che la parola giurisdizione qui è per lo meno impropria e sa di eccesso.
Il Savonarola griderebbe: « Dimmi, i fanciulli sono eglino in magistrato, sono
eglino degli Otto »? (Sopra Amos e Zaccaria, XXXVII.) Ma lasciamo le questioni
di parole, e veniamo alle cose. Quale ufficio dovevano esercitare questi fanciulli
con le donne e con le fanciulle? Al più la correzione fraterna, quand'essi aves-
sero speranza, senza fare altrimenti scandalo, di buona riuscita. E qui fortuna-
tamente sappiamo anche in modo positivo eh' essi usavano ogni bella maniera
e ogni grazia, e che senza scandalo alcuno ottenevano molto bene. « Andando
per le strade, se avessero trovato qualcuna di queste giovani pompose, con
{■strascichi, o con fogge disoneste, la salutavano con gentilezza, facendole una
riprensione piacevole, dicendo: Gentile donna, ricordatevi che voi avete a mo-
rire, e lasciare ogni pompa e delicatezza, e tutta cotesta vanità; con certe al-
tre parole accomodate a simile opera, dimodoché da una volta in là, se non
per amore, per vergogna, lasciavano buona parte di loro vanità. Così ancora gli
uomini infami e viziosi, per paura di non essere additati nè iscoperti si astenevano
da molte cose ». (*) Or qui, quale fra i cattolici ha ragione di lagnarsi del Frate?
Mi par di sentirlo il Frate zelante, il quale non teneva che le teoriche cristiane
fosser da riputarsi per vane concessioni, ma voleva che si mettessero in pratica,
mi pare di sentirlo gridare: « Io ti dissi che se tu credevi far frutto, che tu dovevi
correggere il tuo fratello: ed ancora i fanciulli posson correggere i vecchi, ma con
reverenza sempre, quando vedessino che eglino errassero. Tu non hai bene stu-
diato, tu che di' che i fanciulli con ogni umiltà non debbono correggere i mag-
giori, che errassero: Ognuno, ti dico, è obbligato a correggere il suo fratello, per
(') Lettere di Giovanni da Empoli a suo padre; e Vita dello stesso, ecc. Archivio
Storico Italiano, Appendice, tom. Ili, pag. 22: cfr. il Marchese, Sunto storico del convento di
San Marco, lib. II, p. 210.
— 206 —
chè dicono i dottori, che se uno morisse di fame e tu hai del pane, e puoi
aiutarlo, e far che non muoia, che se tu noi fai, non vedendo che altri lo fac-
cia, acquisti peccato mortale: quanto più questo debbe esser nell'anima se tu
vedi di poter correggere le anime e levarle da' vizj, e tu noi fai, e lascile
dannare, pecchi mortalmente ». (Sopra Amos e Zaccaria, XXVII.) E mi par
di sentirlo ancora gridare forte e amaro il severo Frate, che coloro i quali si
lagnavano de1 fanciulli erano quelli che volevano persistere nel far inalee dare
lo scandalo.... erano i tristi che non volevano lasciare il vizio.... I buoni
n' erano contenti. (')
Certo a noi del secolo XIX produce un poco di meraviglia la vita di Fi-
renze nel finire del secolo XV; a noi fanno un poco di meraviglia le prediche
del Savonarola; ma se si considerassero le cose con occhio cattolico e nel se-
colo in cui avvenivano, se pensassimo al rispetto che si deve alla morale pub-
blica e al popolo che vuol viver bene, troveremmo per savio e discreto anche
qui il severo Frate di San Domenico; e se non volessimo addirittura ammi-
rarlo, cesseremmo almeno dall' irriderlo!
Ma già ci chiamano a sè cose anche maggiori, e qui ci par che debba esser
soddisfatto ogni desiderio e cancellata ogni accusa. Procediamo adunque. An-
dando innanzi ci si offrirà l'occasione di ritornare ancora sopra alcuni dei
punti qui toccati.
(') Per vedere la temperanza e la relativa larghezza del Savonarola nella materia che
ci occupa, tra i molti passi che si potrebbero vedere, rimando ancora il lettore alla predica
XLII sopra Amos e Z.iccaria.
XV.
La famiglia cristiana e Girolamo Savonarola.
Sommario.
Importanza dell' argomento. — Merito del Savonarola. — La famiglia in Italia nel secolo XV. —
Ombra fosca gettata sopra il Frate dal Pastor. — I nemici della famiglia cristiana e il
Frate di San Marco. — Il Pastor che copia sempre. — Perché si ribatte ora accuse vecchie.
— Il Pastor lustramento di Dio a glorificare Fra Girolamo. — Si trascrivono le accnse e la
fonte onde il Pastor le trasse. — Giudizio contro il Pastor ed il Perrens. — S' entra nel merito
delle accuse. — Come procederemo. — I sacri canoni e Girolamo Savonarola. — La donna sog-
getta all' uomo. — Una lettera del Frate a Giovanna Caraffa contessa della Mirandola. — La
donna buona e sapiente e la donna stolta. — Un' accusa che non fa delitto. — Il matrimonio
cristiano secondo Fra Girolamo. — 11 Savonarola non sollecitava troppo alcnno a vestirsi frate.
— Vii documento ai fanciulli. — La discordia nella famiglia e Fra Girolamo. — Fraternità
de' Savouaroliani. — Una spiegazione dataci dal Vaglienti. — Cose che nessuno nega. — Fra chi
la discordia. — L' amicizia cristiana e Girolamo Savonarola. — Alcuni terribili passi del Frate.
— Flia e Fra Girolamo. — La guerra generata dal Savonarola. — Fuoco che scoppierà o la
pace de' buoni e la separazione de' cattivi. — La vera cagione della guerra. — Fra Girolamo in
mezzo all' indifferentismo generale chiama le cose con il loro nome. — Il Savonarola raccomanda
1' unione e la pace. — Il rumore degli avversari rende sorda 1' eco della voce del Frate. —
Esposizione del VII di Michea. — Ingiustizia enorme. — Vii racconto. — Vn' accusa iuqualitì-
cabile. — Le testuali parole del Frate. — Il Savonarola commentato con il Savonarola. — Vn
fatto evidente e un naturale desiderio degli amici del Pastor. — Le accuse del Perrens aggra-
vate senza motivo. — Vn domanda spontanea. — Doveri de' genitori verso i figli. — La madre
allatti il figliuolo. — Il Savonarola confuta il Rousseau. — Vn principio adottato dal Savonarola
riproposto alla meditazione de' genitori e de' maestri cattolici. — Insistenza del Savonarola perchè
i padri e le madri nutriscano i figlinoli nelle cose di Dio. — Obbligo de' genitori di correggere
i figli. — I padri che guastano i proprj figli- — Cautele per mantenere l'innocenza de' fanciulli.
— Obbligo de' genitori di procurare istruzione civile e letteraria ai figliuoli. — I padri e le ma-
dri amino i figli senza specialità e li mantengano concordi. — Padroni e servi. — Doveri de' figlinoli
verso i genitori. — Fatica nostra uell' esser brevi. — Rispetto, amore, obbedienza, aiuto de' figli
al padre e alla madre. — Conclusione.
L' argomento del capitolo presente è, senza dubbio, uno de' più impor-
tanti che, specialmente pei giorni nostri, esistano nel campo della scienza e
della religione. Basterebbe a provarlo la grave lotta che alla famiglia cristiana
muovono le sette. Perciò, come sembravami che fosse degno d'encomio Fra Gi-
rolamo per aver saputo conoscere assai bene la natura della società dome-
stica, per avere parlato con molto zelo de' doveri e de' diritti che in essa
esistono, e per aver fatto per parte sua tutto il possibile affine di ristorarla
— 208 —
mentre era guasta e corrotta dal paganesimo; (*) così mi sembrava cosa degna
di qualche considerazione e di qualche utilità poter raccogliere le idee del
Frate di San Marco al riguardo e segnatamente quelle rispetto ai doveri dei
genitori verso i figli e di questi verso quelli; e offrirle all'età nostra come in
un trattatello o manuale cristiano.
Ma il Pastor anche qui ripete cose tanto fosche e tristi contro il Savona-
rola, che, ove fosser tutte vere, il Frate dovrebbe apparir meglio accetto agli
avversar)" della pace domestica e della famiglia cristiana che non agli amici e
difensori di queste.
Preme adunque, messo per ora da parte ogni altro pensiero, esaminare
prima di tutto le strane accuse, e vederne il valore. Il resto si farà poi.
E bene dirlo subito: il Pastor copia anche in questo punto da autori mo-
derni, senza darsi il minimo pensiero di constatare se quanto copia sia vero
o no. Le accuse adunque che qui si muovono contro il nostro Maestro
non son del tutto nuove, nè appartengono come proprietà al critico d' Inn-
sbruck. Ma noi credevamo, prima che questi le ripetesse, di poterle trascu-
rare, sia per la loro esagerazione, sia ancora perchè, non essendo esse ripetute
da cattolici autorevoli, stimavamo che non potessero esser credute da nessun
uomo serio. Ma ora che le scrive il Pastor, a cui credono molti, nel campo
cattolico, bisogna gettarle a terra. Gol Pastor va da sè, combatteremo anche
le fonti onde egli beve. Trascriviamo prima di tutto le accuse, e gli amici del
Frate ritengano un poco lo sdegno, pensando che tutto si volgerà in meglio, e
al trionfo del calunniato Domenicano. Nessuno cooperò tanto a far conoscere il
vero Savonarola per la parte della sua cattolicità quanto la statua di Worms (2);
ma a far conoscere intieramente e apprezzare i meriti del Frate coopererà
moltissimo il libro di L. Pastor. Vedremo che il Frate aveva ragione quando
gridava a tutto il mondo eh' egli aveva da vincere ad ogni modo.
Ecco adunque le accuse e la fonte principale onde il Pastor le attinse e
cui direttamente cita.
(') Non ci soffermiamo a mostrare a qual punto fosse ridotta la famiglia in Firenze
all'epoca del Rinascimento nel secolo XV. Questo può vederlo chi ne avesse bisogno e va-
ghezza nell' Introduzione del volume del Pastor dove parla del divorzio (p. 82) e della dis-
soluzione del matrimonio (p. 87); e anche nel Perrens per tutto il capitolo IV dell' Opera:
« La ciuilisation Fiorentine du XIlIe au XVle siede ». Pensando alla decadenza delle più
sante e naturali affezioni che in molti si verificarono allora, noi ammiriamo sempre più le
lettere del Savonarola alla famiglia, e ci sembrano più che mai preziose le belle pagine che
si leggono nel Compendio di tutta la filosofia e nelle prediche riguardo a questa santa istitu-
zione; e ci fa sempre più rancore che la penna del professor d'Innsbrucli non le abbia ap-
prezzate come poteva fare tanto utilmente.
(2) Dalla prefazione premessa dal P. L. Ferretti all' opuscolo del I'. Gr. Procter: Il Dome-
nicano Savonarola e la riforma già citato a p. 122, n. 4, togliamo quanto seguo: « Ai piodi dell»
statua di Lutero (in Worms) si vede sullo zoccolo del piedistallo il Savonarola seduto in-
sieme all' Hu8S, al Whychliff e a Pietro di Vaux; errore volgare che il Guasti chiamava «stac-
ciata calunnia » e il Card. Capccelatro « audacia, anzi improntitudine intollerabile; » e voci
eloquenti si levarono per rivendicare all' Italia questo onoro e alla Chiesa questa gloria. Il
Cardinale Alimonda pieno di nobile sdegno gridava: «Levate dal monumento di Worms la
statua del Savonarola! Vi sta per gridare a Lutero : Tu sei il malvagio fedifrago. E gli volg»
le spalle ».
— 209 —
Pastok
Nessuno scrupolo aveva il nostro
frate d' ingerirsi perfino ne' diritti pa-
terni. Anche qui predicava apertamente
la disubbidienza contro l' autorità da
Dio stabilita aggiungendovi ancora lo
scherno. Alcuni padri volevano inviare
i loro figliuoli in Francia, a fine di sot-
trarli all'influsso irresistibile del frate.
« Mandateli dove volete », gridava il
Savonarola con tono di provocazione,
« essi faranno ritorno.... » Il malumore
delle famiglie le cui onde avrebbero
poi inghiottito il capo popolo, s'ina-
spriva di giorno in giorno....
Anziché godere della pace promes-
sa, tutta Firenze, ogni famiglia era lace-
rata da litigi e discordie. I rimproveri,
che più tardi mossero in questo riguardo
al Savonarola gli accaniti suoi nemici,
sono giustificati.
« In tutte le case », così si la-
gnavano, « era sorta la disunione, ila-
» rito e moglie, padre e figliuoli, tutti
» insomma venivano fra loro a conte-
» sa. Tutto quanto il giorno udivansi
» fiere minacce. La suocera scacciava
» di casa la nuora, il marito la moglie,
» uniti solo in questo, di vivere sepa-
» rati. Le donne scrivevano di nasco-
» sto al Frate, per palesargli le trame
» che i loro mariti ordivano contro di
» lui». Genitori piantavano i loro figliuo-
li per entrare in un convento. (P. 139).
Contrariamente ai sacri canoni, il
Savonarola approvava 1' entrata di co-
niugate ne' conventi senza previo con-
senso de' mariti, ovvero la separazione
della sposa dallo sposo, contro la vo-
lontà di quest' ultimo (pag. 137).
Perrens
I padri s' irritavano al vedere i
figli loro entrare a capo basso a far
parte d'una fazione di cui essi eran
lungi dal partecipar le passioni Alcuni
parlaron di mandarli in Francia, per
sottrarli all' irresistibile influenza del
Savonarola. « Mandateli dove volete »,
gridava il frate in tuono di sfida, « essi
torneranno ». Con parole sì provocanti
quasi forzava la gioventù alla disub-
bidienza. Tuttavia non mancava di rac-
comandarle il rispetto a' parenti e an-
che la sommissione, la quale però non
doveva essere illimitata, uè doveva pre-
starsi in cose contrarie alla legge di Dio
o alle ingiunzioni del predicatore.... (l)
Per avere ascoltato più il suo zelo
che la sua prudenza, il Savonarola me-
rita in parte le accuse portate contro
di lui dai suoi nemici, nel processo :
« La discordia, » vi si dice. « era sorta
» in tutte le case. La moglie e il ma-
» rito, il padre e i figli, tutti erano in
» litigio. Ogni giorno si udivano atroci
» minacce, ia suocera cacciava di casa
» la nuora, il marito la moglie e non
» si trovavano d' accordo, se non per
•> vivere separati. Le donne scrivevano
> segretamente al Savonarola per de-
» nunziargli le trarne che i loro ma-
» riti ordivano contro di lui ». (Pag. 140
e 141.)
Giunse al punto d' approvare le
donne che, non avendo potuto ottenere
dai mariti il consenso di monacarsi,
prendevano la risoluzione di viver
tutta la loro vita come se maritate
non fossero. Osava stabilire pubblica-
mente i tempi in cui le donne dove-
vano astenersi dai mariti; per esempio,
l'avvento, la quaresima e ogni voltache
dovean recarsi alla chiesa. (8) (P. 137.)
(l) Queste parole contengono ann grave inesattezza. Il Savonarola non comandò né
consigliò mai nulla che non fosse comandato o consigliato dal Vangelo o dalla Chiesa.
(=) Anche questo luogo del Perrens vuole esser corretto. Non è esatto che il Savonarola
« osasse fissare pubblicamente i tempi in cui le mogli dovevano astenersi dai loro mariti »;
e non è nemmeno esatto ohe tali epoche fossero «per esempio, l'avvento, la quare-
14
— 210 —
Ecco dunque tutta la famiglia gettata a terra! Non più unione tra marito
e moglie, non più cura de' genitori per i figli, non più obbedienza, nè rispetto
de' figli per i padri!! Glie farci adunque di un frate cagione di tanto male!?
sima, e ogni volta che dovevano recarsi alla chiesa ». Il Savonarola piamente, e il più delle
volte in modo coperto, si contentava di consigliar di star lungi e ai mariti e alle mogli in
qualche tempo o giorno straordinario: per esempio, negli ultimi giorni della settimana
Siinta, o in quollo in cui si faceva la Pasqua, o in qualche giorno di digiuno straordinario
indetto per ottener grazie speciali, o allontanare qualche flagello dalla città. E il consigliar
questo ogni cattolico che non sia del tutto estraneo alla Sacra Scrittura, all'antica disciplina
ecclesiastica e all' ascetica de' nostri più insigni dottori, conosce che non è niente affatto male
o troppo rigoroso. San Girolamo citato da San Tommaso, P. Ili, qu. 80 a 7. ad. 2m, riporta
l'esempio degli Ebrei che solevano tenersi lontani dalle lori mogli allorché dovevano man-
giare i pani della proposizione; e l'applica con più forte ragione ai cristiani che devon man-
giare il Pane disceso dal cielo. V. a questo proposito la dottrina di S. Alfonso dei Liguori
Tuoi, morale, C. VI, a. 272. Son noti poi a questo proposito alcuni canoni del Decreto, II part.,
causa XXXII, quest. IV. Il canone Quotiescumque, attribuito a Sant'Agostino, dice: « Ogni
volta che ritornano o il Natale del Signore o le altre festività, dobbiamo, parecchi giorni in-
nanzi, astenerci dalle proprie mogli ». Il canone Fratres, citato da un discorso per l'Avvento
di Sant'Ambrogio, dice: « Fratelli, non solo dovete serbarvi puri da ogni immondizia, ma
contenetevi anche studiosissimamente dalle proprie mogli. Nessuno affatto si congiunga con
la moglie sua ne' giorni dei digiuni». E cosi altri. Nicolò I (Responso, ad Consulta Bulgaro-
rum) al capo LXIII prescrive 1' astensione in ogni Domenica: e al capo L stabilisce la me-
desima cosa per il tempo della quaresima: « Quadragesimae tempore ab uxoribus abstinendurn».
E finalmente, per tacer d'altri, il Catechismo del Concilio Tridentino, parte II — Del Sacra-
mento del Matrimonio — N. XXXVIII, dice: € Perchè ogni bene si vuole impetrare da Dio
con sante preghiere, bisogna insegnare ai fedeli, che, al fine di pregar Dio e impetrarne i
favori, si astengano qualche volta dall'ufficio del matrimonio; e prima di tutto sappiano
che ciò devono essi fare almeno tre giorni innanzi che ricevano la Sacra Eucaristia; e
molto spesso poi quando si celebrano i solenni digiuni della quaresima; si come i Padri
nostri rettamente e santamente comandarono » Pensando a queste autorevoli prescrizioni
ed a più altre che si leggono specialmente ne' rituali delle varie chiese, il Savonarola, guar-
dato ne' tempi suoi, ci apparirà anche qui come larghissimo. Ecco alcuni de' passi suoi al
riguardo: « Quanto al tatto, stieno in questi giorni i mariti separati dalle mogli e ognuno
esorti 1' uno l'altro a star casti; e raccomandatevi al Signoro, che Lui è quello che dà la ca-
stità. Si che quanto alla dilettazione del tatto ognuno si astenga e faccia un poco di peni-
tenza ». (Pred. II sopra Ruth e Micbea, fatta il di dell' Ascensione, 1496.) E nella predica XLII
sopra Amos e Zaccaria parlando, come già sappiamo, del Sacramento della Comunione c di-
sponendo i Fiorentini a fare una buona Pasqua, dopo eh' ebbe notato, proprio con le parole
di San Tommaso, non esservi cosa che impedisca più la preparazione del Sacramento, quanto
la libidine, e aver detto la ragione di ciò, aggiunge: cE però dovrebbero staro i maritati
la Quaresima senza le donne; o se pure alcuni sono tanto fragili, che non possano contenersi,
dovrebbero almanco stare questi di santi, o almeno almeno tre di prima e tre di poi a rive-
renza della Santa Trinità. Io non dico che sia peccato mortale o veniale.... » Dove trovate qui lo
cose attribuite al Savonarola dal Perrens? Del resto, generalizzando, diceva che «chi vuole
viver bene, vivere da cristiano.... deve levare l'affetto della carne e vivere castamente fug-
gendo le donne e l'altre occasioni della lussuria; e benché sia in istato di matrimonio, devesi
in quello stato servare con ogni onestà secondo ehi gli sarà insegnato dal suo padre spirituale»,
(Del Ben Vivere.) l'assi più rigidi io nel Savonarola non ne ricordo; e mi pare quindi che
nessun uomo onesto possa aver nulla a ridire. Del resto, proprio nella predica XX sopra
Ezechiele, alla quale il Perrens s'appoggia, il Frate dice diametralmente il contrario di
quanto questo suo biografo gli fa dire. Imperocché dopo di essersi ivi doluto che le donne
« piangessero Adonide amoroso di Venere » e si facessero sporcizie da meretrice, soggiunge:
« Sai che si logge, che quella donna, che aveva fatto l'atto del matrimonio la notte, e an-
dando alle reliquie di San Bastiano, che il diavolo la vollo soffocare; se non che Dio l'aiutò.
Non dico però che sia peccato lo andare in chiesa così, acciocché nessuno avesse scrupolo; ma
prima si soleva andare con una gran purità ». (Vedi Sau Gregorio, Lib. I do' Dialoghi, cap. X,
— 211 —
o che giudizio pronunciarne?! Prima di tutlo permettetemi che !e accuse del
Perrens io le dica tulle assolutainenle infondate e false; e permettetemi eh' io
ripeta qui apertamente una nota di biasimo al Pastor, che le ha troppo leg-
germente ripetute. Ad ognuno è fatto obbligo di guardarsi non solo di perse-
guitare; e di punire, ma anche di giudicare ingiustamente chicchessia. Non solo
è reo chi dice il falso contro alcuno, ma anche chi alle imputazioni apre troppo
presto le orecchie. De' due giudici, nel caso presente, mi pare del resto più
colpevole il Pastor che non il Perrens; sia perchè il Perrens attenua assai al-
cune accuse, le quali nel Pastor appaiono più crude e di peggiore effetto; sia
perchè il Perrens, come razionalista, non intendeva molte delle cose che di-
ceva; mentre tutto il contrario si deve dire del Pastor.
Oltre a questo abbiamo un diritto di lamentarci altamente che il Pastor,
mentre accetta a chiusi occhi la testimonianza del Perrens e del Vaglienti evi-
dentemente appassionato contro il Frate, mentre accetta senza riserva quanto
dicevasi in Firenze e fuori dai Compagnacci e da tutti i derisori del Frate, non
cura in alcun modo la favorevole testimonianza della maggiore e miglior parte
dei Fiorentini, specialmente sul nostro argomento. Non parlo dei molti biografi,
perchè essi, secondo il Pastor, sono apologisti prevenuti in favore del Frate; ma
mi rimetto solo agli innumerevoli documenti pubblicati fin qui, alle lettere
scritte appunto nei giorni in cui i fatti avvenivano, e alle consulte tenute in Pa-
lazzo dai rappresentanti di tutte le famiglie fiorentine. Leggansi queste lettere,
si consultino con calma tutti questi documenti, e vedremo a chi deve darsi ragione.
Citiamo per saggio la lettera della Signoria scritta ad Alessandro VI in uno dei
momenti più tempestosi della vita del Frate (4 marzo 1498), ove tra i frutti della
predicazione di lui è annoverato questo : « insegnare ai genitori la migliore
educazione ed istruzione dei figli, perchè siano degni del nome cristiano.... » (*);
la lettera dei frati di San Marco, ove parlasi del « vero vivere cristiano » in-
trodotto per opera del Savonarola in città, e delle sue esortazioni alla « vera
•ov'e narrato queslo fatto.) Nessun dubbio adunque che qui il Savonarola griderebbe al suo
biografo francese: — Tu non hai ben letto. Questo che tu di', io non lo dissi mai; e quello
che io dissi tu non lo hai inteso punto. -Ma per tutto ciò che riguarda l'ascetica cristiana
il Perrens doveva chiamarsi e ritenersi profano, si come egli fa per il dogma (Conf. Vii-
lari, Arte, Storia e Filosofia, saggi critici, Firenze, 1881, pag. 319), e, come incompetente, aste-
nersi dal giudicare e dal parlarne. Il Perrens che ebbe il merito di risvegliare il fervore
degli studj Savonaroliani tra i moderni, non evitò gravi errori, come il Villari nel luogo
citato fa toccar con mano. Vedi nel Periodico: il Rosario Memorie. Domenicane, anno XIII,
fase. 16. un articolo del P. L. Ferretti dei Predicatori, intitolato : Una preziosa ietterà di
SanV Antonino e un giudizio del Perrens. Fra le altre cose il P. Ferretti dice (e dice bene) che
il Perrens ha falsato il carattere di Fra Girolamo Savonarola e prestato materia per falsarlo a
storici posteriori. Ma più di lui sono colpevoli i cattolici che gli credono e gli vanno die-
tro. Anche qui mi par di sentirlo un'altra volta il Frate gridare sdegnato: « Perdoniamo a
quelli che non hanno udito, nè potuto udire, perchè molti stanno di fuora, e gli è scritto
molto male, e molte bugio, e non possono intendere il vero ; ma non perdoniamo già a voi,
che avete udito, ni a quelli che hanno potuto udire ». (Sopra Ezechiele, pred. XXX.)
(') Vedi pubblicata questa lettera nell'opuscolo citato del P. Procter II Domenicano
Savonarola e la riforma, p. 66.
212
pace di tutti gli uomini », lettera seguita da un'altra dei cittadini e sottoscritta
da 358 dei più nobili ed autorevoli, che dovevano in massima parte esser pa-
dri di famiglia ('), i quali confermano che le cose dette dai dugento frati di
San Marco erano « la vera e sincera e indubitata verità ». (2) Leggasi nel Lupi
(Nuovi documenti) la pratica tenuta il giorno innanzi la spedizione della sud-
detta lettera della Signoria, leggasi nel Gherardi (pag. 157) la lettera dei Dieci
all' Oratore fiorentino di Roma, ove si dice che « qui nella terra intra tutti li
cittadini universalmente non s' intende alcuna discordia, nè disunione » e si la-
menta solo che in Roma « si ascoltino alcuni abbaiamenti di persone disperati
e passionati senza credito alcuno »; leggansi le parole che V oratore stesso di-
ceva al Papa (ivi, pag. 165) della « singulare affezione e devozione » la quale uni-
versalmente era portata al Frate dal popolo fiorentino « per la sua maravi-
gliosa dottrina e integrità di vita e per i grandissimi frutti che ha fatto e fa
nella città circabonos mores et adbene recteque vivendum »; leggansi (ivi, pag. 87)
le sottoscrizioni dei principali cittadini Pratesi che accettano le norme del ben
vivere indicate da Fra Girolamo e praticate con tanto frutto in Firenze ; (3)
leggasi, dico, tutto questo, e vedrassi a prima vista se alle parole dei nemici
e degli arrabbiati, doveva darsi valore.
Ma esaminiamo; i lettori vedranno da sè quale giudizio abbiano da fare
de' critici del Frate: nostro ufficio è di provar che le brutte sentenze si de-
vono cassare! Procederemo così. Prima mostreremo brevemente l'inesistenza
de' reati apposti al Frate a uno a uno: poi, come per addolcirci dell' attosca-
mento delle calunnie, diremo, del pari brevemente, della famiglia secondo il
Savonarola con ispeciai riguardo ai figli: brevemente, anche per non usurpare
la materia ad uno scritto speciale che abbiamo in cuore di fare in tempo non
lontano, quando ci saremo sbarazzati degli errori più grossi che c'ingom-
brano il cammino neh' Apologia del Savonarola, e avremo sradicati alcuni per-
niciosissimi pregiudizj che gravitano sopra di quello e paiono indebolirne la
fama.
« Contrariamente ai Sacri Canoni il Savonarola approvava 1' entrata di
coniugate nei conventi senza previo consenso de' mariti ». (Pastor, pag. 137.)
(') Nella citata lettera i Frati ili San Marco si dicou pronti a mandare ni Papa « non
solo molte centinaia, ma migliaia *> di sottoscrizioni.
(2) Vedi questo lettere nel Villari, voi. 2, p. xlij e xliij.
(3) Leggasi anche la lettera che Guglielmina della Stufa scrive a Luigi suo marito com-
missario in Arozzo per informarlo della malattia di un loro piccolo figlinolo o di essore
stata ad una predica del Savonarola, e se si resterà ammirati per la devozione di questa gen-
tildonna per il Frate, non si resterà meno per l'amore grande ch'essa porta a tutta la sua
casa e al marito col quale visse in grando intimità d'affetto por altri cinquant' anni. 11 Ghe-
rardi, pubblicando questa lettera, la dice alfettuosissi ma, e crede sia forse la prima che venga
in luco d'una di quello centinaia anzi migliaia di donne fiorentine che frequentavano le pre-
dicho del Savonarola: o dice del pari elio le poche lettere famigliari ohe ci rimangono di
questa donna sono addirittura una meraviglia d'affetto e di stilo e potrebbero essere una
buona fonte di storia. Non è forse nemmeno inutile 1' osservare che il marito di Guglielmina
il Gherardi lo dice di famiglia medicea e mediceo. (Ivi, pag. 121-129.)
— 213 —
È una calunnia! II Savonarola invece scrive cosi: « A nessun sacerdote
■sia lecito ignorare i Canoni, nè fare alcuna cosa contraria alle regole dei Padri:
Nulli Sacerdotum liceat canone* ignorare, nec quidquam facere quod jjossit patrutn
regulis obviare »; e: « Io mi sono sempre governato secondo i Sacri Canoni ».
(Scritti inediti, in principio della Bibbia Magliabeccbiana ; Lettera al Duca di
Milano, 25 aprile 1496.)
Mi trovi il Pastor una parola o mi adduca qualche fatto accertato che ab-
bia almeno l'apparenza del dubbio che Fra Girolamo non fosse fedelissimo a
questa norma, e allora cesserò dal chiamare calunniosa la grave accusa.
Del pari: « Il Savonarola (sempre contrariamente a'Sacri Canoni) approvava
la separazione della sposa dallo sposo contro la volontà di quest'ultimo ».
E una calunnia: Il Savonarola scrive nella conclusione VII del libro III
della Semplicità della vita: « Le donne sicno soggette ai loro mariti, acciocché
quelli che non credono alla parola, diventino, per la conversazione di quelle,
senza parola, fedeli ». E nella IX sulla prima di San Giovanni: « Cristo è capo
di ogni uomo, e l'uomo è capo della donna... l'uomo deve insegnare... e le
donne debbono a casa domandare ai loro mariti. Onde dice l'Apostolo: Le
donne, se vogliono imparare alcuna cosa, la domandino a casa ai loro mariti ».
E a Giovanna Caraffa contessa della Mirandola scriveva ancora il Frale: « Vo-
lete voi piacere a Dio? Vivete nell'allegrezza; e invece di pensare a' vostri
scrupoli, non meditate se non la sua liberalità. E se con ciò la vostra coscienza
è tuttavia inquieta, consultate uomini prudenti, e seguite i loro consigli. Non
avete voi d'altra parte vostro marito, il conte Giovanni Francesco, per diman-
dargli consiglio ? Voi potete, anzi dovete rapportarvi a lui. Io so che i suoi
avvisi saranno eccellenti. Accettandoli umilmente, voi vi renderete grata a Dio,
e attirerete sopra di voi la grazia celeste, e tranquillizzerete l'anima vostra ».
11 Savonarola diceva alla donna buona: « Va e ordina la casa tua in
modo che stia bene... la donna sapiente edifica la casa sua e la stolta con le
sue mani la distrurrà ». (XXXVIII sopra Amos e Zaccaria ; IX sulla I di
San Giovanni.) E nella predica XIX sopra Ezechiele esponendo il primo verso
del capitolo VII di questo profeta, applicando alle varie condizioni e stati di
persone le parole: a' cinque del mese, rivolto alle donne dice: « E tu, donna,
i cinque dì, sono i tuoi, il primo è 1' onore di Dio, secondo 1' anima tua, terzo
il tuo marito, se tu l'hai, quarto i figliuoli, quinto i prossimi parenti e amici,
i tuoi servi e la casa tua ».
Mi trovi il Pastor che queste norme, questi precetti e questi consigli Fra
Girolamo non li tenesse per buoni e insegnasse almeno una volta ad alcuno
a trapassarli, e allora cesserò di chiamar calunnia la grave accusa. Mi trovi
il Pastor una parola o mi adduca qualche fatto accertato che lascino almeno
V apparenza del dubbio che Fra Girolamo non fosse fedelissimo a queste idee,
e allora mi ridirò. (i)
(') Il Perrens per sostenere la sua pur gravissima asserzione, 1' appoggia alla pre-
dica XXIX sopra Ezechiele (Ct. Ilistoire de Florence, II, pag. 231); ora questa predica è la
— 214 —
« Le donne scrivevano di nascosto al Frate, per palesargli le trame che
i loro mariti ordinavano contro di lui. »
Ridicolaggine! Qual donna scrisse? e se mai, qual colpa ne aveva il Frate?
anzi qual merito?! Imperocché qui non trovo nemmeno che l'accusa costitui-
sca delitto di alcuna sorta: anzi mi parrebbe male che si dovesse dire il con-
trario. Supponete: Io sono un ribaldo scellerato, e con altri scellerati e ribaldi
al par di me ordisco una trama contro di Lodovico Pastor; tramo di togliergli
la vita: mia moglie che si è accorta della trama, ed ha coscienza dignitosa e
netta e non vuole che nè io nè altri ci rendiamo rei di un delitto così grave e
lo consumiamo, nè che Lodovico Pastor ne sia vittima, nascostamente scrive al
chiaro professore e gli manifesta la trama perchè se ne guardi. Qual delitto
nel caso avrebbe commesso Lodovico Pastor ? E nel caso identico, quale
delitto avrebbe commesso adunque il Savonarola?... Datemi una buona ragione,
e cesserò dal chiamare ridicolaggine l'accusa contro il Frate.
« I genitori piantavano i loro figliuoli per entrare in un convento ». A.v-
veniva ciò davvero? i genitori piantarono davvero all'epoca del Savonarola i
loro figliuoli per entrare in convento? Datemi qualche prova, qualche esempio.
Avveniva, come voi insinuate, per consiglio e opera di Fra Girolamo ?
E dunque un'altra calunnia! Fra Girolamo raccomandava ai genitori i loro
figliuoli, e faceva loro gran carico e gran peccato se li lasciassero perdere il tem-
po. Il matrimonio per Fra Girolamo era, come è per tutti i canonisti, sacramento
della nuova legge per generare ed educare piamente e cristianamente la prole,
e non per farsi frati e piantare la prole generata, allorché questa ha bisogno
dell'opera de' genitori: « Alla vita corporale bisogna prima la generazione, cioè
essere generato l'uomo; e perchè il principio della generazione è cosa imper-
fetta, gli bisogna l'augmento e poi il nutrimento a poco a poco, acciocché si
faccia perfetta la cosa generata; e poi bisogna che la conservi e vada mante-
piè recisa condanna che si possa pronunciare intorno all' accusa stessa come anche intorno-
a quella che il Frate mettesse discordia nella famiglia e a più altre già da noi esaminate
altrove e segnatamente a quella di eccessivo rigore. Ivi il Frate si la a parlare della vita-
cristiana e della via che conduce alla perfezione; e dopo aver detto che la vita cristiana è
la cognizione di Dio, e che bisogna prima di tutto darsi a questa cognizione e intender
sempre questa cosa con fede, e che la carità gli vada dietro, e più altre ed altre cose belle,
venendo al punto ch'ora più ci riguarda, dice: « Bisogna domare le sue passioni, stare pa-
cifico e basso: non andar a comunicarsi e poi gridare tuttodì. Leggendo ieri dell'Abbate
Macario, trovai che gli fu detto una voltai che due donne erano di cosi perfetta vita; lui
volle parlar loro, e disse: — Glie bene fate voi? — Risposero: — Nulla: pensa che stanotte
siamo state con i nostri mariti. — E lui pure: — Che fate voi? E' mi è detto di voi tanta
perfezione.... — Risposero: — Noi siamo due cognate, che volevamo andare alla religione ; i
nostri mariti non hanno mai voluto, intanto che da noi due ci siamo accordate di fare
come so fossimo alla religione, cioè di stare in una santa pace insieme e obbedire Vunal'aUraT
e cosi facciamo. — Oh! oh! disse Macario: andatevi con Dio, o seguite, che siate benedette;
perchè lo spirito spira dove egli vuole. — Io dico che bisogna domare queste passioni ».
Qui appar evidente anche ai ciechi, die il Perrens lesse con gli occhiali colorati, come di-
rebbe il nostro Frate, e non ha punto inteso! Ma quanto non dee far pena ai cattolici, e
specialmente ai Piagnoni, che il Pastor gli abbia prestato cieca fede, e non si sia curato tam-
poco di dare uno sguardo a quest'aurea predica!!! E chi ci potrà far cessaro dal rido-
lerci ch'egli scrivesse impreparato e senza conoscor lo opero dell'illustre condannato?!!
«
— 215 -
nendola; e questi sono il padre e la madre, che fanno e allevano e nutriscono
i figliuoli....
« Del Sacramento del matrimonio diciamo che è stato convenientemente
ordinato non solamente per conservazione della specie umana o per utilità
del bene pubblico, ma eziandio per moltiplicazione e conservazione de' fedeli
insino alla fine del mondo; la quale risulta in onore di Dio. La congiun-
zione dunque del maschio e della femmina, quanto la concerne il ben della
Chiesa, è vero matrimonio e sacramento. Onde i sacerdoti lo benedicono. E
come gli altri sacramenti per i segni esteriori significano qualche cosa spiri-
tuale e danno la grazia, così questo sacramento significa la congiunzione di
Cristo e della Chiesa, e conferisce grazia a chi lo riceve devotamente; e con-
siste più nella congiunzione degli animi, che nella congiunzione corporab. Ed
essendo solamente un Cristo ed una Chiesa, volendo noi che il figurato risponda
alla figura, è necessario che il matrimonio, che è sacramento della Chiesa, sia
congiunzione inseparabile di uno solo e di una sola per generare figliuoli al cullo
divino e perpetuare la santa Chiesa ».(') (Lettera al Padre 25 aprile 1475 ; sopra
Giobbe predica XLI; Trionfo, libro III, cap. XVI, cfr. la predica XXXVII sopra
Ezechiele.)
Leggendo nelle Opere del Savonarola io ho visto esser verissimo quello
che di lui scrive il Villari; cioè ch'egli con la massima prudenza consigliava
tutti coloro che si convertivano vinti dalla sua parola, come aveva fatto Bet-
tuccio; ne mai sollecitò troppo alcuno a vestirsi frate. Il suo unico scopo era
migliorare i costumi e diffondere la morale, rigenerare quella religione di Cristo
che sembrava morta negli animi. (Lib. II, cap. VII.) Una prova della verità che
qui si afferma l'avete nella predica XI sopra Amos, dove dice: « Or su fanciulli
miei, al ben vivere: io vi voglio dare un documento: Chi è prete viva bene,
chè guai a questa volta alla chierica rasa che non vivrà bene. E' si soleva
dire: Beata è quella casa che ha chierica rasa; e io vi dico che verrà tempo,
che si dirà: Guai a quella casa che ha chierica rasa, se non vivrà bene. Fan-
ciullo mio, io ti voglio dare un documento: se tu se' chierico, se tuo padre
ti volesse dar beneficj, massime con cura, che tu non li pigli insino a
tanto, che tu non hai venticinque anni; e non fare a modo di tuo padre in
questo. La religione de' preti è buona, sì, se è bene osservata. Così anche voi,
fanciullini, non vi fate frati, aspettate almanco che abbiate quattordici anni,
e poi delibererete quello che abbiate a fare; perchè, per avere prevaricato i
preti e frati, il popolo è fatto ancora cattivo ; e però questo flagello viene, e
non per altro; cioè questa è la principale causa del flagello ». E nella pre-
dica XIII sopra Ruth e Michea il Savonarola dice ancora esplicitamente, che
egli non stimola nessuno a farsi frate, che non andassero a dar noia a lui,
ch'egli non dà noia a nessuno. E questo dice parlando de' figliuoli : quanto
più adunque dobbiamo intendere de' genitori, che per entrare in convento aves-
si Cfr. San Tommaso Soriima Filosofica contro i Gentili, Lib. IV, Cap. LXXVIII, e più
altri luoghi.
— 216 —
sero a piantare i loro figliuoli, cioè avessero a vestir l'abito di frate com-
mettendo un grave peccato con venir meno agli obblighi loro imposti dalla
legge naturale, dalla civile e dalla ecclesiastica?! In verità io trovo ben altro
nelle prediche del Savonarola da quello che mi si vuol far credere rispetto
al Frate ed ai conventi!! Sentite, e non iscandalizzatevi, o buoni, ma intendete
le parole del severo Riformatore come vogliono essere intese: «Fanno oggi i
nostri sacerdoti come i farisei, i quali Cristo riprende nel Vangelo, che dicono ai
padri e alle madri: — Lasciate qualche cosa alla nostra chiesa, o al nostro con-
vento, per fare una cappella. — Io vi dico che voi fate male, perchè la roba
principalmente è fatta per i secolari; benché i sacerdoti n'abbiano avere il
loro bisogno. Saria troppo lungo discorso a raccontare tutti i modi ne' quali
costoro rubano le povere madri vedovelle! Arrecano loro certe coronelle e le
ingannano. Tu ancora, donna, non fai bene a dar via la roba del tuo marito, che
non sai se vuole. Guardatevi adunque, dico, dalle mani di frati e monache e
preti! Io parlo sempre di cattivi, non dico di chi è buono, perchè i buoni non
fanno questo, ma enne certi che vanno troppo rapinando... »
Altro che rompere le famiglie e porvi la discordia! Mi sappia il Pastor tro-
vare un solo caso in cui Fra Girolamo abbia consigliato ad entrare ne' conventi
o in monasteri altrui, o abbia accettato tra i suoi un padre di famiglia o una
madre, contrariamente ai canoni e allo spirito della Chiesa, e io cesserò di
chiamar calunniosa la grave accusa e mi darò per vinto. Ma finché il Pastor
non lo farà, avrò diritto di ripetere con Isidoro Del Lungo: « Il Savonarola
che sulla caduta della supremazia medicea tentò costruire saldamente 1' edifi-
cio del governo popolare, sentì quanto importasse al suo intedimento avere
a ciò profonde basi nella famiglia; pensò come la prima delle sue riforme la ri-
forma del costume, e si rivolse alle donne; e non tanto, intendo, alle mistiche,
quanto alle madri proprio di famiglia; il Savonarola si rivolgeva alle donne e
a' fanciulli che è quanto dire alle forze dell' affetto materno.... Il magnanimo
frate fu arso .... ma molta parte di quella generazione informata da lui rimase
fedele al popolo e libertà .... » (')
« In tutte le case (continua il Pastor) era sorta la disunione. Marito e mo-
glie, padre e figliuoli, tutti insomma venivano fra loro a contesa. Tutto quanto
il giorno udivansi fiere minacce. La suocera scacciava di casa la nuora, il ma-
rito la moglie, uniti solo in questo di vivere separati. » (2)
Questo, continuando, afferma il Pastor; ma dove ha egli trovato prove suf-
ficienti per asserire accusa si grave?! e che fece il Savonarola per mutare in
(') La dama fiorentina, conferenza nel volume La vita italiana, eec.,p. I, Stoiia, pag. 200.
(J) Non mi soffermo ad esaminare la forma ili quest' accusa, ma vi avrei pure qualche
cosa a ridirei Per esempio, se la suocera, la nuora, il marito, la moglie « erano uniti in
questo di viveiv separati », a che minacciarsi tutto il giorno fieramente e scacciarsi di casa?
Qui l'esagerazione e l'eccesso, per non dir la passione, sono manifesti o avrebbe dovuto
scorgerli il Pastor cho accusa tanto sovente il Frate di eccesso e di passiono, di veder solo
il malo e non il bene. Anche qui, pur troppo, si è tentati di ripetere: L' affetto l'intelletto
lega: e il pretesto di ripeterlo v' è senza dubbio.
— 217 —
una specie di vestibolo infernale la bella città del Fiore? ! Il Perrens, apag. 134,
ripete ciò che dicono i biografi del Frate che, confluendo da ogni banda gente
per udir la predica, e insino dalle montagne asprissime, non mancavano ric-
chi e pieni di carità che avevano grazia di dar mangiare e bere e alloggio in
casa loro a venti e trenta e quaranta forestieri per volta di quelli che venivano
alla predica, andando spontaneamente ad invitarli. Anzi dice proprio che una
specie di fraternità s'era stabilita tra i seguaci del Padre; e par che ci con-
senta di credere al Burlamacchi che in Firenze pareva proprio una primitiva
Chiesa.... E poi notissimo che il Savonarola ed i Savonaroliani godevano di
starsi uniti insieme e vivere d'amore e d'accordo; imperocché ripetevano in-
cessantemente : Quanto è buono e giocondo abitare i fratelli tutti insieme, (l) op-
pure in un cuore, come il Savonarola stesso traduce nella XLVI sopra Amos e
Zaccaria. Come si spiega adunque tanta unione con tanta discordia?! Ho ca-
pito. La spiegazione non è difficile, e se mai ce la dà il Vaglienti. « Andando
pure colle sue predicazioni seguitando, dicendo che le parole che proponeva
le aveva da Dio, e '1 popolo dandoli fede chi sì e chi nò, mise nella città tanta
eresia e tanta setta, eh' era venuto in nella terra parte grande nei cittadini,
e nelle case della terra tra padre e figliuolo e fra moglie e marito; e a mezza-
notte si levavano le donne, e li uomini per andare a Santa Maria del Fiore a
pigliare e' luoghi; e alle volte presi i luoghi, vi era di grandi questioni tra
donne e donne, dicendo loro che quello che diceva era il vero lume, e chi non
credeva alle parole che predicava era eretico e fuora del vero lume... »
Questa è la descrizione nella Riv. delle Bibliot. voi. IV, pag. 53-61 cui il Pa-
stor accenna in conforto delle asserzioni del Perrens e sue. Ora che cosa si
raccoglie quindi che faccia torto al Frate? Io non vi veggo nulla. Essa mi ma-
nifesta uno de' molti sforzi che i Medici fecero sempre inutilmente per accusare
il povero Frate e nulla più. Che non tutti credessero alle parole di Fra Giro-
lamo, e che non tutti si riducessero al semplice vivere cristiano, che non
tutti s' acquietassero al nuovo stato di cose, chi mai lo potrebbe negare ? chi
mai l'ha negato? Non lo afferma il Savonarola continuamente anch' egli?
Dunque, ecco tutto: gli avversarj del Savonarola, cioè i Compagnacci, gli Ar-
rabbiati, i tiepidi (lascio per ora i Palleschi de' quali dobbiamo occuparci in
altro capitolo trattando della politica del Savonarola) discordavano da' seguaci
del Frate; e con tutti gli sforzi, anche inauditi, il Savonarola non riusci a
trarre costoro dalla sua: essi non vollero lasciare le pompe, i giuochi, le
usure e gl' innominabili vizj a cui erano rotti, e però non potevano sopportare
il predicatore che continuamente abbaiava loro contro, nè i Piagnoni ch'erano
ad essi un continuo rimprovero! E però fra questi e quelli v'era discordia.
Questo ve lo concediamo; ma che doveva, che poteva fare il Predicatore fio-
rentino, che non ha fatto per toglier questa discordia e ridurre tutti ad unirsi
nella carità di Cristo? Chi ha saputo scrivere cose più belle dell'amicizia dei
(') Salmo 132.
- 218 —
cristiani di quello che ha fatto Girolamo Savonarola ? La predica XX sopra il
Salmo Quam Bonus è tale che difficilmente la potrai leggere intiera senza ar-
restarti più volte per la grande ammirazione e commozione dell' anima alle
ineffabili dolcezze che si provano: si vegga e « s'intenderà quanto dolce pa-
radiso è » secondo il Savonarola, « la mente del giusto e la congregazione
de' giusti ». Or chi sapeva scrivere cose di quella fatta poteva non adoperarsi
con tutte le forze sue perchè regnasse l'amicizia e la pace in una città e in
un popolo che egli amava più di se stesso ?! Ma gli uomini (per un cristiano
è troppo noto) non si amano comechessia: si ama prima Dio con tutto il cuore,
con tutta 1' anima, con tutta la mente, con tutte le forze nostre, e poi il pros-
simo come noi stessi: cioè a quel fine al quale noi amiamo noi medesimi: che
non vuol dir altro se non che noi desideriamo al prossimo nostro quella beatitu-
dine e perfezione di vita e ogni altro bene che noi desideriamo a noi medesimi,
acciocché in lui come in opera perfetta sia onorato e lodato Dio. (Cf. Trionfo,
lib. Ili, cap. XI.)
Ma che si potrà fare quando dell'onore e della lode di Dio altri non ne
vuol sapere? che si potrà fare quando i cattivi de' tempi passati vogliono ancor
essere i cattivi de' tempi presenti?! Che si può fare, se coloro i quali dovreb-
bero aiutare chi si affatica per metter la pace tra' fratelli, renderli tutti buoni
e perfetti cristiani, o per superbia o per invidia o per avarizia fanno il con-
trario?! Si dovrebbe combattere con quelle regole con cui il Savonarola com-
batteva (l) e nient' altro, se si vuole esser cattolici. E chi vuol esser cattolico, e
imitar Cristo, dovrà nel caso ripetere col Savonarola: « Che cosa è questa che
è venuta oggi tra i cristiani, che quando uno vuol far bene, o sia prelato, o
prete, o frate, o fanciullo, ognuno gli è addosso?! E' sono de' buoni in ogni reli-
gione che hanno avuto qualche lume, benché siano la minor parte; ma i prelati
loro gli danno in sulla bocca e non gli lasciano parlare » ?!
In conclusione che cosa predicava il Savonarola? La dottrina di Cristo, la
verità della fede, la semplicità della vita cristiana, il timore di Dio, la riforma
de' buoni costumi, 1' amore al bene comune, la pace universale.
A chi assentiva a queste cose, il Frate non chiedeva altro, e non gì' im-
portava nemmeno se non credeva alle sue profezie. Ma con quelli che queste
cose non volevano eseguire, che unione potevano fare i buoni ? e che poteva
far loro il Frate se non ciò che Cristo agli scribi e ai farisei? Chi oserebbe
condannar Dio perchè avversario d'ogni male? Sentiamo alcuni passi del
Frate, quelli ai quali forse il Perrens s' è appoggiato scrivendo le parole co-
piate dallo storico d' Innsbruck.
« Tu non sai ancora veder dove io arrivo; io mi son lamentato al Signore
ed è accaduto a me come intervenne ad Elia, il quale ebbe paura: e pure egli
era così gran profeta! ancor' io ho avuto paura. Elia se n'andò là sotto
un ginepro, cominciò a lamentarsi al Signore e dire: Tolte anitmm meam: ego
(') Vedi sopra a vmg. 172 e set».
— 219 -
non sum mélior patribus meis:^) deh ! Signore, togli l'anima mia; già non sono
io migliore de' miei padri, i quali son tutti morti, ammazza ancora me. L' an-
gelo suo venne, toccollo e dissegli: Che cosa è questa? di che ti lamenti? Lui
rispose: Zelo zelavi legem tuam.(2) Signore, io ho zelato la tua legge e in-
segato il popolo ad osservarla; ma loro l'hanno guasta e ancora cercano di
ammazzarmi. — Così mi sono lamentato io al Signore, e dissi: che voglio io fare
in tanta vigna? io non posso per me solo resistere a tanta contradizione! Ro-
gate Dominion messis: ut mittat operarios in vineam suam; (3) prega il Signore che
mandi degli operai nella sua vigna, io non vorrei che fossimo sì pochi a tanta
campagna; e' ci bisogna adiutorio se vogliamo andare a pescare; e però io
sono venuto a mettere guerra, a mettere la spada tra gli uomini, e divider
1' uno dall'altro; io sono venuto a mettere la verità nel mondo; chi è del
mondo seguita la falsità. E questi sono due contrarj i quali sono massime di-
stanti, però bisogna che sieno divisi e non possano esser insieme veri, ma i
falsi stanno bene insieme. Chi seguita la verità si discosta dalla falsità e non
possono star questi due contrarj insieme e però io son venuto a metter guerra.
Ecce duo erunt in plano et unus assumetur et alter relinquetur :(4) saranno due alla
campagna della mercanzia e 1' uno sarà assunto e 1' altro lasciato. Et duo
erunt in ledo: unus relinqaetur et alter assumetur : (3) saranno due nel letto delle
voluttà, 1' uno sarà tolto su e 1' altro no; e però son venuto a metter la spada
tra 1' uno e l'altro. Son venuto ad illuminarti della verità e ti dico: Xoli cre-
dere ei qui dormit tecum; i6) non vi confidate di nessuno : venite al consiglio mio :
venite a chi vi dice la verità; non vi lasciate ingannare dagli amici vostri. Dice
Michea: Inimici hominis domestici eius. (7j Ognuno si guardi dagli amici suoi;
non vi lasciate consigliare a ognuno perchè i nemici dell' uomo sono i suoi do-
mestici. Et frater supplantabit fratrem. (*) L'un fratello ha soppiantato l'altro fra-
tello e però vi dico: attenetevi al mio consiglio, l'un fratello si divida dall'altro,
lo son venuto a mettere questa guerra; io solevo dire: Veli! mater mea: quia
me genuisti virum rixae et virum discordiae, (9) cioè solevo dire: Ohimè, madre
mia, perchè mi hai tu generato uomo di rissa e discordia?! Io non ti dico più
così; madre mia, perdonami: io son contento di essere uomo di questa tale
discordia e voglio mettere questa guerra in ogni luogo, e son venuto per se-
parare la moglie dal marito, il fratello dalla sorella, il figliuolo dal padre e
dalla madre e finalmente per mettere discordia in ogni luogo». (10J (Sopra Amos
e Zaccaria, Pred. XLVII.)
(') L. Ili dei He, cap. XIX, v. 4.
(2) Ivi, v. 10.
(3) Vangelo di S. Matteo, cap. IX, v. 38.
(4) Ivi, cap. XXIV, v. 40.
(*) Vangelo di San Luca, cap. XVII. v. 34.
(") Michea, cap. VII, v. 5.
(') Ivi v. 6.
(") Cf. Isaia c. XIX v. 2
(*) Geremia, c. XV, v. 10.
(xs>> Vangelo di San Matteo, c. X, v. 31, 35. 36.
— 220 —
« lo ti dissi a questi giorni eli' egli era acceso questo fuoco in tanti luo-
ghi e in ogni religione ; eh' esso scoppierà tu vedrai che egli farà un grande
scoppio. Ego non veni mittere pacem in terram, sei gladium; {l) queste sono pa-
role del Salvatore, il quale disse: — Credete voi che io sia venuto a mettere in
terra pace? io sono venuto a mettere il coltello e il fuoco; e dividere ognuno.
Così vi dico io. In non sono venuto a mettere in terra pace, io sono venuto
a dividere i regni, io sono venuto a dividere le case, io sono venuto a divi-
dere religioni, non sono venuto per mettere pace, ma che sia divisa la mo-
glie dal marito, il fratello dal fratello e che ognuno combatta per la verità
di Cristo, e dividere i buoni dai cattivi, non son venuto a metter pace. Oh,
tu hai pur fatto far la pace? Si, la pace e 1' unione di Dio; questo si, ma che
i buoni sieno divisi dai cattivi; questa non è pace del mondo; l'unione di
Dio mi piace, e che i buoni piglino la spada contro de' cattivi ». (Ivi, XXVII.)
. Adunque ecco tutto: il Savonarola venne a separare i buoni da' cattivi.
Egli con San Gregorio Nazianzeno (oraz. XII) voleva le ottime dissensioni e ri-
provava le perniciose concordie, e ripeteva collo stesso: «E meglio contendere
per la pietà che esser concordi nel vizio ». Qui sta in vero gran parte della sua
missione. Quand'egli saliva il pergamo in Firenze molti si acquietavano agli
estremi opposti, ai canti carnascialeschi e insieme ai misteri e alle laudi spiri-
tuali ; Fra Girolamo chiamò e insegnò a chiamare le cose col nome loro ; a lodar
le buone e a proscriver le cattive, e destò grande fervore ed entusiasmo e com-
mosse non pochi di mezzo alla generale indifferenza. Or che colpa è questa? Mi
par che sieno quanto vere altrettanto giudiziose e piene di zelo le seguenti pa-
role del Savonarola a' suoi fiorentini : — « Io vi esorto ad unirvi e fare pace
insieme: ma tu di': — Frate; tu sei cagione della guerra nostra! — E io tiri-
spondo; che la tua mala vita è cagione della guerra. Cristo non venne a
metter pace tra i buoni e i cattivi, ma guerra; dividere il padre dal figliuo-
lo, la madre dalla figliuola: il suocero dalla nuora, il fratello dal fratello e
1' un parente dall'altro; ma ben venne a metter la pace tra i buoni e farli
d' un cuore e d' un' anima. Vivi bene, e sia fatta la pace, altrimenti tu sei
causa della guerra e non io; perchè volendo e dovendo vivere bene i buoni,
e tu volendo e non dovendo vivere male, non può essere pace tra voi. Tu
cerchi d' impedire la predica per poter vivere a tuo modo; non lo fare, cliè
tu ne capiterai male ». (Sopra Ezechiele, Pred. XLIX.)
« — 0 Frate, tu insegni a dividere. — Egli è meglio star divisi al bene, che
uniti al male. E' non mi pare già che voi siate divisi al male. Voi siete ma-
levoli 1' uno contro all' altro e invidiosi. Paroulum occidit invidia. (2) La invidia
è quella che v'ammazza. Voi avete il core stretto e siete piccolini ; siate una
volta magnanimi, e andate seguitando la verità e non la bugia ». (Sopra
Ruth e Michea, pred. IX.)
La pace il Savonarola la raccomandava quanto non si può dire; non vi'
(') Vangelo di San Matteo, cap. IX, v. 31 o San Luca XII, v. 51.
(*] Giobbe, c. V, v. 2.
■
I
- 221 -
è forse predica nella quale non la raccomandi. « A voi, uomini, ho a dire que-
sto: che dobbiate stare uniti, perchè vi ho detto altre volte che la primitiva
chiesa, benché fossero pochi, perchè fu unita, vinse i tiranni, e prese il regno
dei Romani. Unitivi adunque tutti in carità ; e se quelli che sono stati cattivi
per i tempi passati vogliono esser buoni, abbracciateli tutti; e se fosse nessuno
che avesse cercato di offender me, io l'abbraccio, io gli voglio bene, e prego
Iddio che gli perdoni. Voi cominciate già a entrare in termini che Iddio solo
potrà cavarvene. Voi non vi siete però arrivati ancora; ma vi andate a poco
a poco; state adunque uniti, come vi ho detto, e abbiale; fede chè, se voi foste
nel profondo del mare, Dio ve ne caverà.... Attendete adunque a stare uniti
sotto il vostro Re Gesù Cristo, il quale verrà ancora nella città di Firenze e
dirà: Ecco io sono costituito Re.... » (Sopra Amos e Zaccaria, Pred. XXXIII.)
« Firenze io te 1' ho detto altre volte, e cosi te lo dico di nuovo; se voi vor-
rete, voi avrete poche tribolazioni ; volete voi ? — Ben sai che vogliamo. — Voi non
volete, cattivi, andare in Paradiso. Quando io ti dicessi: va là alla tua villa, e
tu andassi in qua, tu non vi ti condurresti, perchè non pigli la via buona. Fi-
renze, la via buona è questa, che vi amiate insieme, e che siate in pace. Egli è
vero che il diavolo va sempre suscitando triboli dentro e di fuora e non si può
far che non si trovi de1 cattivi.... ; ma lasciate tribolare chi tribola; state rac-
colti, Jasciate gridare chi vuole, non abbiate paura nessuna; non abbiate
paura di povertà. Cristo fu povero Lui .... Unitevi pure in orazione e non ab-
biate paura, perchè io vi prometto questo che se venisse tutto il mondo contra
voi, sarete liberati. Voi lo vedrete: io non mi parto di qua ». (Iv>, XXVI.)
« Fatevi innanzi, cittadini, a voi tocca questa. Io dico a quelli che hanno
odio insieme, anche alle donne, chè ce n'è ancora delle donne che tengono
odio: io vi domando se si può fare buona unione di diverse cose mettendole
insieme, non vi essendo cosa che colleghi le altre: certo direte di no, chè non
possono stare insieme se non v' è chi unisca e colleghi. Guarda questo nostro
corpo che è composto di diverse cose, cioè carne, ossa, nervi, e poi vi è l'anima
che lega e tiene unite tutte queste cose insieme; ma come tu togli via l'anima,
tutto il corpo si dissolve. Guarda ancora tutto questo universo; cieli, elementi
che stanno uniti per una virtù che li collega insieme: se Dio togliesse via
quella virtù, ogni cosa ruinerebbe e dissolverebbesi; dove non è dunque una
virtù che unisca, le cose si dissolvono. Questo interviene adesso a voi: vedete
che si è fatto il consiglio e dato l'appello alle sei fave e fatta la pace univer-
sale: che vuol dire adunque che le cose vanno così ancora sconquassate? Egli
è perchè vi manca la virtù che le unisca bene insieme. Amor est virtus unitiva: (4)
l'amore che è virtù unitiva è quello che vi manca. Se voi vi amaste perfetta-
mente, le cose andrebbero meglio che non vanno. Tu dirai: se non c'è la virtù
che le unisca, le non minano però. Sai tu perchè? P&rchè ce n'è pure qualche
• poco di questa virtù. Tu mi domandi: Che reggimento è questo? Io ti domando
a le: Che cuore è il tuo? Se tu avessi il cuore buono e che tu andassi retto e
(') S. Dionisio, de div. nom., cap. IV, lect. 9. Cf. S. Tommaso EHI. Qu. XXVIII, a. 1.
1
— 222 —
non portassi odio, tu vedresti che questo reggimento andrebbe bene: se tu
avessi posto giù intieramente le tue passioni, credi a me che tu avresti già
avuto qualcuna delle tue grazie. Egli interviene a voi come vi ho detto di
Esaù, di Iacob e di quei due popoli che discesero di loro, cioè gì' Idumei e
Giudei, i quali furono sempre inimici e nutrironsi da principio nell'odio: così
siete voi che non volete posare ancora le inimicizie antiche de' vostri passati.
Figliuoli miei, io dico a voi, fanciulli, che avete ad essere quei buoni cittadini,
che avete a godere il bene promesso da Dio a questa città, e verrà tempo che
voi vedrete che molti luoghi verranno a voi per consiglio, come s'abbino a
governare e vorranno pigliare modo di riformarsi dal vostro governo. Fate,
figliuoli miei, quando udite dire a' vostri padri: quello o quell'altro è nostro ini-
mico, o costui è dalla tal parte, eh' e' fece viale alla casa nostra; dite allora: io
voglio bene ad ogni uomo e non voglio tenere odio con persona, ne avere alcuno
per inimico. In questo fate che non ubbidiate a' padri vostri, ma ubbidite al Pa-
dre vostro celestiale, il quale vuole che amiate ognuno come voi medesimi. Voi cit-
tadini, che ne guadagnate voi a non voler lasciar l'odio? Il tenere inimicizia
non è utile a nessuno, e non ne cavale bene alcuno, ma più presto male.
Ecco; il vero bene è quello che non fa mai male all'uomo e che non ti può
mai essere tolto, se tu non vuoi. Il vero bene adunque è la grazia di Dio e la
carità ». (Ivi, pred. V.)
« Dice il Santo Evangelo, che i farisei dicevano che era scritto nella legge,
che si doveva amare l'amico e avere in odio il nemico. (*) Non era vero che
così fosse scritto questo nella legge; ma loro nelle loro tradizioni lo avevano
scritto.... (2) Figliuoli miei, amatevi insieme, perchè questo è il comandamento
del Signore. Lasciate gli odj e non seguitate la via de'vostri padri, i quali non
vogliono lasciare gli odj inveterati. Venite qua, cittadini; voi dite: — che abbiamo
a fare? — Voi avete a fare quello che io ho detto a questi fanciulli: amatevi in-
sieme. Udite quello che dice l'Evangelo: « Non abbiate in odio i vostri nemici,
ma amateli. Se voi amate i vostri amici, quello fanno i turchi; (3) ma fate bene
ai vostri nemici e insegnate questo, o padri, ai vostri figliuoli. Città mia, la-
scia gli odj, fa pace, fa pace ; tu non 1' hai fatta in verità; ma tu hai fatto un
empiastro di fuori, e però, se tu non fai altrimenti, sarà la piaga tua mortale.
Lascia l'ambizione, sta in umiltà e tu starai in pace ». (Ivi, pred. III.)
Ma pur troppo l'eco trovata negli animi de' Fiorentini dalla parola del
Frate venne in non piccola parte resa sorda e distrutta dal rumore degli av-
versai^; la unione, come egli la predicava, non si volle da tutti, la giustizia se-
vera non si fece a modo: e allora le minacce pigliarono giustamente il luogo
delle promesse non solo per Firenze, ma per tutta l' Italia, e ne venne fuori il
bruttissimo ritratto della discordia e de' suoi effetti.
« Popolo senza prudenza, Dio ti aveva appropinquato alle sue consola-
(') Vangelo di San Matteo, Capo V, v. 43.
(J) Cosi dice San Tommaso In evant/. S. Mattai, cap.
(3) Cfr. Vang. di San Matteo, l. c. v. iti, 47.
V.
— 223 -
zioni per la via del ben vivere, ora tu ti se' scostato da ogni ben vivere, e sei
popolo senza consiglio e però tu avrai qualche bastonata. Il rimedio tuo è il
ben vivere, e di qui ha a venire il bene tuo. Tu crederai poterti difendere per
altro modo: tu non ti difenderai. Ora ti prometto, Italia, che viene il tuo flagello.
E1 vengono i giorni cheti sono stati preannunziati: e' viene la tua visitazione: (l) ma
sarà mala visitazione.... La guerra non è morta, la carestia non è morta, la pesti-
lenza non è morta; ogni cosa ha i segni. Non vogliale credere ad amico, tiè confi-
darvi in capitano. (2) E' non vi varrà a confidarvi se non in Dio. Italia, non ti con-
fidare in capitano nessuno, che non ti varrà nulla. Io ti dico che non ti varrà quel
gran maestro. Fa' con chi tu vuoi, chè Dio ha deliberato far cosi. Da quella
che dorme nel seno tuo, dice il testo nostro, guardati. Tanto è dire questo
quanto dire: Guardati dalla tua moglie, non gli dire i tuoi segreti. Or nota,
che questa che ti è stata prenunziata ha a essere tanta grande tabulazione,
quanta sia stata in Italia parecchie centinaia d'anni fa intensive ed extensive, e
sarà questa tribulazione in Italia e fuora d' Italia. Ma più forte sarà a Roma
che negli altri luoghi. E sarà anche questa tribulazione mista, cioè non sola-
mente ai cattivi, ma anche ai buoni, perchè saranno perseguitati i buoni con
grandissime persecuzioni. E questo vuol dire: tieni chiusa la tua bocca con
quella che dorme teco. Cioè, che avranno i buoni persecuzione insino dalla mo-
glie. Tu vedi già questa persecuzione cominciata ed ha il germe fuora: come
tu vedi anche che la guerra ha il germe fuora, cosi la carestia e la pestilenza
ha il germe fuora, come tu vedi. Sarà adunque grande questa persecuzione
dei buoni. Va', vedi per molte cose, tu ritroverai che questa persecuzione ha
il germe fuora ed è cominciata la divisione fra loro. Il marito con la moglie
sono divisi, il padre col figliuolo divisi; tra' preti tu vedi cominciata divisione:
uno crede, l'altro no; tra le monache l'una crede, l'altra no. Va' pure, vedi,
tu troverai che gli sono dentro per tutte le questioni. Non ti ricorda egli
quanto egli è che io ti dissi che questa persecuzione aveva ad essere grandis-
sima, e maggior guerra di quella che non era stata quella dei tiranni contra
i martiri, e maggiore che non fu quella degli eretici? E però dice qui il testo:
Guardati da quella che dorme nel seno tuo. Vuol dire : se li occorrerà che la
moglie tua non creda, e che tu creda e veda che ella sia cattiva, guardati da
lei, perchè persuasa dai lepidi eh' e' sia bene ammazzarti, cercherà per qual-
che via darti la morte. Guardati adunque da colei che donne nel seno tuo, e se
tu crederai a quel tempo, sta' cheto, serra la bocca. Perchè e' sarà tanta la
persecuzione e la crudele guerra de' tiepidi, che bisognerà serrarsi la bocca
chi crederà. Marito che credi, sta' cheto allora e guardati dalla tua moglie ; e
tu moglie, che credi, sta'cheta e guardati allora dal tuo marito. Frati che cre-
dete, state cheti, chè vi sarà dato in sul capo dagli altri che non credono. Mo-
nache che credete, state chete ed attendete a vivere quietamente, perchè i vo-
stri superiori vi daranno in sul capo. Preti, state cheti; prelati che credele,
(') Michea, Capo VII, v. 4.
(J) Ivi, v. 5.
— 224 —
state cheti. — Sta' cheto ancora tu, frate. — Io starò a quell'ora cheto ; mi avrai
in prigione, ed anche non starò allora cheto, perchè parlerò pure con chi mi
porterà da mangiare, se tu non vorrai che io mi muoia di fame. Ognuno dun-
que s' apparecchi a questa guerra perchè sarà grande, e faranno i tepidi ogni
insidia per ammazzareii buoni, e per ogni via con veneni e con ispade cerche-
ranno la morte di chi crederà. E però chi non si sente gagliardo di andare alla
morte stia cheto: Perocché il figliuolo farà contumelia al padre, (') non sola-
mente 1' uno nemico perseguiterà 1' altro inimico, ma il proprio figliuolo che
non crede, farà contumelia al padre. Padre, guardati da lui che sarà tanto per-
suaso da' tepidi che t'ammazzi, che egli cercherà di ammazzarti. Quando il padre
non crederà, guardati da lui, figliuolo, chè egli cercherà farti morire. Figliuolo
che credi, guardati da tua madre che non crede. Madre che credi, guardati
della tua figliuola che non crede, chè ella ti caccerà di casa, e sarà quella che
ti ammazzerà. Eia figliuola si ribellerà contro la madre, la nuora contro la suocera
sua. (2) La figliuola sarà contro la madre sua, e la nuora contro la suocera, e la
suocera contro la nuora: sarà una guerra terribile. I nemici delV uomo sono
quelli della sita famiglia. (3) I ni mici dell' uomo saranno i suoi domestici e quelli
che conversano con lui. Frate, i nimici vostri saranno i vostri medesimi. Mona-
che, le vostre saranno quelle che saranno vostre nemiche. Prelati, i vostri ini-
mici saranno i vostri prelati medesimi. Predicatori, i voslri saranno quelli che
vi faranno più guerra, e più vi saranno inimici che altri. E tu allora, frate, a
che ti apparecchi? Io per me non aspetto altro, se non che un dì e' si levino
suso e dicano: Costui è reo di morte. Costui merita di morire; morte, morte,
ammazziamo costui. Io risguarderò allora al mio Signore, e dirò: Eccomi appa-
recchiato, io sono contento di morire. Ed aspetterò Iddio Salvatore mio. (4) lo
aspetterò il mio Signore e risguarderò te Salvatore mio. Gesù mio, tu moristi
per me, io sono contento a morire per te; tu moristi per la verità, ed eccomi
parato morire per la verità, e se bisognerà morire, io avrò pazienza. E' biso-
gnerà aver pazienza ad ognuno. A me basta obbedire al mid Signore. E mi
udirà il mio Dio. Il mio Dio allora mi esaudirà. (5J Signor mio, tu mi udirai
pure allora una parola. Dammi fortezza d'animo; io mi ti raccomando in
quel punto. Io ti raccomando questo popolo. Raccomandoti i tuoi eletti che tu
li tenga forti ed aiutili in tanta persecuzione e tanta guerra. Da', Signore, loro
questa gran fortezza che stiano saldi a servirti nella tua fede, acciocché poi
vengano alla patria tua ». (XXII, sopra Ruth e Michea.)
E così avvenne davvero in gran parte. Questa predica fu recitata a' dì 29
d'agosto 1496; e chi conosce anche per poco la storia d'Italia e di Firenze e
segnatamente di Roma che seguì negli anni successivi, sa pur troppo i dolorosi
(') Michea, c. VII, v. S.
{') Cf. Vang. di San Matteo, cap. X. v. 35.
(') Michea, c. VII, v, ti e Vangelo di San Matteo, e. X, v. 26.
(') Michea capo VII. v. 7.
(J) Ivi.
— 225 —
fatti, le guerre, i tradimenti, le morti e le distruzioni che desolarono le nostre
belle contrade... !! Ma incolpare di questo il Frate è davvero ingiustizia enor-
me, avendo egli fatto di tutto perchè succedesse il contrario. Questo mi richiama
alla mente un racconto che il Savonarola disse al popolo il 13 marzo 1496, nè
so astenermi dal riportarlo qui a chiusura di questa parte del presente capi-
tolo: « E' si legge che, al tempo di Arcadio Imperatore, i Goti passarono in
Italia con dugento migliaia di persone, e cominciarono a spaventare ognuno e
temere in modo che i Romani temeron grandemente. Era allora parte di quel
popolo pagano, parte cristiano, e levaronsi su i pagani e massime uno Simmaco
predicatore, il quale diceva: Questo flagello viene, perchè voi avete lasciato
gl'idoli, e bisogna tornare ad adorarli. Dall'altra parte i cristiani dicevano:
Non è vero; perchè voi pagani innanzi che qui si adorasse Cristo aveste di
molti flagelli e molti esterminj, come tutti li mostra Sant'Agostino in primo
de civitate Dei> che vennero al tempo dei Romani. Unironsi adunque tutti i
cristiani insieme e fecero orazione e gridavano : 0 Signore, esalta e difendi la
tua fede. Quando questo re dei Goti fu sul monte di Fiesole, entrò un rumore
negli orecchi a lui e al suo esercito ; e avevano una gran paura, intanto che
il re si partì di notte dall'esercito e fu morto. L'esercito, vedendosi senza
capo, si sbaragliò e furono presi, legati e venduti come pecore; ma perchè i
cattivi non erano stati puniti, mandò Iddio un altro capitano de' Goti, che fu
Alarico il quale andò a Roma e entrato dentro, fece un editto che tutti quelli
che fuggivano alle chiese fossero salvi; e così li salvò e andò nella Calabria.
E perchè Dio voleva che le chiese fossero disfatte, mandò saette sopra delle
chiese in quel tempo ; e tornando poi Alarico, disfece le chiese e Roma insino
a' fondamenti. Però v' ho detto che stiate uniti insieme e fate orazione, perchè,
quando verranno le tribolazioni, i cattivi diranno: questo governo non è buono,
leviamolo via .... » (Sopra Amos e Zaccaria, pred. XXVI.) Ma andiamo oltre.
« Nessuno scrupolo, seguita il Pastor, aveva il nostro Frate d'ingerirsi
perfino ne' diritti paterni. Anche qui predicava apertamente la disobbedienza
contro l'autorità da Dio stabilita, aggiungendovi ancora lo scherno. Alcuni padri
volevano inviare i loro figliuoli in Francia, a fine di sottrarli all'influsso irresi-
stibile del Frate. « Mandateli dove volete » gridava il Savonarola con tono di
provocazione; « essi faranno ritorno ».
Come chiameremo quest'accusa? Io non so come dirla, e mi faccio forza
a tener la penna che non scriva le parole gravi che spontaneamente uscireb-
bero da essa. Ma il Savonarola voleva la calma ne' disputanti ; e perde il di-
ritto di esser rispettato chi non rispetta l'avversario. Ma poche volte ho sen-
tito difficoltà di tenermi calmo come ora.... Forse non si è mai nella storia
inventata una pappolata più marchiana della presente e fa pena che l'abbia
bevuta e copiata un cattolico di molta fama!
Ma dove trovate, o professore, nelle prediche di Fra Girolamo le provo-
cazioni che gli apponete? Accuse così gravi e disonoranti sufficienti a togliere
intera la stima ad un religioso che reclama un posto segnalato nella storia
della pedagogia, che pose gran parte delle sue speranze e cure ne' fanciulli,
15
— 226 —
che ne' fanciulli destò un entusiasmo non più udito, non si vogliono lanciare
alla leggiera ; o almeno almeno si dovrebbe vedere e citare il luogo dove il
Frate pronunciò le parole stolte e provocanti. Ma non è tempo che ci perdiamo
in lamenti. Il luogo, sebbene il Pastor non lo dica, nel quale il Savonarola
avrebbe predicato apertamente la disobbedienza contro 1' autorità stabilita da
Dio aggiungendovi ancora lo scherno, è la predica ultima del quaresimale so-
pra Amos e Zaccaria. (') Sentite le testuali parole del Frate e poi giudicate:
« Fanciulli, fate orazione chè la vostra riforma ancora si fa, nella quale impa-
rerete come avete a viver bene e sarete poi buoni cittadini. Dice alcuno che
questa cosa è fatta per tirare i fanciulli a farsi frati; non dite così, perchè
errate, lo vi avviso di questo, che quando uno avrà a venire al servizio di Dio,
che non si potrà tenere con questa corda: lasciate pur fare a Dio: voi volete
mandarli in Francia, io vi avviso che ci è di quelli che sono tornati di Francia
e sonsi fatti frati : così chi sarà tirato da Dio, mandalo dove tu vuoi, che tor-
nerà. E mi ricordo quando io mi feci frate, dissi mille volte al secolo che io
non mi farei mai frate: pure mi bisognò andare quando a Dio piacque. E non
potevo mangiare e andava aggirandomi: quando il pensiero viene, e' non si può
dormire; di poi quando l'uomo vi è giunto, si vive tutto contento: adesso che
io son frate, non cambierei il vostro stato col mio. Sicché, fanciulli miei, fate
orazione, chè la vostra riforma si fa. Voglio che, abbiate un luogo fuora di
San Marco dove vi raduniate e che stiate da voi; osservando quella riforma,
vivrete più puramente. Voi che dite male di questa riforma de' fanciulli, di-
mandate i confessori se li hanno trovati quest'anno più mondi e più netti di
peccato che gli altri anni ». (Pred. XLVIII su Amos.)
Qui non è proprio il caso d'aggiunger commenti: la cosa è per sè evidente;
ad ogni modo, se un piccolo commento lo volete, abbiatevelo dal Savonarola
stesso: « Si legge di un frale a Bologna che prima non voleva esser frate: non
andava a San Domenico, dove si predicava, per non si convertire e non si far
frate. Lui non voleva, pur udiva volentieri messa in quella Chiesa, e una mat-
tina predicandosi a San Domenico, andò a San Procolo e poi a San Domenico.
E non essendo ancora finita la predica, si fermò cosi fuortt della porta perchè
vi era gente assai ed era il dì di Santo Stefano. Cominciò quel predicatore a
gridare: Ecce video coslos apertos, ed entrò a costui quel grido negli orecchi ed
andò a farsi frate e fu la sua salute. Qualche volta ti penetra una parola
tanto che ti passa il cuore e ti manda la tua salute, lo andai una volta, quan-
d'ero al secolo, a Faenza a spasso; e entrando a caso in Sant'Agostino (~) udii
una parola da un predicatore di Sant'Agostino, che non te la voglio dire ades-
(') Cf. del Perrena anche 1' Bistoir'e de Florence, tomo II, pag. 210, testo, e nota 1.
(J) Dalla finestra presso la qualo scrivo, vedo il campanile di questa bella chiesa, ed
Ogni volta che lo guardo mi suona, dentro spontanea l'esclamazione: Chi avrebbe mai pen-
sato, o buon Frate, che la legge ondo lo Spirito di Dio move e governa lo anime che trae
a sé in modo tutto speciale, da te colà imparata la prima volta sarebbe al secolo XIX, nelle
tue paiole, tanto contorta e da Franassi o da Tedeschi!!
so, che insino adesso l'ho nel cuore, e andai e feci mi frate, non passò un
anno ». (Sopra Ezechiele, pred. XXVIII.)
E troppo evidente che il Pastor qui disse ciò che la sua volontà, se fosse
stata illuminata dal suo intelletto, non gli avrebbe mai permesso di dire; com'è
troppo evidente che il Perrens non intese per nulla il Savonarola. Se il Pastor
avesse letto il Frate, sarebbe stato impossibile che scrivesse come ha fatto,
salvo se in quel giorno volesse dimenticare la sua onestà e rettitudine.
Gli amici e gli ammiratori del Professore d' Innsbruck è impossibile che
non desiderino da lui una parola franca, che rimetta al posto le cose ; tanto
più che alcuno potrebbe qui forse sentirsi nascere un' altra volta il dubbio
che gli sia mancata un poco la buona fede ; e certo almeno un pretesto, il
quale ha tutta l'apparenza di ragione, per dirlo passionato, esiste anch? in
■questo luogo, per chi volesse credere simile ingiuria.
Infatti prima di tutto egli aggrava, come già l'abbiamo visto far altrove,
senza alcuna giustificazione le sentenze e le condanne del biografo francese
continuando a mostrare già con ciò desiderio di mettere in mala vista il Erate.
Il Perrens dice : « Il Savonarola merita in parte le accuse che i suoi nemici
portano contro di lui ne' suoi processi ». E il Pastor invece afferma: « I rim-
proveri che più tardi mossero in questo riguardo al Savonarola gli accaniti
suoi nemici, sono giustificati ».
Il Perrens calunnia, con parole di dubbio significato, il Frate, dicendo
che egli « giunse al punto d'approvare le donne che, non avendo potuto ot;
tenere il consenso del marito di farsi religiose, prendevano la risoluzione di
vivere il resto della loro vita come se non fossero maritate »(*), e il Pastor dice
senza meno che « contrariamente a' Sacri Canoni il Savonarola approvava
l'entrata di coniugate ne' conventi senza previo consenso del marito, ovvero la
separazione della sposa dallo sposo contro la volontà di quest'ultimo». Il
Perrens dice che « il Savonarola spingeva pressoché i fanciulli alla disobbe-
dienza », e il Pastor afferma che il Frale « predicava apertamente la disobbe-
dienza contro l'autorità da Dio stabilita ».
Ma v' è di peggio. Il Perrens (è impossibile che al lettore sia sfuggito),
pure asserendo che il Frate quasi forzava la gioventù alla disobbedienza, nota
tuttavia che il Frate « non cessava dal raccomandare il rispetto ai genitori e
anche la sommissione » ; e solo aggiunge che tale sommissione doveva aver
de' confini; e che il Savonarola invitava i fanciulli a ricusare l'obbedienza
«quando i comandi de' parenti fosser contrarj alle cose di Dio, o alle ingiun-
zioni del predicatore, come di adornarsi troppo e di giuocare »; nel qual caso
scrive il Perrens che il Frate invitava il figlio a dire al padre: io ti rinunzio in
questo, perchè in questo io ho un altro padre, che è maggiore di te, cioè Dio;
e se il padre battesse per questo il figlio, il Savonarola gli diceva ancora:
< Abbi pazienza, chè Dio ti renderà una corona ».
(') Vedi anche llistoire de Florence, voi. II, png. 231.
— 228 —
E come se ciò non bastasse, il razionalista francese continua dopo le parole
da noi citale, e dice: « Egli è certo che vi sono ordini del padre che un figlia
deve evitare di compiere: gli antichi sono in ciò d'accordo co' moderni .... *>
Ora tutto ciò perchè lo tace assolutamente lo storico cattolico?! Almeno le
parole del Perrens avrebber dovuto invitarlo a studiare il fatto, veder la que-
stione, prima di decider cosi solennemente. Qui, è inutile dissimularlo, il dis-
gusto ehe si prova nel leggere il Paslor è grande, e a noi duole assai assai
il veder simil cosa; imperocché ci sentiamo come diminuita la fede che allo
storico de' Papi avevamo! Sorge spontanea in noi la domanda: Si sarà il
Pastor ingannato a questo modo solo qui?! solo parlando del Savonarola? Ci
adduca l'illustre uomo i motivi della sua grave sentenza, e ci tolga in ogni caso
assolutamente di dosso il brutto sospetto.
Ma come si fa a provare che è giusta tale sentenza? Prima di tutto biso-
gna ricordarsi che Fra Girolamo non si governava nella pratica diversamente
da quanto predicava, e che le prediche sue pubblicate lui vivente contengono
veramente ciò che egli aveva predicato dal pergamo, come dice egli stesso-
scrivendo a Alessandro VI con la data del 22 maggio 1497 ; e posto ciò poi biso-
gna gettare a terra o spiegarci un numero infinito di luoghi dove il Frate dice
tutto l'opposto dell'accusa mossagli.... Pensi a ciò il Pastor, e poi discorreremo
un'altra volta, se vi sarà bisogno, della questione presente.
Ora noi, come per allietarci un poco e confortare gli amici, che ci lessero
sin qui, dell'amarezza che ci ha versato neh' animo la critica che abbiamo do-
vuto fare, trarremo dalle opere del Savonarola alcuni passi relativi ai diritti e
doveri nella famiglia cristiana.
Nel Compendio della Filosofìa, L. VI, n. 4, parla il Savonarola del diritto
paterno, cioè del padre sui figli ; del diritto economico, del marito sopra la
moglie; e del diritto dominativo, del padrone sul servo.
E nel n° G° parlando specialmente dei doveri dei figli verso i genitori, dice
che la pietà è virtù annessa alla giustizia e della pietà stessa ripete quanto San
Tommaso ha nella p. IP-II", Qu. 101, e ci dice che dopo il culto eccellentissi-
mo che devesi a Dio viene quello che siam tenuti ad avere verso i parenti e
la patria, che son principio secondario del nostro essere e del nostro vivere. Nei
parenti comprendonsi tutti i consanguinei, nella patria tutti i concittadini e gli
amici. Perchè, essendo V uomo debitore ai parenti e alla patria, deve ad essi
culto dopo Dio. Ai parenti devesi riverenza ed ossequio, e, se son bisognosi,
devesi il sostentamento. Questo cullo è una professione di carità, come la re-
ligione è professione di fede, di speranza e di carità. La qual dottrina è presa
da San Tommaso (Qu. cit., art. Ili ad l.m), e non è mai dimenticata in nes-
suna predicazione, ma viene sovente ripetuta in tutte.
Ma veniamo a qualche particolare.
Uno dei veri in cui anche il Perrens riconosce che il Savonarola ha prece-
duto i pedagogisti moderni si è la convenienza che la mamma sana e buona allatti
il suo figliuolo; vorrei aggiungere che forse nessuno de' pedagogisti nostri ci de-
scrive meglio del Frate di San Marco gl'inconvenienti del costume contrario:
- 229 —
« Le madri allora, ne' tempi antichi, allevavano i figliuoli; il che intendo che
qui non si usa, e che le donne non allattano i figliuoli. Voi fate male, perchè
voi li fate allattare a gente grossa e diventano poi spiriti grossi, e chi diventa
libidinoso, chi iracondo, chi stizzoso, perchè li fate allattare ancora dalle schia-
ve, e quel primo latte dà grande inclinazione al fanciullo; e sono poi mezzi
vostri figliuoli e mezzi no ». (Sopra Amos e Zaccaria, XLII.)
Un altro punto che il Savonarola ribatte con maggior frequenza è l'ob-
bligo che i genitori hanno della prima educazione morale e religiosa de' fi-
gliuoli. La sua teorica a questo riguardo non deve assolutamente tacersi; essa
•è la confutazione della teorica del Rousseau e di tutti i suoi seguaci, e sarebbe
opporlunissimo risvegliarla ora e inculcarne il principio fondamentale. È noto
che il Rousseau avvisava che 1' educazione e l' istruzione religiosa non sia ac-
cessibile all', infanzia, e sentenziava che di Dio non s'abbia a parlare punto sin
a quando il fanciullo non possa formarsene un' idea chiara. Ma il supposto è
falso e la sentenza è sofisma di quelli che i logici dicono provar troppo e
dare nell' assurdo. (') Il nostro Frate per contrario era solito di dire che Cristo
siede nell'intelletto de' grandi e dei piccoli e tutti li governa, e dalla bocca dei
fanciulli sa trarre a Dio lode ben più perfetta che non sia quella che esce dai
superbi filosofi. Inoltre egli era solito di ripetere 1' aurea sentenza biblica : II
fanciullo, anche quando sarà invecchiato, non si partirà dalla via sua, nella quale
-sj è messo. (2) Ora qual valore avrebbe tuttociò quando non fosse accessibile
all'infanzia alcuna educazione ed istruzione morale e religiosa? Del resto il
nostro Frate non solo voleva che si seguisse in pratica la buona regola, ma
seppe anche dare una ragione così forte della norma sua, che mi par davvero
•che uccida la teorica del Rousseau e de' seguaci suoi: non so se essa si legga
in alcuno de' pedagogisti moderni, onde la ripropongo alla meditazione de' ge-
nitori e di tutti i maestri cristiani. Con San Tommaso adunque il nostro Frate
insegnava che i fanciulli che si battezzano, perchè non hanno ancora il libero
arbitrio e sono d' una medesima specie, cioè di eguale perfezione naturale, per-
ciò tutti nel battesimo le conseguitano eguali grazie. Quando poi vengono all' uso
^del libero arbitrio, per essere bene allevati, le conseguitano tutti molto bene;
ma 1' uno conseguita alle volte un maggiore aumento di grazie che 1' altro, se-
condo che 1' uno è meglio allevato che 1' altro, perchè fa maggior conato che
l'altro e meglio si dispone. Quelli che sono male allevati fanno il contrario,
perchè quando vengono all'uso del libero arbitrio, dove si avrebbero a vol-
tare al bene, si voltano al peccato mortale, e così perdono la grazia battesi-
male. E quando il fanciullo viene all' uso del libero arbitrio, continua sempre
il Savonarola, immediatamente, per la prima operazione che fa, è tenuto a
voltarsi a Dio: se lo fa, accresce grazia, se non lo fa, pecca mortalmente.
0) Cfr. A. Conti : Xuovi discorsi del tempo, o Famiglia, Patria, Dio. P. I Famiglia. Ri-
creazione XVI e altre. — G. Allievo, Studi Pedagogici, passim ; e specialmente, Sezione IV,
.cap. I, art. 2.
0 Proverbi, cap. XXII, v. 6.
— 230 —
Il Savonarola ripete molto sovente questa dottrina nelle sue prediche, e
non dimenticando mai che negli atti nostri non dobbiamo perder di vista l'ultimo
fine a cui è fatto il figliuolo e V alunno, che è di conseguitare vita eterna me-
diante l'esercizio della virtù e la grazia divina, ne trae conseguenze bellissime.
Prima di tutto argomenta quindi il nostro educatore essere grandissima la
diligenza con cui i padri, le madri, i maestri, le maestre debbono nutrire i
figliuolini e le figliuoline nel timore di Dio; poi vuole in particolare eh' essi
insegnino loro che si hanno da inginocchiare e fare orazione sera e mattina,
onorar Dio e i Santi, andar alle messe e alle prediche, spesso parlando loro
delle cose del paradiso semplicemente e in quel modo che ne sono capaci.
Del pari vuole che dipingano loro le pene dell' inferno, e dicano, che chi
giura e chi bestemmia e chi giuoca e fa delle cose tristi e delle disonestà an-
drà all' inferno; mostrino loro la provvidenza del Padre celeste in ogni
cosa, pongano sulle tenere loro labbra brevi e semplici preghiere, insistano
in ogni occasione che Dio vede tutti e tutto, che vuole tutti beati, ma che pu-
nisce molto severamente coloro che fanno il male. Ove i genitori usassero di-
ligenza e cura nel compiere queste cose e nel dar buon esempio, vedrebbero
come crescerebbero bene i loro pargoli e comeDio abiterebbe nei loro teneri cuori.
Ecco fra i molti luoghi che potrei citare ciò che il Frate dice nella predica XLVI
sopra Ezechiele fatta il venerdì dopo la V domenica di quaresima: « Ora diciamo
a questi padri e madri: I fanciulli adesso vengono presto al libero arbitrio, e però
pensate voi, padri e madri, quanta diligenza dovete avere ai vostri figliuolini.
Dicono i Dottori che i padri guastano i fanciulli molte volte con dar loro animo
alle cose mal fatte. Dice quel padre al fanciullino: Dagli a colui, dagli, poltrone.
Questo è quello che guasta i fanciulli, il non usar loro buona cura da princi-
pio. Quell' altra madre lascia la fanciulla trasandare in qualche parola, o atti
inconvenienti, o sola, o in compagnia pericolosa; voi, padri e madri, fate per-
dere loro 1' innocenza battesimale che mai più poi non si riacquista, e non
possono mai più dire: Io sono innocente. Del pari, tu dai loro un
principio inclinativo agli altri mali, e sei causa di molti altri loro pec-
cali, poiché il principio è la massima parte del tutto. Che s' ha adunque a
fare? Hai a fare tu padre e tu madre, che tu non faccia mai atto, o gesto, o
parola in presenza dei tuoi fanciulli che possa loro nuocere alla salute. Tu
in' intendi bene, se tu vuoi intendere.... Benché siano piccolini, dico che hanno
le orecchie lunghe: la malvagità oggidì è grande, il diavolo aiuta: stanno a
udire, e benché non parlino allora, tu non sai poi quello che fanno insieme,
quando ei non ti vedono. Inoltre, leva via di camera e di casa tua quelle figure
disoneste. Allevali con semplicità, fa loro vedere le cose di Dio e dilettali in
esse ; fa'loro dipingere una tavola dove sia dipinto l' inferno e il paradiso, e mo-
stra loro l'inferno e di': Vedi li, figliuoli no mio, questi sono quelli dannati fan-
ciulli, che hanno disobbedito il padre e la madre; questi sono quelli che hanno
furato il pane, o il cacio, o 1' uve secche; e così li avvezza in questa semplicità
e con timore di Dio e dello inferno, mentre che sono piccolini. Dall'altra parte
mostra loro il paradiso e di' : Questi che sono con gli Angeli, son quelli che
— 231 —
hanno obbedito il padre e la madre: e che non hanno detto le parole cattive, e
che sono stati buoni e devoti. Se tu li avvezzerai in questa- semplicità, vedrai
che quando verranno al termine del libero arbitrio ed al conoscimento del ben
vivere e del male e al discorso della ragione, subito, nel primo atto del libero
arbitrio si ordineranno verso Dio fine loro. Fate, dico, padri e madri, che i vo-
stri fìgliuolini non perdano l' innocenza battesimale, fate che odano le predi-
che, e avvezzateveli, perchè il verbo di Dio ha gran forza di custodire l'anima
innocente. Guarda che dove si odono le prediche spesso vedrai gente divota,
ma dove non si odono, vedrai gente senza legge, e non saprà ragionare nulla
di Dio. Or sì, abbiate questa diligenza e cura voi, padri e madri, ai vostri
fìgliuolini ». (Cfr. la XXIII sopra il Salmo Quam Bonus.)
E con questa teorica, coli' inculcare questi principj, il Savonarola ottenne
tali e tanti frutti che a' molti testimoni oculari parvero miracolo!
Quante non son poi le norme che si leggono nelle Opere del Frate per
una buona istruzione ed educazione religiosa de' fanciulli, e quanto non in-
siste egli per questo punto sugli obblighi de' genitori ! Vedeva egli chiara la
necessità di avvezzarsi per tempo alle cose di Dio, perchè « se non sono av-
vezzati nel verbo di Dio, e udire quello che hanno a fare, non torneranno mai
più a penitenza, perchè nessuno o rarissimi se ne convertono, quando sono nu-
triti senza cognizione delle cose divine ». (Sopra Ezechiele, XLIII.) Onde egli
vedeva chiaro il bisogno che i fìgliuolini di Firenze amassero e temessero il
loro Re e la Vergine loro Regina, imparassero bene le cose della fede; e
prima che il loro Dio è il Padre, Figliuolo e Spirito Santo, e non sono tre
dei, ma un Dio; e che il loro Salvatore è Dio e uomo, figliuolo di Dio e della
Vergine Maria. Sapessero che in paradiso sono gli Angeli e le anime de'Santi
che trionfano con Cristo, dove andrebbero anch'essi, se avesser fatta la volontà
di Dio. Con questa fede voleva eh' essi si amassero insieme, perchè questo, di-
ceva, è il comandamento del Signore. (Sopra Amos e Zaccaria, III.)
Onde nella XXIV sopra Ezechiele gridava ai padri : « Or su, insegnate al-
manco bene a' vostri fanciulli, fate che non siano assaltati da quelli peccati
disonesti ». Nella XXVIII sopra Amos esponendo misticamente il versetto 13
del cap. VII di questo profeta : In quel giorno verran meno per la sete le ver-
gini avvenenti, e i giovanetti, dice: « Le vostre vergini sono le anime delle vo-
stre figliuole, donne, che non gì' insegnate nulla di Dio, ma sono come paga-
nelle e come giudeette. Io vi dico che andranno all'inferno nel tempo della
tribulazione, e le madri e i padri andran loro dietro, die ne sono cagione ».
« Io vi dico che San Gregorio pone un fanciullo di cinque anni che fu
portato all' inferno, {*) per i mali costumi che gì' insegnava il padre ». E nella
XXI dello stesso quaresimale si vede assai bene quanto per il Savonarola fosse
grave l'obbligo de'genitori di correggere i figliuoli che per disgrazia si fossero
messi per una cattiva via, e quanto si rendessero rei, se, invece di edificarli
(') Cfr. la predica XL sopra Amos.
— 232 —
con il buon esempio, li guastassero insegnando loro la via del peccato: «Dice
Sant' Agostino, nel primo della Città di Dio, che se tu conosci che una fan-
ciulla sia in peccato, e sappia che tu potresti liberarla e tu noi faccia, per
dire: il tale è innamorato di lei, ei mi ammazzeria, dice che fai male; e che
tu debbi mettervi la vita, e levarla da tal peccato. E se questo è vero che dice
Sant' Agostino, dimmi : quanto più dobbiamo dire che pecca il padre che vede
il figliuolo nel peccato e noi corregge? Padre, io ti dico che tu renderai ra-
gione di tutti i peccati, che han fatti i tuoi figliuoli per la tua negligenza.
Donna, io dico ancora a te, tu renderai ragione di tutti i peccati che fanno le
tue figliuole, per tua negligenza. Or che diremo di que' padri che danno i de-
nari a' figliuoli per fare peccato » ? (Sopra Amos e Zaccaria, XXI.)
Contro genitori siffatti che invece di edificare con le parole e 1' esempio i
loro figli, li guastano e li mettono per la via del peccato, inveisce il Savonarola
nella XIII del medesimo quaresimale, esponendo il versetto 10 del IV di Amos:
« Ho percosso i vostri giovani nel coltello ». E grida ai Fiorentini: « Questo
vuol dire che i padri hanno insegnato a' figliuoli la via de' peccati, i quali sono
stati come un coltello all' anima loro, che 1' ha morta della vita spirituale e
della grazia.... 11 mal esempio de' padri è quello che ha ruinate le anime
de' figliuoli; e l'averli posti ad esercizj, che sono nocivi all'anima: la prima
cosa i padri li pongono ad imparare poesie, e di poi a' banchi a imparare
cambi ed usure, e così li mandano a casa del diavolo. Così ancora le fan-
ciulle, appena oggi sono nate, che le sanno ogni male. Anticamente non era
così; avevano venti anni che non sapevano che cosa fosse matrimonio, ma
erano tutte semplicità; e però era allora consuetudine, quando andavano a
marito, dar loro le donne paraninfe che gì' insegnassero le cose matrimoniali :
e questo era perchè i padri e le madri si guardavano di non parlare, nè far
cosa in detti o in fatti, che desse a' figliuoli o figliuole occasione di peccare, e
che gli desse qualche mal esempio. Oggi non si fa così, ma in presenza loro
dicono e fanno ogni male; e però questo è stato il coltello che gli ha morta
l'anima e toltogli la grazia; e però dice il Signore: lo ho percosso i vostri
figliuoli ìiel coltello, cioè li ho lasciati per la vostra mala vita incorrere in que-
sti peccati e non siete tornati a me ».
E per contro, affine di mantenere i figliuoli nell' innocenza, Girolamo Sa-
vonarola consigliava di non condurli troppo, e specialmente di quaresima, alle
feste di mondo, di non lasciarli frequentar taverne, e insisteva perchè i ge-
nitori non tenessero immagini disoneste in camera .... (') Aureo è un passo
della predica XII sopra il salmo Quam Bonus: « Audite hoc, senes; voi dico,
che avete figliuoli, e che siete padri di famiglia, udite se i padri vostri hanno
fatto come voi. Loro allevavano i loro figliuoli in semplicità e quanto al vitto
e quanto al vestito e quanto alla conversazione, chè quando eglino erano adulti
e nubili, non sapevano niente di matrimonio, nè pensavano a tante sporcizie
(') V. sopra a pag. 53.
— 233 —
quanto pensano oggi i nostri costituiti ancora in tenera età; ma voi cominciate
dalla puerizia loro a vestirli lascivamente e metterli in sulle gale e varietà di
foggie. E le madri li assettano, li ornano, e cominciano a mettervi tempo, come
alle fanciulle, in modo che e' non hanno appena cinque anni, che titilla loro la
carne, e risentonsi, e fanno di molte cose brutte, che i padri nostri in tale età
non si immaginavano. Non solo fra loro, ma con i propri fratelli e con le pro-
prie sorelle, e voi non ve ne avvedete, e li tenete insieme, e facilmente perdono
il fiore della loro verginità. E tutto procede dal cattivo reggimento de' padri
e delle madri, li lasciano andar fuora tutta la notte, slanno coi ribaldi giuo-
cando, e fanno di molti altri peccali, che per onestà li voglio tacere. Viene
ancora questo dal cattivo esempio che e' pigliano dai loro padri e madri. Voi
state qualche volta là al fuoco o a mensa, e comincerete a entrare in qual-
che cosa lasciva e motteggiate così sottecchi e voi credete che e'non intendino,
e loro apprendono ogni cosa, e imparano la malizia da voi. Peggio fanno an-
cora alcuni e padri e madri, che gì' insegnano nominare cose brutte, e
quando le dicono, se ne ridono. Tengono in casa alle lettiere e a' lettucci
figure disonestissime, fanciulle ignude con uomini, con certi atti e modi di-
sonesti che sarebbero indecenti nel luogo pubblico, e credono poi che i fan-
ciulli si contenghino. Noi dovremmo imparare da' pagani. Aristotile fu pagano,
e proibiva che nelle case non si facessero simili figure, acciò che i fanciulli
non imparassero. Quanto al vitto ancora del mangiare e del bere, gli antichi
vostri gli allevavano parcamente ; ora i giovanetti mangiano e bevono più che
non fanno i vecchi, e bevono il vin pretto. E non è maraviglia se e' fanno
de' peccati carnali. La conversazione cattiva nuoce assai loro, e voi li lasciate
andare con ognuno. Così non facevano i padri nostri antichi, i nostri anteces-
sori. Non vi maravigliate adunque se voi li avete scorretti, e se e'vi danno
de' malanni, perchè Dio vuole che ne facciate la penitenza ».
Raccomandava poi incessantemente alle madri d' aver l' occhio alle
figliuole e in casa e fuori: voleva chele giovani per le strade e in Chiesa prece-
dessero, « perchè gli è pericolo non aver la figliuola giovanetta avanti gli occhi,
per le paure notturne che dai cattivi uomini non siano corrotte mentre non
hanno custodia. Nella figliuola che si volta, dice l'Ecclesiastico sta in guardia, ac'
ciocche, trovata l'occasione, non usi male di se medesima ». (/) (Sulla 1 di San Gio-
vanni, pred. IX.) Voleva il nostro buon Frate che i figliuoli e le figliuole ri-
parassero presso il padre e la madre come presso una siepe di mirti. Nella
predica XXXIV esponendo Zaccaria, ne' mirteti al versetto 8 del cap. I, vede
appunto i padri e le madri adornati di virtù che danno buon esempio, per il
quale ammaestrano i figliuoli, e soggiunge: « Quando il padre e la madre sono
buoni, i figliuoli e le figliuole si riposano sotto quella ombra e pigliano buon
esempio.... »
Ed oltre l'istruzione e l'educazione religiosa, il Savonarola, come già si può
0) Eccles. p. I. c. XXVI. v. 13.
— 234 —
raccogliere assai bene da quanto abbiamo detto ne' capitoli antecedenti, voleva
che i genitori si pigliassero cura di far dare loro l'istruzione, diremmo cosi,
letteraria; e a provar questo basterà qui aggiungere un passo semplicissimo
analogo a quello già citato nel capit. IX: (*) « Voi padri fate imparare a' vostri
fanciulli grammatica, e che si tengano per maestri delle scuole uomini buoni e
casti, non giuocatori; che abbino fede e che per i poeti non guastino poi
ogni cosa. Fate che non vi siano buche, nè cantoni per le scuole; chè non
si faccia quivi qualche male; e vorrebbesi che non si leggessero per le
scuole poeti cattivi come è Ovidio, de arte amandi, Tibullo, nè Catullo e si-
mili, nè Terenzio dove parla di quelle meretricole. Leggete San Girolamo,
Sani' Agostino, Virgilio e qualche cosa di Scrittura Santa. E dove voi maestri
trovate in quei vostri libri di poesie Giove, Plutone, dite loro: figliuoli miei; que-
ste sono favole, e mostrategli che Dio solo è quello che regge il mondo ».
(Sopra Amos e Zaccaria, pred. HI ; cfr. anche la pred. XXVIII.) In questi
precetti come già notammo a pag. 96, precorse di molto il tempo suo; e
il lettore che volesse averne conferma legga la bella conferenza del Biagi :
La vita privata dei fiorentini (2) ove sono citate le parole di Paolo di Ser Pace,
§ 79, che dà le norme per l' istruzione delle donne: « S' ella è fanciulla fem-
mina ponla a tucire e non a leggere, chè non istà troppo bene a una femmina
saper leggere se già non la volessi far monaca ». Nel Savonarola dove trovate
un precetto cosi esclusivo?
Una cosa ancora e poi basta: I fratelli devonsi amare a vicenda, questa
è verità molto saputa, come è saputo che i genitori devono amare i figli e
tutti ugualmente, o almeno secondo i meriti loro e ognora senza specialità.
Ora il nostro Frate raccomandava appunto ai genitori che si prendessero guar-
dia neh' amare più l'uno che l'altro de' figliuoli, che non facessero nascere
discordie fra loro. Savissimo consiglio anche questo. (Sopra Amos, V.)
Nè il buon Frale, parlando della società domestica, dimenticava la società
erile. Lasciando tutte le altre cose che egli dice a questo proposito, ci basterà
accennare all' obbligo che egli faceva ai padroni per ciò che riguarda la cu-
stodia morale, di curarsi delle serve siccome dovevano curarsi delle proprie
figliuole; onde nel citato sermone IX sulla I di San Giovanni soggiungeva clie
quanto insegnava della custodia filiale si aveva appunto da intendere anche per
le serve giovani; « le quali si debbono avere in questo conto come le figliuole:
le serve giovani vadano avanti alle serve più vecchie, o almeno così presso alla
padrona che non possano male usare se medesime, nè con cenni, nè con pa-
role. E so io, madonne, che in questo è gran difetto. Voi mandate qua e là le
vostre serve giovani, e nascono molti scandali; non ti fidar del marito, nè
del figliuolo, nè di alcun uomo che sia in casa; ferma la custodia sopra la
serva tua; e non dire: la è buona, perchè i cattivi parlamenti corrompono i
buoni costumi; 1' uomo parla a quella, e son le sue parole più morbide che
(') V. Hoprn a png. 95.
(•) Voi. La vita italiana nel rinascimento, I'. L Storia, p. 90.
l'olio, e esse sono coltelli ». E nella XL1I sopra Amos e Zaccaria è ancor più
incisivo il nostro educatore: « Io vi ho a ricordare una cosa, perchè intendo le
serve vostre, che sono giovani, voi le lasciate andar sole, donde ne nasce molti
inconvenienti: io vi avviso che voi dovete tenerle quanto a questa parte della
castità, come figliuole. E' si vorria, che gli Otto ci provvedessero. E voi fan-
ciulli, quando le trovate su questi cantoni a parlare con questi ribaldi, gridate
loro; e le serve rimandatele a casa. Voi che siete padroni e padrone di que-
ste serve che si sviano in questo modo, siete tenuti a confessarvi di questo
peccato, perchè è grave ».
Quante altre cose vere e belle non mi si affollano alla mente! Il Savona-
rola ne ha tante da formarne un volume. Ma devo pur giungere alla fine. Il
detto mi par che ad ogni modo basti all' intento presente; affrettiamoci z tra-
scriver qualche cosa de' doveri dei figli verso i genitori.
Ma qui non sappiamo davvero da quali passi incominciare, e ci è fatica
straordinaria il dover esser brevi. (*) Ci restringeremo ad ogni modo a pochis-
sime cose rispetto all' amore e all' obbedienza che il Savonarola inculca ai fi-
gliuoli verso il padre e la madre.
Un passo aureo che potrebbe bastar per molti si legge nella XXII sopra
Amos: «Dio ne' suoi comandamenti dice: Onora il padre e la madre tua. Fi-
gliuoli miei, io vorrei che voi aveste più riverenza a' padri e madri vostre, e
che chiamaste : Messer tale mio padre, e non : Piero mio padre, come si fa a
Firenze, massime negli uomini dabbene. Vorrei che voi metteste quest' usanza
[}) Il Marchese diceva bellissimi i pensieri del Savonarola intorno la pedagogia; e aveva
certo ogni ragione di cosi dirli. A noi quasi spiace che l'intento dello scritto presente c'im-
pedisca di raccoglierli qui ora. I consigli poi che il Frate di tratto in tratto dava ai fanciulli
e giovinetti sono cosa degna d'ammirazione. In parte l'abbiamo già visto sopra (V): eccone
qui un altro piccolo saggio: «Or su, figliuoli miei, voi volete riformarvi: alle mani, a rifor-
marsi. Voi avete inteso quanta gloria dà il Signore nostro a chi lo segue; e perchè a chi lo
segue bisogna patire tribolazioni, volendo acquistare merito e la gloria sua, però vi dico
elle quando qualcuno di questi ribaldi vi seguitasse, o strignesse in qualche luogo per farvi
cadere in quel maledetto vizio, lasciatevi prima morire che far peccato: io dico, figlioli
miei, lasciatevi ammazzare prima, perchè andrete subito in paradiso». (Sopra Amos e Zac-
caria, pred. X.) « Or su, piglia questi documenti, figliuolo : prima, che tu tema Dio, e datti nel
viver bene, e confessati spesso. Secondo, fa questo, se tu voi diventare buon cittadino, fa che
inai dica bugie; perchè chi si nutrisce nelle bugie, quando sarà poi grande, andrà su nella
bigoncia, e non dirà mai la verità. Terzo, non tener mai parte di nessuno, non ti curare elio
ti sia donato nulla; non accettare i doni, non volere danari: fa che tu sia magnanimo: di;
che voglio io fare de' presenti? io sarei fatto servo di colui. Quarto, fa che nelle cose della
verità tu non abbia mai paura: fa una faccia di leone, sta forte, acciocché tu non abbia
paura di fare la giustizia, come hanno fatto costoro.... » (Sopra Ezechiele, XXIV.)
I passi analoghi sono infiniti nelle prediche del nostro Frate. Egli reclama e vuole un
posto segnalato fra i grandi educatori italiani. E anche per questo ci fanno male e assai le
parole scritte dal Pastor esaminate nel testo. Egli avrebbe invece dovuto scrivere qualche
bella pagina di più intorno al Savonarola colà dove parla di Alessandro Maciughi Strozzi,
di Francesco Datini, di Feo Belcari, di Giovanni Morelli, di Giovanni Rucellai, di Vespasiano
da Bisticci, di Luca Landucci e di Giovanni Dominici e di altri insigni pedagogisti italiani
del secolo XV. Anche in questa bellissima parte il suo libro sarebbe riuscito più giusto e
completo se si fosse occupato un poco di Girolamo Savonarola. Certo questi reclama e vuole
un buon posto tra i pedagogisti cristiani, e a non assegnarglielo non si è giusti nè equi.
— 236 —
in Firenze, e che voi rendeste riverenza a' vostri padri, e consideraste che voi
avete l'esser del corpo da loro; e vorrei che ogni volta che vedete i vostri pa-
dri, vi cavaste di capo e inchinastevi. E anche voi, figliuole, quando in casa
vostra passate dinanzi alle vostre madri, vorrei che voi gli faceste un poco
di riverenza. Sicché, figliuoli miei, è bene portare ogni riverenza al padre
e alla madre. E se vi percuotessero qualche volta a torto, aver pazienza;
e ubbidite loro in tutte quelle cose che non sono contra Dio ». E nella pre-
dica XXIV sopra Ezechiele dice ancora a' figliuoli che siano obbedienti a' buoni
genitori come a Dio. E ivi stesso raccomanda loro di imitare le buone opere
de' padri, dicendo che se noi facciano, lo stesso loro gloriarsi de' genitori sa-
rebbe la loro condanna. E questi concetti il Savonarola con leggerissime
varianti, li ripete spessissimo.
È notissimo V obbligo naturale che i figli hanno di sovvenire ne' loro bisogni
i genitori. Invero è cosa turpissima che il padre e la madre vivano nella penu-
ria, mentre il figliuolo conduce i giorni nell'agiatezza; come è turpissimo il ve-
dere i vecchi infermi e senza forze tollerar la fatica per campar la vita, e i
figliuoli sani e robusti non sovvenirli dell' opera loro. Fra Girolamo per ciò
gridava con tutta ragione: « Il figliuolo è tanto obbligato al padre, che non
potria mai satisfargli ». (Sopra Amos e Zaccaria, pred. XLVI); e però con
tutta ragiono diceva egli ai fanciulli: « Sappi, figliuolo, che non solo tu sei
obbligato alla obbedienza del padre e madre e agi' inchini; ma a sovvenirgli
della tua fatica e alimentarli come hanno allevato te con la loro fatica. Gli
scribi e i farisei, i quali Cristo riprende nel Vangelo, non osservavano il pre-
cetto della riverenza paterna, perchè insegnavano ai figliuoli che offerissero al
tempio la roba, e a questo confortassero i padri e le madri; e se i padri loro
dicevano e le madri: Noi non abbiamo da mangiare; li rispondevano: Abbiate
pazienza, questo presente è fatto a Dio, il quale ci ristorerà. A questo modo
i farisei toglievano il pane di mano ai loro padri e madri ».
Si può adunque trovar predicatore o pedagogista cristiano che parli più
corretto e meglio del Savonarola ? Forse che egli è men retto ne' limiti che
poneva all'obbligo dell'obbedienza? Sentiamo quali erano queste restrizioni.
Le troviamo nelle stesse prediche ora citate: I figliuoli, notava il Savonarola,
sono uomini, e come tali hanno un'anima razionale ed un corpo: questo
1' hanno da' genitori, quella da Dio solo: onde se il padre e la madre vivono
bene, diceva al figliuolo: « Sii loro obbediente come a Dio, perchè Dio abita in
loro. Ma perchè (soggiungeva) è maggiore Iddio, che ti ha dato tali padri e
madri, però se sono cattivi, se sono senza devozione e senza gusto spirituale,
devi obbedire loro solo nelle cose della casa e nelle cose buone, perchè Dio vuole
così. Omnia quaecunque dixerint vobis facite, secundum vero opera eorum nolite
facere:(l) fate quello che vi dicono di bene, ma non quello che fanno loro.
(Sopra Ezechiele, 1. c.) Lo stesso dice nella XXII sopra Amos: « Se i genitori
(') Vang. di San Matteo, o. XXIII, v. 8. Cfr. li. Taparelli , Saggio teorico di Diritto Naturale,
Voi. Il, Diaaert. VII. cap. Ili, art. V, e Berardi, L'uomo apostolico, voi. Ili, pred. XIV, p. 221.
— 237 —
comandassero cose che fossero contro Dio, non si devono obbedire, ma rinun-
ciare allora al padre terreno per il celeste, cioè dire al padre carnale : io ti
rinunzio in questo, perchè in questo io ho un altro padre maggiore di te cbe
è Dio ». Così, per venire a qualche particolare: «Se il tuo padre ti dicesse:
va', giuoca; e a te figliuola la tua madre: va' lisciati; non le obbedire; ma di*
con reverenza : Padre, in questo non sono obbligato a obbedirli, ma al mio
Padre eterno ». Cosi facendo il Savonarola aveva anche speranza che i figli
richiamassero a savj pensieri i genitori, quando non fossero perversi; nel caso
contrario consigliava a' figli di sopportare in pace con pazienza e rassegna-
zione anche le percosse: « Dio, ripete il Frate, ti renderà una corona in Pa-
ra liso ». Ecco tutta la teorica del Savonarola. (') Chi cerca di condannarla a
me pare debba lacerare tutti i trattati di morale cristiana e segnatamente la
Somma e le altre opere di San Tommaso. (2)
Ma chiudiamo ornai questo capitolo, che, se non si è detto tutto, s'è tutta-
via detto abbastanza sia per ribattere le ingiuste accuse contro il Frate nostro,
sia per mostrare eh' egli insegnava appunto 1' opposto di quanto i suoi avver-
sar] gli rinfacciano.
(') Cfr. anche la pred. XXII sopra i Salmi.
(*) Vedi la Somma Teologia di San Tommaso, li-IT, q. CIV, art. V, il Quodl. IT, q. V,
a. IX e più altri luoghi.
XVI
Se Girolamo Savonarola eccedesse nel riprendere
i vizj del clero.
Sommario.
Accusa ripetuta da molti. — Argomento complesso. — Le accuse formolate dal Pastor. — Il
Savonarola non eccedette nel lamentare la corruzione della società nel secolo XV. — La
Chiesa di Cristo e le maldicenze di Fra Girolamo nel Pastor. — Un punto serio, e un
colloquio col P. V. Marchese. — I Borgia, C. Cipolla e L. Pastor. — Le accuse contro il clero
nel Savonarola e nel Pastor. — Preterizione. — Pervertimento del clero e spirito mondano
dei preiati nel secolo XV. — La Bolla di riforma di Alessandro VI. — I pellegrini a Poma
nell' anno del Giubileo 1500. — Tristi parole di un romano. — Conseguenze e osservazioni. — L'ac-
cusa piglia nuova forma. — Il Savonarola riconosceva il bene esistente nel secolo XV. — Pazzia
di chi crede che non ci sian buoni. — Domande contrarie. — Soluzione. — Il profeta Michea in cerca
di un giusto. — Parum pio nihilo reputatur. — Espressioni da non intendersi letteralmente. —
Asaph e David, ossia la diversità di natura e la grazia divina. — Si entra nella questione. —
Come la Chiesa abbraccia buoni e cattivi. — I passi terribili del Frate s' hanno da intendere
de' cattivi e gli altri de' buoni. — Una regola di ermeneutica sacra. — Le invettive contro il clero.
— Difesa già fatta. — La dignità del Sacerdozio e Girolamo Savonarola. — U Savonarola non
tira al particolare. — La fama di prelati e la salute delle anime. — Ogni azione di Cristo è no-
stra istruzione. — Ufficio del sapiente. — Le magague del clero, Fra Girolamo e i Padri della
Chiesa. — Esempi di San Bernardo, di San Pier Damiani, del Crisostomo, di San Tommaso. —
Il sacco di Roma, Fra Girolamo e il cardinal Gaetano. — Le lettere di Santa Caterina da Siena
« i sermoni del Savonarola. — Il Savonarola non disse male di Alessandro VI. — Autodifesa.
— Dna lettera della Signoria di Firenze. — Un'obbiezione senza fondamento ributtata con il
Pastor. — Conclusione.
Un' obbiezione assai grave ripetuta non solo dal Pastor, ma da molti
non passionati punto contro il Savonarola ed anche da alcuni amici e ammi-
ratori di lui e favorevoli alla sua causa, è 1' accusa di eccesso di zelo, di zelo
passionato, e quasi non dissi, fanatico. Anche ammettendo tutta la buona in-
tenzione e la buona fede nell'ardente Riformatore, e dando per dimostrato che
egli non eccedette ne' singoli casi esaminati nei precedenti capitoli, chi può,
dicon parecchi, sostenere che non eccedesse e mancasse di prudenza per molli
lati? Che cosa non dice egli della corruzione generale del suo tempo, della
corruzione del clero, e segnatamente della Curia Romana, e della scandalosa
— 239 —
vita del Papa?! Per lui più nessuno faceva bene, non vi era più prete, mè
frate buono, e Roma era divenuta una nuova Babilonia, ripudiata da Dio, la
Chiesa era caduta per terra, era fatta meretrice.... ! ! Quel non veder proprio
nulla di buono chi lo può difendere da zelo passionato nel severo Domenicano?
Ed era proprio ufficio suo, scevro da intemperanza, il gridar tanto contro
ogni ordine di persone, ed il voler cambiar la faccia a tutta Italia e a tutta la
Chiesa? Lo zelo buono non è mai senza prudenza e appar sempre tempe-
rato; ma di prudenza non si mostra punto fornito il Frate fanatico, e 1' auda-
cia sua, che così ha da chiamarsi piuttosto che zelo, non conobbe mai limite
alcuno. Egli è un esaltato; e anche se gli volete consentire il merito delle
buone intenzioni, dovrete pur convenire che con 1' eccesso guastò l'opera sua,
e quanto di buono operò, non ebbe perciò uneffettodurevole.il meno che si
possa dire sarà sempre questo: ad un eccesso il Frate di San Marco oppose
un altro eccesso. E un eccesso sarebbe apparsa, quando fosse stato possibile
di effettuarla durevolmente, anche la sua riforma! Che giudizio era quel voler
nel secolo XV ridurre la Chiesa alla semplicità de' tempi primitivi, e quel vo-
lerla spoglia di ogni maniera di beni temporali? Questo era almeno affine al-
l' eresia de' Fraticelli, ed è manifestamente eccessivo.
Così parlano alcuni, anzi molti, i quali pure hanno parole di lode per Fra
Girolamo. Hanno essi ragione in nulla? Come si deve pensare di questi loro giu-
dizj?! Ecco una grave questione che bisogna risolvere, se vogliamo che la figura
del Savonarola appaia integra, e non resti in un lato in brutta penombra. E noi
lo faremo nel modo migliore che ci sarà possibile. L'argomento però è complesso,
ed il lettore ci permetterà che se ne dica alquanto a lungo. Qui non si tratta di
risponder solo al Pastor, ma anche a molti altri; nè solo di distruggere, sì ben an-
che di edificare. A procedere con qualche ordine esamineremo prima se Fra Gi-
rolamo esagerasse nel vedere il male che deplorava nella Chiesa nel secolo XV:
poi s' egli si rendesse reo con iscoprir le magagne di Alessandro VI e dirne
male dal pulpito, e se eccedesse nel lamentar la corruzione del clero in gene-
rale. Quindi esamineremo se convenisse all'ufficio suo di predicatore il tentar,
come fece, la riforma della Chiesa; e finalmente se eccedesse nella riforma
stessa, s' egli volesse cioè una Chiesa differente da quella voluta da tutti i buoni
all' età sua : o, che è lo stesso, una Chiesa differente da quella che voleva Cri-
sto e volevano gli Apostoli, ed attraverso i secoli hanno sempre voluto tutti i
cattolici. In tutto però, sebbene noi intendiamo qui più che negli altri capitoli
rispondere a molti, terremo pur sempre 1' occhio a preferenza volto verso il Pa-
stor; nessuno forse è più severo di lui; onde confutando il Pastor e convin-
cendolo di inesattezza, saranno del pari confutati anche gli altri che giudicarono
come lui ; confutati e convinti, e, speriamo, anche persuasi.
Già nell' opuscolo Del disprezzo del mondo, dice il Pastor, « il fervente gio-
vane abbozza un orribile quadro de' costumi del tempo suo. Del bene che pur
v' era in copia, pare eh' egli ancor nuovo del mondo non si avvegga. Egli non
iscorge se non il male che gli ricorda Sodoma e Gomorra. Nel primo anno
della sua vita claustrale il Savonarola compose la sua celebre canzone De
— 240 —
ruina Ecclesiae, dove ugualmente vengono descritte le sole macchie che detur-
pavano il suo secolo ». (Pag. !22, 123.) Mandato in Firenze « il suo zelo pas-
sionato non lasciavagli vedere la copia del bene che tuttavia si era conservato;
egli non iscorgeva che il male, contro cui sorse con tanto zelo impetuoso
che fin dalle prime gli alienò l'animo di molti ». (pag. ["l'i.) « Movendo dalla
falsa idea che l' intera società fosse corrotta, non vide il molto bene che pure
esisteva in gran copia ». (pag. 137.) All'intemperanza del rinascimento con-
trappose un'altra intemperanza.
Insomma, a dir breve, la passione e 1' eccesso sono le doti proprie dello
zelo del Savonarola, e quindi 1' opera sua non poteva produrre frutti durevoli.
Per questo, tanto l'accusa, che al Savonarola mosse anche il Perrens, d'es-
sere inclinalo a veder piuttosto il male che non il bene, quanto l1 accusa di
eccesso di zelo, restano assai aggravate.
Ma noi già abbiamo veduto che Fra Girolamo non esagerava punto, se
vogliam credere alle cose che ci narra il Pastor, nel parlare della corruzione
dell'età sua: il lusso, l'usura, la frode, la mania del giuoco e dei sollazzi,
1'immoralilà ne'ceti superiori, e la scostumatezza de' principi italiani, il liberti-
naggio, le cortigiane, la sodomia, le intemperanze degli umanisti, la mania
per le antichità pagane, son tutte cose dipinte dal Pastor nel!' introduzione
del suo volume con caratteri molto più foschi di quello che non troviamo fatto
dal Savonarola. Certo molto bene era tuttavia rimasto nella Chiesa e nella so-
cietà di allora, ma nessuno vorrà negare che molta fu la corruzione della so-
cietà e della Chiesa stessa all' epoca del rinascimento, e forse quanta fino allora
non s' era mai vista. Nei lamenti adunque del Frate nessuno vorrà notare ec-
cesso, tanto meno il Pastor, salvo che questi non voglia essere in aperta con-
tradizione con se stesso, perchè evidentemente ci concede che la società in
genere era pur troppo assai più guasta di quel che Fra Girolamo non la dipin-
gesse dal pulpito. E d' altra parte il Savonarola non trasse mai a nessuno in
particolare; ma solo si contentava di condannar i vizj in generale e chiamare
i viziosi a penitenza, unico rimedio per salvar essi e la nostra penisola dal
flagello onde s' era minacciati.
E parlando del guasto nella Chiesa, dava forse neh' esagerazione il buon
Frate? Fu eccessivo e imprudente nel dipingere i mali del clero? nell' accen-
nare alla vita immorale e scandalosa dei Prelati? Molti credono di sì: e il
Pastor è certo con costoro, poiché non dubita di condannare apertamente il
nostro Domenicano per non aver saputo risparmiare dalle sue maldicenze la
casta Sposa di Cristo. E che non dice egli infatti della corruzione della
Chiesa nelle sue prediche? « Fatti in qua » gridava egli «fatti in qua, ri-
balda Chiesa. Io ti avevo dato, dice il Signore, le belle vestimenta, e tu ne
hai fatto idolo. I vasi desti alla superbia, i Sacramenti alla simonia, nella lus-
suria sei fatta meretrice sfacciata; tu sei peggio che bestia; tu sei un mostro
abominevole. Una volta ti vergognavi de' tuoi peccati, ma ora non più. Una
volta i sacerdoti chiamavano nipoti i loro figliuoli; ora non più nipoti, ma
figliuoli, figliuoli per tutto. Tu hai fatto un luogo pubblico, tu hai edificato un
— 241 —
postribolo per tutto. Che fa la meretrice? Ella siede sulla sedia di Salomone,
e provoca ognuno ; chi ha denari passa e fa quel che vuole, chi cerca il bene
è scacciato via.... E così, o meretrice Chiesa, tu hai fatto vedere la tua brut-
tezza a tutto il mondo, e il tuo fetore è salito al Cielo. Tu hai moltiplicato le
tue fornicazioni in Italia, in Francia, in Ispagna, per tutto». (Pastor, p. 355.)
Si potrebbero dare invettive più atroci?! quanti non sono i passi del Savo-
narola analoghi al presente, e anche più incisivi?! Lasciando, che è bello il
tacerne, l'enumerazione e le altre cose della predica XII sopra Amos e Zaccaria,
(Pastor, p. 353), ha forse torto lo storico d' Innsbrnck quando afferma (p. 355)
che «nelle prediche recitate la quaresima del 1497 le accuse contro la Chiesa
di Roma formarono il tema principale del Savonarola »? Pia forse torto il critico
d' Innsbruck quando dice contumeliose le prediche del Savonarola specialmente
le recitate V anno 1496? E che diremo di quelle dette la quaresima del 1498?!
Or chi potrebbe assolvere il Frate di eccesso e d'intemperanza? Chi potrebbe
ritenerlo per fornito di prudenza? E un uomo senza misura e senza prudenza
qual bene può fare, anche se animato dalle migliori intenzioni? E nella Apolo-
gia de' Frati di San Marco che non dice del guasto degli ordini religiosi? che
non dice nelle stesse sue prediche non solo de' frati, ma anche dellé monache?!
Le invettive contro il clero sono così fosche, che non ci par possibile che altri
fosse tollerato facendole dal pergamo.
« Già nelle prediche dell'Avvento del 14-93 il Savonarola inveiva con auda-
cia che passa ogni misura contro il marcio degli ecclesiastici: — Con Aristotile,
Platone, Virgilio e Petrarca, solleticano le orecchie, e non si occupano della
salute delle anime. Perchè, invece di tanti libri, non insegnano quel solo dove
è la legge e lo spirito della vita? L' evangelio, o cristiani, bisognerebbe por-
tarlo sempre indosso: non dico già il libro, ma lo spirito di esso. Che se tu
non hai lo spirito della grazia e tu porti indosso 1' intero volume, non ti gio-
verà a nulla. Oh quanto sono più sciocchi ancora quelli che s'empiono il collo
di brevi, di polizze e di carte, che sembrano botteghini che vanno alla fiera!
La carità non sta nelle carte. I veri libri di Cristo sono gli apostoli e i santi;
la vera lettura sta neh' imitare la vita loro. Ma oggi gli uomini sono fatti libri
del diavolo. Parlano contro la superbia e 1' ambizione, e sonvi immersi fino agli
occhi; predicano la castità, e tengono le concubine; comandano che si digiuni,
e vogliono splendidamente vivere.... Costoro sono libri disutili, libri falsi, libri
cattivi e del diavolo, perchè esso vi scrive dentro tutta la sua malizia.... Que-
sti prelati s' estollono delle loro dignità e disprezzano gli altri ; sono quelli che
vogliono essere riveriti e temuti; sono quelli che cercano le prime cattedre
nelle sinagoghe, i primi pergami di Italia. Costoro cercano la mattina di essere
trovati in piazza, ed essere salutati, ed essere chiamati maestri e rabbi; dila-
tano le fimbrie e filatterie loro (') ; sputano tondo ; vanno in sul grave e vogliono
essere intesi ai cenni.... Vedi oggi li prelati prostrati coli' affetto in terra ed in
(') Vangelo di San Matteo, cap. XXIII, v. 5-7.
16
242
cose terrene; la cura delle anime non è più loro a cuore ; basta tirar le en-
trale.... Nella primitiva Chiesa erano li calici di legno e li prelati d'oro; oggi
la Chiesa ha li calici d'oro e li prelati di legno ». (Pastor, pag. 127-128.) (*)
A quali espressioni non si lasciò trarre quel Frate nelle prediche del
1496? « Per tutto il ciclo di queste prediche si stende la intemperante de-
scrizione dei vizj di Roma. Se anche di tratto in tratto toccava di questioni
politiche, il sodo stava sempre nelle sue invettive contro la curia romana.
Queste crebbero a segno da gridare : Fuggitevi da Roma, perchè Babilonia
vuol dire confusione; e Roma ha confuso tutta la Scrittura, ha confuso insieme
tutti i vizj, ha confuso ogni cosa ». (Pag. 353; conf. la pag. 362.)
Nelle sue prediche, o meglio nelle sue continuate filippiche quell' infelice
trattava il papa più malamente che se fosse un turco, tantoché Alessandro VI
dovette egli stesso con 1' oratore fiorentino dolersi che la Signoria di Firenze
tollerasse che questo Frate aggredisse, minacciasse, vilipendesse in guisa
inaudita lui Papa, e lo ingiuriasse e disprezzasse.... « Il passo contro i figliuoli
de' preti di sopra trascritto è rivolto proprio contro Alessandro VI ». (2)
(P. 356). Che si può dire di più audace ed imprudente? Non è zelo questo, ma
fanatismo ; e se è zelo, è zelo passionato.... eccessivo e del tutto condannabile
in un predicatore savio, in un religioso!!
Qui mi trovo innanzi ad un punto il quale mi ha sempre dato seria-
mente da pensare. Io lo ricordo come fosse ora: in uno degli ultimi colloquj
che ebbi col Padre Vincenzo Marchese (3) gli espressi il desiderio di studiare la
riforma ecclesiastica tentata da Fra Girolamo: egli levò le braccia verso il
cielo, giunse le palme, e « Figlio mio, disse, a difendere in questo campo Fra
Girolamo, bisogna mostrare tante infamie, svelare tante lordure!... » E pro-
nunciò quesle parole con modo e forza tale da farmi credere eh' egli amava
meglio che restasse un po' di nebbia attorno alla santa memoria del suo Frate,
piuttosto che rompere la parete e mostrare l'abbominazione di Gerusalemme....
Egli aveva forse allora anche riguardo alla mia giovinezza...! « Ma il tempo, mi
soggiungeva, farà poi certamente giustizia.... la causa del Savonarola cammina:
ma a' cattolici torna amara la sua completa rivendicazione, se lo consideriamo
levato contro il guasto nella Chiesa e alle prese co' vizj del clero ». Quanta
delicatezza di coscienza! E io gli credei: perchè anche un altro uomo inte-
merato, narrando la storia delle Signorie Italiane, (4j giunto a parlare del Bor-
gia, scriveva: « Coli' animo addolorato noi ci facciamo a parlare de' fatti de-
plorabili e che mostrano come la caducità dell' uomo sia divisa dalla santità
impersonale della Chiesa e del Pontificato ». (Pag. 671.) E sopra non pochi
(') Queste citazioni tratte dallo prediche Rul salmo Quam bonus sono state, come tante
altro del Pastor, da lui trascritte dal Villari; V. voi. I, p. 194 e seffg.
(2) Il Villari, voi. II, p. 4, nota 1, osserva : «Qui è chiaro che s" allude ad Alessandro VI
il qualo, senza pudore, scriveva e parlava de' suoi figli ».
(3J II P. Vincenzo Marchese dei Predicatori mori santamente in O enova il di 24 Reu-
naio 1891.
C) C. Cipolla, Le sifinoric italiane dal 1800 al 1660 • Milano 1881.
— 243 -
degli avvenimenti che pur lo storico era costretto a narrare, certo avrebbe
amato meglio qnesl' autore tirare un velo e andar oltre! Ma il velo non lo
tirò il Pastor nella storia dei Papi; la parete fu rotta e tutta si mostrò 1' abbo-
minazione di Gerusalemme. Noi, mettendo da parte ogni scrupolo, non abbiamo
se non che da lodarlo. Occultare il male qui non giova ; se il marcio vi è, è
meglio che sia schiettamente svelato non solo dai nemici della Chiesa, ma
anche dai cattolici.
Le cose che leggiamo nel Savonarola contro la corruzione del clero in
generale e di Roma in particolare son gravi, non lo neghiamo; ma non gravi
almeno più di quelle che si leggono nel Pastor. Siamo tenuti ad usar riguardo
ai nostri lettori; ma l'obbligo della difesa ci costringe a trascrivere qui qual-
che periodo: essi vedranno da sè che aveva ragione il Frate allorché affer-
mava che egli non diceva tutto il male che sapea esistere nella Chiesa di Dio.
Ci avvisa innanzi tutto il Pastor che « 1' eccessivo entusiasmo per 1' anti-
chità produsse in molti una debilitazione del sentimento religioso » : della me-
scolanza di paganesimo e cristianesimo ci dà le prove parlando di « una rac-
colta di poesie dell' epoca di Alessandro VI contenenti una serie progressiva
di epigrammi i quali in prima celebrano la Madonna e molte Sante Vergini, e
tutto di seguito, senza osservazione alcuna, glorificano le cortigiane di quel tempo.
Le Sante del Cielo e le pulzelle di Venere venivano senza più schierate 1' una
accanto all' altra come donne famose ». Nota altresì non esser di troppo se si
afferma che la imitazione degli antichi presso i seguaci del falso rinascimento
non cristiano crebbe fino alla manìa (pag. 95). Biasima l'introduzione della
fraseologia pagana e dell' elegante stile umanistico nelle cose ecclesiastiche e
nella stessa scienza teologica (pag. 96-97), ed accenna alle molte superstizioni,
che, con l'astrologia, affliggevano allora gl'Italiani, (pag. 99 e seguenti). Ma
di tutto questo già abbiamo detto di sopra e però ora ce ne passiamo. Nel-
l'introduzione al libro del Pastor i lettori avranno di che saziarsi. Lasciamo di
notare come lo storico d'Innsbruck ci insegni che nel falso rinascimento s'era
andati tanto oltre, che « con tutta pietà venne proposto che dopo la pericope
domenicale del vangelo si leggessero brani degli scritti di Platone » : lasciamo
tuttociò che dice non pur de' Platonici, ma e degli Aristotelici e degli Averroisti,
e delle massime pericolose che eseguivano (pag. 103-104 e seguenti). Nè diciamo
del modo onde molti predicatori annunciavano la parola di Dio (pag. 122). A
prova della temperanza del nostro Frate ci basterà di trascrivere poche cose
che il Pastor dice di proposito, dopo d' aver parlato del Macchiavelli, del « per-
vertimento del clero » e dello « spirto mondano della Santa Sede e de' Cardi-
nali ». (Pag. 114.) « Non avvi dubbio che una gran parte del clero italiano dal
Frate mendicante fin su alla cima suprema, aveva la sua buona colpa di quasi
tutti i malanni fin qui descritti. Quanto più intimamente la Chiesa era venuta
crescendo insieme con tutta la vita pubblica e sociale, tanto più anch' essa
ne' suoi membri e rappresentanti venne minacciata da pericoli e infella dalla
corruttela del mondo. Egoismo, superbia, cupidigia, le quali si manifestarono
nella inaudita accumulazione di prebende e nella simonia, nello sfarzo e nella
- 244 —
vita godereccia, nel raffinato e grossolano godimento sensuale, avevano tro-
vato fra gli uomini di chiesa una larga diffusione. Della gravità del male son
testimonj i lai spaventosi di contemporanei e fatti moltissimi ed evidenti.... »
(pag. 114). « La disciplina ecclesiastica nel clero su su fino ai primissimi gradi
era rilassata all' estremo, ed eziandio in mezzo al clero regolare e secolare an-
davano vieppiù prendendo radice disordini e dissolutezze d' ogni ragione. 11
sale della terra era scipidito. Ora dove la purezza di costumi svanisce, anche la
fede non rimane incorrotta. Al che si aggiunse 1' azione del falso rinascimento
a tirar molti su vie torte. Preti indegni su questo taglio erano quelli che ad
Erasmo e Lutero venuti a Roma al tempo di Giulio II porsero occasione alle
loro rimostranze senza dubbio esagerate. Ingiusto è peraltro il credere che il
marcio del clero sia stato proprio in Roma più grande che mai; per quasi
tutte le città della penisola italiana abbiamo documenti a provare la deprava-
zione del clero. In certi luoghi, p. e., in Venezia le condizioni erano assai
peggiori che in Roma. Che in mezzo a tali contingenze in molti luoghi venisse
affatto a cessare l' efficacia e il rispetto dello stato sacerdotale, come il deplo-
rano moltissimi de' contemporanei, è cosa spiegabilissima. La immoralilà nel
clero era così grande e pressoché universale, che si elevarono delle voci chie-
denti il matrimonio de' preti. Contro uno scritto di tal natura Roderico de
Sancla Ella compose una trattazione da lui dedicata al Papa Sisto IV. Indi-
cibilmente tristi erano le condizioni in molti conventi: in tanti di questi i tre
voli essenziali, castità, povertà ed obbedienza, non erano punto osservati ....
Anche nei chiostri di monache la disciplina era assai rilassata ». (Pag. 115-117.)
Nè qui stava il tutto secondo il Pastor. « Il peggio era che eziandio la Santa
Sede non andò immune da tale pervertimento. Il vivere secolaresco principia
in essa con Paolo II ; cresce sotto Sisto IV e Innocenzo Vili, e tocca il suo apice
sotto Alessandro VI, il quale colla sua vita scostumata contaminò turpemente
la sede del principe degli Apostoli. 11 depravamento de' costumi a quell'epoca
dette nell'occhio anche ad osservatori stranieri, come il cavaliere Arnolfo
De Harff ». (Pag. 115.)
« Un quadro invero rattristante ci presenta anche la vita di molti cardi-
nali, vescovi e prelati di quel tempo, i quali radunavano nelle loro mani bene-
fizj sopra benefizj e senza riguardo si davano tutti ad una condotta non punto
ecclesiastica, sì anzi mondana e peccaminosa. Il cangiamento in male nel sa-
cro Collegio intervenne sotto il pontefice Sisto IV. Durante il governo d'Inno-
cenzo VIII il guasto crebbe a tale che, dopo la sua morte, per corruzione,
potè venire eletto con denaro un Alessandro VI. Quali uomini depravati fra i
Borgia entrassero nel senato della Chiesa, ce lo mostra un' occhiata alla vita
di un Ippolito d' Este, Francesco Iloris, Cesare Borgia ed altri. Soltanto sotto
il pontificalo di Giulio li cominciò almeno in parte un miglioramento delle cose,
sebbene ancor egli insignisse della porpora uomini indegni, quali erano Sigi-
smondo Gonzaga e Francesco Alidosi. Non fu che alla metà del secolo deci-
mosesto che nel Collegio cardinalizio tornò a prevalere lo spirito strettamente
ecclesiastico ». (Ivi.)
— 245 —
E già il Pastor dietro il titolo del II volume e poi a pag. 8 del medesimo,
ci ha fatto conoscere 1' allocuzione che il dotto umanista Domenico de' Dome-
nichi vescovo di Torcello tenne a' cardinali eh' erano per entrare nel conclave
onde uscì Papa Pio II (1458). Or che non diceva già allora il pio oratore?
« Esortava gli elettori a deporre ogni ambizione, finzione e discordia, sfer-
zando fortemente in ispecie quel primo vizio. — Oh quanti si sarebbero per
l' addietro tenuti paghi della più piccola chiesetta, laddove aspirano oggi a' pri-
missimi posti nella Chiesa o alla signoria del mondo !!.... — Faceva poi notare
l'importanza dell' elezione, segnatamente a rispetto della miserabile condi-
zione di allora. — I principi terreni, esclama, sono fra di loro in guerra e con-
tro la propria carne dirigono quelle armi che dovrebbero brandire contro ai
Turchi. Miuno valse a rappaciarli. I costumi del clero sono corrotti e son
divenuti scandalo a' laici; ogni ordine è sparito. Di giorno in giorno la rive-
renza verso la Chiesa si fa minore, il potere delle sue censure sembra presso
che morto. Chi 1' ha di bel nuovo riscossa? La Curia Romana è in molte cose
deformata: chi l'ha deformata »? (Voi. II, pag. 8.)
Come si può quindi condannare il Savonarola se lamentava i medesimi
mali, allorché la mondanità nella Curia e nel clero era giunta all'estremo?!
Ma a che andar cercando prove che il Savonarola non diceva altro che
la verità, se queste ci sono date evidentissime da Alessandro VI nella bolla di
riforma pubblicataci dal Pastor medesimo, e pur troppo rimasta in abbozzo ?
(Pag. 342-343.) Che non raccoglie da essa lo storico d' Innsbruck?! « Gli or-
dinamenti di questa bolla ci mostrano quali abusi fossero entrati nel Sacro
Collegio, e ancor più a fondo ci lasciano vedere nelle condizioni scompigliate
gli ordini riguardanti gì' impiegati ponlificj, i quali si permettevano delle esor-
bitanze.... La bolla vuole abolita anche la venalità degli ufficj. Altre serie ma-
gagne mettono a nudo gli statuti concernenti le spettanze e le riservazioni ;
inoltre quelle contro i concubinarj. In quest' ultimo rispetto venne sancito che
ogni prete, anche prelato di primi gradi, debba entro dieci giorni dopo esami-
nata la bolla di riforma, metterla in esecuzione.... »
Ma non se ne fece nulla ; « via via » osserva il nostro critico « tornarono
a ridestarsi a forza raddoppiata le tendenze al nepotismo ed il demone della
sensualità spense tutte le migliori commozioni!! Le ultime cose diventarono
adesso più brutte assai che le prime»!!! (Pag. 343.)
Non senza profonda tristezza un cattolico legge ciò che il Pastor dice a
pagina 443! Siamo al grande giubileo del 1500; e da ogni banda peregrini
spinti da vera pietà traevano a Roma « dove tante cose dovevano offendere ben
addentro i loro sentimenti religiosi. Anche gente, come Sigismondo de' Conti,
non guari avverso ai Rorgia, non potevano proprio di quei giorni celare la loro
disapprovazione quanto al nepotismo di Alessandro eccedente ogni misura.
Cesare allora abbisognava di molto danaro per le imprese della Romagna, e
il Papa senza un riguardo al mondo gli diede le rendite del giubileo »
Nè diversa era la Roma degli anni immediatamente anteriori .... come ricorda
ivi il Pastor. Quale impressione non si ha nelle parole che il Vettori intese da
— 246 -
un romano, il quale stava al servizio del cardinale Briconnet? « Se mi domandi
perchè io abbia lasciala Roma, ti rispondo che noi altri romani siamo buoni
cristiani ed abbiamo udito e letto che la fede cristiana è stata fondata col san-
gue dei martiri sui buoni costumi, e confermata da tanti miracoli, cosicché
sarebbe impossibile che un romano dubiti della fede. Io sono stato anni parec-
chi in Roma, ed ho visto !a vita de' prelati e de' grandi ; e se mi fossi fermato
più a lungo, avrei avuto paura, non solo di perder la fede, ma di diventare un
epicureo e di mettere in dubbio l'immortalità dell'anima ». (Pag. 443, nota 2.)
Ora chi potrà condannare il Savonarola quando diceva eh' era difficile
a' religiosi vivere a lungo in Roma co' gran maestri e co' prelati, senza correr
pericolo di guastarsi e perdere il buono spirito, e quando condannava coloro
che questa vita cercavano, che 1' amavano, e l'avrebber condotta volentieri? (*)■
Il Pastor ci ha offerto anche qui 1' assolutoria del Frate di San Marco. Pur
troppo era vero e reale e ben conosciuto da tutti il male che Girolamo Sa-
vonarola lamentava nella Chiesa, negli ordini ecclesiastici e religiosi, pur troppo
era vero il guasto che egli lamentava in Roma.
Così foss' egli qui stato eccessivo ed esagerato .... ! Ma che sono mai
le sue severe ed incisive parole in confronto della realtà? Se penso ch'egli
era agitato da zelo ardentissimo, che parlava con calore, che si trovava in
mezzo a' mali che voleva correggere e che gli guastavano 1' opera della sua ri»
forma, io, ripetendo le parole che gli dicevano gli amici: — Ma padre, voi non
dite la centesima parte! — (predica del 15 febb. 1498), mi meraviglio ch'egli non
sia andato più oltre nè abbia usato parole ancor più gravi, parole almeno
uguali a quelle che con lo stile e la freddezza dello storico trecent' anni dopo
scrive Lodovico Pastor!
Ma andiamo oltre, chè la via è lunga. Sia adunque prosciolto, mi par di
sentir dire, il Frale di San Marco per il male che egli vedeva nello scorcio del
secolo XV; ma che perciò? non di questo propriamente noi lo accusiamo:
ma di non aver visto il molto bene che pur vi era .... Qui sta 1' eccesso, nel-
1' aver visto tutto guasto e corrotto e niente sano e integro. Questa è l'accusa
ripetuta sovente dal Perrens, dal Pastor e da molli cattolici. Questa è 1' ac-
cusa, diciamo noi, ripetuta da chi non ha letto Fra Girolamo o non lo ha letto
bene. Chi 1' ha letto bene pensa il contrario. Anzitutto, chi erano coloro a'quali
rivolse dapprima il Savonarola la sua predicazione della semplice fede del lume
soprannaturale?! I buoni; lo ripete egli sovente. Dunque egli non credeva che
proprio tutti fosser corrotti. E che cosa scrive poi a Stefano da Codiponte nella
lettera che abbiamo di sopra riportata? (2) Che nel mondo vi furono sempre
tristi e buoni, e che il medesimo era allora; e insiste nell' affermare che i
frati del convento dove si trovava questo fervente novizio eran buoni, anche
(') Sopra questo punto il Savonarola è stato difeso (nè ó possibile far meglio) da Tom-
maso Neri domenicano, neWApolouia della doltrinadel Savonarola ; Firenze, 1561, a pagina 78-
e seguenti, nè è più il caso d'ajjgiuugorvi parole.
0 Vedi sopra p. 171.
— 247 —
se per avventura alcuno paresse il contrario. Dunque il Savonarola non cre-
deva che tutti fosser guasti e sapeva veder sopra la terra de' buoni anche
in quella infelice età. E nelle sue prediche poi e ne' suoi scritti, specialmente
negli spirituali, si volge molto spesso a' buoni, e li conforta a star saldi e a
praticar la fede, assicurandoli ognora che finiranno con il trionfare. E tra
i buoni e di Firenze e d'Italia annovera uomini, donne, fanciulli, che avevano ad
esser la semente di que' che venivano; preti, frati, monache, che avevan da far
rifiorire nel clero e nelle religioni lo spirito buono e la vita degli antichi padri.
E nella sua terribile predica da noi citata più volte, fatta il 15 febbraio 1498
in San Marco ai soli sacerdoti religiosi e secolari, ove lamenta con amarissime
parole il guasto di molti chierici, egli dice: « Io volevo parlare alli miei preti e
sacerdoti buoni.... » : « Io parlo de' cattivi, e con riverenzia di questi buoni sacer-
doti ». Or che valore avrebber le sue parole, se egli credeva che tutti fosser
guasti e corrotti? se egli avesse visto tutto brutto nell'Italia d'allora? A me
pare strano che certe affermazioni, senza fondamento alcuno di verità, si siano
potute, non pur formulare, ma quasi generalizzare. Ditemi: non erano buoni al-
meno quelli i quali in Firenze e fuori volevano la riforma del Savonarola?
Ora: credeva egli che fosser pochi i cosiffatti pronti come lui a predicare la verità
della fede e la semplicità della vita cristiana e a risanare il clero nella parte
guasta, e a riformare i costumi del popolo? Sentiamo le sue parole: « E' sono
dei buoni in ogni religione .... Io ti dissi questi giorni che egli era acceso
questo fuoco in tanti luoghi e in ogni religione, e scoppierà .... » (Sopra
Amos e Zaccaria XXVII.) E infatti nella predica XXI aveva detto che tutta
Italia s' era commossa alla sua predica e che non poteva gettar per terra
l'opera della riforma, ma che essa sarebbe andata innanzi ad ogni modo;
perchè era opera di Cristo. E quand' anche seguisse che egli fosse cacciato
di quella città, era sicuro che la riforma non si arresterebbe; e invitava a
scrivere a Roma che quel fuoco e quel lume era attaccato in tanti luoghi,
in tutte le religioni, e si sarebbe suscitato in molta gente; e si sarebbero
sollevati molti contro di loro medesimi e del loro ordine, ne' quali era ac-
ceso questo fuoco. E seguiva confidentemente e audacemente: «Va, scrivilo
a Roma e dì: E' dice quel Frate che tu faccia quanto tu vuoi., Roma, chè tu
non spegnerai questo fuoco: e se tu ne spegnerai uno, ne verranno fuori
degli altri e più forti che questo e susciterassene per tutta Italia di questi
fuochi e susciterassene ancora a Roma, benché sieno ancora occulti. Io ti
dico: che vi è acceso di questo fuoco in vescovi, in prelati e cardinali; che
vi è anche qualche cardinale che difende questa verità; è acceso questo fuoco
in diverse parti d' Italia, in gran maestri secolari, che quando sarà il tempo
la scoppierà fuori questa verità, e io anche n' ho lettere da certi gran maestri
che io non ti voglio dire al presente, che sono contenti metterci la vita per
questa verità. E scrivi che io invito tutti gli savj di Firenze, di Roma e di tutta
Italia a disputare questa verità, e se loro superano me e quelli che son
meco in questa verità, son contento cedere e anche a morire, se biso"
gna. E pinglinla per qual modo vogliono questa disputa: o voglionla far con
— 248 —
ragione o per altri mezzi, che non ti voglio dire adesso, chè a tutto sono appa-
recchiato, o vogliono per via naturale, o per via soprannaturale ». (Sopra Amos
e Zaccaria XXI.)
Chi scriveva e predicava cosi non aveva occhi per vedere il bene che re-
stava tuttavia nella Chiesa sullo scorcio del secolo XV?! Egli diceva sovente che
molti buon' erano in Italia; e di tratto in tratto per mostrare l'ingratitudine del
popolo cristiano che non voleva convertirsi, ripeteva che Dio usava misericordia
e invitava al bene e con buoni predicatori e mediante la recordazione de'santi
passati, e ancora mediante i buoni esempi di quelli che son vivi (Sopra
Amos XVI; sopra il Salmo Qtiam Bonus XII.) E questo pensiero era tanto caro
al Savonarola e davagli tanta importanza che vi poetò anche sopra:
O anima cecata,
Astrologi e profeti.
Omini dotti e santi,
Predicator discreti,
T'han preditti i tuoi pianti ;
Deh! mille grazie e doni
Che Dio t' ha conceduti,
E gran pensieri boni
Nel cor ti son venuti :
Quanti divini aiuti !
(Poesia II.)
Sapete che cosa pensava il nostro Frate di coloro che tenevano che tutto
fosse corrotto e più nulla vi fosse di bene nel mondo? Sentitelo da lui con le
sue parole: «Noi predicammo l'altra volta ai cattivi, e stamani tocca ai buoni.
— 0 Padre, quali sono questi buoni? — lo credo che ce ne siano molti buoni,
ma il cattivo che non vuole fare bene perde anche il cervello, come io t' ho
detto altre volte ; e non crede che nessuno sia buono, ed è simile ad uno paz-
zo. Siccome dice Salomone, che il pazzo va per la via e vede gli altri uomini,
e crede che ognuno sia pazzo come lui ». (Sopra Ruth e Michea, XIII.)
Nè ha predicazione nella quale non raccomandi che si preghi Dio perchè
voglia aiutare i buoni e i retti di cuore, e diceva spesso col profeta: Benefac
Domine bonis et rectis corde. (£) A che ciò, se al mondo non vedeva altro che
perversi?!
Ma perchè dunque, ci dicono, egli insiste tanto a dir male della Chiesa, e
gridare che la Chiesa è gettata a terra e distrutta? Le cose che dice qui il Sa-
vonarola, non pur da'suoi avversarj, ma anche da'suoi ammiratori si tengono
(*) Salmo 124, v. 4.
— 249 —
per un prodotto di zelo malinteso, che accecava lo stesso predicatore: se in-
fatti dicono essi stessi, non esisteva più Chiesa di Dio, (l) che cosa predicava
egli? chi era? da chi aveva la missione? Molte delle cose che dice per esempio
nella predica XXIII sopra il salmo Quarti Bouts non sono un suo malignare?
non sono poco meno di quello che dicono Lutero e Calvino e in generale i pro-
testanti? Come si spiegano queste cose?
Prima di rispondere a queste domande, vorrei farne alcune anch'io: Che
vuol significare il Savonarola nella stessa predica XXIII sopra il Salmo Quam Bo-
nus, allorché, dopo aver fatto un quadro così brutto della Chiesa, dopo aver gri-
dato ch'essa è nelle mani de' diavoli, de' tiranni, de' cattivi prelati, che è piena
d' animali, piena di bestie, leoni, orsi e lupi che 1' hanno tutta guasta, dopo
tutto, la chiama pur Chiesa del Signore? E volgendosi al Signore il buon Frate
grida: «Non vedi tu, Signore, la nostra tribulazione ? Ti se' tu dimenticato della
Chiesa tua? EU' e pur la sposa tua! Non la conosci tu? 1' è quella medesima per
la quale tu discendesti nel ventre di Maria, per la quale tu pigliasti carne uma-
na, per la quale tu patisti tanti obbrobrj, per la quale tu volesti versare il
sangue tuo in croce; dunque la t' è costata assai, Signore, e però noi ti pre-
ghiamo che tu venga e presto a liberarla .... Vieni .... » Che voglion dire
tutte queste cose? E ancora ivi nella predica VII dice che « la Chiesa ci mostra
con esempio quello che ella c' insegna con parole; e che 1' ha fondata Cristo per
comandamento del Padre, mediante la sua dottrina, mediante i suoi miracoli,
mediante gli esempi de' santi, della sua innocentissima vita. E poi in croce
morendo 1' offerse monda al padre suo La Chiesa è l' arca sopra la
quale siede Dio, siede Cristo. La Chieza di Cristo è fatta di molti uomini santi
uniti insieme per fede e amore; è la congregazione de' giusti che sono pietre vive
composte insieme dalla carità (2) — quelli che appartengono alla Chiesa di Cristo
sono mondi, puri, casti di dentro e di fuori, perchè nè in mente ritengono al-
cuna inonesta fantasia, e fuora nel parlare riluce tutta castità, mondezza e pu-
rità »
Or queste, e molte altre cose bellissime che ivi dice il Frate della Chiesa
di Cristo, che vogliono significare? E che vuol dire ancora che nella poesia
della Buina della Chiesa egli raffigura essa Chiesa in una vergine casta? E
nella predica XXVIII sopra Amos che ci vuol dire il nostro Frate quando af-
ferma che la Chiesa è fruttuosa come terra buona? E che vuol dirci quando
ripete che la Chiesa di Cristo è santa, ed era allora, quale fu sempre e che si
manterrebbe fino alla fine del mondo ? eh' essa salea tutti quelli che sperano
in Cristo? ! E sopra Ruth e Michea, che voleva mai significare il nostro
Frate mostrandoci la Chiesa nella donna biblica vestita di sole, cioè di lume
(*) Vedi nell' edizione di Piato, 1816, la nota a pag. 568 alla predica XXIII, sopra il
Salmo Quam Bonus.
(s) Qui è manifesto che il Savonarola intende della Chiesa il senso propriissimo, come
spiega più sotto a pag. 251f e questo senso si distingue dal proprio che è di congregazione, di
tutti i fedeli.
— 250 —
di fede; coronata da dodici stelle, ossia dalla dottrina de' dodici Patriar-
chi e de' dodici Apostoli, con la luna sotto i piedi, cioè che calpesta gli
affetti delle cose di questo mondo, le quali questa Chiesa ha posto sotto i piedi
e disprezzati?! E che voleva dirci con molte altre espressioni tutte purezza e
tutte santità riferite alla Chiesa? Per ogni passo che voi mi recate in cui il Savo-
narola par che voglia la Chiesa di Cristo invecchiata e disfatta, io ve ne posso
recar dieci in cui si canta la perpetua gioventù della Chiesa, e la sua indeffet-
tibilità, anzi il suo progresso sopra la terra fino al dì del giudizio, quando
trionferà in cielo gloriosa. Che risponderemo dunque? come si conciliano le
opposte affermazioni?! Leggiamo nella predica XXII tra le fatte l'anno 1496:
« Il profeta Michea andava cercando se trovava un uomo giusto e santo
che si opponesse all'ira di Dio, e che con i suoi preghi e co' suoi meriti lo pla-
casse: e cercato tutto, non lo trovò. (i) Il Profeta ha cercato tutto, e final-
mente, non trovando un uomo santo e giusto che possa placare la ira di Dio
lamentandosi dice: Misero a me, chè io sono andato cercando qualche uomo
giusto e non l'ho trovato; io sono diventato come colui che va cercando nel-
1' autunno dopo la vendemmia se e' trova nessuno grappolo che sia buono da
mangiare. L' anima mia ha desiderato di trovare qualche fico buono: quasi
dica: Non ho potuto adempiere questo mio desiderio, non ho trovato nessuno.
Per la qual cosa il profeta conclude e dice: Io non ho trovato uomo santo,
giusto in terra; e' non ci è alcuno che vada retto di cuore a Dio. E' sono morti
tutti i santi. Ohimè, dice il profeta, chè io non ci ho trovato pure un uomo
retto ».
Qui giunto il nostro Frate dice molto opportunamente: « Nota che il pro-
feta parla qui per iperbole, chè bene ne era qualcuno, ma erano molto pochi,
e tanto pochi che erano quasi niente, quia parimi prò nihilo reputatur ».
Adunque qui già appare che alcune espressioni recise ed assolute nella
forma non dobbiamo intenderle letteralmente, ma prenderle nel loro giusto
valore morale. Sono espressioni enfatiche, iperboliche, se vi piace, prodotte dallo
zelo ardente che divorava 1' autore, e non proposizioni di precisione metafi-
sica! Nella stessa predica XXIII sopra il salmo Quam Bonus, che dà pur tanto
dadire ad alcuni, e che pare scandalizzasse anche qualche savonaroliano, il
nostro Frate ci preavvisa ed invita a stare attenti a non fraintendere. Ivi intro-
duce a lamentare i mali della Chiesa Asaph e Davidde uomini di natura diversa
e zelanti lutti e due, e dopo dì aver esposto una bella quanto vera teorica della
grazia e della natura, segue, e dice al popolo di non scandalizzarsi di Asaph il
quale pareva troppo collerico « Piglia le parole terribili e severe di
Asaph in buona parte, perchè procedono da zelo, e la grazia divina lo faceva
parlare con zelo, come faceva parlare David con dolcezza e mansuetudine. Onde,
(piando tu vedi gli uomini buoni desiderare che venga il coltello e la peste e la
fittnc e gli altri flagelli di Dio, non te ne scandalizzare; perchè lo fanno per
zelo della Chiesa di Dio; e non ti scandalizzare adunque quando tu hai certi pre-
(') Michea, o. VII, v. 1 e 2, cf. David, sai. 13, v.4, e sai. 52, v. 3, ed Ecclesiaste c. VII, v.21.
— 251 —
lati severi (dico a te, religioso), perchè molte volte quello che dicono e fanno è
tutto zelo; e tu popolo non ti scandalizzare quando tu vedi qualcuno in magi-
strato, come sarebbe de' Signori o degli Otto, che è buono e fa 1' ufficio suo,
non dico ingiustamente, nè crudelmente, ma severamente e rigidamente, e
vuole che s'osservino le leggi e li capitoli che trova, e non perdona così facil-
mente; di questi tali dico non te ne scandalizzare, perchè vien da zelo. E voi,
figliuoli miei, non vi scandalizzale delli padri vostri e delle madri vostre quando
vi puniscono degli errori che voi fate, quando non vi lasciano la briglia sul
collo, come fanno molti, perchè viene dall' intenso amore che vi portano, e
vorrebbero che voi foste buoni e costumati; e tu altro non ti scandalizzare di
San Girolamo che parea sempre iracondo nello scrivere a Ruffino e a San-
t' Agostino, perchè tutto procedeva da zelo ».
Di qui appare adunque anche più chiaro che molte espressioni del Savo-
narola non vogliono generalizzarsi: ma dirle effetto di zelo e non più: e ammi-
rarle, non come frutto di zelo eccessivo, ma santo e sdegnoso che vorrebbe
rimovere dalla Chiesa ogni male.
Ma fin qui non siamo ancora entrali veramente nel vivo della questione.
Di chi parla Fra Girolamo quando usa le terribili espressioni di ruina? Di chi
quando le opposte? Ecco due domande importanti. Mi risponderete che parla
sempre deila Chiesa, e nell' uno e nell' altro caso. Che è dunque la Chiesa per
il Savonarola? Se fosse solo la congregazione de' buoni legati insieme dalla
carità, il dirne male sarebbe da pazzo; se fosse solo gregge de' cattivi, piena
di odio e di vizj, le belle espressioni che ne celebrano le doti chi le intende-
rebbe?! Ecco adunque: « Quale sia la Chiesa cattolica sono tra i teologi di-
verse opinioni; ma lasciamo andare queste dispute, e diciamo così: — La
Chiesa cattolica si chiama propriissime quelli cristiani che vivono bene e hanno
la grazia di Dio, e manco proprie son quegli che hanno solamente fede ».
Questo dice il Savonarola nella XLV1II sopra Amos e Zaccaria e ripete altrove
molto spesso. (2)
Ecco dunque ciò che si ha da dire: quando il Savonarola usa espressioni
forti ed amare di condanna, intende parlar de' tristi che sono nella Chiesa, e
quando usa tante belle espressioni, intende parlar de' buoni. Nè questa è cosa
che noi diciamo di nostro capo, ma è dal Frate medesimo mille volte almeno
ripetuta: se il Pastor avesse letto la predica sopra Ezechiele alla quale appar-
tiene il passo da lui sopra citato non avrebbe certo inflitto biasimo al Savona-
(') La coscienza delicata del Savonarola appare qui assai chiara: sebbene sia univer-
salmente consentito che anche i peccatori battezzati ohe non han perduta intieramente la
fede nè rotto ogni legame con la Chiesa, appartengono al corpo della Chiesa medesima, e
però la sua definizione soprascritta sia verissima, ciò non pertanto soggiunge ivi: « A chia-
rire quale sia questa Chiesa cattolica me ne riferisco sempre a Cristo e alla determinasi ohe
della Chiesa Romana ». Se il lettore amasse vedere chiosata ampiamente questa definizione,
lo rimando all'-4poiO(/ia citata di Tommaso Neri alla pag. 25 e seguenti, nè v'aggiungo altro.
(') Cfr. San Girolamo, Omelia I sopra Ezechiele e cap. I del Commento sopra 1' Epist.
ai Galati.
— 252 —
rola, imperocché egli, così, senza accorgersene, biasima anche San Girolamo e
dimentica una regola di ermeneutica sacra che il Frate aveva ognora presente,
come vedremo fra poco. Pronunciate le terribili parole, si fa ad obiettare:
« Oh! tu hai detto che la Chiesa è una meretrice. Oh! Padre, la Chiesa è san-
ta! Che hai tu detto?! » Ma subito risponde: « Tu sei uno sciocco; guarda
San Girolamo qua sopra Ezechiele che dice: Queste cose possiamo riferirle alla
Chiesa. (') Or va, studia e poi dì coteste cose. E nota questa regola che si
chiama chiave della Scrittura; che la Chiesa ha il corpo mislo de' buoni e
de' cattivi; e questo nome Chiesa si piglierà quando per i buoni e quando per
i cattivi ». (Sopra Ezechiele, pred. XXII; cf. la XXIII.) (?)
E nella predica XIV sopra Amos e Zaccaria con riguardo speciale alla
Chiesa di Roma, esponendo i primi versetti del V di Amos dice terribilmente :
« La casa d' Israele è caduta; ella è ruinata, ella è per terra. Questo fu detto
e veduto dal nostro profeta sopra Israele; e poiché ogni cosa avveniva loro in
figura, che diremo noi de' fatti nostri? che diremo della rinnovazione della
Chiesa che vi è stata predetta? che ne credete voi? io vi dico che questa è
assoluta e non può mancare e sarà ad ogni modo. — Del flagello che ne dì tu,
Frate? Tu hai detto che la penitenza è il rimedio a non lo lasciare venire. — Egli
è vero che io 1' ho detto; ma che ne credi tu che e' faccino penitenza? Io non
10 credo già io, e però anche questa è assoluta quanto a Dio, benché quanto
alle seconde cause sia condizionala. Or su, diciamo adunque noi come dice qui
11 nostro profeta: La casa d' Israele è caduta: la casa della chiesa di Cristo è
caduta. La Chiesa è come una casa, e 1 fondamenti suoi sono Cristo, i Santi
Apostoli e i Martiri sopra i quali è fondata questa Chiesa; ma questi fonda-
menti sono in cielo, e hanno il tetto in terra. Chi vuole bene fondarsi nella
fede, faccia i fondamenti della casa sua in cielo; ma noi abbiamo fatto i fon-
damenti in terra alle case nostre, e il tetto vogliamo che sia in cielo. La non
va bene; e' non ci è fede; questa nostra casa è caduta, e sono separati i fon-
damenti dal tetto, la fede vera è quasi spenta e massime ne' capi de' quali al-
cuni 1' hanno come rinnegata, altri v' hanno mille dubitazioni dentro e mille
dispute. Altri hanno la fede, ma informe, cioè senza opere; queste mura adun-
(') Le paiole del cap. XVI di Ezechiele a cui si allude son queste: « Fai sapere a Ge-
rusalemme le sue abbominazioni.... Queste cose dice Iddio a Gerusalemme:... Superba di
tua bellezza ti disonorasti quasi padrona di te ed esponesti la tua disonestà ad ogni pas-
seggero per darti a lui.... È ella leggera cosa la tua fornicazione?... Ti fabbricasti dei
lupanari, alzasti postriboli per tutte le piazze, a ogni capo di strada tacesti il seguo di tua
prostituzione e abbominabile rendesti la tua beltà.... aggiungesti fornicazione a fornicazione
per irritarmi.... In qual modo purificherò il tuo cuore.... mentre queste opere tutte tu fai pro-
prie di donna meretrice e procace?... O meretrice, ascolta la parola del Signore.... Farò giu-
dizio di te, come di adultera e di sanguinaria.... Tua sorella maggioro è Samaria.... la tua
minor sorella è Sodoma, ecc. ». E san Girolamo nell'esposizione di questo terribile capitolo
ripete più volte: La parola t: rivolta alla nostra Gerusalemme, ossia alla Chiesa;... tuttociù clic si
dice ili Gerusalemme si riferisce alla Chiesa, ecc., intendendo sempre dei cattivi, e specialmente
dei Prelati scandalosi « che deturpano collo opere la lor dignità e corrompono i laici col-
l' esempio dei loro vizj ». Libro V, sopra Ezechiele. Ed. maurina 1704, v. Ili, col. 797, ecc.
(:) Ep. I ai Corinti, C. X, v. 11.
— 253 —
que di questa casa sono cadute: le sono per terra, percliè non ci è più calcina
che colleglli insieme queste pietre, cioè non ci è più carità che unisca insieme
i cuori umani. E però, essendo dissoluto ogni cosa senza amore e senza carità
il muro della fede è andato per terra. La casa adunque d' Israele è caduta: la
casa d' Israel, cioè Roma, è caduta nei peccati. E non tornerà a risorgere: e
non risorgerà a penitenza, perchè ella è riprovata per la ostinata malizia, per
la grande moltitudine di peccati che sono in lei. La Vergine di Israele è stata
buttata per terra, e non è chi la resusciti, ne chi la rilevi su. Questa Chiesa
Romana per il tempo passato è stata sempre vergine; e ora, parlando della
Chiesa Romana in sè, è ancora vergine nella fede: ma al presente per Roma
intendiamo i cattivi di Roma, ostinati nel mal vivere, e che sono senza fede.
Questa Roma dunque, cioè questi cattivi, hanno persa la fede: Roma dunque
ha fornicato ed è gittata nella terra sua; cioè nella terra del diavolo, ne' pec-
cati; e non ci è alcuno huono che voglia suscitarla e levarla su e riavere l'onore
di Dio, che è gittato a terra, e morire per quello; e però dice il Signore Iddio
queste parole per rispetto di tanti peccati, anche la fede e la Chiesa è tutta
guasta; la città, che dava mille uomini, rimarrà con cento; e quella che ne dava
cento resterà con dieci nella famiglia d' Israele ; cioè io manderò tanta pesti-
lenza, tanta guerra, tanta carestia, tanta fame e tanto esercito da tutte quattro
le parti del mondo, che di quella casa e di quella città che ne uscivano mille,
ve ne rimarranno cento; e di quella che ne uscivano cento ve ne rimarranno
dieci ; così dice qui il testo nostro. Io non dico già il numero determinato,
perchè non lo so; pur dico questo, che sarà tanto grande la tribulazione e
tanti ne morranno che forse di dieci non ne rimarrà uno : credi almeno che
si rarificherà la brigata mollo bene. Ma per ora esponiamo questo testo misti-
camente. Il numero di dieci significa coloro che osservano i dieci comanda-
menti, cento significa coloro che hanno la perfezione de' comandamenti e della
fede, e di questi non se ne trova molti e questi sono quelli che rimarranno,
massime quanto alla maggior parte ».
Chi si sente di dar qui torlo al severo predicatore e profeta?! Gran parte
dei fatti narrati nella storia del Pastor sono più che altro un commento ed una
chiosa a queste frasi terribili del Frate di San Marco. E perciò lo storico
d' Innsbruck non dovrebbe unirsi a coloro che ne lo condannano.
Ma è lecito questo metodo di generalizzare ciò che è speciale, attribuire
a tutti ciò che è di pochi, o anche, se vuoisi, di molti? Rimproverando al Savo-
narola le espressioni generali contro la corruzione della Chiesa, si dimentica una
regola di sacra ermeneutica molto comune. Ecco: fra gli esegeti sono conosciu-
tissime le regole di Ticonio compiute ed illustrate da Sant'Agostino; e fra
queste si contano le seguenti: — Del capo del Salvatore vero e simulalo, e del
genere e della specie. — Chi le dimentica, come non intenderà molti passi dei
libri sacri, cosi non intenderà molle delle prediche savonaroliane. Il corpo vero
del Signore sono i Cristiani con lui uniti per fede e carità. Il corpo simulato
sono i cattivi cristiani che gli sono uniti solamente per fede. Si potrebbe anche
dire che si parla qui del corpo misto del Salvatore, cioè della Chiesa nel senso
- 254 -
largo di questa parola. Sant' Agostino nota opportunamente che questa regola
richiede e vuole che il lettore della Sacra Scrittura sia vigilante, e stia bene
attento per conoscere allorché quella, già parlando ad altri, pare dica ancora
a coloro stessi a cui prima diceva; o tiene discorso di questi medesimi, quando
di altri già teneva discorso, come se, per la temporanea mistione e comunione
de' sacramenti un solo fosse il corpo degli uni e degli altri.
Il Savonarola nella predica XXII sopra il Salmo Qiiam Bonus dice an-
ch'egli: « In un medesimo contesto di parole e senza alcun intervallo la
Scrittura Sacra esprime quello che appartiene a' buoni e quello che appartiene
ai cattivi ». E nella Vili sopra 1' Esodo dice del puri : « Egli è necessario che
tu intenda che la Scrittura, come diceva Agostino, è come un corpo che ha
diversi membri, e di questo si parla diversamente secondo diversi membri;
benché tu parli tuttavia di un corpo medesimo. Bisogna adunque avere buon
occhio ad intendere bene la Scrittura. Ecco, se tu avessi male a' piedi, e il
resto del corpo sano, e tu dicessi: io sono infermo; s' intende quanto a' piedi;
e se tu dicessi io sono sano, s' intende quanto al capo e le mani e gli altri
membri. E così parlando di un medesimo corpo s' intende di parlare diversa-
mente; ed è retto parlare bencliè paia contrario; e così si parla ancora nella
Scrittura diversamente ». (Cfr. la XXXVIII sopra Ezechiele.)
Analoga a questa regola, che già basterebbe da sola a giustificare piena-
mente il Frate di San Marco, è l'altra detta del genere e della specie: que-
ste due regole sono in qualche modo affini, pure essendo distinte; si comple-
tano bellamente a vicenda. Siccome il genere è un tutto del quale la spe-
cie è una parte, per questo il Savonarola chiama questa regola anche
regola del tutto e della parie. Co;ì ogni singola città, Gerusalemme per esem-
pio, è» parte dell' università delle genti, e l'università delle genti è il tutto. Ti-
conio chiama specie la città, e genere chiama tutte le genti. Appare quindi
che non si ha in questo luogo da usare tutta quella sottilità di distinzione
che si fa dai dialettici, i quali disputano acutissimamente la differenza che
corre fra parte e specie. Ha ancor luogo questa regola, e vale la ragione me-
desima, se, anziché di una singola città, sia discorso nelle Sacre Lettere di
una determinata provincia o di una gente o di un regno; e quindi senz'inter-
vallo si passi a tutto l'universo, a tutti i popoli; imperocché non pure Geru-
salemme o Tiro, si bene anche la Giudea, l'Egitto e l'Assiria sono e si pos-
sono considerare come parte delle genti e del mondo o come specie del genere
umano: e avviene o può avvenire, che nella Sacra Scrittura, pure dicendo di
queste regioni, si passi a dire senz'intervallo di cose che eccedono il modo
conveniente ad esse, e meglio convenga tutto a tutti gli uomini. E ha luogo
ancora questa legge quando è discorso di un essere individuo, di un uomo
segnatamente ; e dicendo cose adesso convenienti, subito, senz' intervallo, se
ne aggiungono di quelle che V eccedono e meglio che ad un individuo con-
vengono a tutta una classe. Queste osservazioni sono di Agostino, il quale op-
portunamente soggiunge che questa regola vuole che il lettore sia attento nel
vedere quando la Sacra Scrittura passa dalla specie al genere, pur sembrando
— 255 —
che continui a parlare della specie, affinchè non gli avvenga di ricercare nella
specie ciò che si può meglio e con più sicurezza trovare nel genere. E ciò ri-
pete il Savonarola nella predica XXII sopra il Salmo Quam Bonus e altrove :
« La Scrittura qualche volta in un medesimo ordine di parole passa dal ge-
nere alla specie, dal tutto alla parte e viceversa. Onde Isaia nel terzo decimo
capitolo, prima parla specialmente contro alla città di Babilonia: Onus Babilo-
nis; e immediatamente passa a parlare di tutto il mondo generalmente, dicendo :
A summitate coeli Dominus et vasa furoris eius ut disperdat omnem terram: poi
immediatamente ritorna a parlare di Babilonia specialmente ». Un altro esem-
pio bellissimo e anche abbastanza chiaro V abbiamo, come nota il Savonarola,
nel capitolo XXIV di Matteo, dove Cristo, profetando la rovina del tempio e le
guerre che dovevano desolare la Giudea, subito passa a parlare delle perse-
cuzioni future nella Chiesa e della fine del mondo, e similmente parlando agli
Apostoli ed ai Giudei subito s' estende a tutto il popolo di Dio e a tutte le
genti; e ritorna quindi al particolare per passar altra volta all' universale e
dire del giorno del giudizio finale. Pensando a queste regole che, come noi di-
mostriamo nel libro III dello studio della Sacra Scrittura, il Savonarola aveva
famigliarissime, ci riuscirà mollo facile capire il valore di alcune espressioni
generali che diedero e danno tuttavia grande noia, sebbene stiano benissimo.
Tanto più che il Savonarola ha cura di avvisare, come si è detto, di tratto in
tratto il popolo del modo con cui egli parla. Davvero che è maraviglioso que-
sto Frate e a condannarlo bisogna andare co'piedi di piombo, e non farlo mai
senza aver prima letto assai bene.
Molti nondimeno, e con questi il Paslor, trovano eccessivo, audace, intem-
perante, impudente, contumelioso, ingiusto il Frate nelle sue invettive contro
il clero e alto e basso e regolare e secolare. Si conviene che allora il marcio
era molto in questo campo, massime la dissoluzione; ma perchè svelar queste
brutte magagne dal pulpito? a che denunciarle al popolo? E questo l'ufficio
del sacro predicatore? dell'ottimo religioso? è questo buon zelo per la casa
di Dio? è lecito il far questo?
Ecco un punto nel quale mi parrebbe che nessuno più dovesse aprir la
bocca contro il Frate, ma o tacere, o lodarlo. La difesa del Savonarola qui già
fu intrapresa e compiuta in un modo esauriente da molti e fra gli altri dal pio
e dotto teologo Tommaso Neri nella sua Apologia della dottrina del lì. P. F. Gi-
rolamo Savonarola. (*) Per non chiamare del tutto ingiustizia il ripetere insistente
della brutta accusa, diremo che ci fa pensare come da molti piuttosto s' ignori
come stia la cosa : ne parleremo qui brevemente. Prima di tutto nessuno
pensi che Fra Girolamo non conoscesse 1' alta dignità del sacerdote e non mo-
strasse al popolo il rispetto che al sacerdote è dovuto, anche se peccatore;
imperocché penserebbe il falso. È aureo a questo riguardo un passo della Vili
sopra la prima di San Giovanni: « Il sacerdote, dice ivi al popolo, è il capo e
(s) Vedi sopra a pa;». 216, nota 1. Cf. anche Bartoli Apologia di Fra G. Savonarola ; Fi-
renze 1732, pag. 302.
— 256 —
voi siete le membra; se adunque la mano o il piede fosse di sopra la testa,
che mostro saria questo »? E poi lagnandosi che in Firenze non si rispettas-
sero i sacerdoti, grida: « Se non volete onorarvi l'un l'altro, onorate almanco i
sacerdoti del Signore. Ma che dirò io, che trattano i sacerdoti come servi, non
gli danno onorata sedia? Ma Innocenzo III riprese l'imperatore costantinopoli-
tano, perchè non faceva il debito onore al suo vescovo e patriarca, ma face-
vaio sedere sotto lo scabello dei piedi suoi dalla parte sinistra. Essendo che,
dice, che gli altri re e principi facciano onore ai vescovi e arcivescovi, e gli diano
onorabil sedia, perchè lo defraudi del debito onore? Imperocché il regno spi-
rituale è più degno del temporale. Onde Costantino imperatore chiamò il Papa
Dio, come si ha nei decreti alla distinzione nonagesima sesta nel capitolo che
comincia: Satis ; e nel capitolo seguente dice che se lui vedesse un. prete,
ovver monaco a peccare, lo coprirebbe col suo mantello, acciò non fosse ve-
duto dagli altri. E leggesi nell'istoria tripartita, che, congregati i vescovi nel
concilio mceno, entrò Costantino e stette neh' ultimo luogo e dimandò licenza
di sedere. E al presente non si obbedisce al Pontefice, quando non piace la
obbedienza, tiè si onorano i vescovi, nè i sacerdoti ; e, se peccano, sono in-
famati da tutti ».
E questi pensieri il Savonarola non li dimenticò mai. Dunque, se vicino a
così onorevoli asserzioni ne troviamo altre tanto gravi e acerbe per il clero
vi dovrà pur esser una ragione! Perchè dunque parlava così audacemente
de' vizj del clero il Frate? «Perchè ancora loro sono causa di questo male,
perchè peccano pubblicamente e si spongono in dispregio degli uomini. Essi
sono il sale della terra, ma se il sale sarà fatto insipido, in che cosa si in-
salerà? A niente altro se non che sia mandato fuori e conculcato dagli
uomini Cosi nella stessa predica ora citata. Ma con ciò egli non diceva
male di alcuno in particolare, e gridava che non di manco i cittadini non
peccavano meno, perchè in quelli stessi sacerdoti dovevano onorar Cristo stesso.
Svolgiamo questi concetti e vedremo quanta luce ne scaturirà.
Prima di tutto mettiamo in sodo che il Savonarola non tirava mai al
particolare e ai grandi, ma solo sferzava i vizj in generale: questo è provato
da tutte le prediche del Frate, dove non troverete mai che egli dicesse di nes-
suno in particolare; ed è ancora provato dalle asserzioni di molti, per esempio
della Signoria di Firenze, la quale mentre i nemici del Frate ripetevano eh' egli
sparlasse di grandi personaggi in particolare, scriveva al suo oratore in Roma
che ciò era falso, e voleva che l'oratore lo dicesse e facesse sapere. Al Savo-
narola molto rincresceva che così i nemici suoi Io calunniassero; e si sentiva
qui tanto puro, che protestava spesso la sua innocenza al popolo, e invitava i
cancellieri di quelli a scrivere come egli diceva e non altrimenti, che allora si
sarebbe visto ch'egli non nominava nessuno e non diceva i peccati di nessuno.
Nella predica XVII sopra Amos e Zaccaria, nella quale parla assai della corru-
(') Vangelo di Sau Matteo, o. 5, v. 13; S. Marco IX, 49; S. Luca XIV, 34.
— 257 —
zione del clero, dice: « Io non dico i peccati di nessuno, io non nomino persona,
ma voi fate i peccati, e però vi pare che io dica di voi ». « Tu pur dì eh' io
predichi la Scrittura; io non predico altro, e tu pur sempre scrivi a Roma:
non ti diss' io che tu scriveresti a Roma? Sappiate che egli hanno scritto, che
io ho detto male del Papa, de' cardinali, de' vescovi e de' prelati; credi che io
lo so, ed hollo per via umana, chè n' ho avuto lettera di quanto tu hai scritto:
Io non ho nominato persona riprendendo i vizj, e non ho fatto vergogna a nes-
suno. Tu se' tu di quelli che gli fai vergogna: io dico in genere; e tu di ch'io
tocco quello e quello altro: adunque loro debbono essere così, e tu se' quello
che giudichi di loro, e non io, che non dico in particolare di persona. Io 1' ho
detto altre volte, che io son fatto come la gragnuola, che va per tutto, e chi
non vuole esser tocco stia coperto: sta adunque coperto e io non ti toccherò».
E nella predica XXVII sopra Ruth e Michea: « Or su, ai cattivi ora diciamo
una parola. Cattivi, eccene nessuno qua? Io parlo a voi adesso, ma io voglio
cavare via prima una dubitazione delle menti degli audienti, perchè pare che
ognuno, quando si parla oggi dei cattivi, dica: I grandi sono quelli di cui si
parla. Io vi dico che molti di loro vanno bene, benché molti anche male. Voi
fate un giudizio che non sta bene, a voler, quando si parla dei cattivi, inten-
dere e giudicare di tutti i grandi ». « Oli! tu hai detto male di molti. — Io non
nomino qua nessuno. — Oh! e' s'intende del tale. — Tu se' tu che nomini quel
tale, perchè dicendo tu, che s'intende di lui, tu di' che gli è di quelli che io
riprendo ». (Sopra Ezech., pred. XXXIII.) Questi passi li potrei moltiplicare a
piacimento. Il Savonarola era anzi solilo di pregaie il popolo a non tirar mai
al particolare le sue parole, perchè in tal modo perderebbero essi la libertà
necessaria per udire la parola di Dio, e la toglierebbero anche a lui, e si sa-
rebbe diminuito grandemente il frutto del predicare. Resta adunque fermo
questo per prima cosa, che predicando contro i vizj del clero, il Savonarola non
mirava ad alcuno in particolare e nemmeno ai grandi esclusivamente, ma di-
ceva in generale ; e andiamo oltre un altro passo.
Girolamo Savonaiola credeva male salvar la fama al clero corrotto quando
esso è la ruitia delle anime e guasta la fede: anzi credeva in questo caso ob-
bligo dell' oratore cristiano di dichiarar la verità, anche a costo di metterci la
vita. Si può condannare questa proposizione? Prima di pronunziar la sentenza,
sentite le ragioni del reo. Lasciando molte e' molte cose che potremmo dire al
riguardo e specialmente sopra la correzione fraterna che si leggono in Fra Gi-
rolamo, ci contenteremo per ragione di brevità di pochi passi che riguardano
più da presso 1' argomento presente. Nella predica XXVII sopra Amos, par-
lando del riprender che Cristo fece i Farisei, posto il principio che « ogni
azione di Cristo è nostra istruzione », segue: « Il Salvatore dunque, benché
fosse Dio, pure, quanto all' apparenza di fuori, era uomo e reputato molto
vile dai Giudei; e non essendo sacerdote legale, perchè era della tribù di
Giuda, non parea che potesse correggere i suoi maggiori; pure noi leggiamo
stamani eh' egli andò nel tempio e corresse quelli che di lui parevano mag-
giori. Adunque lui ci dà l'esempio che noi possiamo e qualche volta dobbiamo
17
— 258 -
correggere i nostri superiori; e quando i peccati de' superiori son pubblici e in
detrimento deila fede, si possono riprendere pubblicamente. Andò adunque
nel tempio a far questa correzione per darvi esempio che voi dobbiate difen-
dere 1' onore di Dio e per mostrarvi che siate obbligati a difenderlo con la
spada in mano: io dico cioè col verbo di Dio; questa è la nostra spada ».
E nella predica XXI già citata : « Dice San Tommaso che non sola-
mente il maggiore debba correggere il minore, ma ancora che il minore debba
correggere il maggiore, ma con umiltà ; ma quando vi ha il pericolo della fede,
ognuno debba esser eguale nella correzione, perchè tutti siamo cristiani e
ognuno parimente è obbligalo a difender la fede. (') San Tommaso allega San
Paolo il quale riprese San Pietro che era allora Papa e superiore di San Paolo,
perchè San Pietro in presenza de' giudei non mangiava coi gentili, ma bensì
in assenza; la quale simulazione dispiacque, a Paolo parendogli che fosse con-
tro la verità dell' evangelo, e poi gli disse in presenza di tutti: Se tu, essendo
giudeo, vivi al modo de1 gentili e non de' giudei, come potrai obbligare le genti a
giudaizzare?(2) Onde San Paolo ch'era il dottore delle genti, perchè vedeva che
questo era scandalo de' gentili dice : Lo ripresi, perchè era reprensibile ; (3) e
dissegli: Pietro, tu erri: questo non è il bisogno della fede di Cristo. Donde dice
San Tommaso che ogni volta che si vede che la fede va in pericolo, si debba
mettervi insino alla vita. Tu dì che ei ci è comandamento che non si può pre-
dicare contro i prelati, per non detrarre alla fama loro : nota quel vocabolo
detrarre, che significa denigrare la fama. Questo s'intende adunque dove fosse
la buona fama; ma dove non è fama, non si può adunque detrarre. Intendesi
ancora questo comandamento con questa chiosa: Se già non sia imminente il
pericolo della fede; cioè, se già non andasse la fede a pericolo, perchè allora
ognuno è eguale, perchè ognuno è cristiano. E però, se tu vedi, che io riprendo
i peccati de' prelati, credi adunque che io vo con grandissimo fondamento.
Concludiamo che la correzione si debba fare ». Nella XXVII ancor più esplici-
tamente: « Come io ti dissi l'altro dì, tu se' obbligato, secondo tutti i dottori e
l'opinione di San Tommaso, di Santo Agostino e di tutti gli altri, a metter la
vita per la salute dell'anima del tuo fratello ed anche che i minori sono ob-
bligati a correggere i maggiori, cioè i figliuoli i padri, i sudditi i prelati, ma con
umiltà; e anche il papa, quando egli errasse. E del pari nella predica XIV:
« Orsù, come esporremo questo evangelo stamane ?(4) o Signore Gesù come lo
esponesti tu? Tu lo dicesti contro gli scribi e i farisei i quali erano riputati in
quel tempo più santi degli altri e migliori. 0 Signore, benché tu sia Iddio, e
(') Vedi questa dottrina iu San Tommaso somma Teol. p.H-II, qu. XXXIII, a. 4, e nelle
questioni disputate, Vili, de correctìone fraterna. Cf. anohe l'esposizione del c. II dell'Epi-
stola ai Galati.
I*) Epistola ai Calati, c. II, v. 14.
(3; Ivi, v. 11.
( ) E il vangelo del Martedì dopo la 2' Domenica di Quaresima tratto dal capo XXIII
<li S. Matteo che comincia: « Gesù parlò alle turbe e ai suoi discepoli dicendo: Sulla Catte-
dra di Mosè si assisero gli scribi e i farisei, ecc.»-
— 259 —
che ciò che tu fai sia ben fatto, non puoi errare; tuttavia io voglio che mi sia
lecito un poco disputare teco. Tu venisti in questo mondo, non solo per sal-
varci e ricomperarci, ma anche per darci esempio di vita in ogni tua opera:
•che esempio ci dai tu in questa mattina? Tu riprendi costoro che erano ripu-
tati buoni, tu li scuopri; come? dobbiamo far anche noi così? Questi scribi e
farisei erano riputati i migliori uomini che vi fossero, e tu ammaestri che non
si faccin le opere che fanno loro: adunque tu togli loro la fama chè non pare
cosa conveniente. Inoltre, eglino erano quei vecchioni che parevano santi, non
pare che sia cosa lecita a riprendere i vecchi e massime i sacerdoti e i prelati
ne' quali par che sia la prudenza. Così non pareva che tu li dovessi ripren-
dere per non impedire la predicazione e per non farteli nemici: vedi, quanta
persecuzione poi tu ti concitasti contro per discoprire la vita loro; la quale
persecuzione tu non avresti avuta, se tu non avessi discoperto le loro maga-
gne. Risponde il Signore e dice: Ogni cosa che si fa, si ordina ad un qualche fine;
€ colui che è savio sempre ordina che le cose vadano al fine suo, e quando quelle
cose non sono buone a condurre a quel fine che le sono ordinate, non le
cura, ma lasciale andare. Verbi grazia; l'orazione vocale è ordinata per ecci-
tare la mente dell'uomo e condurlo a Dio fine suo: e però quando tu fai ora-
zione vocale e che tu dì le parole della tua orazione per eccitarti e applicarti
a Dio, quando tu senti che tu hai la mente unita con Dio e che 1' orazione vo-
cale ti affatica la mente, e sviala da quella applicazione che tu hai fatta a
Dio, devi lasciare l'orazione vocale allora, perchè tu se' pervenuto a quel fine
che tu volevi; e per allora non hai più bisogno. A proposito: il fine della re-
denzione del nostro Salvatore Gesù Cristo è la gloria di Dio e la salute delle
anime : la fama degli uomini è ordinata alla salute del prossimo; e però quando
questa fama non giova più alla salute de' prossimi, anzi nuoce, non si deve
curare più, nè farne più stima. Se dunque la fama dell' ipocrita fa maggior
danno alle anime che la loro infamia, non dobbiamo curare la loro fama, anzi
pubblicare i loro vizj: e però tu vedi che il Salvatore entro in questo loco
scuopre le magagne di questi scribi e farisei pubblicamente, perchè eglino
erano distruttori di culto interiore di Dio e della salute delle anime. E però,
se noi diremo contro i prelati e pastori e predicatori cattivi e che sono in ap-
parenza esteriormente di buoni costumi, ma dentro sono cattivi e sono causa
della ruina delle anime, non faremo inconveniente alcuno. Inoltre non offen-
diamo persona, parlando la verità e massime in generale e universale e non
nominando persona, perchè la verità detta in generale non toglie fama a nes-
suno. In quanto dicemmo, che non pare lecito riprendere i vecchi, diciamo che
questi non sono vecchi di sapienza e di bontà a' quali si deve portare reve-
renza : anzi sono fanciulli di cento anni. (') Sono fanciulli quanto al senso e vec-
chi d'anni e di mala vita. Parimente, non s'impedisce il frumento della pre-
dicazione, perchè il frutto della predicazione è la salute delle anime e il predicare
(') Cf. Isaia, capo LXV. v. 20.
— 260 —
la verità ; noi predichiamo la verità e loro fanno contra la salute delle anime.
Parimente, se noi avremo persecuzione per questo dire la verità, non ce ne
curiamo, anzi siamo parati metterci la vita per l'onore di Dio e per la verità.
E però, secondo l'esempio che ci ha dato il nostro Salvatore in questo sacro
evangelo, vogliamo esporlo contro i tiepidi e i prelati cattivi; perchè la loro
buona fama in apparenza esteriore fa tutto il contrario di quello a che è stata
ordinata la fama de' prelati superiori e religiosi. Questa loro faina è in perdi-
zione delle anime; e però dobbiamo discoprire le loro macchie, acciocché non
siano più custodite le pecore dai lupi vestiti in forma di pastori ».
I passi analoghi ai presenti li potrei moltiplicare a piacimento, ma credo inu-
tile aggiungerne altri. Dirò solo che nel fatto Girolamo Savonarola non venne
mai meno a questa dottrina. Quindi protesto che nessuno troverà nelle sue
prediche un solo passo il quale sferzi uno in particolare e tolga la fama a chi
già non se 1' è tolta da sè stesso. (*) Nessuno troverà un solo passo nelle
prediche del Savonarola che non miri alla verità della fede o alla purezza della
vita cristiana, alla salvezza insomma delle anime. Celebre è il luogo che si
legge nella XLV1II sopra Amos; eccolo: « Ai prelati grandi e piccoli dico: A voi
prelati, o padri miei, che v'ho io fatto? o che molestia v'ho dato? (a) Il Signore m'ha
posto qua; e disse: io ho posto te speculatore (s) nel mezzo dell'Italia; e dice: io
t' ho posto qui, perchè tu oda le mie parole e annunziale a loro: dice il Signore:
se io ti mostrerò e dirò che viene la spada, annunzia la spada: se non vor-
ranno convertirsi, tu avrai obbedito e sarai salvo. Ma se la spada viene e tu
non la annunzi, e loro muoiono all'improvviso; io ricercherò il sangue loro dalle
tue mani{4) e tu ne porterai la pena: sicché mi è bisognato dire e annunziare che
viene la spada: perchè vi dolete adunque di me, o padri miei ? Io ho visto tre
spade: la prima è quella del malo esempio de' prelati e de' capi che iugula
l'anime dei semplici: questa è ancora il malo esempio de' religiosi per il quale
diventa cattivo tutto il popolo: e però io sono stato costretto a dire alla gente
e annunziarle che fuggano questa spada e che non seguitassero quei mali
esempj, acciocché non cadessero in quella medesima tiepidità nella quale è
oggi il clero, e acciocché i cittadini non facessero i loro figliuoli simili a quei
tiepidi, e acciocché non gli dessero beneficj, come si è fatto insino a qui. La
seconda spada che io ho vista si è la spada dell' inferno, la quale mi è biso-
gnato annunziare. La terza spada è quella del flagello che ha da venire: cioè
carestia, pestilenza e guerra. Questa io 1' ho annunziata a tutta l' Italia, per-
chè m' è bisognato far così; non ho tuttavia nominato nessuno: ma ho detto in
generale e non in particolare. 0 tu che scrivi a Roma e dì che io ho detto male
di questo e di quello, scrivi questo che io dico, che la causa del flagello è la
(') Nessuno ci opponga la predica XXXIX sopra Ezechiele dove s'accenna evidente-
mente a Fra Alariano. Il caso è troppo speciale, e conferma la regola. Ct'r. la XXXV del me-
desimo quaresimale.
(J) Miohea, c. VI, v. 3.
(•') Ezechiele, c. Ili, v. 17.
(4) Ivi, v. J9.
— 261 —
mala vita de' prelati e del clero. Il male esempio de' capi è quello che fa venire
il flagello, e però io v' ho annunziato che voi facciate penitenza; e se voi non
la farete, io v' annunzio due grandissimi flagelli : uno in questo mondo il quale
non potrete scampare, cioè le tribolazioni che vengono, perchè il Signore Id-
dio accelera presto, io vi dico che viene. L' altro flagello sarà che andranno
neir inferno. Oh se sapessero quello che so io ! Perchè in questo flagello ne
morrà grandissima moltitudine in Italia e fuori. Ma io voglio restringermi al-
l'Italia, della quale vi dico che se ne salverà molti pochi. Annunziate loro che
facciano penitenza e scrivete loro che io non mi rivoco, ma che io dico il me-
desimo e sto più saldo e più forte che mai. E questo basta quanto ai prelati:
ora veniamo un poco a più bassa gente. Alli sacerdoti non prelati, canonici,
piovani e altri preti per tutta Italia, io dico quelle parole di Malachia profeta:
Le labbra del sacerdote hanno il deposito della scienza e dalla bocca di lui ap-
parerassi la legge, perchè egli è V Angelo del Signore degli eserciti. Ma voi siete
ìisciti di strada, e a moltissimi foste di scandalo a violare la legge: annullaste il
patto di Levi, dice il Signore degli eserciti. Per questo, siccome voi non avete
seguitate le mie vie, e trattandosi della legge, avete fatta accettazione di per-
sone, io pure vi ho venduti spregevoli e abbietti dinanzi a tutte le nazioni. (*)
Dice il Signore per la bocca di Malachia profeta : Il sacerdote deve saper la
legge, perchè lui è come Angelo di Dio; e oggi non sanno nulla della Scrit-
tura, e non sapete pur grammatica; ma questo ancora si sopporterà, se voi
foste pure di buona vita e deste buon esempio. Per questa cagione, dice il
Signore Iddio, io vi ho dato in dispregio del popolo per i vostri cattivi por-
tamenti. Voi tenete le concubine, voi attendete alle sodomie, voi giuocate
manifestamente e fate peggio che i secolari: ed è pur questa però una gran-
dissima vergogna che il popolo sia migliore del clero : io non parlo de' buoni,
ina bensì de' cattivi. Lasciate le vostre mule, lasciate i cavalli, lasciate i cani
e gli schiavi : non date la roba di Cristo e le cose de' beneficj a' cani, a' muli :
questo medesimo avevo a dire di sopra ai prelati. Se voi non lasciate i be-
neficj superflui che avete, io vi dico e sì vi annunzio (e questa è la parola
del Signore) voi perderete la vita, i beneficj, la roba e andrete a casa del
diavolo: lasciate adunque i beneficj, che ad ogni modo gli avete a perdere, e
questo vedrete per esperienza ».
Ora, che sentenza si deve dare?! Andiamo però ancora adagio a condan-
nare, imperocché si correrebbe rischio di condannare con Fra Girolamo una
serie di uomini grandi e dotti e santi. Prima di tutto è chiaro, anche per quello
che abbiam detto or ora, e sarà anche più per quello che diremo, che Fra
Girolamo non toccò mai la dignità sacerdotale, che sempre celebrò con lodi
amplissime; ma solo egli riprovò i vizj. Ora i vizj e i peccati, sian pur nel clero,
o basso o alto, che meritano essi? onore, riverenza, rispetto? No, in verun
modo, ma riprensione e biasimo. Se è eretico e scandaloso il Savonarola, che
diremo di San Bernardo che anch' egli pubblicamente e con più gravi parole
(') Malachia, c. II, v. 7-9.
— 262 —
di lui riprovò gli stessi peccati negli indegni ministri? « Tu vedrai nella
Chiesa, molti diventati, di vili nobili, e di poveri ricchi, insuperbirsi e della
loro viltà sdimenticarsi e eziandio vergognarsi del proprio parentado, e non
voler veder pure i loro poveri parenti. Tu vedrai ancora certi uomini da-
narosi volare a tutti gli ecclesiastici onori, e incontanente applaudersi la san-
tità, avendo solamente mutata la veste, ma non già gli animi ; e riputarsi de-
gni di quel grado, al quale ei sono per ambizione saliti : e oso io di dire, che
quel che eglino hanno acquistalo per forza dei denari, l'attribuiscono a' propr]
meriti. Io lascio di parlar di quegli i quali accieca l'ambizione, e l'onore stesso
è lor materia d'insuperbirsi ». (£j Vedi tu qui esser da San Bernardo tassata
1' ambizione, 1' arroganza, la superbia e la simonia de' prelati, certo non dei
buoni, che son netti da colali vizj bruttissimi, ma dei cattivi. Ma ascolta pa-
role vieppiù gravi di queste, che altrove ei dice : « E ora, quegli stessi perse-
guitan Cristo, che è cosa men tollerabile, i quali da lui, son nominati Cri-
stiani. 0 Dio, gli amici tuoi, e i prossimi tuoi, contr' a te si sono appressati,
e si son fermati ! Ei par proprio che tutta l'universalità del popolo cristiano si
sia congiurata contro di te. Dal minimo per fin' al maggiore, dalla pianta del
piede per fin' al cocuzzol del capo, ei non c'è sanità veruna. L'iniquità è
uscita da' maggiori, da' Giudici, da' Vicarj tuoi, i quali vedonsi reggere il po-
polo tuo. E non si può già più dire, che quale è il popolo, tale è il sacerdote.
Ohimè, ohimè ! Signor Iddio, che i primi a perseguitarti son quegli stessi, i
quali vedonsi amare il primato, ed esser principi nella tua Chiesa ! Egli hanno
occupata la ròcca di Sion, eglino hanno pigliate le munizioni, e di poi libera-
mente, e con podestà abbruciali la città tutta. Infelice è la pratica loro, mi-
serabile è la sovversione del tuo popolo. Ma piacesse a Dio, che ei nocesser
solamente da questa parte ! chè ci saria forse qualcuno, il quale ammonito
innanzi, e non meno armato con l' esortazione del Signore, attendesse a non
imitar 1' opere loro, ma solamente a osservar i comandamenti, secondo quel
detto : Fate quel che vi dicono, e non guardate a quel che ei fanno (2). Ma sono
al presente dati i gradi sacri in occasion di guadagno laido, e stiman questi
la pietà esser una bottega. Mostran certamente grandissima pietà nel ricevere
e prender la cura delle anime, ma questa cura è appresso di lor minore, e
1' ultimo pensier che egli abbiano è quel della salute delle anime. Or può egli
esser al Salvator delle anime, alcuna persecuzione più grave di questa?
Anche gli altri agiscono iniquamente contro Gesù Cristo e molti sono gli An-
ticristi. Ma più crudele e più grave egli stima la persecuzione che sostiene dai
proprj ministri .... » (3) Quando poi Fra Girolamo esorta a lasciar le mule, i.
cavalli e i cani, e che ei non diano alle mule e ai cani la roba di Cristo e
delle chiese, le parole sue devon' essere sanamente intese, cioè, che si guar-
dino, in quelle cose, dalla superfluità, e lascino quel che ad altro non serve,
(') Umilia IV sopra il vangelo MttKIU eat.
i2) Vangelo di San Matteo, c. XXIII, v. 3.
(a) Sermone I per la Conversione di San Paolo.
- 263 —
eccetto che a un disordinato eccesso ; ma non già quel che è necessario asso-
lutamente, ovvero convenevole alla maestà e grado loro. Al che pur consente
San Girolamo quando dice : « Paolo afferma che quei che all' aitar ministrano,
devon partecipare e vivere dell'altare.^) Ei ti si concede, o sacerdote, che
tu vivi dell'altare, non che tu ne sguazzi e trionfi ».(2)I1 medesimo volle signi-
ficar San Bernardo, quando fece un suo sermone a' prelati, che eran ragu-
nati nel concilio, sotto Innocenzo secondo, dicendo queste tra l'altre parole:
« Voi siete da Cristo detti e chiamati Cristiani. Non dovete voi adunque,
come quegli che siete suoi Vicarj, conversar nel modo, che egli ha conver-
sato? Senza dubbio sì, se già non vi paresse forse d'esser o più dotti, o più
santi di lui. Ditemi per tanto, voi Archidiaconi , ditemi, voi Preti, ditemi, voi
Pontefici: A che serve l'oro nelle selle, e ne' freni ? Come si convengon tanti
ornamenti nel vestire, e tanti soverchi apparecchi nel mangiar vostro? Il cibo
al ventre, e '1 ventre al cibo ; ma Iddio distruggerà 1' uno e 1' altro. Era certa-
mente grande lo splendor delle vesti e delizioso l'apparecchio dè' cibi, ap-
presso di quel ricco, il qual di porpora e di bisso vestiva, e giornalmente con-
vitava splendidamente; eppur mori e fu sepolto neh' inferno ». (3)
E nel sermone LXXVII sopra la Cantica dice lo stesso San Bernardo ai
cattivi prelati: « Noi dicevamo ieri nel nostro sermone, quali Duci noi vorre-
mo avere in questa via, per la quale camminiamo, perciocché noi per espe-
rienza vediamo quanto noi gli abbiamo di gran lunga dissomiglianti. Ei non
son tutti amici dello sposo quei, che tu vedi quinci e quindi accanto alla sposa.
Ei son pochissimi de' cari suoi, queglino che non cerchin solamente quel che
fa per loro; eglino amano i presenti, e non posson amar insieme Cristo:
perciochè eglino hanno dato all' avarizia le lor mani. Considera come ei se ne
vanno ornati e vestiti di varj colori, non altrimenti, che una sposa esce ad-
dobbata e acconcia dalla camera sua. Se tu vedessi qualcuno di questi da
discosto, non ti verrebbe ei pensiero, così in un subito, che ei fosse piuttosto
la sposa, che un suo guardiano? E donde stimi tu che egli avanzi lor tanta
roba, che egli abbia tante belle vesti, tanta abbondanza di vivande in tavola,
tanta copia di vasi d'oro e d'argento, se non dai beni della sposa? Quindi
nasce che ella è lasciata povera, abbandonata e nuda, macilenta, sordida,
sucida, e quasi senza vita. Ei non s' attende, in questo tempo, a ornar la spo-
sa, ma a spogliarla; non a tenerne cura, ma a farla mal capitare; non a di-
fenderla, ma a metterla ne' perigli; non ad ammaestrarla, ma a vituperarla.
Ei non s' attende a pascer la greggia, ma ad ammazzarla e divorarla, come
dice '1 Signore di lor parlando. Ei s' hanno divorato 'l mio popolo come 'l cibo
del pane; ed fiatinosi mangiato Giacobbe, e desolato 'l luogo suo. (4) E in un altro
profeta: Ei mangiano i peccati del popolo mio ». (5) E poco più sotto: « Dove è
( ) Ep. 1 ai Corinti, c. IX, v. 13.
('-') Sopra Michea, cap. IV, Ed. cit. col. 1521.
(3) Serrilo ad pastores in si/nodo conyregatos,
(■»} Salmo XIV. v. i, e LXXVI1I, v. 7.
C) Osea, cap. IV, v.
— 264 —
chi con l'orazioni pieghi l'ira di Dio, e predichi l'anno piacevole al Signore? Noi
diciamo le cose più leggiere; chè alle più gravi, più grave giudizio s'aspetta. Ma
indarno noi dimoriamo o in queste o in quelle; perchè ei non ci odono, e
comecché forse queste cose, che noi diciamo si scrivessero, tuttavia ei si
sdegnerebbero di leggerle; e se pur forse ei le leggessero, si sdegnerebbero
contr' a me, sebbene più rettamente ei s' avesser a sdegnar contr' a loro
stessi ». Queste son le parole di San Bernardo, il cui santissimo, e disertis-
simo zelo ti conviene di riprendere, se tu pur vuoi biasimare Fra Girolamo. (')
Nè certo San Bernardo è il solo tra i gran santi a riprendere e a biasi-
mare i vizj de! clero come fece fra Girolamo Savonarola. Basta aprire le
Opere de' Padri per trovarvi tutte le espressioni che usa il severo Domeni-
cano. Nè certo nelle opere di questo troveremo maj espressioni così ardite
come quelle di San Pier Damiani nel suo libro appositamente scritto contro
i cattivi chierici intitolato da lui Gomorriano. L' audace scritto del severo ro-
mito non tutti sapevano lodarlo, temendo, come dice il card. Capecelatro « uno
scandalo dove era un ammonimento. Perchè, dicevano essi, entrare in una via
tanto lubrica? Perchè accusare sacerdoti di sì ree turpitudini che neppure
si posson proferire senza rossore? Se sono occulti questi mali, qual prò
dallo svelarli? se noti, sarebbe meglio lagrimarne e tacere. Non aveva detto
1' Apostolo Paolo che certe sozze lascivie non si vogliono neanche nominare
tra i battezzati? Or così fatte cagioni che avevano solo apparenza di vero non
isvigorirono il monaco avellanese, il quale fermo nel suo proposito non mo-
strò mai di pentirsi di avere svelate quelle pessime turpitudini ed anzi con
grande animo resistè agli oppositori. Ben egli si era accostato con ribrezzo
a trattare delle sacerdotali impudicizie; ina nondimeno avea stimato (dice
così egli stesso) che mal si comporti quel medico che nasconde la piaga, an-
ziché curarla arditamente ». (*) E arrivando quel lamento fino al Pontefice, il
Damiano non si scoraggi. Al Pontefice stesso scrisse una lettera memoranda
cosi ardita che appena ne trovo di simili nelle scritte da Fra Girolamo ad Ales-
sandro VI. Al Pontefice diceva « che non si doveva aggiustar fede così di leg-
gieri a qualunque male ci si dica.... senza ponderarlo accuratamente», e sog-
giungeva: « Ove non sia per l' amore di Cristo (di cui sono servo indegno)
non chiedo la grazia di uomo alcuno, nè l'ira di alcuno pavento. Bastami il
testimonio della buona coscienza ». (3) Questo era il coraggio che nell' anima
di quel gran Santo nasceva dal vedere flagellati i popoli per le colpe dei cat-
tivi pastori. E simili parole potremmo trovare in San Girolamo a cui meglio
che ad ogni altro pare somigli il nostro Frate. (4)
Ma vediamo qual fosse su questo punto il pensiero del grande maestro e
(') Veli l'Opera più volte citata del P.Tommaso Xeri. p. 37 e seguenti.
(*} Capecelatro, Via di San Pier Damiano, Lio. Ili, p. 162.
(*) Capecelatro, 1. c. p. 161.
(4) Cf. la lettera del Papa S. Gregorio VII a Ermanno vescovo di Metz, ove gli dice
che vai più l'umile e buon popolano che il re o il prelato cattivo. Labbceus, Sacrosancta
eOneOia, ed. di Venezia, 1730, voi. XII, col. 197 e segg.
- 265 -
confratello del Savonarola, San Tommaso d' Aquino. Fra Girolamo ripeteva
sovente che al clero e ai prelati, segnatamente ai capi, si avevano da attribuire
molti de' peccati del popolo: e la predica XXIII sopra il Salmo Quam Bonus,
non dubitò d' intitolarla : « Della distruzione del popolo cristiano per il malo
esempio di cattivi prelati ». Ora ivi e ne' passi analoghi il nostro predicatore
non fa altro che ripetere e chiarire un passo del Crisostomo recato da San Tom-
maso nella Catena aurea, ove espone il XXI di San Matteo, v. 12. Questo Dot-
tore adunque ammira la divina sapienza del Salvatore il quale, dice, essendo
venuto a salvare la città, come buon medico, entrò da prima nel tempio per
intendere alla radice del male. Imperocché, segue il Crisostomo « come dal
tempio esce ogni bene, così dal tempio procede ogni male. Imperocché, se il
sacerdozio sarà integro, tutta la Chiesa fiorirà; ma s'esso sarà corrotto, tutta
la fede è marcia. Perchè, siccome tu, quando vedi l'albero dalle foglie pallide
pallide, capisci eh' esso ha il vizio nella radice, così, quando vedi il popolo in-
disciplinato, argomenta senza dubbio che il sacerdozio di esso non è sano ».
E che cosa non si legge d' acerbo contro i profanatori del tempio nella
esposizione che Tommaso fa del cap. II di San Giovanni al verso 17? E nel-
1' opuscolo LXV attribuito all' Angelico (') si dice pure che i laici si corrom-
pono facilmente per la cattiva vita de' sacerdoti, e per i perversi esempj del
sacerdote diventano peggiori. E perciò, soggiunge 1' autore, « quanti sono i sa-
cerdoti che offrono a' sudditi esempio di perdizione, altrettanti sono degni di
morte; (*) e il sacerdote che non ha per sè nè regime, nè metodo e non de-
terge i delitti, nè corregge i peccati de' figli, s' ha a dir cane impudico piut-
tosto che vescovo ». (3)
Non sarebbe impresa disagevole per tutti i luoghi del Savonarola, che pur
sono moltissimi o riguardili la teorica o il fatto, addurne parecchi de' Padri e
de' Dottori. Lasciatemi ancora trascrivere un passo qui che mi par che abbia
importanza tutta speciale. È noto che il Savonarola minacciava guai all'Italia,
dicendone specialmente cagione i cattivi chierici, per i quali era sorta la tem-
pesta; e cosi anche con non minore insistenza ne gridava a Roma in partico-
lare. E qui davvero che, quasi non bastassero i flagelli dell'immoralità e la per-
dita in molti della fede, i flagelli non si fecero aspettare molto, ma vennero
e terribili, nel miserabile caso dell' eterna città, e nel crudelissimo sacco che
ne fecero i Lanzi e gli Spaglinoli nel 1527, al tempo di papa Clemente VII.
Ora, vedendo questo flagello il cardinal Gaetano, e commentando le parole di
Cristo: — che il sale diventato sciocco non serve più — scriveva: « Ei si ve-
rifica quel che in questo luogo dice il Signore continuamente, neh' esser giu-
stamente disprezzata la vita de' pastori, al che seguita che siano altresì beffate
le lor parole. Lo sperimentiamo noi ora, prelati della Chiesa, in un particolar
modo, dati per giustissimo giudizio di Dio, in preda, in sacco e in prigionia,
(*) V. l'edizione napoletana del 1778 in 6 volami: tomo VI, p. 103-136.
(2) Dect. secund. part. caus. XI, q. III. can. Precipue-
(') Dect. secund. part. caus. II, q. VII, can. Qui nec.
— 266 —
non nelle mani d'infedeli, ma di Cristiani; perciocché, essendo noi eletti per
sale della terra, noi siamo svaniti, nè più a cosa veruna utili, eccetto che alle
cerimonie, e beni di fuori; noi siamo stati calpestati, ancor di corporal prigio-
nia, insieme con tutta la città di Roma ». (/)
Citato questo passo, Fra Tommaso Neri domanda ad un calunniatore di
Fra Girolamo: « Deh, dimmi: devesi condannar il Gaetano, perchè egli scrive
queste cose, poiché eli' eran occorse, da che s'accusa Fra Girolamo, il quale
le predisse innanzi? 0 bisognerà condannar ancor molti profeti, i quali è-
certo, che hanno favellato contr' a sacerdoti, e prelati cattivi, e tra gli altri
massimamente Geremia e Ezechiele, che furono amendue sacerdoti, e inoltre
Osea, Sofonia, Malachia, i quali nondimeno saria troppo gran sacrilegio non
onorare, e non adorare ». (2)
Così domando io: vi piace condannare Girolamo Savonarola per le cose
che disse contro i cattivi del clero? E allora condannate tutti i Santi Padri
e i più zelanti Dottori cattolici e in particolare condannate Santa Caterina da
Siena; imperocché, come ben nota lo storico delle Signorie Italiane, « i ser-
moni del Frate, dove combattono la scostumatezza degli ecclesiastici, si di-
rebbero copiati dalle lettere di Santa Caterina da Siena ». (Pag. 746.) (3)
Già il Pastor (voi. I, pag. 82) ci fa sapere che a capo dell'opposizione con-
tra i cattivi pastor i della Chiesa era un secolo innanzi al Savonarola la repubblica
di Firenze ; il che solo, quando anche le invettive terribili di Dante e del Petrarca
non si conoscessero, ci mostrerebbe che 1' opposizione di fra Girolamo contro
i nuovi profanatori del tempio non era una novità pei Fiorentini. Ma chi era
che particolarmente moveva il popolo all' opposizione? Era « la più fida ade-
rente di Gregorio XI, Santa Caterina da Siena » che « non ebbe punto riguardo
di bollare (come ci dice il Pastor) con le più forti espressioni i portamenti
dei cattivi pastori della Chiesa e di eccitare il papa a procedere con energia
contro gl' indegni che attossicano e imputridiscono questo giardino della Chiesa ».
(Ivi.) E con pari severità, come lo stesso Pastor ci fa sapere, (ivi, nota 1)
« giudicò più tardi Sant' Antonino Arcivescovo di Firenze ». Ove trovare nel
Savonarola paroie più terribili delle seguenti di Santa Caterina da Siena ci-
tate dal Pastor? « Parlando della Chiesa, essa diceva al Papa: Riponetele il
cuore, che ha perduto, dell' ardentissima carità, chè tanto sangue ci è stato
succhialo dagli iniqui devoratori, che tutta è impallidita » (pag. 85). E come
soggiunge il Pastor, (pag. 87) la stessa Santa « deplorava altamente di trovare
nella corte Papale, che dovrebb' essere un paradiso di virtù, il puzzo infernale
dei vizi ». Queste parole della Santa il Pastor le approva ; e chiama « bella te-
stimonianza per Gregorio che Caterina potesse sì francamente parlare e per lei
(') Commento sopra Muttto, o. V. v. 13.
(4) Op. cit. pag. 18.
(3) La maggiore unzione ascetica che l'egregio storico trova nelle lettere (lolla Santa
non è certo cosa da farci biasimar quelli, pur mentre si lodan queste; e chi la invocasse con-
tro ili noi per negare la parità del caso, credo non indovinerebbe del tutto il pensiero del-
l'illustre uomo.
— 267 —
che parlasse in tal guisa » (ivi). Se si venisse al caso del Savonarola, si
vedrebbe pur troppo che chi meritava condanna non era certamente il con-
fratello di Santa Caterina. E il Pastor ci concederà facilmente, che i prelati
contro cui egli declamava non erano certo migliori di quelli che la Santa chia-
mava « Dimoni incarnati che han fatto nascere Anticristo contro Cristo in terra »,
non erano migliori di quelli a cui la Santa regalava i titoli di « ingrati, vil-
lani, mercenari, vili e miserabili cavalieri, avvelenati dal veleno dell'amor proprio,
che d'angeli terrestri che dovrebbero essere hanno preso l'ufficio delle dimonia,
matti e seduttori, stolti, degni di nulle morti, ciechi e menzogneri e idolatri, simo-
niaci a procacciar le grazie e usarle illecitamente » (ivi, pag. S6 e seg.). Il para-
gone terribile del Savonarola nella predica XXVII sopra Amos ove l'innalzare
un peccatore pubblico al vescovato lo chiama « mettere il diavolo nella sedia
di Cristo » (*) perde la sua forza al confronto dei citati improperj della Santa
senese. Nè si dica che ella, parlando degli elettori dell'antipapa, poteva usar pa-
role così severe, perchè il carattere sacerdotale ed episcopale era in loro come
negli elettori di Alessandro VI; e che questi ultimi non avessero diritto a mag-
giori riguardi ce lo concedei à facilmente il Pastor, i! quale racconta di essi ciò
che il Savonarola non ebbe mai ardire di raccontare (sebbene ne fosse troppo
bene informato) per non offendere le orecchie degli uditori suoi.
Ci resta un'accusa speciale che merita che si ribalta direttamente. È stato
detto e ripetuto che Fra Girolamo vilipendeva dal pergamo il Papa Alessan-
dro VI. Qui l'esempio di santa Caterina, secondo il giudizio del Pastor, con-
danna il Savonarola. « Santa Caterina da Siena aveva scritto una volta alla
Signoria che, eziandio se il Papa fosse un demonio incarnato, conviene esser
sudditi e ubbidienti a Lui, non per lui inquanto lui, ma per l'obbedienza a
Lui come Vicario di Cristo » (pag. 143). E cosi ancora per il posto che occupa
nella Chiesa e nella Gerarchia ecclesiastica, noi crediamo che non ci sia sempre
lecito, parlando in genere, pubblicare i vizj del Pontefice e direttamente lan-
ciare contro di lui l'infamia senz' alcun riguardo. D'altra parte è chiaro che,
ove il Savonarola avesse mostrato al popolo le turpitudini del Borgia, egli
avrebbe certo mirato al particolare, nè si potrebbe difenderlo. Come dobbiamo
adunque pensare qui? Dobbiamo negare recisamente l'accusa, imperocché essa
è falsa e calunniosa.
«Oh! e' dicono che tu hai detto male del Papa, e che tu sei entrato molto
dentro! Che vuol dire che non fanno guerra a chi ne ha detto male qua aper-
tamente?! Io non ho nominato qua nessuno. (Sopra Ezechiele, XIX.)
« Hanno detto che io ho detto male del Papa: Popolo, tu mi sei testimo-
nio: mi hai udito se io ho detto mai simile cosa? ho nominato il Papa in
male nessuno »? (Predica XXVIII sopra alquanti salmi.)
« Al Papa ora parliamo: Egli è stato affermato e scritto alla Sua Santità,
(') Un'espressione simile trovasi nel discorso ad clerum in concilio Hhemensi congregatum
posto tra quelli di San Bernardo, che, se non è del santo Dottore, almeno è tratto tutto da altre
opere di lui. V. ed. di Venezia, 1727, col. 819.
— 268 —
«he io lio detto male di quella; il che non è vero: Egli è scritto nella Scrit-
tura Santa: Non dire male del principe del tuo popolo. (') Questo io non l'ho
mai fatto; io non ho nominato qua nessuno. Voi avete scritto a Roma che io
ho detto male del Papa. E' non è vero. S' ei ti dimanda: che dice egli de' fatti
miei? rispondi: Nulla. Dico che sarà dannato chi non obbedirà alla Santa Ro-
mana Chiesa.
« Tu se' perseguitato, perchè tu hai detto male del Papa. Io non ho nomi-
nato qua nessuno: come ho io detto adunque male del Papa? Io ho ripreso i
vizj in generale, ed ho detto la verità : e tu sai che son già sette anni pas-
sati che cominciai a predicare; e dissi allora che io era come la gragnuola, e
che chi non voleva eh' ella il percotesse, stesse coperto. E sai che io dissi :
Metti l'armadura in capo: mettiti la virtù; ella non ti percuoterà. Ella veniva
allora piccolina; ma ora ella è venuta tanto grossa, che ella ti rompe il capo,
e tu non la puoi patire. Non sai tu che egli è stato detto male del Papa
apertamente da altri là sul pergamo di Santa Reparata; e che il Papa era
infedele e marrano e fatto per simonia, e pure lui non ha persecuzione. Egli
bisogna discuoprire. Dio vuole così. Lui ora è il bello e il buono, e gli altri
sono perseguitati. Questo è adunque segno che quelle non erano le parole di
Dio e che non era per zelo dell'onore del Signore; io ti avviso che questi
tali sono soldati di uomini grandi, e dicevano cosi allora per compiacere ai
grandi Maestri ». (Sopra 1' Esodo, XVIII.)
E nella lettera ad Alessandro VI del 22 maggio 1407:
« Beatissimo Padre,
« Perchè il mio Signore si sdegna col suo servo? Che colpa ci ho io se i
figliuoli dell'iniquità mi calunniano ingiustamente? Perchè il mio Signore,
prima di aggiustar fede, non interroga e ascolta il suo servo? Benché, è troppo
difficile che animo già inclinato dalla parte degli avversari, si possa discre-
dere. Una frotta di cani mi si è messa d'intorno, una turba di maligni mi
ha assediato. E mi dicono: Bene sta, bene sta! non è salute per lui nel suo
L'io. Imperocché tiene in terra le veci di Dio la Santità Vostra, a cui mi accu-
sano di lesa maestà, pensatamente inventando che io non mi sto dal morderla
e lacerarla con male parole, e le mie parole in mille modi storgono e sacri-
legamente pervertono. Fecero lo stesso due anni sono. Ma vi ha molte mi-
gliaia di uditori in testimonio della mia innocenza: vi sono le parole mie, prese,
se io non m'inganno, tali e quali uscirono dalla mia bocca, ed in parte ancora
divulgate per tutto dai librai e stampatori. Queste si mettano fuori, si leggano,
si esaminino, per vedere s'è cosa in esse da cui la Santità Vostra resti offesa,
come hanno costoro tante volte falsamente riferito. E per convincermi di ma-
nifestissima conti-adizione, si penserà che io volessi dire una cosa in pubblico e
un'altra scrivere? Che bel giudizio, che prò! sarebbe una cosa da pazzo! E mi
(') Esodo c. XXII, v. 28, e Atti degli apostoli, c. XXIII, v. 5.
- 269 —
fa meraviglia come la S. V. non riprovi tanta loro rabbia e nequizia. Con qua}
faccia, con qual coscienza questo egregio predicatore (*) così portato in palma
di mano rinfaccia a me innocente la colpa, ond'egli è grandemente reo? dacché
son costretto a mettere in aperto le sue parole. Asserisco dunque che vi sono
infiniti testimonj, i quali un tempo lo hanno udito dal pulpito dir cose di fuoco
contro Vostra Santità. E perchè non s'abbia a credere che io mentisca, produrrò,
se occorra, la fede per man di notaro di buoni testimonj. Anche mi ricordo che
la sua insolenza fu già redarguita e condannata; non essendo lecito inveire contro
persona, pur piccola, ma tanto meno poi contro chi è primo e pastore di tutti. E
chi è tanto sciocco da non saper queste cose? Non sono, grazie a Dio, così stolto
da non conoscermi. Io sempre mi sottoposi al gastigo, e quante volte occorra, son
qua per sottopormivi ora e sempre. Chè io son pure peccatore, il quale grido con
quanto ho di voce, di far penitenza de' peccali, di emendare i costumi e di tornare
alla fede del nostro Signor Gesù Cristo, mentre mi adopro di riaccender nei
cuori degli uomini la fede cristiana quasi estinta, e penso di stampare fra
poco, chè così piace a Dio, l'opera del Trionfo di Cristo, per corroborare la
fede. Dal qual libro apparirà manifestamente, se io sia seminatore d'eresie
(che tolga Iddio!) o non piuttosto di fede cattolica. Non voglia dunque la Bea-
titudine Vostra porgere orecchio agli insidiosi ed ai malevoli, senz'averne le
prove; mentre fin qui si possono convincere di molte menzogne. E se, poten-
done più. la iniquità dei tristi, a me verranno meno gli umani soccorsi, porrò
in Dio aiutatore mio la speranza, e farò constare a tutto il mondo la loro ma-
lizia, onde abbiano forse una volta a pentirsi della impresa. Mi raccomando-
umilmente a Vostra Beatitudine ». (2)
Nè le asserzioni, che abbiamo fin qui addotte, rimasero o ci furono tra-
mandate senza prove, senza il conforto dell'altrui testimonianza. Lascio da
parte 1' autorevole apologia che molti insigni scrittori contemporanei ci lascia-
rono del nostro Frate e della rettitudine dell' animo di lui e della bontà della
dottrina e del rispetto alla potestà ecclesiastica; e mi sto contento a questo ri-
guardo di citare, a prova che le asserzioni soprascritte e le altre simili del
Savonarola sono vere, l' autorevole testimonianza di tutti i Frati di San Marco,
di centinaia d'illustri cittadini, della Signoria di Firenze che, attesa la sua so-
lennità, vale certo per molte; il carteggio scambiato tra la Signoria e 1' amba-
sciatore Alessandro Bracci e I' oratore Domenico Bonsi pubblicato dal Mar-
c') Cioè Mariano da Genazzano.
(2) Versione di Cesare Guasti. Vedila nell'articolo Filippo Neri, Archivio storico ita-
liano, Serie IV, T. XIV, pag. 236. Il Papa sembra che accogliesse molto bene le ragioni del
Frate, imperocché questi nella famosa lettera ad un amico, scrive che i suoi detrattori,
mancando loro ogni argomento, si erano bensi sforzati finalmente di persuadere al Papa
eh' egli aveva detto male particolarmante della Sua Santità e di alcuno de' suoi Reveren-
dissimi Cardinali; ma soggiunge, questo non ha ancora loro giovato. Perchè come si dice
in proverbio, le bugie hanno le gambe corte e massime quando le sono contro alla verità
manilesta a molte migliaia di persone; perchè egli non predicava ne' cantoni , nè faceva
conventicoli per le case, come i suoi nemici e i tiepidi, ma predicava nelle chiese dove po-
teva convenire tutto il popolo.
— 270 —
-chese nell' Archivio Storico Italiano e dal Gherardi ne' Nuovi Documenti: si
legga la lettera che la Signoria stessa scrisse a Francesco Pepi oratore a Mi-
lano, a' di 3 marzo 1497, e meglio ancora le lettere che essa spedi ad Ales-
sandro VI a' dì 4 marzo e a' dì 8 luglio dell'anno medesimo, e si resterà certo
persuasi che le asserzioni del Savonarola non ci pervennero nude e gratuite,
ma ben confermate! (')
Ma il passo di sopra riferito a pag. 240 non deve proprio intendersi di Ales-
sandro VI? — E perchè si dovrà intendere di Alessandro VI? Dio volesse che qui
il Savonarola mirasse appunto a quest' uomo e a quella casa immorale e, non
potendo mirare ad altro, non avesse avuto nessuna più generale ragione di
pronunciar tanto gravi parole! Ma il prof. Cipolla parlando di questo brutto
fatto dice: « In quell' epoca una simile condotta morale era tanto comune che
perdonavasi e dimenticavasi facilmente anche nelle persone ecclesiastiche ».
Op. cit., pag. 671. (2)
(') Ecco un passo molto espressivo della lettera scritta da' Dieci di Libertà e Balia al
Becchi, al di 9 marzo 1496. < Noi habbiamo chiaramente conosciuto, per le ultime vostre alli
spettabili X, con quanta cura, amore e fede vi siete operato et con la Santità del nostro Si-
gnore, e con molti Reverendissimi Cardinali, che Irate Hieronymo habbi licentia di perse-
verare nelle sue predicationi. La qual cosa et ad noi et a tutto questo popolo è molto pia-
ciuta, benché non abbia ancora hauto quello effecto desideravamo; et da tutti ne siate uni-
versalmente commendato: et veramente credono che non sia per voi restato, ma per le false
calumnie, che sono dagli emuli et perversi huomini contro a frate Hieronymo tutto el di
ficte et miichinate. Ma sappiamo certo, che se la verità rilucesse nel cospecto di coloro da
chi sono poste tali calumnie, come «noi è noto e chiaro, non vi sarebbe molta fatica ad im-
petrare il nostro desiderio.
Et perchè non solo lui, m-i noi ne siamo in qualche parte, secondo ne scrivete, non
poco gravati, come quelli che pare patiamo che frate Hieronymo nelle sue predicationi et
contro alla Ecclesia et alla Santità di nostro Signore, ardisca con poco honore et dignità
di quella pubblicamente parlare; ci pare conveniente farvi manifesto intendere, che né lui
mai insino a qui in tal cosa è trascorso, più che si patisca 1' honesto della universale con-
suetudine de' predicanti, in riprendere in genere i viti] et mancamenti de' Pi incipi, et incu-
tere terrore alli peccatori, con qualche promissione et assertione de'divini flagelli: et noi
se di questo fussi in modo alcuno uscito, praesertim toccando la Santità del nostro Signore
della quale sempre fummo et siamo fidelissimi et observantissimi figlioli, non haremo in modo
alcuno comportato predicassi. Et veramente non poco ci maravigliamo di quelli che ardi-
scono tali ineptie et calumnie fingere d'un tanto huomo; et appresso a tali, a chi la verità
con il tempo bisogna sia notissima. Et perchè fermamente speriamo che presto sarà cono-
sciuta, vi conlortiamo, graviamo et vogliamo, che con tutti quelli Reverendissimi Cardinali
che vi pare sia a proposito, et con la Santità del nostro Signore operiate iuxta il poter vo-
stro, che non sia prestata più fede agli iniqui et dectratori, che a voi; el quale in nostro
nome siete stato vero e fedele testimonio della vita, opere, sanctimonia, e predicationi lau-
dabili di frate Hieronymo, e della ferma e constante observantia, et devotione nostra verso
la Santità del nostro Signore, et di ciascuno di cotesti Reverendissimi Cardinali». (Marchese,
documenti pubblicati nell'Archivio Storico Italiano, App., t. Vili, anno 1850, pag 147.)
(2) Questo medesimo storico parlando dello stato di Roma d'allora, nota a pag. 654, che
meglio di molte parole potrebbe servire a formarcene il concetto un fatto raccontato dal-
l'Int'essura (Apud. Murat. Ili, 2. 1217), il rapimento cioè della figlia di Giacomo Cuch tentato
da Franceschetto Cybo e da Girolamo Tuttavilla, figlio del cardinale di Rohan.
Mi furono sempre d'un vero conforto, quante volte la necessità mi costrinse a leggere
delle turpitudini di quella infelice età, le savie e profonde parole che quest'uomo insigne
scrive a pag. 697: «La Grecia soggiogata diede la civiltà a Roma antica. Le inondazioni
delle genti germaniche oltre i confini dell' impero romano, e il loro stabilimento sulle antiche
E il Pastor a pag. 78 ci dice che « la depravazione spaventevole dei Bor-
gia non è un fatto isolalo; chè quasi tutti i grandi d'allora vivevano in si-
mile guisa >. E quanto al clero, come abbiamo visto or ora, ci dice il Pa-
stor che in esso la immoralità era cosi grande e pressoché universale, che si
elevarono delle voci chiedenti il matrimonio de' preti e ne' conventi i voti
di castità non erano osservati. (Pag. 116.) E a pagina 89, dove narra di ciò
che ci par pur bello il tacere, dice che nonostante tutto lo sforzo dei missio-
nari e l'opera della Chiesa contro il guasto morale, le condizioni in complesso
rimasero tristi, in Roma più che altrove, in causa del pessimo esempio dato
dallo stesso clero.
Con qual fondamento adunque s' accusa il Savonarola di aver alluso ad
Alessandro VI in particolare colle parole di sopra trascritte? 0 forse doveva
egli tacere, perchè il papa era avvolto nel vizio comune? o perchè i suoi ne-
mici e i viziosi lo calunniavano di dir male del papa? È questa la libertà del
predicatore cattolico?!
Dopo ciò è per lo meno lecito a noi il chiedere a coloro i quali affermano
che il nostro Frate diceva male in pubblico del Pontefice, che vogliano indi-
carci in qual tempo e in qual luogo lo abbia fatto; e quali cose abbia pronun-
ciato o scritto. Ci è per lo meno lecito, finché non si adducano buone prove
di ritenere il contrario, o almeno sospendere il giudizio e non condannare. E
chi, e con qual sistema di leggi, può mai condannare prima di aver visto e
udito prove convincenti? Nessuno può mostrare che il Savonarola mancasse
di rispetto al Supremo Gerarca della Chiesa ; e se la sferza, certo singolare e
nuova, perchè mossa dalla fede, colla quale egli flagella il vizio pareva perco-
tere e percoteva anche 1' anima del Borgia; se la gragnuola grossa e strana
che cadeva sopra i tiepidi e i guasti pareva non rispiarmiasse e non rispar-
miava il capo di Alessandro VI, perchè il giudizio comune l'annoverava tra
quelli; che colpa ne aveva l'ardente e severo Frate di San Marco? Perchè è
vizioso un potente, il predicatore cattolico dovrà chiuder la bocca, porvi su il
dito e più non fulminare il vizio? Anzi, allora egli prende animo e scuote più
arditamente la sua verga ad esempio di Cristo. Ma se terribili erano le sue
parole e severe le sue minacce, egli sempre, come dice il P. Bayonne (*) « par-
lava sulle generali, senza fare allusione a persone, evitando con cura di at-
tentare al sacro carattere ond' erano rivestite. Tale è la testimonianza resa a
lui incessantemente dai magistrati e principali cittadini di Firenze; ce ne pos-
siamo accertare leggendo le sue prediche e i suoi scritti, e sfidiamo ardita-
mente a trovarci una frase, una parola sola irriverente verso alcun prelato o
Provincie di questo, facilitarono alle medesime la conversione al Cristianesimo e la parte-
cipazione alla civiltà greco-latina. Le guerre che dopo la discesa di Carlo Vili per lunghi
decenni senza interruzione desolarono le province italiane, corse dagli eserciti di Francia,
di Spagna e di Germania, furono il terribile mezzo di cui si servi la Provvidenza per punir
noi, ed aprir ai popoli d' Europa la nostra cultura.
(') Bayonne, Éhide., etc. p. 60.
272 —
verso il Sommo Pontefice. I suoi nemici soltanto potevano a loro agio falsare
le sue parole presso coloro che non lo avevano inteso, e far loro intendere
che, flagellando i vizi, egli diffamasse le persone ». Del resto, coloro che vo-
gliono a tutti i costi pronunciare la condanna del Ferrarese, pensino che sono
essi, in caso, che fanno reo il Pontefice, particolareggiando e individuando; non
egli, che non scese mai al particolare. In verità non era Fra Girolamo che
accusava Alessandro VI, ma era « la vita » di quel Pontefice, che il Pastor
chiama « buontempone d' indomita sensualità, che contradiceva in tutto alle
esigenze dell'ufficio che sulla terra doveva rappresentare »; era « l'abbando-
narsi ch'egli fece finché visse con tutta disinvoltura ad una condotta pecca-
minosa » (pag. 435) ; (*j queste eran le cagioni di accusa presso il popolo
cristiano. Ma di ciò Fra Girolamo non aveva colpa davvero. Con tutta l'energia
che aveva non cessò mai di gridare : « 0 persecutori dei buoni, che domando
io a voi? o tiepidi, o Roma, che ti domando io? Io voglio una bolla da potere
ben vivere; questo è quello che io vorrei da voi; ma si attende piuttosto qua
a procurar bolle che siano contro il ben vivere e che lo gettino per terra....
Ma voi non vedete che viene la morte? Io la veggo venire, bisogna portare
l'olio santo a cintola! Italia, tu credi d'aver fuggito il flagello, tu credi aver
composto ogni cosa, e non ne sarà nulla Italia, non c' è rimedio se non
tórre via i peccati.... »
Ma già abbiamo detto abbastanza, ed è tempo che chiudiamo questo ca-
pitolo diventato lungo anche troppo. Per nessun lato adunque regge 1' ac-
cusa di eccesso e d'imprudenza contro Fra Girolamo: non ha intempe-
ranza la sua maniera di lamentare la corruzione nella Chiesa del secolo XV;
egli, predicando contro i vizj del clero, si contenne ognora nel diritto nel quale
conviene che si contenga il predicatore cattolico. A lui non si può in questa
causa muover alcun giusto rimprovero.
(') Dopo queste e altre severissime parole, il Pastor soggiunge molto opportunamente
che, nonostante tutto questo «il modo con cui Alessandro Vi trattò gli affari puramente
ecclesiastici non ha dato appiglio ad alcun biasimo fondato... e la purità della dottrina
ecclesiastica rimase intatta». E cosi l'egregio storico che ritiene esser dovere dei cattolici
condannare con severità Alessandro VI, dà ai lettori suoi il modo di poter trarre dalla
vita stessa di alcuni uomini di chiesa un argomento di più per provare l'indefettibilità di
lei e l' infallibile suo magistero nella tede e nel costume.
XVII.
Zelo di Fra Girolamo per la Casa di Dio.
Sommario.
Breve epilogo. — Argomento nuovo. — Nostra insufficienza. — Limiti del nostro lavoro. — Natura
dello zelo secondo Fra Girolamo, Tommaso d' Aquino e Giovanni Crisostomo. — Si svolge la
definizione — Eccellenza della vita cristiana secondo il Savonarola. — De' miracoli fatti da Dio
a conforto della verità cristiana. — La fede e la vita dei santi. — La Gerusalemme celeste no-
stra madre. — Eccellenza della Chiesa e dei prelati che la governarono. — Dolori del Frate ve-
dendo guasta la vigna del Signore. — Invito ad aiutar le fatiche di San Pietro edi San Paolo e
de' grandi fondatori degli ordini religiosi. — Il Frate è contento di dare il sangue per la Chiesa.
— Le bestie del deserto e le tristi condizioni della vigna del Signore. — Obbligo del martirio
per la salute delle anime. — Saldezza nel proprio dovere. — Un celebre sermone. — Caratteri
dello zelo — Lo zelo audace e passionato. — Il Savonarola accoppiato dal Pastor coi santi. —
Il Savonarola e San Pier Damiano secondo il Capecelatro. — L' inno di gloria a Fra Girolamo.
— Non occorron miracoli. — Ancora un' accusa di eccesso. — I beni ecclesiastici e Girolamo
Savonarola. - Si cerca il quaresimale soprr Ezechiele. — Lodovico il Bavaro e Fra Girolamo.
— Il potere temporale e il Savonarola. — Le ricchezze nel guasto della Chiesa. — Il Savona-
rola non approva il male. — Giudizio assoluto e giudizio relativo. — Chi ha rubato restituisca.
— Nessun Canone coutio la verità. — Osservazioni. — I beni ecclesiastici, Girolamo Savona-
rola e Leone Nili. — La semplicità primitiva della Chiesa e la riforma Savonaroliana. — I beni
ecclesiastici e i poveri secondo San Tommaso. — La chiesa voluta dal Savonarola. — Conclu-
sione.
A questo punto ci pare d' aver tolto ogni dubbio sulla legittimità della
condotta di Fra Girolamo nel lamentare la corruzione nella Chiesa. Pur troppo
egli era nel vero; e, se ben si considera, troveremo assai giusto il dire che si
tenesse, per prudenza, al disotto della verità. Del resto alcune espressioni di
lui, mosse da zelo, non devono intendersi come proposizioni universali meta-
fisiche. Egli seppe ad ogni modo assai ben distinguere nella Chiesa i buoni
da' tristi e parlar convenientemente, secondo 1' uso e il modo della Scrittura
Sacra, degli uni e degli altri. Del pari, egli rettamente si governò nel ripren-
dere dal pergamo i vizj de' sacerdoti e de' prelati che tornavano a danno
delle anime ed erano pubblici: egli non venne mai al particolare, e tanto
meno osò dir male del Borgia, Pontefice. Egli fece quello che avevano già
fatto i più grandi predicatori cristiani, molti Santi Padri e Dottori; e nulla più.
18
- 274 —
Il condannare adunque qui Fra Girolamo significa condannare i più grandi
maestri ed esemplari cattolici, venerati dalla Chiesa.
Pertanto si può dire del Savonarola quello che egli, come sopra abbiamo
riferito, (v. pag. 250) diceva di Asaph : « Piglia le severe e terribili sue parole
in buona parte perchè procedono da zelo.... Onde quando tu lo vedi desiderare
che venga il coltello, la peste e la fame e gli altri flagelli di Dio, non te ne scan-
dalizzare, perchè lo fa per zelo della casa di Dio: non ti scandalizzare, come non
ti scandalizzi di San Girolamo che pare sempre iracondo nello scrivere a Ruf-
fino e a Sant'Agostino, perchè tutto procedeva da zelo ». Ma con ciò noi non
abbiamo ancora mostrato a' nostri lettori il lato più bello dello zelo di Fra Gi-
rolamo: tutti fissi nello scagionare il Savonarola dalle accuse che gli erano
mosse contro, non abbiamo, se non da lungi, potuto vedere la santità dello
zelo di lui, e le poche cose che noi ne abbiamo detto qua e là sono assai in-
sufficienti a farcelo comprendere come si conviene. Merita che lo miriamo con
uno sguardo sintetico. Ma pur troppo io sento anche qui l' insufficienza della
mia penna per mostrarvelo. Leggete e meditate le sue prediche e specialmente
la XX, la XXI, la XXVII, la XXIII sopra il Salmo Quam Bonus: leggete la pre-
ghiera per la Chiesa e 1' esposizione del Salmo: Qui regis Israel, e il lamento
contro i tiepidi, e vedrete quanta ammirazione prenderete del nostro Autore !
Noi ci contenteremo qui di esporre alcune cose, tenendo sotto gli occhi spe-
cialmente la predica sopra Ezechiele fatta il martedì dopo la quinta domenica
di quaresima, il discorso fatto il 15 maggio 1498 in San Marco a molti sacer-
doti, religiosi e secolari, e la XXVIII sopra Amos. Prima di tutto qual è la
natura dello zelo secondo Fra Girolamo? Per comprendere ciò, basterà che voi
leggiate nella Somma di San Tommaso parte I— II, questione XXVIII, articolo IV, e
nella Catena Aurea 1' esposizione del II di San Giovanni e del XXI di San Mat-
teo. Fra Girolamo si può dire che non fa altro che ripetere le cose dette ivi
dal Santo Dottore; questo solo vi potrete trovare di più: quel calore che s'ag-
giunge naturalmente alla pura speculazione o meditazione dal trovarsi in mezzo
alla lotta: Fra Girolamo non doveva solo parlare di zelo; ma ancora zelava.
Che cosa è adunque lo zelo per il nostro Frale? E già definito nella pre-
dica XXIII sopra il Salmo Quam Bonus: zelo non è altro che l'effetto d'un
intenso amore che è nel cuore del giusto, che non lo lascia posare, ma sem-
pre cerca di rimovere tutto quello che vede esser contro all' onore di Dio, il
quale lui veramente ama ». (') È poi questa definizione assai bene svolta e
colorita nella predica XXVII sopra Amos: « L' amore, tra gli altri effetti che
fa nell'anima nostra, uno è questo, che fa unione, onde dice Dionisio : L'amore
(l) È la definizione che si legge nella Catena Aurea all'esposizione del XXI di Sau Gio-
vanni. La dottrina del Savonarola e di San Tommaso è in tutto simile a quella del Criso-
stomo il iiuale, nella esposizione del IV di San Matteo, parlaudo di Cristo che cucciò Satana,
che gli proponeva di adorarlo, scrive : « Impariamo dall' esempio di Lui a non sopportare
elio le ingiurie contro a Dio ci giungano nemmeno alle orecchie: imperocché il dissimulare
le ingiurie di Dio è cosa troppo empia». Cfr. La predica XIX, sopra Ruth e Michea e Sau
Tommaso, Quodlibcto V, art. XXVI.
— 275 —
è viriti unitiva, per la qual cosa tra coloro che si amano si vede che è sempre
unione. Il secondo effetto dell'amore è questo: una mutua inesione che si fa
tra l' amante e l'amato, perchè l'affetto dell'uno è sempre trasferito nel-
l'altro, e l'uno amante è nell'altro; cioè la cosa amata entra nell'intelletto
e nell'affetto dell'amante e così al contrario. Il terzo effetto che fa l'amore, è
che fa venire 1' uomo in estasi, cioè che lo fa uscire fuori di sè, e massime
quando quell'amore è veemente; perchè lira tanto l'amante al pensare della
cosa amata che lo cava fuori di sè. Quarto, 1' amore genera zelo; come che è
quando un uomo ama la moglie sua tanto veementemente, che egli ha quasi
paura che gli uccelli glie la tolgano; donde si chiama poi geloso per il zelo
che ha, e questo zelo cerca sempre di escludere ogni cosa contraria, donde
interviene che qualche volta per questo zelo nelle città nascono invidie, come
verbi grazia: quando un dottore ha zelo dell' onor proprio e della singolarità,
ha poi invidia agli altri della città sua che avessero simil virtù, che fosse con-
traria alla sua singolarità. L' amore divino è massimo sopra tutti gli amori, e
colui che ama Dio veramente ed è in carità, vuole piuttosto andare all'inferno
che offender Dio. Non dico già che tu entri in questa cogitazione, se tu vor-
resti prima l'inferno che offender Dio; ma dico che colui che veramente ama
Dio ha questa volontà; e però questo amore divino tira tanto l'uomo in ca-
rità che 1' unisce con Dio, e sta sempre intento alla volontà sua. Secondo, lo
accosta a Dio tanto che 1' ha sempre nell' intelletto. Terzo, lo tira in estasi, in
tanto che per Cristo non cura la morte, non cura quello che dica la gente di
lui, ma in qualche modo fuori di sè è tutto assorto in Dio. Quarto, genera in
lui grandissimo zelo, e vuole sempre escludere tutte le cose, che son contra
Dio; donde dice una chiosa (4) sopra questa parola: Lo zelo della casa di Dio
mi ha divorato, (2) che 1' amore di Dio ha tanto zelo, infiamma tanto 1' uomo
di carità, che ferma V anima per la difesa della verità, in modo che ha rimosso
da sè ogni timore, e non cura di perder la roba, l'onore, la fama e la vita: è
tanto assorto in Dio, che quando vede che una cosa è contraria all' onore di
Dio o alla salute delle anime non si cureria mettervi la vita per salvare l'onore
di Dio. Deve dunque ognuno essere zelatore dell' onor di Dio, e così come tu
se' obbligato alla carità e ad amar Dio sopra di te e sopra l'anima tua, così
sèi obbligato a questo zelo: poiché ogni volta che tu se' obbligato a una cosa
s' intende che anche tu se' obbligato ad ogni altra che si contiene in quella
e senza la quale quella prima non può stare. E ognuno per il primo coman-
damento di Dio; Amerai il Signore Iddio tuo, è obbligato amare Dio: adunque
è obbligato anche a cercare l'onore di Dio e che le anime sien salve ».
Già da quanto abbiamo scritto fin qui appare, in qualche modo, che que-
sto zelo era proprio quello che divorava il nostro Frate. Vediamolo ora di
proposito.
(') Questa chiosa è di Sant'Agostino ed è riportata di San Tommaso, I-II, qu. XXIX,
». 4, ove è esposta tutta questa dottrina sullo zelo.
(2) Salmo LXVIII, v. 10.
— 276 —
Non v' è quasi pagina nelle opere del nostro Domenicano, in cui non si
affermi e dimostri che il più bello e prezioso bene che esista è la vita cristiana,
la dottrina di Cristo di cui è depositaria a banditrice la Chiesa: anzi la vita
cristiana pel nostro Frate è uno de' più grandi miracoli. Infatti nella pre-
dica XLII sopra Ezechiele, esponendo il versetto 10 del capitolo XIX di questo
profeta, parlato de' tre gradi a cui si riducono da' teologi i miracoli, sog-
giunge : « La vita cristiana vince tutti questi tre gradi: perchè la vita del cri-
stiano consiste nella grazia, la quale non dà l'uomo, ma Dio solo; perchè viene
per creazione da Dio, ed è cosa soprannaturale, e perduta, non può natura
umana restaurarla ».
Posto e dimostrato ampiamente questo principio, il Frate segue dicendo
assai bellamente de' miracoli che Dio fece a persuadere gli uomini di tanta ve-
rità : e s' indugia, come è solito di far sovente, a mostrare quanto conforto sia
venuto alla fede dalla vita de' santi e de' martiri; e quanti siansi quindi mossi
ad abbracciare e a seguire il tesoro della fede e la legge di Cristo. Quindi os-
serva che i miracoli e la vita de' santi, che confortarono la fede di Cristo, fu-
rono anche per utilità di quelli che allora vivevano, come per utilità di tutti
si è compiuto il mistero dell'incarnazione e sparso il sangue del Salvatore.
Considera come nostra madre, la Gerusalemme celeste formata de' beati, i
quali, dice, ci generano nella vita spirituale, e ci dispongono a ricever la grazia
di Dio. Poi afferma e nota che i santi hanno sudato sangue per noi loro figliuoli,
e furono come una vigna messa nello strettoio delle tribulazioni per nostra
utilità. E questa vigna eh' ei soggiunge esser la vera Chiesa, la vede, per le
opere de' santi medesimi e per la buona vita e la predicazione, crescere, esten-
dersi e andare per tutto il mondo. Ammira quindi egli i prelati che la gover-
narono, andando retti a Dio senza paura d'imperatori, nè di altre cose del
mondo; ma tutti solidi e saldi e fermi: e poi finalmente accenna all'esaltarsi
di questa vigna quando le fu dato il regno.
Ma dopo ciò segue amaramente: «Or vediamo come la ci è stata distrutta!
Quante fatiche hanno durato i nostri Padri a fare questa vigna, ed esaltarla!
E noi vogliamo lasciarla guastare » ?! Detto quindi poche parole del male prodotto
in essa dalle ricchezze e dalla superbia; affermato, che le radici della Chiesa
primitiva erano lassù in cielo, ma adesso son tutte per terra, perchè non pen-
sano se non di roba, di stati, di cose terrene; accennato al cattivo esempio
de' prelati che è venuto per tutta la Chiesa e ha seccato in modo i frutti, cioè
le opere buone, che non si sa quasi più che cosa sia cristiano, e che i chierici
e gli altri religiosi sono quasi tutti mancati e convertiti in putredine di lussu-
ria, secchi dall' avarizia e dalla superbia, in modo che non sono più buoni da
nulla se non a bruciare, grida forte: «Che vogliamo adunque fare? che faremo?
gli è guasta la vigna!! Io vi ho condotti fin qui per questo punto. Egli è pianto
e sarà pianto: (') o ingrati cristiani, o popolo cristiano, ingrato del sangue di
(.') Ezechiele, cap. IX, v. 14.
— 277 —
Cristo, ingrato di quel sangue de'martiri, il quale fu sparso per piantare que-
sta vigna, e ora è guasta! Non ti pare a te che sia vero?! Ella è ora piantata
nel deserto ; ella è abbandonata! Noi vogliamo aiutare le fatiche di San Pietro e
di San Paolo. Ditelo ai vescovi, che tocca a loro. E voi Padri miei, e figliuoli miei,
non vogliamo noi aiutare le fatiche di San Domenico, il quale durava in Fran-
cia, in Italia e negli altri paesi tante fatiche e tanti sudori e constituì questa
religione? 0 Padri di San Francesco, non vedete voi quanti sudori pali lui, e
quelli suoi primi per questa vigna, per la vostra religione?! Non volete voi
aiutarli?! Cosi voi, Padri di Santo Agostino, di San Benedetto, e li altri, aiutate
le fatiche loro. Deh! Padri miei, mettiamoli le mani: cominciamo a aiutarli:
loro hanno sparso il sangue per noi e a nostra utilità; deh! spargiamolo an-
cora noi per gli altri, che verranno! Eccomi qua per uno, io sono contento
spargere il mio sangue: egli è tanta la pravità che è oggi che bisogna metterli
il sangue: perchè vediamo che altrimenti la vigna se ne va in rovina: deh! sta
a udire che siamo obbligati a metterli il sangue.
« Non vedete voi che questa vigna è stata trapiantata in un deserto?! E'
non bisogna che io vi provi questo, voi lo vedete: nel deserto sono orsi, leoni,
e altre bestie: guardate se sono in questa vigna, se la guastano tutta quanta.
Ella è piantata in una terra dove non si può andare; questo vuol dire che non
vi può venire lo Spirito Santo: e piantata in una terra arida e siziente (l) , perchè
ha sete ogni di più di ricchezza. Uscì dalla verga de' suoi rami un fuoco. La
verga significa l'altezza della loro superbia: il fuoco è uscito di questa verga
per tutto, e ha abbruciata e guasta ogni cosa. E non rimase di lei una terga
salda da servir di scettro a' sovrani (*) ; cioè non si trova un uomo, il quale possa
reggere bene oggi una città, o un vescovado. Che abbiamo adunque a fare?
Egli è pianto e sarà pianto. Non voghamo noi aiutare questa vigna? Or su,
figliuoli miei, e voi, chiericini fanciulli, e ognuno state ad udire quello che vo-
glio: E' bisogna qua una gran forza: notate bene e mettetavelo nel capo:
Poni qua uno che muoia di fame, e non ci sia nessuno, che abbia del pane
da dargli se non tu; se e' muore, tu sei obbligato a sovvenirlo: questo intende
ogni dotto e ogni ignorante! Pensa poi quanto saresti obbligato se fosserdue,
tre o quattro, a non li lasciar morire di fame! Or dimmi, quale è più degno, o
l'anima o il corpo? — L'anima. — E però molto più sei obbligato a sovvenire
uno che muore nel peccato, se tu puoi. Ecco un esempio: Tu vedi uno, che
piglia amicizia con una donna, o con un fanciullo, il quale crede che vada
bene, e tuttavia lui lo vuole far fare peccato: dice Sant'Agostino che se tu
puoi rimediarvi, tu se' obbligato a mettervi la vita, e se tu sarai tagliato a
pezzi, tu andrai in paradiso. 0 se fossero dieci, o venti, quanto più obbligo
avresti » !
E qui insiste il Frate perchè nulla tolga i volonterosi dal compiere il loro
dovere, dall' eseguire la legge di carità, che impone ad ognuno di curarsi del
(') Ezechiele, cap. IX. v. 13.
0 Ivi, v. 14.
— 278 -
prossimo suo; nessun' autorità, nessuna legge può impedirci qui il nostro uf-
ficio; e segue: « Guarda i nostri padri, i quali non tornarono mai indietro....
Or su, bisogna prima che voi siate forti nell' orazione, poi anche al martirio.
E così io sono contento, Signor mio, di metterci la vita. Figliuoli miei, state
saldi, non vi smarrite, perchè verranno adesso tribulazioni grandi.... Bisogna
prepararvi a buon'ora: facciamo anche noi come i Santi Padri passati, accioc-
ché sia glorificato il nome di Dio ».
E fece davvero come i padri antichi, e per rassettare la vigna, madre no-
stra, per purgarla dagli sterpi, e farla rifiorire e fruttificare vi mise davvero la
vita! Se questo non è zelo buono, ditemi, quale sarà esso mai?!
Ma per comprendere tutta la forza dello zelo di Fra Girolamo bisognerebbe
legger tutto intiero il discorso da noi sopra citato fatto in San Marco a molli
sacerdoti religiosi e secolari il dì 11 febbraio 1498 (*) allorché già il Savonarola
* era stato colpito dalla scomunica. Egli aveva la domenica innanzi invitato i sa-
cerdoti della città non per tener loro una predica, ma per far loro in una sala
del convento una lezione sul modo di vivere sacerdotale. Ma tanto fu il con-
corso che fu necessario scendere nella Chiesa: chi conosca la tristezza di quei
tempi (e leggendo il Pastor si conosce abbastanza), chi sappia dell'abominazione
che regnava nel santuario, non può rattener le lacrime nel legger quel discorso
fatto appunto in quei tristissimi giorni. « Onde viene il mal vivere della Chie-
sa? !! E piuttosto da piangere che da raccontare.... » !!!
Ivi il buon Frate mentre dimostra un amore immenso per gli uomini e
specialmente pel clero, palesa ancora un odio mortale contro quei vizj dei
chierici che nel capitolo precedente noi, colla guida specialmente del Pastor,.
abbiamo dovuto palesare. Flagella terribilmente quelle lordure, e tutto il
suo sermone è un gemito di dolore: « Qua s' attende a cani e mule e scudieri
e pompe.... Questo è un dispregiar Cristo e la sua fede. Ma vi sono altri che
fanno ancor peggio.... Tirano altri alla mala via, rubano le anime a Cristo....
Viene quella pecorella, quella donna, quella fanciulla che sarà caduta in qual-
che peccato e Cristo l'ha perduta. Il buon sacerdote la trova e debbe renderla
a Cristo. Ma il cattivo la comincia a blandire e alleggerirgli la cosa e diceli :
Io so bene che non si può stare sempre in castità, e non si può vivere senza
peccato; e a poco a poco la va tirando ancora più e falla più perdere a Cristo,
che prima. — 0 frate, non toccar qua! — Bisogna, ti dico io, dire la verità; io
non nomino nessuno, ma basta bene che quello che io dico è il vero. Egli la
va blandiendo ed attraendo, tu m' intendi, in modo che quella pecorella smar-
rita e' non la rende a Cristo, ma gliela toglie più. lo ti dico che n' è pieno di
questa cosa hi tutte le città d'Italia. Se tu sapessi quelle cose che n'ho avute
io nelle mani, io ti dico, cose sporche e cose bruttissime, tu stupiresti !! E ne
è anco più milioni che io non ho intese, e quando io penso a questa cosa e
(') Ve n'ó un'edizione in un opuscolo, senza luogo nò anno, ma coito stampato in Fi-
renze in quei medesimi giorni.
- 279 -
alla vita de' sacerdoti mi bisogna piangere! Oh! fratelli, o figliuoli miei, pian-
gete sopra questo male della Chiesa »!!
Un altro male che egli riprova è il grande abuso biasimato tanto anche
dal Pastor di « torre assai benefizj e mandarvi poi cappellani. Io ti dico che
bisogna guidare le pecorelle tue da te stesso. Così potria ancora torre benefizj
questo legno di questo pergamo, e mandare là cappellani. Bisogna, dico, of-
ferire se stesso a Cristo, e anche volere per lui morire e metterli la vita per
la sua verità...., non solo i benefizj, ma ancora la vita. Io ho inteso dire che
quando l'Arcivescovo Antonino voleva che si facesse qualche cosa buona e
che ci aveva contradizione e che gli era minacciato che perderebbe l'Arcive-
scovato e lui disse: Io ho ancora la chiave della mia cella di Santo Marco.
Similmente Santo Ambrogio, vedendo che portava l'onore di Dio, andò incontro
a Teodosio e dissegli: 0 io sarò oggi martire o tu andrai fuori di questa
chiesa.... Ma quis est hic et laudàbimus eumt.. (*) Non solo non si trova più di
questi sacerdoti, non solo non voglion patire per 1' umore di Dio, ma vendono
perfino i Sacramenti. Dimmi, non sono fatti oggi sensali sopra li beneficj? A
chi più ne ha e chi ha più danari quello ha li beneficj. Credete voi che Cristo
voglia patir più? Che si può oramai fare peggio?! Guai alla Italia, guai a Roma!
guai, guai ai sacerdoti! Povere anime, poveri popoli, che con il male esempio
dei cattivi pastori siete condotti in perdizione » !!
Un altra magagna del clero era l' ignoranza delle scienze sacre e della
Scrittura. « Questa dottrina, diceva I' infuocato Predicatore, è quella che deve
avere il Sacerdote. Questa debbono studiare i sacerdoti e religiosi per dare
ai popoli! Non bisogna adunque andarsi a spasso tutto dì per le piazze; nè
li sacerdoti e li religiosi andare a visitare tutto di le comari. Ma bisogna stu-
diare questa Scrittura e tener perfetta vita ».
E per difendersi dall'accusa, che potevano movergli, sull'inutilità di que-
sti lamenti, soggiungeva: « Io ti dico questo, acciocché tu ami e cerchi di avere
buoni sacerdoti e discacci via li cattivi.... Comincia pur da Roma e infin qua
e troverai che quasi tutti hanno beneficj impetrati con simonie. E molti che
fanno impetrare beneficj ai loro figlioli e loro fratelli e entrano su quelli
beneficj con superbia e mille peccati.... Io non dico di nessuno in partico-
lare, ma dico in genere dei vizj loro. Quando tu li vedi di mala vita, non dare
loro fanciulli a conversare con loro. Abbi ben 1' occhio. — 0 frate, dov' entri
tu?! — Abbi pazienza; e' bisogna dire la verità. Ei n' è anco state in chiesa
delle donne vestite da fanciulli come chierici.... Stanno anche in coro i sacer-
doti a vagheggiare.... Quanti ne vanno poi come gli è sera chi qua chi là a
loro concubine »!! (2) E al pensare a tante ribalderie dice che: « dovrebbe
scoppiare il cuore a tutto il popolo cristiano » !
Dopo uh quadro così terribile, fa una magnifica preghiera a Dio, che vo-
(*) Ecclesiastico, c. XXXI, v. 9.
(s) Cfr. anche sopra pag. 135. Eaccomandiamo al lettore ili non dimenticare che il di-
scorso era tatto al solo clero.
- 280 -
lentieri noi vorremmo riportar per intiero, parafrasando 1' orazione di Geremia
Profeta: Becordare Domine, ecc. Lo zelo per la casa di Dio e il dolore sulle
corruzioni degl' indegni ministri qui arrivano al colmo. Dovrei dire che affetto
così tenero e zelo così ardente per la Chiesa è difficile trovarlo nelle più ac-
cese preghiere dei santi. Nè reca meraviglia se anche qui si nota che « il
Padre finisse il sermone in pianto insieme con li auditori ».
Ma se ancor vi fossero lettori che volessero continuare a muovere la do-
manda: Lo zelo del Savonarola non è forse eccessivo? non deve dirsi appas-
sionato ed audace? odano essi la risposta.
Notammo sopra con San Tommaso che lo zelo è effetto dell' amore.
« Quanto più (dice l'Angelico) una virtù internamente tende ad una cosa, tanto
più forte respinge quanto le è contrario e ripugnante, e perciò lo zelo spinge
1' uomo con veemenza contro tutto ciò che impedisce il bene della cosa amata,
sicché T uomo secondo tutto il suo potere, si sforza di respingere quanto va
contro l'onore di Dio e la sua volontà». E Sant'Agostino nella spiegazione del
famoso passo del salmo LXVIII: Lo zelo della tua casa mi ha divorato, dice: « È
divorato da buono zelo, chi si sforza di correggere quanto vede di pravo, e se
non può, tollera e geme ». (l) San Girolamo attribuisce alla grazia di Dio il
poter « resistere all' impudenza e, allorché fa di mestieri, cozzare fronte con
fronte ». (2) E Cornelio Alapide ci fa notare che questo suo insegnamento
San Girolamo lo mise bene in pratica nel riprendere i vizj dei chierici per cui
incorse nelF odio loro, e soggiunge che il predicatore dev' essere « audace,
forte, costante, e libero ». Ma non è forse un vizio l'audacia? Certo vi è
un'audacia cattiva, ma v' è n' è anche una buona. In San Tommaso io trovo
che uno dei caratteri dello zelo è appunto l'audacia. « Dalla parte di chi
denunzia richiedesi una certa audacia, tale che 1' uomo non si spaventi dal dire
la verità per causa degli avversarj della medesima, secondo le parole dette dal
Signore ad Ezechiele: lo do a te faccia più dura delle facce loro e fronte più
dura delle loro fronti; ti darò faccia come di diamante e di selce, non aver paura
e non ti conturbare dinanzi a loro ». (3)
Fra Girolamo, che fin dalla sua gioventù avea pianto sulla ruina della
Chiesa :
Prostrato è il tempio e 1' edificio casto !
e, balenatagli la speranza di poter rialzare 1' edifizio cadente, ripensava poi
alla sua giovane età e diceva:
Tu piangi e taci, questo meglio par me! (4)
in seguito, dotato coni' era da Dio di doni straordinarj come oratore cristiano,
potè prender nuovo coraggio; e pur sapendo che si sarebbe procacciato terri-
bili nemici, accingersi all' opera santa. Vi si mise con ardore, dite pure con
(') V. Ir citazione in San Tommaso, Somma Tool. I-H, qu. XXIX, a. 4.
(") Citato nell'Alapide, corniti, sul. II di San Giovanni.
(8) Ezechiele, III, 8.
(') Canzono De Iiuina ecclesia:
— 281 —
audacia, cliè San Tommaso lo giustifica. — Ma il suo zelo è passionato! — Ma
se per jwssionato s' intende acceso d' una passione santa, come poteva non
esserlo? IlPastor trova nel Beato Giovanni Domenici « un'energia non scevra d'un
cotal po' di passione». (') e non lo biasima; nè lo può biasimare chiunque con-
sideri che vi possono esser passioni sante e che dal Redentore fu santificata, di-
vinizzata l'ira contro i profanatori del tempio, che furon simbolo, a testimonianza
di tutti gl'interpreti, del sacerdozio corrotto e simoniaco. E il Pastor stesso
parlando dei predicatori del 400 ci dice: « Chi un giorno torrà a scrivere la
storia della predicazione neh' Italia del rinascimento farà vedere come il
zelante e franco esercizio della divina parola fosse uno dei segni più conso-
lanti di quel tempo che del resto presenta lati oscuri non pochi. Appunto qui
si manifesta come nella vita della Chiesa cominciasse a muoversi uno spirito
novello. Tanto nell' Italia come negli altri paesi della Cristianità abbondano
le prove che quelle voci di minaccia e di ammonizione non risuonavano in-
darno. E nessun altro tempo forse ci offre esempi c'osi grandiosi di conversioni
d' ogni classe nel popolo d' intere città e provincie quanto il secolo i cui tre-
mendi guasti furono sema riguardo messi a nudo da Vincenzo Ferreri, Bernar-
dino da Siena, Giovanni da Capistrano e Savonarola ».
Ecco lo zelo del Savonarola giustificato; egli accoppiato con tre grandi
santi, uno dei quali suo confratello, e due figli dell' ordine illustre Francescano
che come il Domenicano combattè sempre senza paura le battaglie del Signore,
divide con loro la bella colpa di mettere a nudo senza riguardo i tremendi guasti
del suo secolo, senza che i popoli ne prendessero scandalo, ma dando invece
esempj grandiosi di conversioni d'ogni classe nel popolo. E se si considera che
quando il Savonarola lamentava 1' abominazione della desolazione che stava
nel luogo santo, quella magnifica corona di santi e beati che il popolo italiano
avea prodotto (Pastor, pag. 59) quasi non era più, e che neh' ordine domenicano
il più ricco di santi e beati in quel tempo (Pastor, v. I, pag. 33), erano nel 1494
già morti tutti quei celebri e santi predicatori che il Pastor enumera, ad ecce-
zione del siciliano Giovanni Licci, già centenario, non potremo dare altro che
lode al Savonarola che rimasto quasi solo (2) raddoppiò il suo zelo e levò più
alta la sua voce. (3)
Questa ben meritata lode al Savonarola rende giustamente il cardinale
(') Voi. II, p. 44.
(s) Veclansi nel Pastor le date della morte dei santi dal (1400) e fino al 1520 (voi. Ili, p. 59-61
e v. I, p. 33) e giustamente si osserverà che fra tanta ricchezza di santi, il decennio della pre-
dicazione Savonaroliana è appunto un dei più poveri.
(3) Con tutto ciò non intendiamo (e preghiamo il lettore a notarlo) lodare iu modo
assoluto alcuni passi duri ed anche audaci del nostro Frate: solo riteniamo che, avuto ri-
guardo ai tempi, si possono spiegare e difendere. Chi potrebbe, del resto, ripeter oggi dal
pulpito anche certe pagine di San Bernardino da Siena? Ma chi riguardi lo stato deplore-
vole dell'Italia alla fine del secolo XV, riconoscerà il merito del Savonarola nel non aver
temuto di pronunciare quelle espressioni allorché erano opportune, e nell' averlo fatto, an-
che con grave suo pericolo, per un fine santo.
— 282 —
Capecelatro che non dubita di paragonarlo a San Pier Damiani. Dopo aver
riferito le tremende invettive del Damiani contro la corruttela del sacerdozio
all'età sua e dopo averne lodato lo zelo con sapientissime riflessioni, conchiude:
« Parmi quasi eh' egli precorra nella durezza del dire al Savonarola, e inizi
con più di ragione nel secolo XI quella maniera di terribile apostolato che
questi avrebbe compiuto nel XV. Il monaco avellanese (così appresso il frate
predicatore) quando è turbato dalla vista della sacerdotale impudicizia quasi
dimentica la mitezza evangelica ed è come invaso da un santo furore che lo
scuote, lo infiamma, lo agita. Ei flagella impetuosamente i lascivi e chiamatili
innanzi tempo al cospetto del divin giudice, cerca contro di loro le immagini
dei Profeti dell' antico patto, ricorda le subite morti ed i terribili gastighi del
popolo soggetto ad una legge di servitù per iscuotere coloro che cogli iniqui
fatti troppo bruttamente contradicevano alla legge di amore. Amos ed Aggeo
erano i profeti diletti del Savonarola il quale traeva da essi la terribilità del
suo furore contro il vizio; questi medesimi e gli altri profeti incalorivano la
parola del Damiano e le davano una forma meno recisa, forse anche meno ter-
ribile, ma certo egualmente impetuosa e severissima. Gli uomini di siffatta
tempra sono non so se più utili o ammirabili, mentre ci mostrano che, se tal-
volta le corruzioni furono assai grandi nella cristianità, la Chiesa non solo pro-
testò sempre per mezzo dei migliori suoi membri, ma alcune fiate il fece con
un impeto e bollore che è bellissimo e divino quando procede dallo smisurato
amore della virtù ». (*)
I Giudei, allorché videro Gesù cacciar dal tempio i profanatori, domanda-
rono da Lui un miracolo. 0 ciechi e stolti ! ma e' v' ha qui uopo d' altro mira-
colo? Forsechè, dice il Crisostomo, l'aver Cristo preso tale zelo per la casa del
Padre suo, per la casa di Dio non è un grandissimo segno di virtù ? (2) Così
vorremmo risponder noi a coloro che domandavano al Savonarola miracoli
per comprovare la sua missione: Forsechè l'aver egli preso tale zelo non è già
per sè un grandissimo segno di virtù? e che v'ha mestieri d'altro miracolo
perchè lasciate i vostri vizj e torniate bella la chiesa di Cristo? « Generazione
perversa, adultera, tu domandi un miracolo: non ti sarà dato » ; (3) chè tu se' cieca
e non lo potresti vedere dacché non vedi il singoiar merito del Frate che per
1' onore della casa di Dio e per la salute delle anime si riempie tutto di zelo e
ne è divorato e vi pone la vita. Gloria al martire dell' onore di Dio, al martire
della casta Sposa di Cristo!
Gloria?! Oh! troppo presto! Egli voleva una Chiesa non possibile ad esi-
stere nel secolo XV: una Chiesa quale era la Chiesa a' tempi di San Pietro;
e forse più povera ancora. Questa è una esagerazione, e vuole esser condannato.
Ecco una nuova calunnia. Altrove (*) tratto a lungo la questione de' rap.
(') Vita di San Pier Damiano, Firenze 1862, p. 296-297.
I?) Ofr. La Catena Aurea: EspoBiz. del cap. II di Giovanni.
(3) Vangelo di San Matteo, e. XII, v. 39, e cap. XVI, v. 4; cf. San Luca e. XI, v. 29.
(4) Della Chiesa e del Pontefice (li Iloma secondo Girolamo Savonarola; di prossima pub-
blicazione.
— 283 -
porti della Chiesa con lo Stato e quella del poter temporale, e dimostro che in
esse Fra Girolamo è perfettamente d'accordo con l'Encicliche di Leone XIII,
qui limitandomi a poche cose intorno a' beni ecclesiastici affermo e dico che
Fra Girolamo non insegnava nulla, nè voleva nulla che non fosse del tutto
conforme ai canoni, e agi' insegnamenti di San Tommaso e della Chiesa
oggidì ripetuti da Leone XIII. Il Villari, nel lib. IV, capo I, della sua Storia
della Vita del nostro Frate, scrive: « Nel quaresimale sopra Ezechiele (fatto
l'anno 1407), il Savonarola disse chiaramente che la Chiesa può aver beni
temporali, che essi sono stati qualche volta utili, anzi necessarj.... » Cerchiamo
adunque questo quaresimale e vediamo direttamente le idee de! Frate rifor-
matore. E noto che il Savonarola fu ripetutamente accusato da' suoi avver-
sari' di eresia, e fra gli altri motivi dell' accusa si adduceva anche 1' aver egli
detto che la Chiesa non può tener beni temporali. Ma egli come da altre, cosi
seppe assai bene purgarsi da questa accusa; e quanto al motivo speciale ora
accennato troviamo nella predica VI quanto segue: « Quell'altro dice, che il
Frate ha detto, che la Chiesa non può tenere beni temporali. Tu non hai bene
udito: l'ordine nostro non tiene cotesta opinione; anzi la contraria. Va, leggi,
e troverai che al tempo di Lodovico il Bavaro, che passò in Italia per farsi
imperatore, volendo i frati dell' ordine nostro sostenere che la Chiesa poteva
tener beni proprj, furono molto da lui perseguitati. E io molte volte l'ho difesa
questa opinione, che la Chiesa possa tenere beni proprj, contra a chi ha voluto
dire il contrario, perchè tenere il contrario è eresia espressa ».
Questo dice nella predica citata, e altro vi aggiunge con molto calore, ac-
ciocché il popolo non si lasci sedurre, nè ingannare da quelli che hanno in odio
la verità da lui predicata; e a noi tali cose paiono di molta e grave importanza
per l' argomento che abbiamo alle mani. Da questo passo si vede chiara-
mente che il Savonarola teneva eresia espressa 1' opinione che vieta alla
Chiesa il diritto ai beni temporali, egli ivi si schiera tra i difensori della verità
opposta e sposa nella grave questione sorta a' tempi di Lodovico il Bavaro
la parte dell' ordine suo. Or chi ignora che tale questione è vitale per le ric-
chezze della Chiesa? Eccovene un breve cenno. Nel finire del secolo XIII era
sorla una schiera d' eretici che sotto pretesto di una vita più ristretta e mori-
gerata e severa che non fosse la comune disseminarono errori non pochi
nel popolo cristiano. Pretendevano, con Pietro Giovanni Olivi di Sarignano,
che la vita evangelica consiste in non posseder nulla, neppure in comune, e
che perciò tutti i chierici secolari e regolari possidenti in tal guisa erano in
errore. Tacciavano poi la Chiesa Cattolica Bornana di Babilonia e promette-
vano l'esaltazione di una nuova Chiesa più perfetta, e molte altre cose sif-
fatte. Condannati da Clemente V e poi da Giovanni XXII, molti di essi si
ritirarono in Germania, ed entrati sotto la protezione di Lodovico il Bavaro,
fecero un antipapa, e con più audacia di prima sostennero non poter la Chiesa
possedere beni temporali, ma doversi ridurre alla primitiva povertà. Cristo e
gli Apostoli non aver posseduto nulla, nè singolarmente nè in comune. II Ba-
varo in lotta con Giovanni XXII, seguiva molto volentieri questa dottrina, e
— 284 —
per essa pretendeva di render suoi proprj i possessi della Chiesa cominciando
da quei del Papa, e venendo giù fino a quelli del clero secolare: preda certo
non magra. (l)
E chiarissimo che ove si fosse potuto effettuare tale disegno, scompa-
rendo non pure il patrimonio di San Pietro, ma ogni maniera di beni ecclesia-
stici, la Chiesa veniva davvero ridotta alla povertà primitiva, alle reti del Pe-
scatore. Ora se Fra Girolamo come 1' accusarono i suoi nemici e 1' accusano
tuttavia alcuni che non san bene ciò che si dicono, avesse voluto qualche
cosa di simile, si sarebbe egli, in questa faccenda, mostrato pronto a conti-
nuare a combattere nelle file del suo ordine contro i Fraticelli, e a dar
torto ai Bavari ed ai loro seguaci e sostenitori? No certo. Ma egli invece si
gloria di star saldo co' Frati di San Domenico, che particolarmente avevano
sostenuto il Pontefice Giovanni XXII, e s' erano opposti alle pretese del-
l'Imperatore; nè v' è Bavaro alcuno che possa smoverlo, perchè egli non vuol
cadere in eresie espresse, ma crede e ritiene che la Chiesa possa acquistare
e possedere beni temporali d'ogni fatta.
« 0 Frate, vuoi tu dire che la Chiesa non possa avere beni temporali?
— Questa sarìa eresia; non dico questo io, anzi dico il contrario; perchè non
è da credere, se non li potesse tenere, che San Silvestro li avesse accettati e
San Gregorio li avesse confermati. Però noi ci sottomettiamo alla Chiesa Ro-
mana ». (Sopra Ezechiele, XLIV.)
E nella predica XVI sopra Ruth e Michea fatta a di primo luglio 149G,
«on accenno anche più chiaro al potere temporale de' Papi, dice : « Dio non
dette stato temporale alla Chiesa da principio mentre che la fede era viva,
perchè allora questo spirito si poteva reggere senza beni temporali. Ma poi,
cominciando a mancare la vivacità dello spirito, non potendo più fare senza
corpo, perchè la non mancasse per le tante persecuzioni ch'ella aveva, gli
dette il regno temporale, acciocché si conservasse ». Queste le idee di Fra Gi-
rolamo rispetto ai beni e allo stato temporale della Chiesa; queste e non altre.
Or chi deve sottoscriverle ? (2j
Ma pur egli diceva sovente assai male degli Ecclesiastici ricchi, nè dubi-
tava di affermare che la Chiesa era stata guasta dalle ricchezze. E perciò lo
(') Cfr. Moroni: Dizionario di erudiziome storico-ecclesiastica, voi. XXVII, pag. 231 e seg.
(2) Eppure il 23 maggio 1875 in Ferrara, dinanzi al nuovo monumento innalzato al Sa-
vonarola, il Ministro dell'agricoltura e del commercio ebbe il coraggio di dire: La sua predi-
cazione fu tutta civile e politica, perche essa fu specialmente diretta contro il potere temporale
del papa, nel quale egli vedeva una causa permanente di ruina per la Chiesa e la patria ».' V. atti
del Comitato, Ferrara, 1875. Cfr. Bayonne Elude., p. 380. Noi non ci dilunghiamo qui, come
abbiam detto nel Testo, a svolgere 1' argomento presente ; ma so ciò facessimo potremmo ag-
giungere alle trascritte molte altre cose non meno importanti e chiare; per esempio, che il
Savonarola stimò opra di Dio la soggezione dell' Impero al Papato. Infatti nel libro II del
Dialogo della Verità della Fede Cristiana, o Solazio del viaggio mio, è scritto: « Roma la quale
aveva soggiogato tutto il mondo, non potè soggiogar la Chiesa Sposa di Cristo poveretta.
Anzi ed essa con tutto l'impero suo sottomise, il collo al dolce giogo: e a Pietro pesca-
tore soggetto ò oramai l' Imperator Romano. Non apparisco qui chiaramente la virtù di
Dio? Credi adunque fermissimamente esser vere tutte le cose che predica la Fede ».
— 285 —
avversano i cattolici e Io accarezzano i liberaleschi. Il Villari alla proposizione
citata di sopra aggiunge : che allora al Savonarola sembrava che i beni tem-
porali fossero alla Chiesa di solo peso e di danno. Questo basta perchè i cat-
tolici lo avversino, e lo accarezzino i liberaleschi. — Ecco : Egli portò sempre
grande rispetto ai beni ecclesiastici: e basterebbe a provar ciò il modo con cui
si governò intorno alle gravezze da imporsi al clero ; ma non esagerava il di-
ritto; non lo esagerava fino al punto da doverlo, chi pensa bene, considerare
come un male, e come naturalmente distrutto.
Nella predica or ora citata, esponendo il XIX sopra Ezechiele, ricerca come
la Chiesa, la vigna di Cristo fosse stata guasta, e diceva : « Quante fatiche hanno
durato i Padri nostri a fare questa vigna e ad esaltarla! E noi vogliamo la-
sciarla guastare ! — Chi l'ha guasta ?! — Oh, che ne so io?! non lo hai tu visto?!
Guarda il testo che lo dice : Vedendo la sua altezza è rovinata. Se la non avesse
veduto la sua altezza, ella non sarìa guasta. Bisognava che la fosse cieca. Le
ricchezze sono quelle che 1' hanno guasta. — Oh ! qual saria meglio, che ne
avesse, o no? — Oh ! questa è una gran questione, perchè vediamo, che ha pur
fatto male per avere queste ricchezze, e non bisogna ch'io lo provi. D'altra
parte, se non le avesse, non ci sarìa poi forse chi difendesse la Chiesa; perchè
non si trova chi voglia essere martire adesso. Rispondiamo adunque, non ab-
solute, ma, come il marinaio, che non vuol gettare le ricchezze in mare absolute,
ma fuggire il pericolo: e però assolutamente dico che la Chiesa starìa meglio
senza ricchezze, perchè sarebbe più unione con Dio: perchè quello che è più
diviso, è manco unito; ma le ricchezze disuniscono, adunque con quelle non
si può così bene ridurre a Dio. Però io dico a' miei religiosi: Tenete salda
sempre la povertà; e basta a voi avere : bisogni della casa; e se vi fosse dato
le migliaia de' ducati, non li pigliate, ma dateli a' poveri. Tieni saldo che la po-
vertà è la tua ricchezza, e quando ti entra ricchezza in casa, vi entra la morte:
bastati a te, cittadino, che tu stia saldo nel tuo stato, non andar dicendo: Io
voglio crescere, e andare in alto, e cercare ricchezze, perchè tu fuggi il Para-
diso. Dico adunque che, assolutamente parlando, sarìa meglio che ognuno fosse
povero; però dice il savio: Beato il ricco che fu trovato senza macchia, (*) quasi
voglia dire, che è difficile cosa ad un ricco essere buono. Ma parlando (re-
lativamente) e vedendo che gli eretici crescerebbero, è meglio che la Chiesa
abbia avuto roba per potersi difendere ». (Pred. XL1I.) « Dico bene che i Pre-
lati non dovriano spendere male i beni della Chiesa ». (Pred. VI, sopra cit.)
« Parimente dico che sarìa bene che si ricordassero i prelati, che non sono
signori di quella roba della Chiesa; e non la possono donare se non una pic-
cola cosa. Io ti dico, che sono come il fattore della bottega; e sono i fattori di
Cristo: e però quando tu vedi che loro spendono le ricchezze in vestire pom-
posamente, in mule, in cani, e in meretrici, che è peggio: dì che andranno a
casa del diavolo, e tu che ne pigli capiterai male. Tu fai il tuo figliuolo prete
(') Ecclesiastico, c. XXXI, v.8.
— 286 —
per ricchezze, tu che sei padrone delle chiese: io dico: per rubare Cristo:
guarda che tu hai prima a vedere se sia abile e sufficiente a quel governo.
Tu non hai avere della roba del tuo figliuolo prete, se già tu non fossi in
grande necessità. Restituisci adunque tu che hai rubato la Chiesa. — A chi? —
A clii?! Dicono i canoni: Alla Chiesa. Ma io domanderei se quel prete di
-quella Chiesa è buono, e se non è buono, io chiamerei tutti i santi e doman-
derei se questa fu la loro intenzione, e poi la darei a' poveri. Non mi farò mai
coscienza nessuna di darla a' poveri; perchè tanto fa non gliela dare (al prete
cattivo), quanto dargliela e che lui la spenda male. Ma se si avesse a riparare
la Chiesa, o che si mutassino, sì bene restituisci alla Chiesa. Or tieni tu, ca-
nonista, quello che tu vuoi, ch'io tengo questo ». (XL1I.) « Quando il prete è
cattivo, e che la spende male (la roba della Chiesa) è meglio darla a' poveri :
e non si deve intendere i canoni con una chiosa che sia contra la volontà di
Cristo, e contra alla coscienza: lascia questo peccato sopra di me. Dice San Tom-
maso che bisogna che la esposizione non sia contra alla ragione naturale. Oh!
dirà colui, e' vuole che la roba della Chiesa sia buttata via: però ti bisogna
quella virtù, che mette Aristotile, della provvidenza, per la quale bisogna ve-
dere che una cosa non sia contra al lume naturale.... Piglia questa regola, che
nessun canone è contro alla verità; perchè non saria canone; ma sono al-
cuni che fanno la loro chiosa a suo modo, e quella chiosa non è canone ».
<Ivi, XLIII.)
Queste le idee intorno a' beni temporali della Chiesa esposti dal Sa-
vonarola nelle prediche sopra Ezechiele. Or che si trova qui che non sia
conforme alla dottrina cattolica? Avete osservato bene che dice? La Chiesa
s' è guasta per le ricchezze che la elevarono : ma non propriamente per le
ricchezze, sì bene per tenervi essa fiso l'occhio. La Chiesa! quale? come so-
cietà, come istituzione?! Non già, ma i religiosi, i chierici, i cittadini, che han
posto il loro cuore nelle ricchezze, che cupidi adulterano, novelli Simoni,
le cose di Dio, che devono essere spose di bontà, che rapaci rubano i patri-
monj ecclesistici e ne fanno cattivo uso; gli amministratori de' beni ecclesia-
stici, i quali si dimenticano nella pratica di essere semplici amministratori e
non pensano a' poveri, ma a lussurie e a mettere in arca, e avanzare i pa-
renti. Per tutti costoro sarebbe meglio che la Chiesa fosse povera. Ma quanto
bene non può far la Chiesa co' beni temporali, quanto bene non possono fare
i preti buoni, quanto non tornano utili le ricchezze per restaurare e abbellire
la casa di Dio! Se si ha da riparare la Chiesa, restituisci alla Chiesa.... La
Chiesa come società de' fedeli ha bisogno di beni temporali, ha bisogno delle
ricchezze, se no chi la difenderebbe? Gli eretici chi li terrebbe a freno? È me-
glio che la Chiesa abbia avuto roba per potersi difendere.... Che delitto è mai
questo di bramare, come faceva il Savonarola, preti e religiosi buoni? e che non
si dilatino tanto nella roba; ma che vogliano darla per Dio, a' poverelli e lasciare
tante loro superfluità, e a questo modo acquistarsi il Paradiso? (Sopra Aggeo,
XIII.) 11 Savonarola, che aveva scritto tutto il libro quarto della Semplicità della
Vita Cristiana per dimostrare degli uomini in generale l'obbligo di rimuovere da
— 287 —
sè il superfluo, poteva tenere un linguaggio diverso parlando di chierici ? 11 severo
Frate che ripeteva le ricchezze nelle mani de' peccatori essere un istrumento
a operar male, doveva poi eccettuar dalla regola i chierici tristi ? (Ivi, lib. V,
conci. VII.) Il Savonarola non poteva tollerare nella Chiesa quello che non vi
poteva tollerare Gregorio VII, cioè che per il temporale i vescovi ed i prelati
lasciassero di compiere lo spirituale. (Cfr. Paslor, pag. 362): e questo chi ar-
direbbe tra i cattolici di condannarlo minimamente?
Quando, in altro scritto, esporremo le dottrine sociali del Savonarola,
raffronteremo le sue idee co' pensamenti dell' Enciclica di Leone XIII Sulla
questione operaia; ma qui già non sappiamo astenerci di trascrivere alcuni
periodi da questo insigne monumento di sapienza, perchè ognun veda quanto
si accordino anche qui i pensieri di questi due grandi amatori della Chiesa
e del popolo di Cristo; e trascrivo senz' altra osservazione fuori di questa
che quanto il Pontefice dice aver la Chiesa fatto ognora, il Savonarola voleva
che facesse anche alla sua infelice età. « La Chiesa concorre direttamente al
bene de' proletarj col creare, promovere quanto può conferire a loro sol-
lievo, e per questo rispetto ella segnalossi tanto, da riscuotere V ammirazione
e gli encomj degli stessi nemici. Nel cuore de' primitivi cristiani la carità fra-
terna era così potente, che i più facoltosi spogliavansi spessissimo del proprio
per soccorrere gli altri, tanto che non vi era tra loro bisogno alcuno. Ai dia-
coni, ordine istituito espressamente per questo, fu commesso dagli Apostoli
l'ufficio di esercitare la quotidiana beneficenza; e Paolo Apostolo, benché gra-
vato dalla cura di tutte le Chiese non dubitava d'intraprendere faticosi viaggi,
a fin di recare di sua mano ai cristiani poveri l'elemosine da lui raccolte. E
depositi della pietà chiama Tertulliano le offerte che- si facevano spontanea-
mente dai fedeli in ciascuna adunanza: perchè disegnate a soccorrere e a dar
sepoltura agli indigenti ; sovvenire i poveri orfani d' ambo i sessi e i vecchi e i
naufraghi. E di qui a poco a yoco f or mossi il patrimonio, che la Chiesa guarda
sempre con religiosa cura come patrimonio della povera gente. La quale anzi
con nuovi e determinati soccorsi venne perfino liberata dalla vergogna del
chiedere. Imperocché, madre comune dei poveri e dei ricchi, ispirando e
suscitando per tutto l' eroismo della carità la Chiesa creò sodalizj religiosi
ed altri benefici istituti, che non lasciarono quasi alcuna specie di miseria
senza aiuto e conforto. Molti oggi, come già fecero i gentili, dan biasimo alla
Chiesa perfino di sì egregia carità; e si è creduto bene di sostituire a
questa la beneficenza legale. Ma non vi è umana industria che alla carità cri-
stiana, che tutta consacrasi al bene altrui, possa supplire. Ed essa non può
esser se non virtù della Chiesa, perchè è virtù che sgorga solamente dal cuore,
dal cuore santissimo di Gesù Cristo: e si allontana da Gesù Cristo chi si
allontana dalla Chiesa ».
Il detto fin qui potrebbe bastare ad ogni cristiano, ma è troppo difficile
persuadere chi è già per sè male inclinato; e non è molto che un teologo, ri-
petendo le parole di un suo professore, moveva al Savonarola l'accusa che si
muove a Giuda perchè si dolse dell' unguento sparso dalla Maddalena sui
— 288 -
piedi a Cristo, e che muovesi parimente ai molti nemici della Chiesa, i quali
vorrebbero che Leone XIII ritornasse senza meno alle reti del pescatore di
Galilea. L' accusa, come tutte le altre contro il Frate, è gratuita, e, per quanto
abbiamo esposto, già appare anche falsa, ma non sarà discaro a' Piagnoni se
insistiamo un altro poco nel ribatterla del tutto.
Chi lia letto le Opere del Frate sa eh' egli voleva che ognuno vivesse de-
centemente secondo il suo stato, e sa che non poteva togliere a' prelati il re-
lativo decoro. Questa non era la semplicità del Savonarola. (') Egli conosceva
benissimo che il superfluo non si ha da calcolare per tutti d' un modo e asso-
lutamente « perchè tal cosa è superflua agli artefici, e tale è agli artefici che
non è a' cittadini mediocri, e tale a' cittadini mediocri che non è a' nobili, e
tale è a' nobili che non è a' principi, e tale a' principi che non è a' re ». (2) A
questo riguardo abbiamo un passo aureo negli Scritti Inediti. Chiosando Eze-
chiele al capitolo XXVIII, nelle pietre preziose ond' è ornato il re di Tiro dice
potersi per allegoria mirar significati i differenti santi e uomini ond' è ornato il
Papa, e in esso, re il Papa stesso, e lutti i papi come fossero un solo Papa,
adorni di cardinali e di vescovi che devono essere infiammati di carità sera-
fica; e i sacerdoti e i diaconi. Si legga il capitolo d' Ezechiele e poi si vegga se
con questa esposizione il Savonarola voglia proprio che il Papa sia ridotto alle
reti del Pescatore. Quand' egli diceva che bisognava tornare alla semplicità pri-
mitiva intendeva d' insegnare ciò che tutti teniamo per vero e Leone XIII nei-
1' Enciclica Stilla questione operaia bandisce autorevolmente: « È solenne prin-
cipio che per riformare una società in decadenza, è necessario riportarla
a' principj che le hanno dato 1' essere. La perfezione di ogni società è riposta
nel tendere ed arrivare al suo scopo : talché il principio generatore dei moti e
delle azioni sociali sia quel medesimo che generò l'associazione. Quindi deviare
dallo scopo primitivo è corruzione; tornare a esso è salute ». E come in questa
Enciclica il Pontefice si duole che siano spogliali gli ordini religiosi....; così fa
ancora i! Savonarola, il quale negli Scritti Inediti, postillando il XXVI di Eze-
chiele, se la piglia contro i tiranni che si usurpali tutti i benefizj della Chiesa, e
dice che perciò Dio manderà lor contro degli eserciti; e ruineranno con molti
peccati, ma la barca di San Pietro non verrà sommersa mai dalle onde. Per
accusare il Savonarola, bisogna adunque provar prima eh' egli non si era pro-
posto l' intento di ricondurre la Chiesa sulla via che conduce alla meta prefis-
sale da Cristo e dagli Apostoli; e dargli del sognatore e dell'insipiente, ne-
gando ehe tale impresa fosse inutile, perchè fioriva per ogni dove lo spirito
cristiano. Ma chi ha letto la storia di quei tempi, anche una storia incompleta
e cattiva, sarà col Savonarola certamente, che vedeva adoperato, per avarizia,
ad altro uso che non è il loro proprio non pure le ricchezze degli ecclesiastici;
ma anche, alcuna volta, i sacramenti di Cristo.
(') Cfr. il Cap. V e VII .lei libro quarto della Semplicità della Vita Cristiana e le pre-
diche Sopra Amos.
•) Ivi, Conclusione VII.
— 289 —
San Tommaso all'erma poi chiaramente nelle Ouodlibetali, (') e ripete
altrove, che i chierici peccano mortalmente se non danno in elemosina ai po-
veri ciò che loro sopravanza ili beni ecclesiastici, imperocché di questi beni essi
non sono signori, ma dispensatori ; ed è ufficio del dispensatore distribuire fe-
delmente le cose che sono a lui date, perchè le dispensi. Anzi il Santo Dottore
aggiunge che pecca mortalmente il chierico, non solo quando non distribuisce
al povero il superfluo, ma anche quando usa disordinatamente i beni che ca-
dono nella sua porzione. Il Savonarola commenta questa dottrina, ma nulla
v'aggiunge. Onde anche qui non si può condannare lui, se non si voglia con-
dannare e Leone XIII e San Tommaso, cioè la dottrina cattolica.
Del resto quale volesse la Chiesa Fra Girolamo lo disse in molte predi-
che, per esempio nella XXXVII sopra Amos e Zaccaria e nella VII e Vili sopra
Ruth e Michea. Si leggano queste prediche, e si vedrà subito che rinnovpndosi
la Chiesa come il Savonarola la voleva, non si sarebbe mutata già la fede, nè
la legge evangelica, nè la potestà ecclesiastica, ma solo gli uomini sarebbero
diventati migliori. Traduco qui un passo aureo degli Scritti Inediti posti in-
fine alla Bibbia Magliabecchiana, nella quale si compendia assai bene il propo-
sito del Savonarola nel predicare ed invocare la riforma della Chiesa, e ben
dichiara, come fa anche nelle chiose del cap. XI di San Luca, che voglia dire e
che sia il rinnovare la Chiesa.
« Vuoi tu vedere, è ivi detto, in qual modo ci proponiamo di riformare
la Chiesa che ruina? Vogliamo ricuperare la città piccola, cioè la primitiva
Chiesa, la città posta sopra il monte. Imperocché in questo consiste veramente
la riforma della Chiesa; ma a ciò quante cose e quanti gradi non si richie-
dono! « Ascolta quante cose si richiedono. Prima di tutto che i Cristiani cerchino
l'onore di Dio, e che sia lodato e santificato il nome suo e venga verso noi la
pace del suo regno: e in ogni cosa, in ogni persona si adempia la sua volontà;
poi ognuno cerchi la salute dell'anima sua; e quindi di tutti i fedeli; anzi
anche degl'infedeli; che si preghi e ottenga da Dio la remissione de' peccati,
e che sian allontanati i flagelli che abbiain meritati; e scenda sopra tutti copia
della grazia e de' doni dello Spirito Santo ; che si acquistino abbondanti ric-
chezze e ampiezza d'impero, perchè si possano diffondere anche negli altri
popoli i beni toccati; la custodia degli angeli e la famigliarità e l' illuminazione;
molto clero fervente, preti e religiosi buoni e di santa vita; mutua dilezione
de' Cristiani sì che essi siano un cuor solo, com' è detto in Giovanni al verso
35 del cap. XIII: In hoc cognoscent.... Finalmente che regni la pace in tutta la
Chiesa.E che nella pace i cristiani non isiiano oziosi, ma si esercitino nelle opere
buone, nelle Scritture, nelle predicazioni, nelle virtù, nelle grazie, ne' doni
dello Spirito Santo. Ci vogliono nella vita cristiana molti incipienti che adem-
piano il loro triplice ufficio per modo che in essi s' ammiri il verde della
fede, la buona e monda coscienza, il desiderio di progredire; ci vogliono molti
proficienti che tengano la mente purgata non solo dai peccati, ma dai desiderj
(') QuoJlibet. VI, arde. 12.
iy
— 290 —
e dagli affetti, e osservino con massima diligenza i precetti, e diano esempj
di buone opere; ci vogliono i perfetti che oltre i precetti osservino anche i
consigli, ardano di amore, bramino il martirio ; e ci vogliono i cristiani di vita
attiva che siano di tanta semplicità che disprezzino le ricchezze e distribui-
scano i beni temporali, godano e giubilino neh' esercizio del domare le pas-
sioni. Si richiede che quei che si danno alla vita contemplativa, siano eminenti
per virtù, contemplino sempre i sacramenti della Chiesa, le Scritture e le cose
divine, che quei di vita mista facciano l1 una e l'altra cosa, cioè ministrino il
prossimo e si diano e attendano alle cose divine. Che sian casti i matrimonj,
pure le vedove, e le vergini non perdano il giglio della loro purezza, ma dedi-
chino a Cristo il cuore e il corpo. Siano santi i pastori, illuminati i dottori, e
i predicatori ferventi e ardenti di tale fuoco divino da infiammare tutti i po-
poli nell'amore di Cristo; che vi sian molti cristiani atti e disposti al martirio:
vita apostolica e perfetta, come nella Chiesa primitiva, e che s' ami tanto le
cose celesti da non curare più le terrene salvo quanto è necessario alla vita
mortale. Ci vuole angelica vita; padri di famiglia, parrochi e prelati così per-
fetti e buoni che reggano bene i sudditi; che i pretori, i capitani e tutti coloro
che sono mandati governatori fuori di città, come i vicarj e gli altri ufficiali,
siano incorrotti e con religione e giustizia governino i popoli; che i magistrati
posti e ordinati nella città pel bene comune siano pieni di zelo, di giustizia,
di spirito e puniscano chi se lo merita senza timore; i cittadini perfetti per
guisa che il primo magistrato e i principi sian tali che procurino l'onore di
Dio, la salute delle anime e il bene comune. Oltre a tutto ciò che si rinnovi
la purità e la semplicità ne1 religiosi sì che molti di essi appaiano per grazia
di miracoli e chiari per- ispirito profetico; che molti siano illuminati de' mi-
steri delle Scritture e pieni della vera sapienza sì che da loro i popoli nei
dubbj e nelle difficoltà possano avere ottimi consigli. Finalmente che vi ab-
biano martiri veri, cioè molti che resistano fino al sangue ».
Queste le cose che voleva ottenere il Savonarola nella riforma della
Chiesa; questa tutta la riforma di lui. Or mi si dica: Qual dogma toccò egli
mai con questi desiderj ? a chi si ribellò se non ai guasti e ai corrotti ? e qual
precetto trasgredì combattendo per questo disegno, dacché non poteva riuscire
senza molta guerra, a raggiungere il suo inlento?
Nè si creda che queste cose eh' io ho enumerate stiano semplicemente
abbozzate negli Scritti Inediti: che sono svolte tutte, allargale, esposte ampia-
mente nelle varie Opere del nostro Frate, e mi sarebbe facilissimo per ogni
punto toccato nella pagina trascritta raccogliere lunghi tratti, e comporre so-
pra di quelli un volume. Ma. lo ripeto, non è cosa da farsi ora. A chi è in
buona fede, il detto basta. Concludiamo adunque così: Santo era lo zelo che
per la casa di Dio divorava l'anima di Girolamo Savonarola: egli pensa cat-
tolicamente intorno a' beni ecclesiastici ; egli non è reo di alcuna esagerazione,
od eccesso; e la Chiesa eh' egli voleva è la Chiesa voluta dai Santi.
XVIII.
Il Savonarola e lo spirito profetico
Sommario.
Diietto notevole nella Storia de' Papi. — Giusta veduta del Bayonne. — Asserzioni inesatte e non
vere. — Il Pastor giudicato dal Contmer. — La dottrina cattolica e la dottrina del Pastor sulla
profezia. — La dottrina del Savonarola. — Utilità della profezia. — Dio può parlar tuttavia ad
un uomo in particolare. — Si può ancor profetare, nè si può far una legge universale che non
si profeti. — Xoi stiamo col Savonarola e non col Pastor. — Tu' altra proposizione del Pastor
senza prova e infondata. — Critica Savonaroliana. — Il diavolo avversario della profezia. —
Avvertenze e documenti per conoscere le buone e le cattive visioni. — Altra accusa infondata
e gratuita. — Fra Girolamo non sottrae al giudizio della Santa Sede i suoi doni profetici. —
Il Frate sostiene contro tutti i suoi avversari la legittimità delle sue predizioni. — Altra accusa ;
le predizioni di Giovacchino e Telesforo. — Girolamo Savouarola e Silvestro Maruffi. — Certezza
nel Profeta delle cose vedute. — Il Frati- non impone altrui di credere le sue predizioni. — Lo
spirito del Savouarola ne' Savonaroliani. — Supposto gravissimo del Pastor. — "Un argomento che
prova troppo. — Il giudizio dei Santi e il giudizio degli eretici. — Contrari e non simili. — Il
conciliabolo di Pisa e i Savonaroliani. — Conclusione.
Dalla lode che il professor Pastor dà allo studio del Ranke sul Savonarola, di
aver per il primo il merito d'una sobria considerazione del Profeta, dall' astenersi
che fa egli stesso dal darci una sentenza chiara riguardo alla missione sopranna-
turale del nostro Frate, possono, non solo i Piagnoni, ma tutti quelli che desi-
derano semplicemente di conoscere intiera la figura nel Savonarola, argo-
mentare qual giudizio abbiano da proferire del bozzetto intorno al Frate di
San Marco che si legge nella Storia dei Papi.
Il Bayonne osserva: «La predicazione degli avvenimenti futuri, cioè la
missione di annunziare pubblicamente la prossima rinnovazione della Chiesa
preceduta dal flagello di tutta Italia, tale fu il punto culminante del glorioso
apostolato di Girolamo; chiunque non lo studi sotto questo punto e questo
lume, è incapace di coglierne il vero carattere, l' unità della sua vita, la
grandezza e la bellezza della parte provvidenziale eh' egli fu chiamato a
compiere nella Chiesa alla fine del secolo XV, sui confini dell' età di mezzo
e de' tempi moderni. La profezia, e l' inspirazione, tale è dunque il tratto
— 292 —
sagliente della sua grande figura. Essa si rivela in tutti i suoi atti, in tutti i
suoi scritti, in tutti i suoi sermoni. Il soprannaturale trabocca da tutti i punti
della sua vita privata e pubblica; e per ogni storico che ricusa di tenerne
conto, il Savonarola resta un enigma senza risposta, un problema senza solu-
zione non meno di Giovanna d' Arco colle sue voci e colle visioni de' suoi
angeli e de' suoi santi ». (Pag. 47, 48, 385 e 386.)
In verità che il grande ammiratore del suo Confratello dice giusto. In-
fatti il Savonarola si presenta e vuol farsi credere mandato e ispirato da
Dio ad annunziare parecchie cose; e in quasi tutte le sue prediche fa predi-
zioni; scrive libri intorno alla verità profetica, scrive un Compendio di rivela-
zioni, perchè siano meglio note le cose da lui predette e tutti possano giudi-
care della verità delle medesime. Dai suoi seguaci era tenuto e venerato
profeta, e come tale egli fu anche venerato con un culto dopo la sua morte.
Ne' brevi stessi del Papa è più volte toccato di questo lato del Savonarola:
e nella stessa riforma civile alcuni notano eh' egli spesso parla in nome di
Dio. E il Pastor non ignora ciò punto, anzi sa e dice che della sua mis-
sione divina il Savonarola parla infinite volte, e che ne parlavano tutti, e che
vi credevano anche severissimi uomini. (Pag. 139 e 176). Da questo doveva
essere più che mai convinto e persuaso che un giudizio generale intorno al
suo personaggio, era impossibile pronunciarlo senza aver prima posto chia-
ramente la questione, s' egli abbia a tenersi per un vero profeta, o per un
allucinato o un impostore. (') Invece nulla di tutto questo fa lo storico d' Inn-
sbruck. Almeno ci avesse detto chiaro e aperto che cosa ne pensa egli
Ma invece riesce con le sue semplici asserzioni e con le insinuazioni mollo
scure a confondere per guisa la cosa che il lettore non sa infine che giudizio
pronunciare. Infatti leggete a pag. 1S24, colle parole dello Schwab, che al Sa»
vonarola «un giorno parve a un tratto che il cielo si aprisse dinanzi a lui;
vide descriversi a' suoi occhi le future calamità della Chiesa e tedi una voce
che gì' imponeva di annunziarle al popolo: da quel momento si tenne sicuro
della sua divina missione ». (2) E con ciò ti parrebbe che il Savonarola si
(') Con ciò noi non intendiamo (e lo noti il lettore) elio si spetti ai privati decidere
autorevolmente se Fra Girolamo sia stato profeta o no. Qui siamo perfettamente d'accordo
col Pastor e col Grisar. « Il diritto di decidere sulla verità del dono di profezia appartiene
indiscutibilmente alla Santa Sede ». Nessun altro può in quest'oscuro dominio pronunciare
una sentenza definitiva e autorevole. Ma il giudizio della Chiesa può venir preparato dagli
studj de' privati; e non è vietato a nessuno disposto a rimettersi a quanto deciderà la Santa
Sede, di credere intanto come lo spirito e le conoscenze sue gli dicono. Nel caso nostro credia-
mo poi che non sarebbe difficile il provare che Fra Gii olamo predisse cose che si avverarono.
Ad ogni modo, nel testo vogliamo semplicemente dire che prima di essersi formato un con-
cetto chiaro e delinitivo intorno allo spirito profetico del Savonarola riesce assai diffìcile,
o meglio impossibile a pronunciarne un giudizio finale completo. Abbiamo in animo di dar
fuori uno studio che tratti di proposito l'argomento. Qui ci limitiamo tuttavia a quanto è
strettamente necessario a ribattere alcune asserzioni del Pastor, che riteniamo poco esatte.
(2) A rigore si avrebbe forse dovuto tradurre non vide, udì, ma credette di vedere e di
udire. Osservazioni analoghe bi potrebbero forse anche fare per la missione usurpata, e per
lo apnecinrai profeta, che leggeremo quanto prima. Il traduttore poteva forse usar vocaboli
— 293 —
■credesse profeta in buona fede. Ma continua subito il Pastor, sempre colle
parole dello Selma: « ed una volta trascinato nella cerchia magica di visioni
-e di sogni, non ne è più uscito fino al giorno della sua cattura >; e con ciò ti
fa credere che non profeta, ma visionario e sognatore sia il Frate, anche se
in buona fede. (Pag. 124.) Parimenti, a pagina 128, dopo d'aver accennate alle
prediche del 1494, « nelle quali il Frate mise in nesso i flagelli da lui predetti
con la venuta di un nuovo Giro, che senza trovare ostacoli avrebbe traversato
vittorioso l'Italia: dopo di aver accennato alla cacciata de' Medici », parla del
terribile avveramento de' vaticinj del Savonarola, e non contradicendo punto
1' opinione del popolo fiorentino, il quale « vedeva in lui il prof 'età veridico delle
cose avvenute », ti parrebbe quasi eh' egli non sia alieno dal ritenere il nostro
Frate per vero profeta. Ma a pag. 130 ti fa pensare il contrario: « Anziché
godere della pace promessa dal Savonarola, tutta Firenze, ogni famiglia era
lacerata da' litigi e discordie». Onde tu se' obbligato a credere che il prof 'età
veridico sia temuto ora un profeta illuso. Anzi nelle stesse pagine che seguono
alla 128 ti è detto proprio il contrario di quello che ti si era lasciato credere
in quella: imperocché qui s'afferma che era una pretesa del Frate quella d' es-
ser strumento di speciali rivelazioni e mandato da parte di Dio; e lo storico
crede di spiegarci la persuasione del Frate al modo che segue: « Il suo animo
poetico esaltato fino al fanatismo, la sua ardente fantasia, il suo approfondirsi
ne' libri profetici e apocalittici della Bibbia, le predizioni di un Gioachino e Te-
lesforo generarono in lui la solida credenza di essere in immediata comunica-
zione con Dio e cogli Angeli. Andava convinto di udire voci, di vedere volti
celesti. Le visioni ebbero via via un tale sopravvento sulla riflessione, che, pur
conversando con altri, vedeva il cielo spalancato, udiva voci venirgli di lassù;
nè oramai più dubitava di questo diretto commercio col mondo degli spiriti: —
Quanto io vedeva in ispirito ed annunziava — dice nello scritto sulle visioni —
era per me di gran lunga più sicuro, che non i primi principi de' filosofi. — A
confermarlo in queste sue fantasie e a dileguargli ogni dubbio concorse una
circostanza tutta esterna. Nel convento di San Marco c' era un frate sonnam-
bolo, di nome Silvestro Maruffi, il quale aveva frequenti visioni ed usava strani
discorsi. In quest' uomo il Savonarola pose ben tosto così cieca fiducia, da
spacciare perfino una volta come propria e avuta d' incarico degli angeli una
visione del Maruffi ». (l)
Dunque il Savonarola pur data e concessa la buona fede non è che un
visionario, un fanatico, un ammalato; proprio come già ebbe a giudicare il
razionalista Perrens. . . . Ma le asserzioni del Pastor diventano qua e là
vieppiii gravi. Infatti a pagina 143, si scrive: « Il Savonarola nella sua sovrec-
citazione nervosa, sotto l'influsso di sognate visioni e rivelazioni, non s'era
del tutto capacitato degli effetti che dal suo modo di procedere dovevano se-
meno crudi. Ma, come abbiamo già avvertito, noi esaminiamo la versione italiana; e la so
stanza resterebbe ad ogni modo la stessa o quasi.
(*) Anche queste espressioni sono citate quasi tutte dallo Schwab.
— 294 —
guire » (');ea pag. 353 scrive senz'altro che « la parte dal Savonarola assunta
di profeta diventò a lungo andare insopportabile »; e come fosse poco, a pa-
gina 357 scrive addirittura che la missione di profeta il Frate se l'era usurpata.
Ma dopo questo non cessa il Pastor dal ripeterci, a pagina 358, che il Sa-
vonarola scrivendo a tutti i cristiani e diletti di Dio a' 19 giugno 1497: « riaf-
fermava la sua missione divina », e a pagina 359, che, « il Savonarola nel 1498
era più saldamente convinto che mai della sua speciale missione divina »; e a
pagina 370 nota ancora che «il Savonarola propugnava inflessibilmente il ca-
rattere soprannaturale della sua profezia, anzi non si peritò di appellare al-
l' ultimo mezzo che qui poteva decidere la questione, al miracolo ». Del pari,
come a pagina 349 aveva scritto che il Savonarola si spacciava per profeta e
a pagina 357 che si usurpava la missione di profeta; a pagina 379 invece scri-
ve: « Egli credeva per certo sinceramente e in buona fede di essere un pro-
feta messo da Dio; ma diede troppo presto la prova che lo spirito ond' era
agitato non veniva più (2) dall'alto; conciossiachè la prova di missione divina
sia prima di ogni altra cosa 1' umile obbedienza verso la suprema autorità da
Dio stabilita ».
Ma v'ha di più. Nel Pastor leggo asserzioni riguardo al lume profetico del
Savonarola che sono opposte alla verità!
E. Gommer (3) dice : « Il concetto che il Pastor ha delle profezie del Sa-
vonarola, mentre contro di lui solleva per fino il rimprovero della bestemmia,
teologicamente non è fondato e troverebbe contradizione ne' teologi ». Forse
questo critico ha riguardo speciale alla pagina 140, dove il Pastor parlando ap-
(l1 A conferma di quest'accusa il Pastor in nota aggiunge: « Cf. il dispaccio romano-
dell' ambasciatore fiorentino presso Glierardi, 141. » E infatti nel Gherardi, ivi, trovasi la lettera
di Riccardo Becchi alla Signoria scritta il 26 maggio 1497, ove tra le altre cose di cui a Roma
si faceva carico al Savonarola era • che lui scriva, dica et affermi esser profeta, parlare eoa
Iddio, Nostra Donna et Sancti et predica le cose future con tanta asseveranza ». Ma biso-
gnava che il Pastor leggesse anche la risposta della Signoria del 30 marzo, Gherardi p. 142:
« Maravigliataci che del Frate sieno advisate di costà tante cose quante scrivete, perchè sono
favole et finctioni si fanno di costà da chi cerca di darci carico e commettere qualche male »,
In Firenze forse meglio che in Roma, poteva sapersi come stessero le cose.
(2) Non veniva più! E prima veniva?! Come cessò di venire e perchè? Crede il Pastor
assolutamente necessaria la bontà del soggetto a esser profeta? In caso avrebbe fo-rse da
dire qualche cosa con valenti teologi. Il Grisar, e prima e dopo periodi molto confusi ed in-
voluti scrive: « Soltanto per un numero determinato, cioè quelle del primo periodo più calmo
e più tranquillo della sua vita si possono accettare, come appunto si vuole, come inspirazioni
soprannaturali. Certamente una grazia di questa specie poteva essere unita sul prinoipio
alle eroiche virtù del religioso, ma tosto rimasta infruttuosa, anzi soffocata da poi che egli
si diede all'attività umana usurpando un campo che a lui non spettava ». Pensa cosi anche
il Pastor? In ogni caso osserviamo che il Savonarola non ci ha mai dato veramente come
profezie quelle per le quali il Grisar crede, nè sappiamo se a ragione, di condannarlo. Anche
qui non si condanna il vero Savonarola, ma tin Savonarola immaginario. Le profezie del
primo periodo furono ancora quelle dell'ultimo periodo; salvo forse alcune predizioni che
lece non al popolo dal pulpito, ma a qualche privato. Ma di queste nou si è mai discusso.
Ò Nel Periodico Jahrbuch fili- Pliilosophic, XI, anno 189o\ pag. 85. È un bell'articolo in
risposta al Pastor e vale segnatatneuto por mostrare contro il critico tedesco che il domeni-
cano llayonne, volendo dimostrare la santità dol Savonarola, non si pone in contradizione con
le antiche tradizioni del ivo online. 'Pastor, pag. 378, nota.)
— 295 —
punto e della politica e delle profezie del Savonarola scrive : « Bisogna con-
siderare che non si trattava già solo di profezie attinenti allo sviluppo del Re-
gno di Dio ; spesso non era che questione di cose esteriori e meramente
politiche, come sarebbe la futura potenza di Firenze, il riacquisto di Pisa e via
dicendo. Un tal modo di predire si stenta a purgarlo dalla taccia di blasfemo ».
Qui si potrebbe osservare che anche queste profezie erano dal Savona-
rola volte in qualche modo al bene morale e spirituale e perciò si volgevano
anche esse allo sviluppo del Regno di Dio. Ma ad ogni modo, chi ha detto al
Pastor o dove ha egli trovato che nelle profezie non vi possa entrare il bene
o il male de' regni di questo mondo? In tal caso non s'avrebbero a dire bla-
sfemi tutti i profeti d' Israele?
Ma il Pastor ha delle asserzioni teologicamente anche più azzardate: « Il
tempo in cui la volontà del Signore veniva fatta sapere al popolo mediante
profeti e giudici era trascorso, dappoiché era apparsa una volta in Cristo la
piena verità, la quale data in deposito alla Chiesa, protetta da erronee inter-
pretazioni mercè l'infallibile magistero, è destinata a formare per tutti i tempi
la sorgente della salute» (p. 141). Qui v'è molta confusione di cose che vo-
gliono star distinte; e credo davvero che a sottoscrivere questo periodo un teo-
logo anderebbe adagio, e non lo farebbe senza aver prima delle buone spiega-
zioni. Se con questo il Pastor intende di affermare che lo spirito profetico nella
Chiesa è venuto meno, la sua dottrina crediamo che sia difficile che trovi un buon
fondamento teologico. {i) Anzi noi crediamo anche poco chiara la proposi-
zione che precede, nel Pastor, la trascritta, quando, « avendo la Chiesa sola
ricevuto nel primato la promessa del magistero infallibile », nega egli che « il
Savonarola avesse diritto di chiamare se stesso mediatore del divino volere in
affari concernenti il governo civile » ! Prima di tutto bisognerebbe qui pro-
vare il fatto, cioè che il Savonarola si chiamasse veramente mediatore del
divino volere come importano le parole del Pastor; e questo non so se, a
rigore, sia cosa facile. In secondo luogo anche quanto a dottrina forse la
proposizione del professore d' Innsbruck potrebbe trarsi a senso non del tutto
sicuro. Non v' ha dubbio che in ciò che riguarda il reggimento della Chiesa
c' è un gerarchia e che a questa dobbiamo rivolgerci per avere lume, e non
a chi si afferma profeta: questa è una verità sacrosanta, come è una verità
sacrosanta la dote dell' incommunicabile infallibilità della Chiesa stessa depo-
sitaria e banditrice della dottrina di Cristo; ma tutto ciò non importa certo,
che dopo la fondazione della Chiesa e 1' ascensione di Cristo al cielo sia, nel
popolo di Dio, venuto meno del tutto lo spirito di profezia. Certo San Paolo,
(') Nelle prediche, nel Compendio di rivelazioni e nel Di<iìo<io della verità profetica si trova
un completo trattato sul profeta e sulla profezia. La dottrina del Frate è qui come sempre
perfettamente conforme a quella che si legge in San Tommaso, Quest. XII de Veritate e
Somma Teologica, II-II, q. CLXXI e seguenti. Avendo noi raffrontato la dottrina del Savo-
narola con quella di San Tommaso, affermiamo sicuramente che in quello non si legge
nemmeno una proposizione che non sia letteralmente in questo.
— 296 —
che parla de' varj doni della Chiesa, ne conta nove, e tra questi la profezia.
E parlando degli uomini a cui questi doni sono concessi, novera in primo
luogo gli apostoli, e in secondo luogo i profeti, i quali parlano agli uomini
per edificazione, esortazione e consolazione, e perciò edificano la Chiesa di
Dio. (*) E sebbene sia anche vero che Dio e la Chiesa non abbiano poi dato
(e lo dice anche il Savonarola) ad alcuna delle profezie del popolo cristiano
autorità pari a quella degli agiografi, non ne viene però che siffatte profezie
non abbiano anch' esse valore, e che chi le riceve non debba crederle come
quelle e anche, in alcuni casi, manifestarle altrui ; (2) e non ne viene ch'esse
non siano lume alcuna volta al popolo cristiano.
Non credo possibile che il Pastor e il Grisar pensino molto diversamente
dal Frate di San Marco in questo campo; ma, ripeto, le loro espressioni
potrebbero ad ogni modo ingenerare qualche dubbio, e forse i teologi potreb-
bero desiderare qualche maggiore spiegazione ; mentre la dottrina del Savo-
narola è molto chiara ed aperta. Nella predica XII sopra Giobbe dice:
« Sono alcuni tanto protervi che non vogliono credere a profezie nè a vi-
sioni, e allegano qualche detto della Scrittura, e dicono : Qui cito credit levis>.
est corde. (3) Non si vuol credere cosi presto ogni cosa, perche viene da legge-
rezza. E questo dicono i sapienti del mondo, che non vogliono credere se non
al loro cervello. Le sentenze della Scrittura che loro allegano sono vere e
buone : ma sono da loro mal applicate, e male intese. Bisogna sapere con-
cordare 1' uno detto della Scrittura con 1' altro, e che non siano contrarj e
applicarli bene. E s' egli è scritto: Qui cito credit ìevis est corde, s' intende che
il male quando tu l'odi dire, tu non lo creda così presto. E perchè gli è scritto
ancora : La carità crede tutto; (4) cioè che il bene, chi ha carità, sempre lo
crede. E a proposito nostro è scritto dall' Apostolo Paolo: Non vogliate dispre-
giare le profezie, e di poi soggiunge: Esaminato tutto, attenetevi al buono. (^Pro-
vate se quel che v' è detto è bene; e se vi edifica nel ben fare, allora quel che
è buono, cioè che vi edifica in bene, tenetelo e credetelo. 0 Firenze, beata
saresti, se tu avessi creduto quello eh' io ti dicevo. Ti conducevo al ben fare e
a penitenza de' tuoi peccati; edificando l'anime vostre alla salute. Non dispre-
giare, Firenze, le profezie, anzi sappi che la Chiesa di Dio non si può reggere
senza le profezie. Io ti potrei provare questa conclusione con ragione dimo-
strativa, con ragione probabile e con ragione estranea: la ragione dimostrativa
(') Ep. ai Corinti, cap. XII, v. 10 e 28, e cap. XIV. v. 10.
(J) Questo errore noi troviamo nel Tocco, conferenza II Savonarola e la Profezia, nel vo-
lume: La vita italiana nel rinascimento, I storia, p. 319 e segg. Egli mette una differenza tra i
profeti antichi e moderni. « Gli antichi si sentivano in contatto diretto con la divinità e ne
udivano le voci e sotto dettato, a cosi dire, ne scrivevano le rivelazioni; invece i moderni
a tanto non arrivano, ecc. », Tarlando del Savonarola poi lo chiama profeta « più di rifles-
sione che d'ispirazione >.
(3) Ecclesiastico, c. XIX, v. 4.
(') Lettera I ai Corinti, c. XIII, v. 7.
(') Lettera I ai Toualonicesi, c. V, v. 20, 21.
— 297 —
è quella che da ogni sua parte è vera, e le proposizioni assunte per quella
sono vere. La ragione probabile è quella che in alcuna parte è orazione vera.
La prima, cioè la dimostrativa, dicono i teologi, procede per fondamento della
Sacra Scrittura. La seconda, cioè la probabile, procede dai dottori della Chiesa:
e poiché i loro scritti e la loro autorità nasce, parte dal lume naturale, e parte
dal soprannaturale di che sono stati illuminati, però, come cosa mista, si dice
essere ragione propriamente vera e però probabile. La ragione estranea è
quella che procede solamente dal lume naturale. Tu dì che non bisogna più
profezie: non sai tu che gli è ancora scritto: che quando mancherà la pro-
fezia, sarà dissipato tutto il popolo ? (') Se tu leggi bene tutto il Testamento
Vecchio e Nuovo, vedrai, che sempre la Chiesa di Dio s1 è retta colle profe-
zie e rivelazioni. Nel Vecchio vedi eh' è pieno di profeti : vedi i Salmi di
David pieni di profezie. Nel Nuovo vedi quante rivelazioni furono fatte a Giu-
seppe sposo della Vergine, e prima a lei. Vedi negli Atti degli Apostoli, e tro-
verai quante rivelazioni furono fatte agli Apostoli, e a quelli Santi di quel
tempo. E questo sia quanto alla ragione dimostrativa fondata nella Sacra Scrit-
tura che ti dimostra che sempre la Chiesa s'è retta con le rivelazioni e pro-
fezie. Quanto alla ragione probabile, leggi le vite de1 Santi Padri dell' Egitto,
leggi le vite de' Martiri, e de' Dottori santi della Chiesa, e le scritture loro, e
vedrai se tu ritroverai ogni cosa piena di rivelazioni e profezie che sono scritte
ne' libri loro. Senza quello che al di là dentro nascondesi; (z) cioè senza quello che
s' hanno riserbato entro in sè, che non è scritto. Non pensare che quei Santi
mettessero fuori ogni cosa, anzi tenevano le loro rivelazioni occultissime, quanto
e' potevano, e non davano fuora se non quel tanto, eh' era di necessità, e che
da Dio gli era permesso. Quanto alla ragione del solo lume naturale e estra-
nea, devi comprendere, se tu n'hai punto d' ingegno, che Dio ha altra e mag-
giore provvidenza degli uomini, che d'altre creature di questo mondo: e però,
benché l'uomo abbia il libero arbitrio, e il lume naturale dell'intelletto, pure
non gli basta, a conseguire il fine suo, e la sua salute, come io t' ho mostro
e provato altre volte; ma gli bisogna il lume soprannaturale. E però Dio gli ha
apparecchiati degli altri mezzi per soccorrerlo : tra i quali uno è la Scrittura
Sacra, fatta col lume divino; e in quella trovi, che quando Dio vuole rinnovare
la Chiesa, la quale spesso va mancando per la fragilità degli uomini, sempre
ha multiplicato la profezia e mandato a illuminare il mondo per amore de'suoi
eletti; acciocché e' si conformino e stiano preparati alle tabulazioni, e a ogni
cosa che poi venisse, e non manca mai Iddio quando vuole innovare la Chiesa,
o fare qualche cosa grande che non lo faccia predire a' suoi profeti, come dice
Amos: Il Signore Dio non fa queste cose senza rivelare i suoi secreti a' profeti suoi
servi. (3) E però non te ne far beffe delle profezie e non deridere le cose di Dio
perchè è cosi necessario che Dio mandi profeti, quando si vede che il popolo
(') Proverbi, c. XXIX, v. 18
(J) Cantico de' Cantici, e. IV. v. 1, c. 3.
C) Amos, c. Ili, v. 7.
— 298 —
suo nel ben vivere è mancato, come è oggi il popolo cristiano caduto da quel
fervore della primitiva Chiesa, altrimenti mancherebbe la Chiesa: quando sarà
venuta meno la profezia il popolo sarà dissipato; ( ) la quale non può mancare
sino alla fine del mondo. E però Dio la soccorre per questo lume della profe-
zia, quando la vuole rinnovare. E questo è quanto al primo punto dell' essere
necessaria la profezia ».
E cominciando l'esposizione di Ezechiele, si trattiene assai il Frate a
parlare dell' utilità delle profezie, nè certo tutto quello che ivi dice si può
intender tutto de' profeti dell'Antico Testamento. « Quanto sia necessaria la
profezia alla salute umana, dilettissimi in Cristo Gesù, si conosce per
molte ragioni: primo perchè è necessario alla salute umana la fede della prov-
videnza di Dio, bisogna che credino gli uomini di Dio che abbia provvidenza, per-
chè, credendo quella, hanno due sproni, cioè d'amore e di timore. E non è cosa
che faccia più fede della provvidenza di Dio delle cose umane, che fa la pro-
fezia, perchè i profeti dicono tanto tempo innanzi le cose future, che non le
può sapere se non Dio, come anche dice Amos (2) ; è adunque molto ne-
cessaria la profezia. Secondo, è necessaria per darti argomento alla fede, per-
chè, conoscendo gli uomini che tutto quello che è fatto circa la fede, è stato
profetato, si vengono a fortificare più nella fede, perchè i profeti non atten-
dono ad altro che a provare e magnificare la fede. Terzo, è necessaria per il
governo della Chiesa, perchè vengono casi e difficoltà singolari che bisogna
che vi sia altro che lume naturale a solverle, onde dice Salomone: Quando la
profezia verrà meno, il popolo sarà dissipato. Quarto, per certi particolari, cioè
tribulazioni che vengono, perchè gli uomini per quella profezia si consolino :
onde diceva il profeta : Tu hai dato a quelli che ti temono un segno. (3) Quinto per
distinguere i buoni dai cattivi, perchè la mescolanza de' cattivi fa molti errori:
ma immediate che la profezia viene, si scoprono i cattivi a contradire e i buoni
si veggono: onde dice San Paolo: Egli è necessario che vi siano eresie, affinchè
si palesino quali che tra voi sono di buona lega, (4)- quasi dica: egli è necessario
che sia chi contradica alla verità: acciocché i buoni che sono occulti per que-
sto si manifestino, e sieno separati da' cattivi. Sesto, per la conversione
de' peccatori, perchè udendo che le cose predette vengono, si convertano come
dice Zaccaria profeta: E si convertirono, e dissero: Il Signore degli eserciti ha
fatto quello che aveva pensato di fare a noi secondo le opere nostre, e secondo i
jiostri traviamenti, (") Settimo per lode di Dio, perchè, vedendo noi che le cose
dette vengono, lodiamo Dio dicendo col profeta: Fedele è Dio nelle sue pa-
role. (sj Moltissime adunque utilità nascono dalla profezia, onde se non fosse
i1) Proverbi, o XXIX, v. 18.
(=) S. o.
(3) Salmo LIX, v. i.
(*) Lettera I ai Corinti, c. XI, v. 19.
n Zaccaria, c. I, v. 6.
&) Salmo CXLIV, v. 18.
— 299 —
stata predetta questa tribulazione, tu avresti creduto che fosse a caso, o a
fato o a costellazione del cielo. Ora tu liai veduta la provvidenza di Dio e co-
nosciuti i buoni e i cattivi e i tiepidi che si sono scoperti: sicché adunque
vogliamo seguitare nel dichiarare i profeti, perchè è molto utile. Ora tu vedi
quanto è necessaria la profezia e di che utilità: non si trova quasi parola
nella Scrittura che non sia profezia: va, leggi le Scritture ».
Con simili ragioni è insegnata anche da San Tommaso la necessità della
profezia. (*) « Il lume profetico, egli dice, s' estende anche alla direzione degli
atti umani, e perciò per questa parte la profezia è necessaria al governo del
popolo, e specialmente in ordine al culto divino al quale la natura non basta,
ma si richiede la grazia ». « In ogni tempo sono stati illuminati gli uomini e
guidati da Dio al ben vivere per rivelazione profetica ».
Nella predica XXXVII sopra Giobbe il Savonarola è anche più esplicito:
« La misura di Dio è maggiore che la terra ed è più larga e maggiore che tutto
il mare; la misura di Dio è la sua eternità, la quale abbraccia ogni tempo. La
eternità è una perfetta possessione d' una vita tutta insieme senza termine
alcuno, e non ha 1' eternità né principio, nò fine. Pigliamo la terra con tutte le
cose corporee: molto più è maggiore la misura di Dio: la terra è compresa dal
mare, l'eternità comprende ogni tempo. I cieli comprendono tutte quest'altre
cose inferiori e gli elementi, maggiore è la misura di Dio e la sua eternità, la quale
vede tutto quel che fu e sarà: vede il presente, il preterito, e il futuro : e ogni
cosa è presente a Dio. (2_) 0 savj del mondo, che vi pare sapere intendere ogni
cosa, vedete qua le parole di questo testo, in quanta altezza e profondità sono
le cose di Dio: e voi vi date a intendere di sapere ogni cosa; o tiepidi, che vo-
lete porre la legge in mano a Dio, e non volete che Dio e la Vergine possano
parlare a un uomo ; perchè restringete voi la potestà di Dio, eh' è infinita?
Volete voi parere savj con dileggiare il compagno! Dove fondate voi questa
vostra sentenza, che Dio non possa parlare agli uomini e tanto più la Vergine
e i suoi santi, che sono stati già uomini in questo mondo, come gli altri
uomini ? Io vorrei sapere da voi che ragione voi assegnate di questo vostro
dire, e in che Scrittura voi vi fondate a dir così. Diciamo prima colla ragione:
0 è egli possibile a Dio o no, potere parlare all' uomo : se tu dirai che gli è
impossibile, tu sei stolto e senza intelletto, perchè la potenza di Dio è infi-
nita e la Scrittura lo dice: Ogni cosa è possibile a Dio, e, niente è impossibile
presso Dio; e : non è impossibile presso Dio verbo alcuno. [3) « Se tu di' che
gli è possibile; dunque stolto sei tu, ad ogni modo, negando quel che tu con-
cedi esser possibile. Inoltre, tu sai pure, se tu hai letto, che nella Scrittura
si legge che molte volte Dio ha parlato agli uomini: se adunque Dio ha
fatto questo per i tempi passati, perchè vuoi tu che Dio ora non lo possa
fare? Io non ti sforzo rhe tu lo debba credere: ma dico bene che tu non lo
(') Somma Teol. II-II, qu. 172, a. 1, ad qu. 95, a. 2, ad 3»\ e qu. 174, a. 6. Cf. De veri-
tate qu. XII, a. 3, ad 111".
(3) San Tommaso, De veritate. qu. II, a. 12, e Somma teologica, P. I, qu. XIV a. 13.
(*) Vangelo di San Luca, c. I, v.37, e c. XVIII, v. 27.
— 300 —
puoi negare, che non possa essere. Ma voi soli tiepidi per voler parere che
voi soli siate savj e che la sapienza tutta sia in voi, però negate che ad altri
Dio non può parlare, se non a voi: e non v' accorgete che, deridendo altri,
siete più derisi voi: perchè voi parlate senza fondamento e senza ragione al-
cuna: e non ti avvedi che tu sei stolto e che poi, quando sarà verificato quel
ch'io dico, tu sarai deriso, più che tu non deridi altri. Sta dunque più presto
cheto: perchè Dio ha fatto molte volte ne' suoi santi cose e secreti che non si
possono sapere da ognuno ». (Gfr. sopra Amos e Zaccaria predica XXXIII e
XXXIV; e la lettera ad Alessandro VI, 14 settembre 1495.)
I passi analoghi ai presenti nel Frate sono infiniti: e per ciò non v1 è
assolutamente luogo a dubbio che egli credeva e pensava Dio poter tutta-
via parlare ad un uomo in particolare e manifestargli la sua volontà,
farlo per utile del popolo e della Chiesa, e quindi che, anche dopo 1
comparsa della verità, anche dopo Cristo, si può nella Chiesa profetar tut-
tavia. Ecco un passo veramente aureo, che non so tenermi dal trascrivere-
«Tu di ch'io non profeterò: perchè non profeterò io? che male è profe
tare? che male è quesio ? perchè non vuoi tu che io profeti? se questo no
è contro Dio, se non è contro la fede, se questo non è contro i buoni costumi
se non è contro legge nessuna, chi t' ha insegnato che sia proibito il profetare
chi t'ha detto che non si profeti? — Oh, dice, la legge del Testamento Vec-
chio. — Va, leggi bene; ella dice che un profeta che induce il popolo al mal
fare debba essere lapidato. Se lo indurre alla semplicità è mal fare, se il te-
nere il popolo in pace è mal fare, se il riformare i fanciulli e purgare la città
de' vizj è mal fare, certo e' non si deve profetare! Parimente, dice ancora quella
legge, che se un profeta dice, e' verrà la tal cosa, cioè in tale tempo, e poi
non venga, che non se gli debba credere. Noi non t'abbiamo detto bugia niuna,
nè cosa che la non sia venuta al tempo suo, o che non abbia a venire: chi lo
proibisce adunque il profetare? Non lo proibisce già la legge evangelica, non
la legge naturale, perchè dicono questi filosofi che delle cose future contin-
genti non è determinata verità, cioè: che delle cose future contingenti non si
può provare, nè riprovare in contro. Noli lo proibisce ancora il profetare la legge
canonica, nè la civile; ben è proibito il predicare a chi non è mandato: ma
non dice la legge il profetare. Ma chi volesse predicare senza licenza della
Chiesa, bisogneria che provasse essere mandato da D.o o per miracolo o per
Scrittura; non lo proibisce adunque nessuna legge. — Io ti domando se si può
fare questa legge che non si profeti, e se la può fare il Papa. — Io ti rispondo
che a me pare che non si possa fare legge universale, che proibisca il profe-
tare, salvo ogni migliore giudizio, perchè questo sarebbe tórre la potestà a Dio
che non potesse fare profetare. Tu scriverai a Roma che io ho nominato il Papa,
e che non può fare e non può dire; scrivi a Roma, ma scrivi come io ho detto,
e dì: così dice quel frale: che non si può fare legge che non si profeti, che non
la può fare il Papa questa legge. Io 1' ho scritto ancor io a Roma: (4j Che male
(') Nella lettera citata de' 14 settembre 1495.
— 301 —
ho io adunque fatto, dice Amos, a profetare, se nessuna legge il proibisce?
Dice quell'altro: — Ei sono sogni: — Vien qua, che ne sai tu? Se tu parli
senza fondamento, tu sei pazzo; se tu parli con fondamento, dimmi che fon-
damento è il tuo? come il puoi tu sapere? tu non puoi sapere che sieno sogni,
tu non puoi sapere il secreto del cuor mio. Tu dirai: — Io 1' ho per rivela-
zione.— Ti rispondo: se tu non credi a me, nè io a te. Come vuoi tu che io
creda a lue rivelazioni, se tu dì che le rivelazioni sono sogni? Dunque, perchè
non vuoi tu che io profeti? Tu dici: Non profeterai: ed io profeterò, dice Amos.
Va, leggi quanto tu vuoi, tu non troverai se non cattivi re e cattivi uomini
che abbiano proibito che non si profeti, e tutti sono capitati male ». (Sopra
Amos, pred. XXV.) (')
Un' altra asserzione del Pastor che voleva esser provata e che forse non
poteva essere, è la seguente: « Quanto alle visioni e ai presentimenti di altri
il Savonarola usava di una critica molto severa, quanto alle proprie nes-
suna. La possibilità eh' egli s' illudesse sulla sua illustrazione divina, la
escludeva per intero. Io conosco la purità delle mie intenzioni: io ho ado-
rato sinceramente il Signore, io cerco imitarne i vestigj; io ho vegliato le notti
intere nella orazione: io ho perduto la pace, ho consumata la salute e la vita
per il bene del prossimo, ma non è possibile che il Signore m' abbia ingan-
nato. Questo bene(2) è la verità stessa: questo lume aiuta la mia ragione,
regge la mia carità ». La prima e più grave asserzione il Pastor 1' appoggia
al Burckhardt; le altre cose che seguono le copia dal Villari (pag. 130), che
le trae compendiosamente dal dialogo Vili Della verità profetica. Ora qual let-
tore, anche discretissimo, potrebbe chiamarsi soddisfatto ? Io protesto di non
aver assolutamente trovato mai e poi mai che Fra Girolamo usasse due mi-
sure, una misura larga per sè, e una stretta per gli altri -, trovo anzi il con-
trario: egli usava la stessa misura per tutti o la misura più stretta, se mai,
l'usava con sè, anziché con gli altri. Se il Pastor volesse farci il favore d' in-
dicarci un solo canone di critica imposto dal Frate agli altri e che non osser-
vasse egli per sè, noi gli saremmo assai riconoscenti. Dacché leggiamo negli
scritti del Riformatore fiorentino, noi non ci siamo accorti mai di una simil
cosa, e ci pare assolutamente inesplicabile l' affermare che il Savonarola,
quanto alle visioni sue e a' suoi presentimenti, non usasse nessuna critica.
Bastava forse che il Pastor analizzasse le parole copiate dal Villari per ve-
dere senz'altro che il Burckhardt asseriva una falsità marchiana. Se fosse poi
andato a leggere la fonte a cui il Villari attinse, egli, cattolico, si sarebbe
(') Oltre ai luoghi citati per questa materia, indichiamo al lettore specialmente il Com-
pendio di Rivelazioni nel quale il Frate risponde alle seguenti obiezioni del tentatore: « Milli
numquam peisuasum eiit quod mortalium quemquam Chiistus post suam in coelum ascen-
sionem nllocutus fuerit.... — Fateor priscis temporibus Chiistum multos allocutum : hac a»,
tem tempestate cum ingens Scripturarum et doctornm copia abundo suppellat, non est hoc
necessarium ad salutem ».
(*) Qui dovrebbe leggersi lume; (bene è un'altra piccola svista del traduttore); il testo
infatti ha licht.
— 302 -
subito persuaso eh' era vero il contrario di quanto il Burckhardt afferma, e
avrebbe forse ammirato la severità con la quale il Frate scrutava e criti-
cava le sue visioni, prima di tenerle per vere ed annunziarle al popolo. E non
sa del resto il Pastor che la visione del futuro il Frate 1' ebbe molti anni
prima eh' egli si annunciasse profeta ? E non sa che prima di annunziare
come rivelatigli da Dio i futuri flagelli, si sforzò di mostrarli con ragioni
tratte da lume naturale o dalla Sacra Scrittura? (Cfr. la lettera a Fra Do-
menico da Pescia del 10 marzo 1491.) E questo non è già un dar a vedere
che le cose non le pigliava alla leggera? Anzi sapete perchè teneva per
vere le sue profezie? Sebbene il lume profetico certificativo di cui parleremo
ora, escludesse da lui anche l'ombra del dubbio, pure ai suoi uditori egli le mo-
strava per vere, perchè in nulla difformi dal lume naturale, dalla Scrittura e
dalla dottrina della Chiesa; perchè inducevano al ben vivere ed eccitavano le
contradizioni de' tristi; perchè producevano i medesimi effetti che avevano
sempre prodotto nella Chiesa le profezie mandate da Dio. Or questo par egli
che sia per un cattolico assoluta mancanza di critica? Apriamo di nuovo le
prediche sopra Giobbe, proprio nella pagina che abbiamo or ora finito di leg-
gere e vi troveremo non poche cose: « Ma il nemico dell' umana natura, quando
e' vede questo, e considera quanta utilità ne seguita alla salute dell' anime
per questo lume della profezia, si sforza ancora lui di fare ogni opposizione in
contrario; acciocché la non sia credula. E suscita suoi profeti, e multiplica an-
cora lui le profezie e massime in qualche persona semplice e idiota, e fa pre-
dire qualche cosa che poi non riesce vera, acciocché le persone mosse da
quell' esempio non prestino poi fede alla verità, nè a quelle profezie che son
vere, e fa che questi con quelli insieme si ccntradicano, acciocché 1' opera
di Dio e quella eh' è la verità diventi più debole e di manco forza. E però
bisogna un gran lume a conoscere qual sia la vera profezia e la vera rivela-
zione e qual sia la falsa e che l'inimico dell'umana natura va suscitando in
questo tempo, che lui vede approssimarsi la mutazione del presente stato della
Cliiesa. Sono bene alcuni che in questo tempo hanno visioni; ma come faremo
a conoscere il vero? Or su, daremo qualche documento a questi che dicessero
avere rivelazioni, acciocché non siano ingannati, e mostreremo ancora i modi
come vengono le visioni. Io so bene che sono in questo tempo molti, e qui e
in diversi luoghi, illuminati da Dio; ma ancora il diavolo cerca di fare profetare,
perchè ei sa che le vere profezie mandate da Dio hanno tempi lunghi e che
Dio le fa predire molto tempo innanzi che le avvengano, per mostrar più la sua
provvidenza; però il diavolo fa predire qualche cosa di breve tempo, e s'ella
non viene, molti si levano dal credere quelle che sono vere; e però bisogna es-
ser molto bene avvertiti, acciocché tu non sii ingannato nelle tue visioni. Or
notate che alcuna volta la rivelazione viene manifestamente di fuori, che tu la
vedi e tu la senti, e alcuna volta è solo nella immaginativa e presentatiseli cose
terribili e disusate. Alcuni altri hanno questo lume nella parte intellettiva e al-
cuna volta sentono dire parole e alcuna volta non sentono parole, ma veggono
nella mente sua qualche altra cosa. E così, per diverse vie e modi, lor son mo-
- 303 —
strale cose future. (l) Ma nota bene che tutto il punto sta nel lume certificativo
che Dio dà al profeta in fargli conoscere e intendere, che quella rivelazione e
visione è vera e da Dio, quel lume profetico è certificativo che quella cosa è
divina e che non può essere altrimenti. E se tu mi domandassi, donde ha que-
sto lume questa tanta certificazione. Io ti rispondo e domando a te: Donde ha
l'occhio quando e1 vede un colore, che conosce ed è certo che quel colore è
bianco, o nero, o verde, o quale egli sia? Hallo dalla natura, dalla virtù visiva:
eh' è così di natura sua di conoscere e esser certa de' colori. Cosi il filosofo
dice esser certo de' principj, donde vengono le scienze: e non gli bisogna pro-
vargli questi primi principj, perchè sono per sè noti e nasce questo dalla virtù
del lume naturale, che ha quella natura che ti mostra che quei primi principj
sono verissimi. Così è di tal natura il lume profetico che ti fa certo che quella
cosa è vera e da Dio e non da altri, e che non può essere altrimenti; e però
10 t'ho detto che il punto sta in questo lume certificativo. E di qui nasce che
molti alle volte sono ingannati, che non sono per lungo tempo sperimentati in
tali visioni; e sono per avventura in sul principio e s' ingannano, e massime
perchè il lume profetico non sta sempre fermo nel profeta, ma va e viene
secondo che Dio lo manda, e alle volte colui crede che 'i sia desso e non
e', (2) siccome ne avete l' esempio in Natan profeta, quando e' disse a David
che edificasse il tempio. (3) Sta dunque in timore tu che dì d' avere rivela-
zioni; piglia il documento, umiliati e sta in timore perchè le rivelazioni non
t' hanno a salvare, ma l' umiltà, la fede, la carità, se tu l' avrai. Tieni in te
quello che tu vedi o senti, e non lo manifestare ad altri che al tuo padre
spirituale e con lui ti consiglia, e se le visioni si multiplichino, e ti certificano
per molti segni, che le siano da Dio, tieni allora che le siano buone. Ma con-
sigliati bene con chi ha buon consiglio, e non parlare di cosa che t'apparisca,
se Dio non tei comanda, ma dì come diceva Isaia: Il mio secreto è per me;
11 mio secreto è per me; (*) e se da Dio t' è imposto che tu ne parli, parlane quanto
t' è imposto e non più, e sta in timore e in umiltà come io t'ho detto e non
ti gloriare per aver tu lume di profezia: ma confidati se tu avrai carità; per-
chè, benché il dono della profezia sia grande, maggiore senza comparazione è
la carità, perchè un minimo grado di carità vale più eh' ogni profezia, perchè
la profezia è grazia gratis data, e non grattini faciens, come è la carità. ( ) Ma
nota che se fosse alcuno che avesse questo lume di profezia, e oltre a quello
(') V. questa dottrina in San Tommaso Somma Teol., Parte It-IT. qu. 173, a. 2, e De ve-
ntale, qu. XII, a. 7.
{-) Di questo lume certificativo e della sua provenienza parla San Tommaso nella P. II-II,
qu. 171, a. 2. Della sua estensione parla nell'articolo 3; della sua certezza nell'articolo 4. E
quauto a questo, San Tommaso, come il Savonarola, ammette che non sempre il profeta può
discernere quali cose abbia per istinto profetico e quali per spirito suo proprio. In tal caso
non è perfetta profezia, ma dicesi istinto profetico, elio è qualche cosa (V imperfetto in genere
profezia. E tale è anche la dottrina di San Gregorio (Omilia I su Ezechiele, n. 16).
(3) Lib. II, dei Re, cap. VII, v. 3-5.
(4) Isaia, c. XXIX, v. 16.
(5) San Paolo ai Corinti 1. c. Cfr. San Tommaso, I-II, q. Ili, a. 5.
— 304 —
avesse dottrina della Scrittura Sacra, la prima cosa lui considera e guarda, che
quello che dice o pronunzia non sia contrario al lume naturale, perchè se
fosse contrario a quello, non sarebbe da Die, perchè tutti due questi lumi ven-
gono da Dio e fatti da lui e non possono essere contrarj; perchè un medesimo
maestro non insegna due contrarj. (1) Il lume naturale tende sempre al vero,
e così il lume della profezia, e sempre ogni vero consona col vero. Considera
ancora questo tale e guarda s' egli è conforme alla Scrittura Sacra e quando
così si vede, tanto più si certifica che quello che dice viene dal lume divino,
perchè il medesimo spirito, che ha rivelato la Scrittura, è quello che rivela
le cose di Dio e li suoi segreti. Congettura ancora costui, per molti altri segni
esteriori che fa la natura di questo lume, che e' sia desso, quando e' si sente
più umiliare e più stare in timore di Dio. Parimente, quando e' vede essergli
fatto di quelle cose e persecuzioni, che furono fatte a' veri profeti. Parimente,
quando ancora gli è più rivelalo che non dice, e non ha licenza di dire; per-
chè molte volte sono rivelate a' veri profeti alcune cose d'uomini particolari, e
le cogitazioni de' cuori, le quali non si possono sapere se non da Dio. Piglia
ancora congettura costui, che quel che e' dice sia da Dio, quando e' vede per
questo mutarsi la vita di molti e convertirsi a Dio. Inoltre, conosce ancora
essere da vero lume il suo parlare, quando e' vede a questo dal diavolo esser
fatta contradizione, e da' suoi membri, che sempre a questo lume profetico
hanno fatto gran contradizione; e massime quando questo tale si sente forte a
tali contradizioni, ne piglia buona congettura e buon segno, che tutto sia da
Dio. Inoltre, ha molte congetture e segni secreti che non si dicono, per i quali
è fatto certissimo di tutto quello che dice da parte di Dio, e tutto il punto, e
la forza e la certezza, come v' ho detto, consiste nella natura cerlificativa e
forza e virtù di questo lume ». (Pred. XII.)
E di sotto nella istessa predica aggiunge: « Quando egli èl1 angelo buono
che apparisce, benché in principio dia timore, lascia poi infine la mente del-
l'uomo quieta. Il contrario fa l'angelo cattivo, ch'in principio ti perturba, e
infine lascia la mente confusa. Io t' ho di sopra detto che tu, che dì o che ti
pare avere visioni, che tu stia in timore e in umiltà : perchè Satana anche lui
suscita i suoi profeti per impedire la verità e le vere visioni. Ma come s' ha a
fare, a saperle conoscere, le buone dalle cattive? Dicoti eh' egli è molto diffi-
cile a saperle discernere, perchè il demonio ha potestà di potersi transferire
in Angelo di luce. (*) Darotti una regola cosi in generale, la quale è nella legge
di Mosè nel libro del Deuteronomio. Ed in effetto dice questo: Se alcuno ti
profeta e li dice di molte cose, e diceti il vero; guarda poi, se ti vuole condurre
a qualche male, lapidatelo: ma se ti fa bene e conduce al bene e viene quello
eh' e' dice, questo è buono profeta. (3) Adunque, se tu vedi venire e adempire
quelle cose che ti sono dette, e preanunziate, devi dire che le sono da Dio.
(') V. San Tommaso, Somma contro i Gentili, lib I, c. VII.
(•) Ep. II ai Corinti, cap. XII, v. li. V. anche Ep. I di San Giovanni, cap. IV, v. 1.
Deuteronomio, cap. XIII, v. 1, e seRg.
— 305 —
Questa seconda cosa cioè il verificarsi, e venire quello eh' è predetto, ti fa
certo che le sono da Dio; ma da principio sono bene difficili a conoscere. Ma
se tu ti lasciassi determinare da Dio e dal suo lume, tu 1' intenderesti anche
da principio. Dimmi un poco, le cose naturali nelle sue operazioni, perchè non
errano elle? Questo è perchè hanno da Dio la lor virtù determinata a quella
operazione, e per questo ogni cosa grave tende al centro, e si lasciano gui-
dare da quelle virtù, senza far loro resistenza. Il simile vedrai negli uomini
semplici, vivere meglio anche secondo la filosofia morale, che non fanno i
sapienti del mondo : e questo nasce da lasciarsi guidare dalla virtù divina,
la quale loro hanno da Dio, alle loro buone operazioni, e non gli fanno re-
sistenza.... »
« Se tu andrai retto in tutte le tue operazioni non sarai ingannato;
perchè è sorto nelle tenebre un lume ai retti di cuore. (*) Iddio sempre manda il
lume suo a chi è retto di cuore: come era Giobbe, che sai che intendesti nel
principio di questo libro, che Dio disse che Giobbe era suo servo, e aveva
quattro proprietà. La prima, che egli era semplice; la seconda, che egli era
retto; la terza, che egli era temente Dio; la quarta, ch'egli era discosto da
ogni male, cioè da ogni peccato. (2) Or fa che tu sia a questo modo, com'era
Giobbe e non avrai paura di essere ingannato. Vedi che lui aveva queste
proprietà, non fu da' suoi amici ingannato in tutte queste loro dispute. A chi
va retto nel cospetto di Dio in ogni sua cosa, Iddio gli manda il lume suo
che discende in lui e nella niente sua, come se discendesse per un canale nel
suo intelletto e sa che non è ingannato.... »
E nella predica XXVI : « Or nota che siccome nelle radici dell' albero
sono virtualmente e rami e fiori e frutti e tutte le cose da quello prodotte,
così dalla radice del lume naturale sono tutte le scienze naturali. Ma perchè
colui che insegna le scienze le produce fuora colla voce, la quale non si po-
tendo conservare per sempre, però si scrivono tali scienze ne' libri per con-
servarle a' posteri: siccome sono i detti di Aristotile e degli altri filosofi: però
chi dubita di quelle scienze, ricorre a quei libri, e vede se lui è in errore o
no. Così ancora quelle cose che sono venute per grazia di Dio, e per lume so-
prannaturale sono ancora state scritte, acciocché si conservino e perchè non
ci sono più gli Apostoli ed i Profeti , (3) che hanno avute le cose per lume
soprannaturale, però ci bisogna andare a quello che han lasciato scritto, e
vedere se noi quando avessimo qualche cosa per lume soprannaturale, erras-
simo o no: perchè, se le nostre sono conformi alle altre cose che sono venute
per lume soprannaturale, diciamo di non errare: perchè un lume non contra-
dice un altro lume. E però quando Dio dà un lume, coni' ha dato agli altri
profeti, sempre produce il medesimo effetto; e se tu vedi eh' è conforme colle
(') Salmo 111, v. i.
(2) Giobbe, cap. I, v. 1.
(3) Qui è chiaro che il Savonarola parla dei Profeti, le cui profezie Uovevan rimanere
scritte nei Libri Sacri a utilità di tutta la Chiesa.
20
- 306 —
Sacre Scritture, dirai eh' egli è il medesimo lume. E però bisogna sempre ri-
correre alla Scrittura e vedere se conviene con quelle: e però le donne spesse
volte sono ingannate dal demonio nelle loro visioni, perchè non hanno cogni-
zioni delle Scritture. E però bisogna vedere se questo che noi ti diciamo è con-
forme a questa Scrittura, e potrai vedere se Dio t1 ha a dare queste grazie
e questo bene che noi ti diciamo ».
Le stesse cose ripete il Savonarola nel medesimo quaresimale, e cento
volte almeno le ripete negli altri quaresimali e segnatamente in quello sopra
1' Esodo, nel quale, come scrive anche il Pastor, parla a lungo del lume profe-
tico; e le raccoglie poi molto bene nel dialogo della verità profetica. Lascia-
temi trascrivere ancora qualche riga del quaresimale sopra Amos. «Ecci alcuno
che dice: — Io vorrei vedere, se questa cosa che dice il Frate è da Dio, pro-
varla con miracoli. — Vien qua, incredulo, guarda nelle cose naturali: togli
della terra e lasciala andare, vedrai che ella andrà in giù al centro perchè se-
guita la sua naturale inclinazione; togli del fuoco, vedrai eh' egli andrà sempre
in su, perchè ogni cosa seguita la inclinazione della sua forma. Togli tutti gli
intelletti degli uomini e dimanda loro: — quale è meglio o far bene o male? —
Diranno tutti: bene; e la ragione è questa che tutti hanno il lume naturale al
quale conseguita questa cognizione che veggono che è meglio far bene che
male, e hanno tutti questa inclinazione naturale e questa forma. Domanda tutti
i cristiani della fede se è vera o no; diranno tutti che è vera, perchè hanno
tutti questa inclinazione e questa forma e questo lume eh' ella sia vera. Or
vien qua dunque; se tu sai che gli è meglio far bene che male, e sai che i buoni
seguitano ii bene e dall' altra parte tu vegga che tutti i buoni seguitano questa
verità e dicano questa dottrina esser vera: adunque tu devi crederla come vera
e buona. Io ti dico che i buoni la veggono questa verità e hanno il lume den-
tro e credonla, perchè i buoni hanno inclinazione e lume da Dio d'intendere la
verità, perchè sono purgati d' intelletto, il quale, anche naturalmente, quanto
è più purgato, tanto meglio intende la verità. Tu vai cercando miracoli; io ti
dico che il miracolo non fa credere ; (*) vivi bene e crederai e intenderai que-
sta verità ». (*) (Predica Vili; cfr. la pred. XXVII e pur altre.) (3)
Ma qui forse può ancora aver luogo un' instanza: La questione sta tutta,
(') S'intende che il miracolo solo non è motivo sufficiente a farci credere e lo dice
San Tommaso, Somma Teol-, P. II-II, qu. 6, a. 1.
{•) Sulle disposizioni che si richiedono per essere illuminati dal lume profetico, vedi
San Tommaso, P. II-II, qu. 172. a. 4, e nel citato art. 1, della qu. 6, parla delle condizioni
che si richiedono in colui che deve credere.
(3; Riserbandoci di trattare a parte c Del Profeta e della Profezia » secondo il nostro
Frate, qui ci teniamo piuttosto brevi. Raccomandiamo ancora al lettore la predica XX del
quaresimale sopra Ezechiele, nella quale si discorre di proposito delle proprietà e qualità
del vero e del falso profeta In essa il Savonarola espone il XIII di Ezechiele, nel quale si
minacciano appunto da Dio i falsi profeti, che seducono il popolo promettendo pace, e le
false profetesse che adulano i peccatori; e pigliando il predicatore da ciò occasione, parla
al popolo e dichiara quali siano i veri e quali i falsi profeti, e mostra le condizioni e qua-
lità degli uni e degli altri.
— 307 —
ci si può forse ancor dire, nel vedere se queste norme savissime il Savo-
narola le applicasse anche a se stesso.
E chi può sostenere che ciò egli non facesse debitamente? A convincersi
del contrario basta aprire il Compendio di Rivelazioni, e leggere ciò che il
Frate risponde al Tentatore che diceva, che « se noi volessimo credere tutte
le visioni che ci sono riferite, certo noi ci troveremmo spesso ingannati; e
che perciò sta scritto: Provate gli spiriti se siati da Dio. Più innanzi poi, nel
medesimo Compendio parlando sempre delle sue visioni ha queste parole:
« Tutto ciò eh' io pronuncio in pulpito fui sempre uso di pesarlo prima nella
bilancia delle Orazioni e delle Scritture, e delle ragioni naturali, o dell' espe-
rienza o di fedelissimi testimoni ».
Nè men chiaro e reciso si esprime nel libro della Verità Profetica, dove
specialmente nel dialogo con Elifaz si ferma assai a mostrare come egli esa-
minasse le cose sue prima di enunciarle. Noi raccomandiamo al lettore que-
st' operetta, certi che leggendola resterà ammirato non della leggerezza ma
della severità con la quale il Savonarola scruta le sue visioni prima di enun-
ciarle come venutegli veramente da Dio. Affermazioni leggiere nel Savonarola
non credo che i cattolici riescano a trovarne. Così fosser guardinghi, com'egli
fu, e al sì e al no i critici di lui ! Ma andiamo oltre.
Un'altra asserzione che avrebbe bisogno di prova si legge nel Pastor a
pagina 357: « Sotto futili pretesti il Frate salito in superbia erasi sottratto
all' obbligo strettamente impostogli di sottoporre ad un esame la genuinità
de' suoi doni profetici, esame che indubbiamente spettava alla Santa Sede-
Che ne sarebbe avvenuto della autorità pontificia, ove altri ne seguivano
1' esempio? Quegli stesso che in tale maniera cercava di esimersi dalla ob-
bedienza da lui giurata, pretendeva obbedienza cieca per tutti i suoi ordina-
menti quasi fossero rivelazioni divine! » (')
L' accusa, come ognun vede, è assai grave, e 1' asserzione esplicita. Ma in
che si fonda?! Nessuno lo sa: il Pastor non lo accenna neppure; e in realtà
è vero il contrario. Imperocché non solo non troverete una parola o un fatto nel
Savonarola che giustifichi la grave accusa, ma potrete, se vi piace, trovare
tutto 1' opposto. Lasciamo stare ciò che abbiamo visto or ora del consiglio
eh' egli certamente prendeva intorno a' suoi doni, come potrebbe mostrarsi
anche ad evidenza dalla lettera scritta a Fra Domenico da Pescia il 10 marzo
1491; e stiamo tutti stretti alla questione, a! giudizio della Santa Sede. Non
crediamo che alcuno voglia credere che significasse un sottrarre al giudizio
della Salita Sede i doni profetici, la scusa addotta dal Savonarola 1' anno
(1) Qui forse il Pastor aveva l'occhio anche al Perrens: ma il pensiero di questo biografo,
Riaperse molto infelice e poco preciso, è tradotto inesattamente: ecco le parole del Perrens:
« Sans entrer ici dans Pexamen des raisons que Savonarola allègue pour ne pus allei' à Rome, on
ne peut s'empècher de remarquer que celui qui sut si bien se dispenser d'obéir est le méme
qui recommandrtit l'obéissance aveugle a tout religieux. Que devient l'autorité pontificale,
si chacun a le droit de peser l'ordre avant de s'y soumettre » ? (Pag. 156.)
— 308 —
1495 del non poter allora accettare l' invito di recarsi a Roma e il chie-
dere una dilazione, imperocché le ragioni del Frate erano tali e tante, e
tanto buone che Alessandro VI le accettò, e per questo non è lecito a noi
il malignarvi sopra. Del resto noi avremo occasione andando innanzi di esa-
minare questa questione in un capitolo a parte; e crediamo fermamente che
il Frate apparirà a tutti in pien diritto nel governarsi come fece, e forse non
sarà difficile che ammettano anche tutti ch'egli doveva fare come fece, e
non gli era lecito fare altrimenti. (*)
Del resto, nell'addurre le ragioni per le quali non poteva egli allora intra-
prendere il viaggio alla volta di Roma, che faceva il Frate? Diceva al Pontefice
che se voleva essere informato di quanto egli predicava riguardo al flagello
dell' Italia e alla rinnovazione della Chiesa, non aveva se non a leggere il
Compendio di Rivelazioni che manderebbe alla sua Santità quanto prima. Esso
Compendio direbbe assolutamente tutto quanto gli potrebbe dire egli a voce. E
lasciava chiaramente capire che sopra le cose scritte in quel compendio, e non
sopra altre, il mondo intiero poteva giudicare s'egli fosse falso profeta o vero.
Più volte del resto il Frate insisteva presso Alessandro VI, perchè volesse
mandare in Firenze una persona degna a vedere come stavano le cose, assi-
curandolo sempre ch'egli era persuaso che così facendo, il Papa ne resterebbe
soddisfatto. Né mancò mai, assolutamente mai, di assoggettare umilmente sè e
le cose sue alla Santa Sede ed alla Chiesa di Roma. No, Girolamo Savonarola
non montò in superbia, nò sottrasse per futili motivi al giudizio della Santa
Sede i suoi doni profetici. No, Girolamo Savonarola non sogna mai neppure
di usurparsi una missione profetica, un magistero profetico sopra la gerarchia
ecclesiastica. (Pastor pag. 357.) Queste asserzioni sono interamente campate
in aria; e proferirle senza prova non è una buona critica, e certo il Pastor
non le avrebbe pronunciate, se avesse letto prima le opere del Riformatore
fiorentino, e avesse capito il Savonarola, invece di contentarsi in questa parte
di camminar ciecamente sopra le orma del Grisar. (2)
(1) Vedi di sotto il cap. XXV.
(2) Al citato articolo del Grisar si deve attribuire la principale responsabilità de' giu-
dizj intorno al dono profetico del Savonarola ripetuti dal Pastor. Chi volesse pigliare in se-
rio esame quest'articolo dovrebbe scrivere molte pagine, tante sono le asserzioni inesatte od
erronee e le sentenze sbagliate per falsi supposti, che 1' autore vi pronunzia. Dai Piagnoni
non possono leggersi senza un senso di pena profonda specialmente le riflessioni intorno al
dono di profezia del Savonarola! Speriamo che l'autore voglia quando chessia ritornare
sopra l'argomento e modificare un poco le sue idee. Singolare è il proposito al quale pronun-
cia la sentenza che « Alessandro VI non poteva (o voleva) riconoscere una missione profetica
soprala gerarchia ecclesiastica «•. Lo pronunciai dopo di aver notato col Bayonne, che il mo-
tivo principale della scomunica del Frate fu il rifiuto di questa e del partito de' suoi religiosi
di unirsi alla Congregazione Toscano- Lombarda (leggi Homana), quasi avesse il Savonarola
giustilicato colle sue profezie questa, che il Grisar dice, nuova ribellione contro l'autorità
pontificia. Se vi è atto nella vita del Frate di San Marco nel quale egli non invochi assoluta-
mente il suo lume profetico, quest' aito è certamente questo rifiuto, come può vedere ognuno
leggendo 1' Apolog elicli m Fratrum congregazioni* Sancti Marci de Florenlia nelle addizioni del
Quètif. È poi recisamente da negare che al Savonarola mancasse l'umiltà degli eletti di
Dio. (Cfr. la fine della predica XXXVII sopra Giobbe.) Un'altra cosa si potrebbe notare. Il
— 309 -
È dunque assolutamente inesalto il dire che Fra Girolamo non sottopo-
nesse a critica veruna le sue visioni, e eh' egli usasse invece una misura piut-
tosto severa per le visioni degli altri e non per le sue. Non vi è per contro
norma o regola eh' egli volesse seguita dagli altri, la quale non seguisse con
più rigore egli stesso. E un fatto, del resto, che nessuna delle molte obiezioni
che gli mossero i suoi avversarj il Savonarola lascia senza risposta; e perciò
chi ne legge le prediche si maraviglierà, non che il Frate credesse legger-
mente alle sue visioni, ma che sapesse scrutarle così bene e sostenerne la
legittimità e la verità di fronte ad un vero sciame d'importuni contradittori di
ogni fatta e condizione. E del pari privo d1 ogni fondamento e contro la verità
l'asserire che il Frate sottraeva al giudizio competente i suoi doni profetici.
La verità sta nel contrario. Il Savonarola si sottomise ognora alla Chiesa di
Roma e ne invocava incessantemente V autorevole giudizio.
Un altra asserzione del Pastor è che « la solida credenza di essere in
immediata comunicazione con Dio e cogli Angioli, fosse generata nel Savona-
rola dalle predizioni di un Gioachino e Telesforo » (p. 130).
Anche quest'accusa è tult' altro che nuova: già la movevano al Frate
quand' egli aveva appena cominciato a pronunciare le sue profezie. Onde
Domenico Benivieni nel Capitolo XIII del suo Trattato in difensione e proba-
zione della dottrina e profezie del Savonarola, parlando della discordia e inquie-
tudine degli avversarj, tra gli opposti loro giudizj scrive anche questo, che il
nostro Frate « andava dietro a certe profezie scritte ». Anzi doveva essere
ripetuta con tanta insistenza questa, pure sciocca, accusa, che il Savonarola
credè necessario nel Compendio di Rivelazioni di farsela movere dal Tentatore,
il quale, volendo impedirgli che ascendesse al Cielo, in forma di vecchio ana-
coreta, gli si fa incontro per la via e tra l'altro gli dice, per togliergli dall'animo
la persuasione che le visioni sue fosser da Dio: «Io ho inteso che tu hai le
rivelazioni di Santa Brigida, e dell' Abbate Gioachino e di molti altri, con le
quali tu vai pronunziando queste cose future ».
Mail Savonarola, come nelle prediche era solito di rispondere agli altri suoi
calunniatori, cosi in questo Compendio risponde al Tentatore in questo modo: «Io
vi prometto, o Padre, che di queste tali lezioni io non mi diletto ; nè ho letto mai
le rivelazioni di Santa Brigida, e poco dello abbate Gioachino e quasi nulla, massi-
me di profezie e di cose future. Dell' altre profezie mai non mi dilettai, nè mai ne
ho scritte o tenute, come sanno quelli che sono miei familiari; e quelli sono te-
stimonj che tanto mi diletta la Scrittura Sacra del Nuovo o Vecchio Testa-
mento, che già sono molti anni che quasi mai non leggo d'altro libro; e tutte
Grisar nota, che non si è detto a torto che l' impressione che si riceve dal C'oìapendio di Ri-
velazioni è secondo quel proverbio francese : Qui s'excuse s'accuse. Qui 1' egregio scrittore di-
mentica che neppure una delle difese che il Savonarola fa in quest' operetta era contro ac-
cuse immaginarie, ma tutte contro accuse che pur troppo gli erano e gli venivano tutta via
fatte da' suoi nemici: anzi una parte di esse trovò poi auche luogo ne' Brevi pontificj ; e
passò negli storici male informati giù giù fino al Pastor.
— 310 —
le altre lezioni mi sono quasi venule a noja, non perchè io sprezzi le altre lezioni,
perchè non mi piacciano i Santi Dottori; ma perchè alla comparazione di que-
sta, ogni cosa dolce mi pare amara. E se voi pur questo non mi credete, cre-
diate almeno ch'io non sono di sì poco giudizio, che io con tanta fermezza
accertassi le cose che io ho detto e molte volte confermando le replicassi, s'io
non avessi altro fondamento che questo, perchè non essendo le loro profezie
della Scrittura Canonica, non mi posso per esse totalmente firmare l' animo a
crederle e a prenunciarle.
« Io non mi curo di esser tenuto profeta, perchè questo nome è molto
grave e pericoloso, e inquieta l'uomo e suscita contro a lui molte persecu-
zioni; benché si portino volentieri per l'amore di Cristo. Nè per questo voglio
dire che io abbia mai seguitato profezie d' altri, eccetto quelle della Scrittura
Canonica; anzi, come ho detto, o non le ho lette mai, o se pure ne ho letto
qualche cosa, instigato da qualche amico, non le ho mai servate, ma poich'
le ho lette una volta, le ho lasciate a chi me le ha portate, non le sprezzand
nè approvandole, commettendo sempre tutto a Dio ».(*)
Questa risposta noi crediamo che valga da sola a soddisfare il Pastor, e
certo essa deve essere più sufficiente a mostrare che non ha alcun solido fon
damento 1' asserzione di lui. Onde non vi aggiungiamo altro.
Quanto poi alla pappolata che fa il Savonarola confermato nelle sue vi-
sioni dal sonnambulo Fra Silvestro noi non sappiamo davvero sopra che cosa,
almeno apparentemente, si fondi. Delle mille volte che Fra Girolamo ragiona
del suo lume profetico io non ne trovo una, in cui accenni a questo fonte di
argomenti. Certo egli non ne aveva punto bisogno; noi crediamo di poter atten-
dere dal Pastor argomenti che diano almeno V apparenza di serietà alla cosa,
prima di prestargli maggiore attenzione. (2)
(') Savio ammaestramento anche per certi cattolici troppo facili ad accettare o negar»
rivelazioni e profezie private ! Il Savonarola non le sprezza nè le approva ma rimette tutto a
Dio. Una tal prudente riserva sarebbe stata desiderabile iu molti di quelli che parlarono
dei doni profetici del Savonarola. Notiamo qui che anche il Razzi. Ms. citato, fol. 72 retro,
dice che il Savonarola a chi lo accusava di annunziare le cose futuro coll'ajuto dei libri di
Santa Brigida, dell'abate Giovacchino e di altri rispondeva « che lo studio suo altro non
era da molti anni che la sacra Scrittura del Vecchio e del Nuovo Testamento e come
non si dilettava di leggere profezie d' altri, come non aveva mai letto le profezie di Santa
Brigida e quasi nulla dell' abate Giovacchino e massimamente appartenente a profezie ».
Gli avversarli non ci oppongano la predica II sopra i Salmi, dove il Savonarola novera
1' abate Giovacchino tra quelli che predissero la rinnovazione della Chiesa. L' avere una
volta citato 1' autorità di colui che i Fiorentini potevano come Dante credere c di spirito
profetico dotato » (Parad., XII, v. 141). non indica che il Savonarola lo ritenesse sicuramente
per tale ; bastava che tale lo ritenessero molti degli uditori, coi quali poteva 1' oratore ar-
gomentare ad hominem.
(!) A proposito di questo Frate, un'obiezione che potrebbe far qualche impressione
a'semplici e grossi ci vien forse da ciò che si legge nel processo di Fra Domenico e da ciò
che ripete lo stesso Pastor, cioè che il Savonarola spacciasse una volta come propria e avuta
d'incarico degli angeli una visione del Marnili. Oltre a molte altre ragioni che si potrebbero
addurre qui, basti notare che alla profezia completa si richiedono, come sanno tutti i teo-
logi, due cose: la visione e il lume certificativo o spiegativo di quella; ma questo è l'essen-
ziale: chi ha questo è vero profeta, non chi vede semplicementa le cose. La profezia consist»
— 311 -
Piuttosto aggiungiamo di non saper celare la nostra meraviglia, nel vedere
che il Pastor rimprovera al Savonarola la certezza e sicurezza che, dopo tanto
esame, aveva delle cose vedute, ritenendo impossibile l' illudersi o ingannarsi.
Si dimentica qui un canone fondamentale nella dottrina della profezia; cioè
che il profeta, come appare chiarissimo dall' esposto fin qui, è certo che le
cose che egli vede, sono da Dio. Chi dice il contrario cade in un errore già
combattuto da San Girolamo, e rinnovato da alcuni eterodossi moderni: cioè
che i profeti parlino come in estasi, a guisa degl' indovini e vati pagani, senza
sapere quello che si dicano, o pronunzino cose che essi non intendono. (Cfr. Ci-
viltà Cattolica, serie XV, voi. IX, quad. 1048, pag. 411, nota 1.)
Adunque, o bisogna che il Frate non fosse e non si dicesse profeta, o che,
cosi dicendosi, per conseguenza, se non voleva contradirsi, affermasse an-
cora la certezza delle sue visioni e l'impossibilità d'essere in inganno; e che
esse si sarebbero avverate intieramente ; ma rimproverargli questo è un assurdo;
bisogna insomma tacciarlo addirittura di menzognero, o dargli ragione. E di
qui il ripetere che continuamente fa il Savonarola dell'obbligo ch'egli aveva
di credere alle sue visioni. (*) In vero, venendo esse da Dio, e non potendo di
ciò aver egli alcun dubbio, ma essendone più che certo, bisognava assoluta-
mente ch'egli credesse alle medesime; se non voleva negar fede empia-
mente a Dio.
Ma qui bisogna correggere un'altra ingiusta affermazione accolta dal Pa-
stor, cioè che il Frate di San Marco imponesse altrui F obbligo di credere alle
sue visioni come alle Scritture, e che « chi non gli credeva non potesse esser
buon cristiano » (pag. 354). Questo è assolutamente falso. Almeno seicento volte
egli ripete che Dio alle profezie sue non ha dato quell'autorità che ha dato alla
Scrittura, e che egli non faceva obbligo a nessuno di crederle, anzi positiva-
mente diceva che non si era obbligati a credervi ; solo aggiungeva che chi non
credeva, ma con pertinacia contradiceva, esaminasse bene la sua coscienza e
forse avrebbe visto che la cosa veniva da lui, che non voleva viver bene ; e
quindi per costui il non credere poteva essere un indizio di errar lungi da Dio.
Il più che dicesse il Frate era questo, che il voler pertinacemente contradire
alle sue profezie era difficile difenderlo da ogni male, ma se altri non avesse
voluto credervi, e non avesse voluto prestarvi la menoma attenzione o consi-
derazione, non avesse voluto darsene alcun pensiero, egli non 1' obbligava a
nulla, e non lo molestava.
Già nella predica XXXVII sopra Giobbe abbiamo visto eh' egli non obbliga
propriamente nel conoscere il significato divino delle cose, o nel saper leggere nel miracolo:
a volte la visione è data ad uno e l'interpretazione all'altro. Tutti e due si possono dir pro-
feti; in senso improprio il primo, in senso più proprio il secondo. Il coppiere e il panattiere
ebbero il sogno, Giuseppe l'interpretò; Giuseppe tu vero profeta, e poteva dir sue quelle vi-
sioni che per gli altri eran buie. Di ciò il Savonarola parla molto sovente, come puoi ve-
dere per esempio nella predica XIX sopra Ezechiele. Cfr. San Tommaso ne' luoghi citati e
specialmente P. II-II, qu. 173, a. 2.
(') Anche qui il Savonarola seguiva l'esempio degli antichi profeti. V. Geremia, c. XXVI,
v. 15, e San Paolo, II ai Corinti; I, 12 e II ai Tessalonicensi, II, 10-13.
— 312 —
nessuno a credere che Dio gli abbia parlato, ma solo asserisce che nessuno
può negare che ciò sia possibile: nella predica I sopra Ezechiele, dopo di
aver a lungo trattenuto il popolo intorno le profezie e la necessità del credere,
segue testualmente cosi: « 0 Frate, vuoi tu che noi crediamo a te come alla
Scrittura? — Io non dico così; lascio il pensiero a te. — Siamo noi obbligati
a crederti come alla Scrittura? — No; ma dico che viene da te che per i tuoi
peccati non meriti di essere illuminato. Poni giù la tua superbia; mutati di
vita, di subito questo lume si accenderà ».
Nella predica XXIV usa parole anche più esplicite, che mostrano ognora
meglio quanto egli rifuggisse da ogni eccesso. « Dice quel pazzo: — Se le
cose del Frate fossero vere, io negherei la fede; dice quell'altro: se le non
fossero vere, io negherei la fede. — Io ti dicò che voglio tenere salda le fede,
venga chi voglia. Io ti dico bene che le son vere, e sonne certo ; ma venga
chi voglia, io vo' tener salda la fede ».
E nella lettera de' 14 settembre 14-95 ad Alessandro VI scriveva: « Mi
accusano e rimproverano di aver dichiarato fuori della via di salute chiunque
non aggiusta fede alle mie asserzioni. Io non ho mai detto questo, ma ecco,
come io mi sono espresso : Sapendo che molte delle cose dame predette ven-
gono da Dio, credo che ognuno che si rifiuta ostinatamente di prestarvi fede,
e si propone di contradirvi assolutamente, mostri per questo, ch'egli non è in
grazia di Dio. Infatti, la grazia e il lume della fede inclinano lo spirito verso
la verità, e perciò ognuno che possiede la grazia non saprebbe opporsi a una
verità confermata da Dio. Quanto a coloro i quali non credono alle mie pa-
role, nè le contradicono con ostinazione, io ho detto e scritto pubblicamen-
te, che con tutto ciò possono essere nella grazia di Dio e nella via della sa-
lute. Io non ho adunque affermato che quelli pecchino, ma solamente che la
loro ostinazione e contradizione sono un segno eh' essi sono privi della grazia
di Dio ».
Gli slessi pensieri esprime in tutte le predicazioni, ma non è il caso che
le ricerchiamo; si legge esplicitamente anche nel dialogo della verità profe-
tica: Uria, uno degli interlocutori, domanda a Fra Girolamo: « Spesse volle ho
inteso che tu hai avuto ordine di affermar che quelli i quali non ti credono
non son cristiani ». E Girolamo risponde: « Non ti turbare, chè io per me
non ho mai detto quelli che non credono, ma sibbene quelli che ostinatamente
contradicono non essere veramente cristiani.... perchè niuno può contradire
con animo ostinato alle rivelazioni divine, se non ha perso il lume sopranna-
turale della fede. Onde, benché noi non siamo obbligati a credere tulle le cose
rivelate da Dio (intendesi: per rivelazione privata) almeno non dobbiamo per-
tinacemente contradire a quelle.... Non potendole impugnare con ragione nè
anche per alcuna autorità, non manifesta egli da se medesimo la infedeltà e
stoltezza sua?... Che altro è il non volere credere queste cose con tanta osti-
nazione, se non affermare che esse sieno al lulto impossibili? Il che non è altro
che negar tutta la fede ».
Come si fa adunque ad asserire che Fra Girolamo imponeva agli altri di
- 313 -
credergli in tutto quanto? che chi non gli credeva non poteva essere buon
cristiano? (pag. 354), ch'egli pretendeva obbedienza cieca per tutti i suoi or-
dinamenti, quasi fossero rivelazioni divine? (pag. 357). (')
Ma noi nel Pastor abbiamo da rilevare una supposizione ben più grave
che non siano quelle che abbiamo vedute fin qui: una supposizione la quale è
impossibile che non generi in tutti coloro che si occupano di cose storiche e
in ispecie di Fra Girolamo, od anche semplicemente si dilettano di leggere e
amano capire ciò che leggono, il desiderio di qualche spiegazione. Il Bartoli finiva
il capitolo XIV della sua Apologia del Savonarola, notando che le profezie di lui
vennero apprezzate da' più assennati; ma dopo la sua morte un certo mo-
naco per nome Teodoro cominciò a dire che la Chiesa si era rinnovata, e
eh' egli era il Papa Angelico : un altro fanatico, appellato Pier Bernardo, sarto
di professione, garantì co'suoi clamori siffatte illusioni. Ambidue, continua sempre
il Bat toli, vennero condannali da Leone X con un Breve de' 17 di aprile 1515,
diretto all' arcivescovo e ai canonici di Firenze. Il fatto qui accennato, segue
l'Apologista, fece sì, che alcuni avvezzi a raziocinar sempre fuor di regola, pa-
ragonassero le profezie del defunto Savonarola colle imposture di que' due
visionarj. Questo confronto rovesciava da sè stesso, e restò ben presto dissi-
pato nell'idea comune.
Speranze vane! Questo confronto sembra che voglia rivivere ora per opera
del dott. Lodovico Pastor, il quale non sembra alieno dal credere conforme
allo spirito del Savonarola, lo spirito di una serie di fanatici impostori, pazzi,
eretici e scostumati convinti. Anzi pare che non dubiti di chiamar seguaci e
quasi non disse figli del Savonarola Martino da Brozzi, Gerolamo da Bergamo,
Francesco da Monte Pulciano, Francesco da Meleto, Gerolamo da Siena, Fra
(') Il Savonarola lasciava tanta libertà di discussione, che fa proprio meraviglia. Qui
il Pastor sembra misconoscere questo, ed è male; ma è peggio il lasciar credere che Fra Gi-
rolamo tutto quanto diceva lo dicesse ognora come profeta. Anche questa è un'accusa della
quale si lagna spesso il Frate. Coloro che gliela muovono, oltre all'asserire un fatto che non
è, dimenticano uno de' principali canoni della dottrina sulla profezia ch'egli seguiva: cioè
che il lume profetico non diviene mai abito nel soggetto che profetizza, ma è sempre atto:
esso viene e va e non sta mai fermo. Questa dottrina che è di San Tommaso, (P. II-II,
qu. CLXXI a. II è dimenticata pur troppo anche da molti fra i buoni studiosi del Frate, i
quali perciò non seppero poi spiegarci le espressioni in cui il Savonarala dice di pronunziare
il futuro in nome di Dio, vicino a quelle in cui dice eh' egli non è profeta; e peggio ancora
fanno coloro che negano al Savonarola lo spirito profetico, solo perchè alcune cose dette da
lui, secondo loro, non si sono avverate. Dato che abbian ragione, guardino meglio e ve-
dranno ch'egli tali cose o non le predisse assolutamente, ma con certe condizioni, o non
pretese di dirle come vedute con il lume profetico, ma da sè con il suo ingegno. Meritano di
esser notate le seguenti parole che stanno nel Compendio di Rivelazioni: « Non iguoraudum
est quod spiritus propheticus non semper praesto adest ipsis temporibus prophetis, sed abit
et redit prò Sancti Spiritus voluntate ; nec cura praesens est omnia revelat, sed plura vel
pauciora, prout vult. Sic Xathan Propheta aedificationem templi David ex proprio Spiriti!
auasit dieens ei : Onne quod est in corde ino vade fac, quia Deminvs tecum est. Postea, iubente
Spiritu Sancto, dictum suum revocavit: sed quidam stolidi me allocuti iactarunt quod dum
mecum colloquerentur eoruni cordium arcana non noverim, ac si inferro velint quod quili-
bet propheta par Deo sit et omnia noverit. Erratis nescientes scripturas neque virtutem
Dti.„. »
— 314 —
Bonaventura.... e, peggio, crede veder lo spirito del Savonarola nel conciliabolo
di Pisa....!! (pag. 143-152). (l)
E la gravezza di questa supposizione e di queste asserzioni è tanto più
grande se si considera che per essa lo storico d' Innsbruck vuole argomentare
intorno alle idee dei Savonarola stesso. Egli dà la massima importanza ad un
asserto dell' Hòfler e lo pone come principio del suo ragionamento. Ecco l'as-
serto: « Se fin qui si avevano ancora dei dubbi sugli effetti benefici o rovinosi
a cui in ultimo avrebbero condotto le idee da lui (Savonarola) professate, la que-
stione adesso era sciolta. Non che per questo si possa giustificare il processo, il
quale mediante la tortura strappò al Savonarola delle pretese confessioni; ma
si è in grado di giudicare imparzialmente la sentenza che da parte della Chiesa
venne contro lui proferita » (pag. 144). Che si deve dire?! Dico francamente
che anche questo ragionare, come quelli notati dal Bartoli, mi pare fuor di re-
gola. Sopra che cosa si fonda il Pastor per tirare tanto grave conseguenza ?
Sopra un pregiudizio antico eh' egli ci dà per nuovo e sopra varie dicerie che
non hanno il minimo valore di prova per la critica seria. Se vuole che noi gli
crediamo, il professore d' Innsbruck deve provarci una cosa semplicissima: che
le idee ed i pensieri di costoro nel campo ecclesiastico derivano almeno
da' principj ammessi e professati dal Savonarola; altrimenti s' egli intende
nella condanna di costoro mostrarci condannato anche il Frate, solo perchè
alcuni di essi dicevano o predicavano d' esser figli di lui, dirò che il suo ar-
gomento prova troppo. E che? si potrà attribuire a Cristo la legge di Mao-
metto, gli errori di Ario e di Sabellio e di Manete, le eresie di Wycliff, di Huss,
Zwinglio, di Lutero, di Calvino, d' Enrico Vili, de' socialisti e de' comunisti
moderni, solo perchè costoro predicano di professare la dottrina di Lui?! Il
ragionamento è fallacia che prova troppo, ossia nulla. A pag. 378 nella lunga
nota il Pastor ci dice che poco prova (a favore s'intende della causa del
Frate) la venerazione e stima che San Filippo Neri e Caterina de' Ricci ave-
vano del Savonarola ! E noi lasciamo passar per ora 1' asserzione assoluta,
non concedendo però che tali santi non conoscessero e non intendessero il
Savonarola! Ma allora perchè dà egli tanta forza di prova ad eretici scostu-
mati per giudicar sinistramente quest'uomo singolare? Qui la doppia mi-
sura è facile scorgerla. In coscienza prima di affermar tanta infamia bisognava
veder Te dottrine ed i principj e la vita del Savonarola e poi quella di tutti
costoro, e veder se convenivano e come: il Pastor questo non l'ha fatto; ma
dal poco che di costoro pur dice, noi possiamo senz'altro studio capire benis-
simo eh' essi non hanno nulla, proprio nulla, che fare con il Frate di San
Marco.
(') Non crediamo che il Pastor voglia far risalire al Savonarola la responsabilità di co-
storo, in via diretta: sarebbe enorme la cosa ; ma ci sembra ad ogni modo già soverchiamento
grave quanto si dice o si lascia credere al riguardo ne' luoghi citati dell'egregio storico. An-
che qui speriamo che abbia egli occasione di ritornare sopra l'argomento e che possa chia-
rir meglio o moderare lo sue vedute.
— 315 —
Or quale è la vita, quale la dottrina, i punti più saglienti della dottrina, i
fatti più notevoli della vita del massimo numero di costoro ? Eccoli raccolti
dal Pastor, ed eccoli in opposizione alla dottrina e alla vita del nostro Frate.
Essi tenevano segrete conventicole (pag. 143); ma il Savonarola non volle mai
conventicole segrete, ma tutto ciò che fece lo fece sempre all' aperto. Essi
predicavano che se la Chiesa non si fosse rinnovata, più non s'avevano a con-
fessare (pag. 145); e il Savonarola predicava incessantemente la frequenza
della confessione. Essi pregavano solo in ispirilo, non udivano messa (pag. 145);
ma il Savonarola voleva canti spirituali e la preghiera vocale, e raccomandava
di udir la messa ogni giorno e ne dava le norme opportune. Essi professavano
opinioni eretiche e vivevano scostumatamente (pag. 145); ma le opere del Sa-
vonarola furon ricercate con ogni studio nè fu possibile trovarvi eresia, e la sua
vita è vita tutta illibata. Costoro volevano soppressi i mezzi salutari della Chiesa
e l'ordine sacerdotale (pag. 145) ; ma il Savonorola predicava incessantemente
1' uso de' Sacramenti, e non cessava di parlare della gerarchia ecclesiastica
e della divisione che esiste fra popolo e clero. Francesco da Montepulciano fu
trovato pazzo e del titolo di pazzo si compiaceva Martino da Brozzi; ma che
il Savonarola fosse tale nessuno fin qui ebbe 1' ardire di affermarlo, ed egli
non lo avrebbe mai consentito. Girolamo da Siena vien detto laico, che predicava
senza poter dar prova che fosse mandato (pag. 149-150); ma il Savonarola
era Domenicano e però evidentemente mandato a predicare, e riconosceva che
i laici per annunziare il verbo di Dio abbiano esplicito bisogno di giustificare
la loro missione, nè lo possano fare senza permesso dell' autorità competente.
Fra Bonaventura scomunica il Papa, tutti i cardinali e prelati, e istiga a se-
pararsi dalla Chiesa Romana (pag. 151); ma il Savonarola non ha mai sco-
municato nessuno e predicò sempre, che chi si separa dalla Chiesa Romana
non si può neppur chiamar cristiano.... Perchè adunque veder in costoro
l'azione e lo spirito del Savonarola? No, tutto questo non è serio.
E meno che mai io credo serio l'affermare che i propugnatori delle eresie
del Savonarola non ebbero riguardo di mettersi dalla parte del conciliabolo
rivoluzionario di Pisa, convocato a meri scopi politici dal re di Francia contro
il concilio legittimo del legittimo Pontefice Giulio II! E chiaro invece il contra-
rio. E basta leggere una pagina di Fra Tommaso Neri per convincersene. Que-
sto dottissimo apologista del Savonarola parlando dell' opera di San Bernardo
nel sostenere i diritti legittimi della sedia apostolica e del legittimo papa, dice:
« Nè si dee dubitar da veruno, che Fra Girolamo avrebbe 'I medesimo fatto, se
ei l'avesse ricercato quella necessità della Chiesa, che poi dopo la sua morte oc-
corse, e sforzò i suoi frati, e figliuoli in Cristo, a mostrar quali egli erano inverso la
santa sede apostolica. Ciascun sa la gran rottura, che cercava di mettere nella
Chiesa, Bernardino Carvagiallo, Guglielmo Brissonetta, vescovi, questi Prene-
stino, e quel Sabinese, Francesco Borgia, Rinato Bria, preti, e Federico Sanse-
verino Diacono, Cardinali, col caldo de' Principi eh' eran mal volti contro il
Papa Giulio II, i quali ragunarono molti prelati di Francia, e di Spagna mas-
simamente per celebrare in Pisa il Concilio, con animo di deporre il Papa.
— 316 —
Egli era in quel tempo vicario della nostra congregazione di San Marco, della
quale era stato autore Fra Girolamo, e poi nel 1530 Papa Clemente VII feli-
cissima memoria le dette il titolo di provincia romana, n' era, dico, Vicario ge-
nerale, Fra Bartolomeo da Faenza, uomo molto dabbene, il qual essendo nel
secolo, dell' una e dell' altra ragione Dottore, tiralo dalla fama di Fra Girola-
mo, se n' andò a Firenze, e da lui, nel convento di San Marco, ricevè 1' abito
della santa religione ed era divotissimo e affezionatissimo suo. Quest' uomo
dabbene fu con grandissima istanza dal predetto Bernardino Carvagiallo pre-
gato che con i suoi frati, a' quali eran volti gli occhi di tutto il clero di Pisa,
per veder quel che e' facevano, consentisse a quel Concilio, promettendogli,
che determinerebbero l'opinione della Concezione per la parte nostra, e cano-
nizzerebbero Fra Girolamo. Ma egli senza verun rispetto gli rispose, che egli
e i suoi frati erano apparecchiati perfin a metter la vita, per mantenerla fede
e la debita obbedienza al Papa, contro al quale eglino congiurato avevano; e
di quelle cose che prometteva di voler fare se ne rimetteva a Dio, e a quella
risoluzione che in qualunque tempo ne prendesse la Santa Apostolica Sede, e
così gli voltò le spalle, e senza temenza alcuna quei nostri padri poi serraron
le porte della Chiesa in faccia a quei prelati: e questo è quello che egli ave-
vano imparato da Fra Girolamo e così facevano ». Queste stesse cose racconta
il Padre Marchese nel Sunto storico del Convento di San Marco (lib. Ili, pag. 361 -
36 ì). Ivi troverà il lettore quanta fedeltà alla Chiesa e alla Sede Apostolica man-
tennero i discepoli del Savonarola e specialmente il Padre Bartolommeo Ron-
danini. E questi sono fatti, e per abbatterli ci vogliono fatti e ragioni, e non pa-
role. I savonaroliani del conciliabolo di Pisa saranno i seguaci del Savonarola
di L. Pastor, ma non mai del vero Savonarola. (')
(l) Lo spirito del Savonarola, a preferenza clie nelle persone delle quali ivi parla il Pa-
stor. io lo veggo nei Frati educati da quello, i quali quando la malizia dei giudici li per-
suase che il Profeta li aveva ingannati dichiararono concordi il loro attaccamento alla Se-
dia Apostolica e alla Sede Romana, né tornarono a coltivar la memoria del loro Padre e
Maestro, se non quando 1' arte diabolica che lo aveva condannato fu loro palese.
XIX.
La politica del Savonarola
i.
SE FRA GIROLAMO OCCUPANDOSI DI POLITICA
ECCEDESSE I LIMITI DEL PREDICATORE RELIGIOSO.
Sommario.
Ampiezza dell' argomento e come sia da noi ristretto. — Natura delle accuse politiche mosse al Frate.
Il Pasto! dà carico ripetutamente al .Savonarola d'essersi implicato in politica. — Perchè non si
citano altri accusatori. — Chi possa muovere semplicemente rimprovero al nostro Frate d'es-
sersi travagliato dello Stato. — Risposta a questi accusatori. — Altro senso dell' accusa. —
Esame. — Il Savonarola nou fu mai un vero politicante. — Andata del Frate a Carlo VIII. —
Questione che è utile porre, ossia perchè Fra Girolamo entrasse nel campo della politica. — Fi-
renze nel 1494 alla cacciata De' Medici. — Giudizio del Villari e del Ficino. — Sentenza che
vuol essere sottoscritta. — Necessità induce il Savonarola a travagliarsi dello stato. — Come e
quando abuia Egli incominciato a occuparsi delle cose di Firenze. — Giusto giudizio del Capece-
latro e nostra aggiunta. — Cenno dell'opera politica di Fra Girolamo. — Governo civile e leggi
per confortarla. — Spinto di libertà e tolleranza. — Ragioni metafisiche e morali. — Quali cose
importasse il ritorno de' Siedici in Firenze. — Stiamo con Leone XIII. — Conseguenze della
Condanna del Frate di S. Marco. — La grazia di Dio negli stati secondo il Savonarola. — La
riforma morale primo fine del nostro riformatore. — La costituzione degli stati e la beatitudine
a noi da Cristo promessa. — Limiti delle proposte Savonaroliaue. — Il Padre Marchese e i mo-
nocoli nel giudicare il Savonarola. — Il Frate di S. Domenico non fa legislatore nè reggitore
di Firenze. — La filosoòa del vangelo nella costituzione degli stati secondo il Savonarola e
Leone XIII. - L' età nostra ha bisogno dello spirito del Frate di S. Marco — Conci nsioue
nostra e del Pastor. — L' autorità di Leone XIII, e del Cardinale Capecelatro.
Amplissimo argomento è il presente; e trattato e svolto, come si con-
verrebbe, sott' ogni rispetto, eccederebbe i limiti del presente scritto. (') Noi
qui possiamo restringerci al puro necessario per ottenere il nostro fine, sentire
le accuse e ribatterle. L' esposizione completa delle teorie politiche del Frate,
(') Il lettore desideroso di conoscere 1' opera del Savonarola nella riforma dello Stato
può vedere nell'Aquarone i Capitoli VI e VII del libro II, e nel Villari tutto il Libro II e
parte del libro III. Cfr. anche il dotto articolo di C. Cipolla: Fra Girolamo e la Costituzione
Veneta, nell'Archivio veneto, VII-VIII.
— 318 —
com' anche molti particolari della vita di lui a questo riguardo, si vogliono la-
sciare ad altro lavoro.
Le accuse che non pure il Pastor, ma parecchi altri mossero e muovono
al Frate, per ciò che spetta alla politica, sono di doppia natura: prima si
incolpa d' essersi, egli religioso, ingerito nelle cose dello Stato: secondo d' es-
servisi dimostrato fanatico, intemperante ed eccessivo.
Più volte nel Pastor è dato carico al Savonarola d' essersi implicato nei
negozj politici e di aver così trapassato i confini che a lui religioso erano
segnati. A pagina 140 il critico d' Innsbruck già dice chiaro che il suo tro-
varsi a capo della cosa pubblica, 1' attività sua « in un ordine di cose estraneo
alla vocazione di frate, in uno colla sua missione di profeta, il deviarono non pur
dalla sua carriera propriamente ecclesiastica, ma lo sospinsero irresistibilmente
incontro all'abisso nel quale doveva perire». E a pagina 347 scrive parimente:
« Ove il Savonarola si fosse contenuto nei limiti del religioso, e del predicatore,
forse mai non si sarebbe trovato in serio conflitto con Alessandro VI. Ma col
suo spingersi pubblicamente oltre la sua competenza, e, nel suo esaltamento, nel-
1' essere più e più entrato nel campo della politica, offerse a' suoi nemici un
comodo appiglio a domandare che Alessandro VI procedesse contro di lui ».
E nel giudizio finale, quasi per togliersi ogni dubbio intorno l' interpretazione
delle soprascritte frasi, dice esplicito che « V ingerimento in politica fu, con la
disubbidienza verso la Santa Sede, il più grande difetto del Frate » (pag. 377). (')
Non citiamo altri accusatori, non perchè non ve ne siano, ma perchè il
citarli ci sembra inutile: essi s'intendono naturalmente compresi nel processo
al Pastor, che teniamo, per la sua autorità presso i cattolici, maggiormente
responsabile fra tutti i moderni. Il rimprovero o l'accusa, come è facile capire,
può avere più e diversi significati, e li verremo esponendo. Innanzi tutto può
voler dire che assolutamente nessun religioso e nessun ecclesiastico debba
ingerirsi nelle cose che riguardano la società civile, cioè il bene temporale
delle città e dei popoli, 1' attuazione del quale è opera dello Stato, e in tal
caso dovrebbe prendersi assolutamente alla lettera il detto che nessun soldato
di Dio, s' implica in negozj secolari, (2) e così 1' accusa sembrerebbe volere
non solo distinzione della società ecclesiastica e della Chiesa dalla società ci-
vile e politica, ma separazione. E allora logicamente al Frate potrebbero mo-
vere tale accusa tutti coloro che seguono e sottoscrivono le massime del falso
diritto moderno, condannato dal pontefice Leone XIII nelle sue Encicliche. Essa
importerebbe come presupposto che nessun prete o religioso può aver parte
in pubblico nelle cose spettanti al governo della società politica, importerebbe
la separazione della politica dal Cristianesimo già voluta dal Machiavelli, con-
dannato dal Pastor a pagina 109, ove parlando appunto del Principe, chiama
(') Le parole testuali della versione italiana suonano cosi : « il cui (del Savonarola) di-
fetto più grande fu il suo ingerimento in affari politici e la sua disobbedienza verso la
Santa Sede ».
(-) San Paolo, lettera II a Timoteo, c. II. v. 4.
— 319 —
« dottrine rovinose » quelle del politico fiorentino sulla « separazione della po-
litica dagli eterni principj del Cristianesimo ». In questo senso adunque non è
possibile ai cattolici accusare il Savonarola, e non 1' accusa certo il Pastor,
d' essersi ingerito in politica; perchè sarebbe lo stesso che fargli carico d' aver
predicato gli eterni principj del Cristianesimo, o d'aver chiesto che ad essi si
informassero le costituzioni degli stati.
Del resto qui il Frate già è stato ad ogni modo difeso trionfalmente da
molti, e fra gli altri dal Padre Tommaso Neri ; (*) nè fa d' uopo che lo di-
fendiamo un' altra volta ora noi che scriviamo a preferenza pe' cattolici ; e
con gli occhi tenuti a preferenza alle accuse del Pastor.
In quale altro senso adunque potrebbe prendersi 1' accusa per poterne
discutere e ragionare cogli ortodossi ? Bisognerebbe supporre che il Frate
avesse preso parte attiva alla politica con ingerirsi nella amministrazione della
cosa pubblica e nel governo senza il consenso e contro la volontà de' supe-
riori. Ha fatto egli questo? No assolutamente. Il Savonarola non ebbe mai
parte nessuna nelle cariche o negli iiffìcj della Repubblica Fiorentina; e solo
fu ambasciatore a Carlo Vili per volere di tutto il popolo, cosa della quale
nessuno si è mai sognato di fargli colpa. E il modo come adempì l' incarico e
le cose dette al Re Francese stanno lì non pure per giustificarlo, ma per mo-
strarne a tulli lo zelo per la casa di Dio, la salute delle anime e il bene di
Firenze, come al buon predicatore e all'ottimo religioso si conviene. Dunque
politicante egli non fu in questo senso, e 1' accusamelo sarebbe incolparlo di
cosa della quale non si è reso mai reo in alcun modo. (2)
(') V. Opera citata, p. 145, dove svolge questa questione: — Se a' religiosi si disdice tra-
vagliarsi degli stati.
(2) Nessun indizio, di nessuna maniera, da nessuna parte si può raccogliere che il Sa-
vonarola aspirasse anche da lontano a qualsivoglia dignità o carica nella nuova repubblica;
sarebbe assolutamente priva di senso l'asserzione del Pastor a pag. 347, che il Frate «stava
in via migliore per diventare « il re di Firenze », se non s' intende, come deve intendersi, nel
senso di padronanza morale, e non di Signoria. Vero è che l'accusa di aspirare alla tirannia
già glie l'avevano mossa i suoi contemporanei; come appare dalla famosa lettera ad un amico
dell'ottobre 1495, e dalle parole del Benivieni « Non sono mancati alcuni tanto sciocchi che
hanno detto che lui si vuol fare Signore a bacchetta della città di Firenze» (Tractato in
de/ensione, ecc., ed. 1496, cap. 14"); come dalle altre, cosi anche da questa, egli seppe assai
bene difendersi, nè doveva durar molta fatica. Una sola ragione gli bastava: « La tirannia
e il Gran Consiglio non possono stare insieme». E nel Compendio di Rivelazioni insiste nel
ribattere una cosi brutta accusa; rispondendo lungamente al Tentatore che gli obiettava:
« Huc unum tuas inficit responsiones, quoniam te statui et regimini civitatis Florentiae im-
plicas, et videris appetere principatam, quo tibi Hbet populum trahendo ». Rimandiamo il
lettore a quest' operetta certi che resterà soddisfatto. Nella predica XIX sopra Ruth e
Michea dimostra quanta amarezza cagionassero al suo cuore questa e altre simili accuse:
« Colui dice: — Questo frate fa questo giuoco per guadagnare de'buoni ducati. Non est salus
ipsi in Deo eius. (Salmo III, v. 2.) Non ha costui salute nel suo Dio, chè lo fa per guadagno
e non per lo onore di Dio. — Sciocco che tu se', chi mi ha dati questi ducati? hammegli tu
dati tu? Io non ho avuto un denaro. Io voglio solamente le spese, poca cosa mi basta. Oh!
tu hai i frati. E' sono i vostri figliuoli, lascio il pensiero a voi, so che voi gli darete le spese.
Tu di' puro: Quelli ducati o chi me li ha dati? Se io volessi ducati o ufficii, e se io volessi il
cappello, o mitria da Papa, oh gran maestri, io terrei altri modi. Io ti so dire ch'io non ho
tenuto via d'avere questi cappelli. Dice quell'altro: - Non est salus ipsi in Deo eius. Costui non
— 320 —
È difficile trovare un altro senso all' accusa senza andare nella seconda
forma, cioè di fanatismo, di eccesso e di esaltamento. Bisognerebbe almeno
che gli accusatori si chiarissero meglio e specificassero e mostrassero veramente
quali sono i confini segnati, i termini posti al vero religioso, e poi dicessero in
particolare dove e quando e come il Savonarola li abbia trapassati. Le accuse
generiche valgono poco, e possono mettere ingiustamente il difensore in una briga
troppo malagevole. Piuttosto che accusare in tal modo il Frale d' essersi in-
gerito in politica, a noi pare che sarebbe stato più utile che il Pastor e gli altri
si fosser proposta la questione del come e del perchè egli v' entrò e vi rimase.
E allora avrebber visto chiaramente che entrò in siffatto campo per 1' onnipo-
tente forza degli eventi, per lo zelo che 1' animava tutto di salvar anime e far
bene al prossimo e a Firenze, e renderla morale; e in ispecie vi rimase per-
chè vedeva che nessuno avrebbe altrimente osato e potuto levare autorevol-
10 fa per onore di Dio, ma per aver laudi umane: lascia giudicare questo a Dio. — Dice quel-
l'altro: -A questo Irate costoro gli faranno dare un tuffo. — 0 Signore, quando verrà questo
tuffo? Io lo desidero, ed io per me vorrei più presto starmi, e non predicare. Dice colui: —
11 Frate vuol esser tiranno, e danno ad intendere ai semplici ed aijli ignoranti mille favole e bu-
gie, come lece quell'Achitòfel che aveva grande ingegno, ed era cattivo, ad Assalonne. Guar-
dati che ti condurrà alla morte come e' condusse Assalonne: si che ognuno a questo modo
dice male di me. Tu antan domine susceptor meus es. -Ma tu Signor se' il mio aiutorio, io spero
in Dio che mi abbi perdonato i miei peccati, e ricevuto alla sua grazia. Et si Deus prò no-
bis, quis cantra nos.' Dice quell'altro: — Egli è eretico. Dimmi, in che è questa eresia? Si-
gnore mio, io non voglio altro che te. Costoro dicono che io ho avuto ducati: io non ho
avuto da persona cosa nessuna, e che non voglio altro che male e mormorazioni. Io no
tengo modi da cercare gloria umana. Absit hoc a me, a me basta questo: che tu abbi sparso
il sangue per mio amore. Io non voglio gloriarmi in altri che in te, Signore mio, io mi glorio
in questo che il mio Dio mi vuole bene. Gloria mea et exaltans caput meum. Tu se' la mia glo-
ria, tu esalti il capo mio, la mento mia. Non voglio cappelli, non mitre grandi, nè piccole.
Non voglio se non quello che tu hai dato a' tuoi santi: la morte. Un cappello rosso, un cap-
pello di sangue, questo desidero ».
L' intento e il desiderio di tutta la vita del Frate è anche molto bene espresso nella
prima delle sue poesie nell' edizione del Guasti:
Onnipotente Idio,
Tu sai quel che bisogna al mio lavoro,
E qual è il mio desio:
Io non ti chiedo scettro nè tesoro,
Come quel cieco avaro;
Nè che città o Castel per me si strua:
Ma sol, Signor mio caro,
Vulnera cor meum charitate tua.
Si ricerchino per bene i fatti e i detti del Savonarola e si vedrà ch'essi non sono altro
che un commento a questa poesia. Che poi non solo non aspirasse alla tirannide, ma fosse
da quest'aspirazione lontano le mille miglia, a noi pare che ne sia prova più che sufficiente
il non aver egli assolutamente fatto nulla per rendersi necessario all'esistenza del governo
stabilito, e tanto meno al disbrigo degli affari interni od esterni. Invece di questo egli si
adoperò al contrario con tutte le sue forze perchè il popolo Fiorentino, riconosciuto il benefì-
cio di Dio che era il nuovo online di cose, impedisse assolutamente che alcuno gli togliesse
la libertà e si facesse tiranno. E almeno in parte riuscì nell'intento: come lo dimostra chiaro
quello che successe dopo la morte di lui, giacché il governo civile continuò. (Cfr. Cipolla,
Archivio Veneto, Vili, pag. 72-78.)
— 321 —
mente la voce a scuoter il popolo dalla corruzione nella quale giaceva e a do-
nargli il gusto della libertà. (*)
Non è inopportuno recar qualche prova di questi asserti; e il farlo è cosa
molto agevole: basta aprire gli storici del Savonarola, e basta leggere per
esempio il capitolo secondo e il quarto del libro secondo del Villari, (2) e si
(') « Se le son buone le leggi che io ti voglio dare, perchè ti duoli adunque? Iole dico
e ricordale prima, perchè i cittadini non si ardiscono, però io che non ho avere paura di perdere
nulla nella tua città, l'ho proposte. Ma ti dico che delle particularità della leggo non me ne
curo: ilelle particularità io l'ho rimesse a voi. Dall'altra parte dello stato tuo tu sai che io
non me ne impaccio ».
c Lo scopo del Savonarola era la riforma morale, per essa aveva abbandonata la sua
famiglia e per essa aveva sempre combattuto. Il Savonarola vide disprezzata la religione,
scaduta la morale e si credette chiamato da Dio a ricondurre la società sul retto sentiero. Si
domandò egli la causa della corruzione degl'Italiani, e la trovò nella corruzione del clero
e dei principi. I principi erano depravati e depravatori; anzi avevano, come i Medici, latto
dell'arte di corrompere un principio di stato. Fu questa la causa per cui il Savonarola si gettò
nella politica». Cipolla, Archivio Veneto, Vili, pag. 60.
(z) Credo assai a proposito trascriver qui il principio del capitolo secondo; esso mi
pare assai vero ed importante: «Il mese di novembre del 1494 cominciava in Firenze con si-
nistri auspicii. La notizia inaspettata, quasi incredibile, dell'abbandono di quelle fortezze
che erano costate alla Repubblica lunghi assedii, spese enormi, ed erano la chiave di tutto
il territorio toscano, aveva subito sollevato il popolo. I cittadini e le lettere che venivano
dal campo francese, facevano poi crescere sempre più il furore di tutta la città. Essi dimo-
stravano quanto facile sarebbe stato ottenere dal Re patti onorevoli; con quanta viltà e
con quanto orgoglio, nel medesimo tempo, Piero dei Medici aveva messo l'intera Repub-
blica nelle mani di Carlo Vili, senza attendere gli ambasciatori, senza interrogare alcuno.
I discorsi erano perciò tutti pieni di sdegno, ed il popolo cominciava a radunarsi nelle
piazze e nelle vie. Si vedevano nella folla comparire di nuovo certe vecchie armi, tenute
nascoste per più. di mezzo secolo, qualche pugnale che si vantava d' essere stato vibrato in
Duomo, il giorno della congiura dei Pazzi; uscivano dagli opificii delle arti della lana e
della seta alcuni di quegli uomini forti, tarchiati e con visi sinistri, che rammentavano an-
cora i Ciompi di Michele di Laudo. Pareva che quel giorno i Fiorentini fossero, come per
incanto, tornati un secolo addietro, e che quel popolo, il quale aveva per sessant' anni sop-
portato così pazientemente la tirannide, fosse ora deciso di correre alle armi ed al sangue,
per riconquistare la sua libertà. Se non che, in quello universale furore, una universale in-
certezza e diffidenza dominava gli animi. I Medici, è vero, non avevano lasciato alcuna guar-
dia in Firenze, ed il popolo poteva d'ora in ora impadronirsi di tutta la Città; ma esso non
sapeva di chi si fidare, da chi lasciarsi condurre. I vecchi amici della libertà erano quasi
tutti morti nei sessanta anni trascorsi, fra gli esilii, le condanne e le persecuzioni; i pochi
che ancora s'intendevano dello Stato, erano uomini vissuti sempre col favore de' Medici, e
la moltitudine, uscendo dalla servitù, abbandonata a sé stessa, non avrebbe potuto altro che
trascorrere alla licenza. Era quindi uno di quei momenti terribili, in cui a nessuno è dato
prevedere quali eccessi, quali fatti atroci possano commettersi. Il popolo correva tutto il
giorno incerto per le vie, come un fiume impetuoso, guardava con occhio sinistro le case
di quei cittadini che avevano accumulato ricchezze coli' oppressarlo, né aveva alcuna dire-
zione sicura: solamente in sull'ora della predica raccoglievasi tutto nel Duomo. Ivi non
s'era mai vista la gente accalcarsi così stretta: gli uni pigiavano gii altri sino a che non si
potevano più muovere; e quando il Savonarola saliva finalmente sul pergamo, egli si tro-
vava come sopra un piano fitto e immobile di teste che lo guardavano. Su quei volti era di-
pinta un' insolita fierezza, un' insolita concitazione, ed a qualcuno si vedeva di sotto al lucco
rilucere la corazza ».
Anche Marsilio Ficino, che pur era creatura de' Medici, scriveva, a dì 12 dicembre del
1494, quanto segue a Giovanni Cavalcanti: «Nonne, propter multa delieta, postremuiu huic
urbi, hoc autumno (settembre e ottobre 94) exitium imminebat, nulla prorsus hominum vir-
tute vitandum? Nonne divina clementia, Florentinis indulgentissima, integro ante hune au-
tumnum quadriennio, nobis istud prcenuntiavit per virum sanctimonia sapientiaque prae-
21
— 322 —
resterà subito pienamente persuasi che nel 1494, Firenze, pur trovandosi in
urgenza gravissima, non vedeva in chi potersi confidare: si vedrà il Frate essere
stato il solo uomo che potesse comandare alla moltitudine, tenerla lontana da-
gli eccessi e avviarla ad un governo se non ottimo, almeno buono; e sotto-
scriverà senz'altro alla sentenza che dice: « L'uomo destinato a salvare il
popolo di Firenze era Frate Girolamo Savonarola. Sonava già 1' ora in cui
doveva entrare nell'arena politica; la necessità delle cose ve lo trascinava
inevitabilmente, nonostante la ferma volontà che aveva sinora avuta di aste-
nersene.... Il Frate quasi per forza e violentemente era spinto a divenir cit-
tadino. Egli vedeva dinanzi a sè un popolo intero, confuso e desolato, che
aveva bisogno d' aiuto, che volgeva verso di lui uno sguardo pieno di fiducia.
Vedeva la vanità della scienza, l'incapacità dei prudenti, la tristizia dei molti,
quando il suo buon senso, il suo forte volere, il suo sincero amore del bene
gli mostravano chiarissima la via da percorrere. Egli diveniva maggiore di sè;
parevagli aver la forza di riunire le discordi volontà, per indirizzarle alla re-
ligione ed alla libertà, sentivasi capace di riempire col suo amore e colla sua
anima l'intero popolo».^)
In questo caso poteva egli astenersi da scendere nel campo della poli-
tica? poteva dubitare anche un momento che chi lo invitava a scendervi, era
la Provvidenza? Qual conto avrebbe dovuto egli rendere a Dio se, guardando
a' suoi comodi e alla quieta vita della cella, che tanto l'attraeva, avesse egli
ricusato di secondare la nuova missione che Dio gli affidava?
Chi studia anche per poco il momento storico vedrà in quanto terribile
condizione si trovasse il Frate e ne ammirerà la prudenza, lo slancio e la
fede, la bontà eroica che lo fecero più pensoso degli altri ohe di se mede-
simo. La gloria di Dio, la salute delle anime, il bene comune di Firenze non
gli permettevano di ristarsi dal parlare, ed egli non si ristette. (2)
stantem, Hieronymum ex ordine praedicatorum, divinitus ad hoc electurn? Nonne praesagiis
monitisque divini» pei- hunc impletis, certissimuin iam iaiu supra nostrum caput immineus
cxitium nulla prorsus virtute nostra, sed piseter spem opinioneuique nostrana mirabiliter
vitavimus? A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris. Itoliquum est,
optime mi Iohannes, ut deinceps salutaribus tanti viri consiliis obsequeutes, non solum ego
atque tu, sed omnes etiam Fiorentini Deo nobis olementissimo grati simus, et publica
voce clamemus: Confinila opus hoc, Deus, quod operatus es in nobis ».
(') Questo non isfuggi al'Pastor, che a pag. 12S fra le altre cose prende dal Villari an-
che il periodo seguente: « Il Frate di San Marco dalla forza stessa dello circostanze veniva
a tiovarsi su di un campo per lui nuovo, lubrico e pericoloso; egli giustifica il suo infram-
mettersi nelle cose politiche, dicendo che l'aveva trovato necessario per la salute delle
anime Peccato che poi l'egregio storico non abbia tenuto il conto che si doveva di que-
sta verità!! Il Savonarola riputo tanto sovente nelle sue prediche ch'egli non si occupava
dello Stato, se non mirando al bone della religione, alla salute delle anime e all'onore di
Dio, che o bisogna credergli, o esaminar la cosa prima di condannarlo, e recare, in questo
caso, min golp parole, ma buone ragioni. Almeno bisognerebbe crederò che il povero
Frate non capisse quello che si diceva.
C) Il professore Cipolla scrive che «il Savonarola, volendo la mutazione dei costumi e
la restaurazione della religione e della inorale nella nuova sua patria, favori il mutamento
politico che gli ora proposto; e quando la famiglia do' Medici rovinò sè medesima, e si rose
— 323 —
Trascriviamo alcune cose dalle prediche di lui, le quali chiariscono e
confermano quello che diciamo: «Parliamo un poco a te, Firenze, chè t'ho
detto che questa mattina io non voglio predicare, ma parlare un poco teco
domesticamente. Tu sai che io t' ho predicato, già più anni, e sai che di tuo
stato non ho mai travagliatomi. Devi adunque conoscere che quello che ora
te ne parlo, lo faccio per tuo bene, e per tua salute, e non per mio; e al-
fine per gli eletti di Dio, perchè quello che io ti parlo, risulta tutto in onore
di Dio e in salute de' suoi eletti e di tutta la città tua. E per questo mi af-
fatico per tuo bene e senza nessuna mia utilità.
« Vedendo io appropinquarsi, dilettissimi, la mutazione dello stato e go-
impossibile. egli non rifiutò di prestare il suo appoggio per la composizione di un governo
nel quale si congiungevano le tradizioni fiorentine colla costituzione veneziana» (pag. 760)
Questo è tutto vero ed esatto; ma non bisogna però credere che il Savonarola predicasse
subito di politica, appena cacciati i Medici. EgU lece di tutto per vedere se gli era possibile
di evitare quest"arringo. Nella prima predica dopo la cacciata di Piero, il Savonarola esorta
il popolo ad umiliarsi, a far orazione, a confessarsi, a comunicarsi: impone orazioni e di-
giuni per render grazie al cielo; e perchè molti volevan far male a quelli dello stato vecchio,
egli grida con tutta la forza possibile, che s'usi misericordia a somiglianza di Dio. le opere
del quale, pur essendo giuste e misericordiose, più splendono sempre per la misericordia che
per la giustizia. Nella predica successiva fatta al ritorno suo da Pisa dal re Carlo Vili, dice
molte cose del fine della Vita cristiana, parla della semplicità della Sacra Scrittura, del Sa-
cramento, delle orazioni.... Quindi nella terza discorre assai della legge eterna, principio
d'ogni altra legge; mostra che sia il peccato e si ferma a parlare di coloro che già hanno
proposto di mutar vita e 1' hanno mutata entrando nell' arca, e invita a imitar questi, tutti
gli altri, i ricchi, i poveri, i tiepidi, i cittadini, i dotti d'ogni scienza, i plebei, gli artigiani, il
clero. Poi nel sermone successivo con molte altre cose di morale discorre dell'amor divino,
e dell'amore di concupiscenza; ed insiste perca» si compiano opere pie affine di placar Dio,
non essendo ancor finite le tribolazioni. Finalmente nella predica quinta dopo la cacciata,
importantissima se altra mai, nella quale discorre della rinnovazione della Chiesa, incomin-
cia a far cenni di politica ammonendo che si faccia legge con ogni cautela contro alla ti-
rannide, e ribattendoli detto di Cosimo de' Medici che gli stati non si governano coi Paterno-
stri e col divino aiuto; e quell'altro che, i popoli si debbono intrattenere con feste: afferma un
importantissimo principio, che è come il generatore di tutta la sua dottrina sociale che svolge
poi: «Ogni regno quanto è più spirituale è più forte: Cristo è stato regola non solamente
quanto alle cose spirituali, ma quanto ad ognuno, ad ogni cosa: Cristo fu la forma di tutti i
reggimenti'. Dopo ciò ci aspetteremmo senz'altro di vederlo gettarsi nel vasto campo; ma
egli si contiene ancora: e fa ancora un sermone nel quale, sebbene accenni ai pericoli che
sovrastano al cittadino che si vuol far tiranno ed esorti Firenze a pigliar buona forma di
governo, tuttavia, cominciando ad esporre Aggeo, parla assai della rinnovazione della Chiesa.
Nel seguente poi affronta veramente la lotta, affermando non disdire, ma piuttosto apparte-
nere a lui religioso, ricordar quello che convenga al governo della città per onor di Dio e
salute degli eletti. Dopo questa predica, che è la XV sopra Aggeo, non cessò più il Frate, a
seconda dell'opportunità, di consigliar quelle cose che meglio gli parevano far bene al
suo amato popolo e alla sua patria adottiva. Ora, se in questo framezzo egli avesse visto un
altro non ecclesiastico sorgere e guidare Firenze nella via del retto, a prendere una saggia
costituzione, per uscire dall' impossibile e miserando stato in cui si trovava, son certissimo
che il Frate si sarebbe taciuto, certo con immenso vantaggio per la sospirata riforma della
Chiesa. Ma pur troppo nessuno sorgeva, e il popolo non aveva lede a nessuno come a lui. E
d'altra parte, come dice il Villari, (e nessuno potrà smentirlo) «le antiche istituzioni ave-
vano perduto ogni vita, il popolo ogni educazione politica.... al nuovo stato di cose ninna
delle amiche forme repubblicane si addiceva..., e non v'erano gli uomini che potessero gui-
dare il popolo nella grave e difficile impresa di dare nuova costituzione a se stesso ». (Voi. I,
p. 265-266.) E allora il Frate senti potente la voce di Dio e si mise all'opera con tutto l'ar-
dore del quale era capace l'anima sua entusiasta.
— 324 —
verno della vostra città, e considerando che non poteva essere senza scandalo
e grande effusione di sangue se la misericordia di Dio non si interponeva, me-
diante la penitenza, digiuni e orazioni de' buoni, deliberai, inspirato da Dio, di
cominciare a predicare e esortare il popolo a penitenza: acciocché consegui-
tassi da Dio misericordia: e il dì di San Matteo apostolo, cioè a dì XXI di set-
tembre 1494 cominciai, e, con quante forze mi dette Dio, esortai il popolo a
confessarsi, e digiunare e orare: le quali cose avendo fatte volentieri, la bontà
di Dio commutò la giustizia in misericordia: e a dì IX di novembre mutossi lo
stato e il governo miracolosamente, senza sangue e senza alcun altro scanda-
lo, nella vostra città. Avendo dunque tu, popolo fiorentino, a pigliare nuovo
governo, ti convocai, escluse le Donne, nella Chiesa maggiore, presenti i ma-
gnifici Signori e gli altri Magistrati della tua città, e da poi molte cose dette
del buon governo della città, secondo la dottrina dei filosofi e de' sacri teologi,
ti dimostrai qual' era il governo naturale del popolo fiorentino ». (l)
Nella predica XIX sopra Aggeo (2) è anche più chiaro, sebbene parli con
parabola; ivi dimostra assai bene come entrasse in politica indotto da necessità, e
dal desiderio di far bene e salvare le anime; è un poco lungo il passo, ma non
so tenermi dal trascriverlo, tanto mi pare importante per la vita del Savonarola
e in particolare per l'argomento che ora ci occupa: « Un giovane partendosi
da casa sua, si condusse al porto del mare; e così camminando, e guardando
l'acqua del mare, vide certi pesciolini e vennegli voglia di pescare, e cominciò
così un poco con l'amo a pescare e pigliare qualche pesce; e crescendogli pur
1' animo e la volontà di pescare, uno gli dette una barchetta, cioè una na-
vicella, acciocché ei potesse entrare più dentro nel mare e pigliar de' pesci più
grandi. Finalmente il signore di questa navicella condusse questo giovane in
alto mare, tuttavia pescando, in tanto che volendo pur tornare al porto, guar-
dando intorno intorno, non si vedea più il porto; donde il giovine cominciò a
lamentarsi assai del padrone suo che l'aveva condotto in alto mare, in tanto
che non si vedeva porto alcuno, da potere tornarsi indietro.
« 0 Firenze, il giovine che è entrato in alto mare, e che si lamenta di
non vedere più porto è qui. A me fu detto : Vieni, esci della casa e della
terra tua, (3) e lascia ogni cosa, e fui condotto al porto del mare, cioè alla
religione, la quale è il vero e sicuro porto a chi cerca la sua salute, venni a
questo porto allora di età di anni ventitré. E due cose sopra le altre amavo,
che mi condussero a questo porto, la libertà e la quiete, e per avere libertà,
non vuoisi mai donna, e per avere quiete, mi fuggii dal mondo e giunsi a que-
sto porto della religione, dove trovai la libertà. Quivi facevo tutto quello che
(1j Queste medesime cose le puoi anche leggere nel Compendio di Rivelazioni.
(2) Questa predica è importantissima. Riepilogando il Frate a sua difesa contro gli ac-
cusatori lo cose che aveva predicato in quell'Avvento, e anche rifacendosi più indietro, vuole
mostrare ch'egli conosce dove si trova. Raccomandiamo al nostro lettoro di vedere per in-
tiero tale predica.
(3) Genesi XII, v. 1.
- 325 —
10 volevo, perchè altro non volevo, riè altro desideravo, se non fare tutto quello
«he mi era detto e comandato. Non avrei già voluto esser sacerdote, per più
mia quiete, ma per voler io fare sempre quel che mi era detto, chè così sti-
mavo esser la mia libertà e la mia quiete, fui condotto al sacerdozio, e così
giunto a questo felice porto guardai l' acque del mare di questo mondo e vidi
che assai pesci giravano per le acque del mondo, e venutomi voglia di pescare,
cominciai coli' amo a pigliare qualche pesciolino, cioè colla predicazione a ti-
rare qualche anima al porto, e alla via della salute, e perchè questo assai mi
piacque, il Signore mi mise in nave, e mi ha condotto a pescare in alto mare,
e pian piano e a poco a poco mi ha condotto qui, come vedete, in modo che
essendo io venuto in questo alto mare, non veggo più porto alcuno da ritor-
nare indietro, nè da ritrovare la mia quiete. Le angustie sono da ogni parie, (')
e quel che io debba fare, io non lo veggo. Dalla parte dinanzi in questo gran
mare, io veggo grandissima perturbazione e tempesta e conosco apparec-
chiarsi gran tabulazione innanzi agli occhi. Dalla parte posteriore non veggo
11 porto, e di più il vento contrario che ne spinge innanzi, nè pare che il Si-
gnore voglia che si possa tornare indietro. Dalla parte destra veggo gli eletti
di Dio, che domandano d'esser aiutati d'andare innanzi: e per loro, e per
aiutarli, mi trovo in questa angustia. Dalla parte sinistra sono i demonj e i
cattivi uomini loro membri e loro ministri, che tuttavia ci tempestano e ci mo-
lestano. Dalla parte superiore veggo vita eterna e il desiderio, e la speranza
grande di volere andarvi, ma la lunghezza del tempo da condurvisi è quella
che ne affligge 1' anima. Dalla parte di sotto veggo l' inferno: del quale assai
debbo temere e mi spaventa, perchè sano uomo e posso peccare, se Dio non
tenesse la mano sua. 0 Signore, dove mi hai condotto? Dirò come Geremia,
Signore, tu m'hai ingannato, e ingannato mi ritrovo: tu sei stato più forte di me,
e hai potuto più di me. r) Io per volerti pigliare questi pesci tuoi, mi trovo in
questo alto mare, e non veggo più porto alcuno da tornare alla mia quiete,
guai a me, madre mia, perchè mi hai tu generato e fatto uomo di rissa e di di-
scordia in tutta la terra? Io era libero e quieto, ora sono fatto servo d'ognu-
no. Veggo per tutto guerra e discordia venire sopra di me, almanco voi amici
miei, o eletti di Dio, per i quali giorno e notte mi affliggo, almanco voi abbiate
misericordia di me; (3) recate de' fiorì e de' frutti, come dice la cantica di Salo-
mone, per vostro amore languisco, (*) e fiori siano gli incipienti, e frutti faccino
i perfetti, fate bene e nulla altro cerco da voi, se non che piacciate a Dio, e
che salviate l'anima vostra: or lasciami riposare un poco in tanta tempesta.
Vedete la barca nostra dove ella si trova ; e poiché ancora dove il Signore la
voglia condurre non si vede, in questa notte io disputavo seco e riferitone parte,
essendo io pure esortato di andare innanzi, dicevo: Deh! Signore, riconducimi
(') Daniele, c. XIII, v. 22.
(2) Geremia, c. XX, v. 7.
(3) Giobbe, c. XIX, v. 21.
<*) Cantico de' Cantici, cap. II, v. 5.
/
— 326 —
al mio porto e alla mia quiete; elui rispondeva: — E'non si può tornare indietro.
Non vedi tu il vento contrario che ti spinge innanzi? — E io dicevo: Poiché tu,
Signore, non vuoi, tu sei pur giusto; dimmi, se io posso disputare teco un poco,,
benché io sia polvere e cenere e tu Signore del tutto, dimmi, se pure io debba
andare innanzi in questo mare del mondo pescando per te : perchè più qui
che altrove? che ho io a fare a Firenze? Io sono nato, come tu sai, e allevato
a Ferrara e non a Firenze. Il Signore rispose e disse: — Non ti ricordi tu d'aver
letto di quell'uomo che discendeva di Gerusalem in Gerico e fu assaltato e
e assalito dai ladroni nella strada, e che quivi passarono di quelli della sua
patria e nessuno di loro lo prese a curare, ma solo il Samaritano alienigena
e forestiere lo prese a sanare e guarire? Non sai tu ancora che egli è scritto :
Nessun profeta è accetto nella, patria sua? (*) Però tu forestiero, sei ridotto a
predicar qua fuori della patria tua. Io risposi al Signore con riverenza e dissi:
Signore, io non resto per questo soddisfatto. Io sono contento quanto a pre-
dicare ordinariamente in riprensione de'vizj e aumento delle virtù qui in Fi-
renze e dove ti piace. Ma che ho io a fare dello stato di Firenze a predicarne?
Allora il Signore disse: Vieni con me, e io andai : e lui mi condusse in una
bottega di un pittore e gli disse: Vorrei che tu mi facessi una figura di pietra
o di legno; e il pittore disse: Io non sono scultore e l'arte mia è solo il di»
pingere. Allora il Signore mi condusse a una bottega dello scultore e dissegli:
Dipingi qua una figura, e lo scultore rispose: non è arte mia il dipingere.
Donde il Signore ultimamente mi condusse alla bottega dell'orefice e gli disse
voleva che lui facesse una figura scolpita e di rilievo e dipinta. E l'orefice
disse saperla fare, e il Signore soggiunse e dissemi: Non sai tu che alcune
arti sono semplici, di saper fare una cosa sola, alcune sono miste di far più
cose insieme, come l'orefice che sa pingere e scolpire? così bisogna fare a
te, mi disse il Signore, il predicare, a che tu attendi, è cosa spirituale: ma bi-
sogna ancora, attendendo principalmente allo spirito, fermare tutte quelle cose
che conservino e mantengano lo spirito, e le cose con che lo spirito si gover-
na. Così qui, volendo fare una città spirituale e che viva con rettitudine, biso-
gna fare un fondamento, e una clausura in cui lo spirito e la buona volontà
vi si conservino, e che non sia tolta via e dissipata dagli uomini perversi. Tu
sai che per far vivere, e conservare gli eletti di Dio è fatto tutto questo uni-
verso, e composto tutto questo mondo per loro, e a loro benefizio, così bisogna
fare a Firenze, volendo che ella sia buona, bisogna farle uno stato in cui si
conservi la bontà, se lei vorrà esser buona. Allora io risposi al Signore e dissi:
Io non sono istrumento atto a questa cosa, vorrei Signore, che ti piacesse
eleggere un altro più atto e migliore instrumento di me. Lui mi rispose: — Non
sai tu che Dio elegge le cose vili e inferme per confondere e superare le cose forti
e gagliarde, (2ì e non vuole che la lode si attribuisca allo instrumento, ma a
Dio? Tu sarai solamente instrumento, e io sarò il maestro che farà lo edilìzio;
(') Vangelo di San Luca, o. IV, v. 24.
(*) Lettera I ai Corinti, c. I, v. 27.
che instrumento si sia io non me ne curo, o nobile, o ignobile : la virtù ha a
venire da me, disse il Signore, e non dallo instrumento, e non voglio che lo
instrumento possa dire : io ho l'atto, io ho detto. — Allora io convinto dissi :
— Signore, eccomi parato alla tua volontà, ma io vorrei sapere, se ti piace, che
premio si conseguirà di questo neh' altra vita. Rispose il Signore : 11 premio
di vita eterna è tanto grande, che occhio, ne orecchio, uè cuore umano non lo può
comprendere, ne intendere qua. (') Io soggiunsi : In questo mondo che ne seguirà?
Il Signore disse : Non è maggiore il servo del suo Signore. (*)• Tu hai pur letto
che dopo le predicazioni mie fatte al popolo giudaico, che ei mi crocifissero.
Così interverrà a te, e non altrimenti. — 0 Signore, dissi io allora, Dammi questo
martirio. Concedimi che io muoia per te, come tu moristi per me. Io veggo
il coltello già arrotato per me. — Aspetta pure un poco, disse il Signore, che
sian fatte quelle cose che s' hanno a fare, e poi usa quella fortitudine che Dio
ti concederà. Or tu hai inteso, Firenze, che io veggo e conosco il grado in che
io mi trovo. Impara tu che vuoi essere predicatore, che cosa è entrare in
alto mare: e' bisogna navigare secondo che piace al Signore, al padrone della
barca. Sta in umiltà, e lascia fare a Dio, lui ti guiderà, e nessuno ti potrà nuo-
cere, se non quanto Dio vorrà, e alla volontà sua tu devi stare contento ». (3)
Posto ciò, noi non pure affermiamo con il Capecelatro che « il Savonarola
non ebbe alcuna colpa, neanche menoma, d' unire insieme la riforma di re-
ligione con la riforma civile o politica; e che tale unione era talmente con-
naturata con lo stato delle cose allora in Firenze, che ogni sforzo di separarle
sarebbe riuscito vanissimo », (*) ma oltre a questo, noi crediamo fermamente
ancora che, se Fra Girolamo si fosse tirato indietro, e non avesse predicato,
come fece, la riforma dello stato, avrebbe commesso grave colpa, avrebbe
potuto chiamarsi responsabile dei mali che quindi sarebber nati, del sangue
che si sarebbe sparso e delle mine che la tirannide risorgendo avrebbe pro-
dotto.
Così già ci resta provata almeno una cosa: che il Frate Domenicano punto
non venne meno all' ufficio suo di religioso, entrando nel campo della politica.
Per veder meglio che egìi non fece della politica contro la sua professione di
religioso, nè andò oltre 1' ufficio suo di predicatore della parola di Dio, sarà
bene scendere al particolare, e veder che cosa insegnò e consigliò egli al po-
polo Fiorentino, e che cosa fece nella città di Firenze. Per questa via riusci-
remo, speriamo, a vedere anche come il nostro Frate non errò qui nemmeno
se si ha riguardo al tempo, alla misura e al modo dell'azione sua politica.
Prima, riguardo alla riforma del governo, egli predicò apertamente a Firenze
(') Lettera I ai Corinti, c. II, v. 9.
t2) Vangelo ili San Giovanni, e. XV, v. 20.
(3) I passi analoghi ai presenti nelle prediche elei Frate son molti, ina il citato basta
per noi, chi ne volesse leggere altri, veda le prime prediche sopra i Salmi o la I sopra Amos
e Zaccaria e sarà soddisfatto.
(4) Vita di San Filippo Xeri, Libro II, cap. V.
— 328 -
di reggersi a popolo: questa fu una tra le prime cose ch'egli consigliò ai
Fiorentini. Ma si noti innanzi tutto che non era questa 1' unica, nè la prin-
cipale cosa che egli proponesse: « Io ti ho detto quattro cose, che se tu
non le farai guai a te. Prima il timor di Dio, secondo il ben comune, terzo
la pace universale, quarto la riforma. Voi avete cominciato a rovescio, cioè
dalla riforma, che era 1' ultima.... Seguitate almeno a rovescio e fate questa
pace....» E questo egli diceva I' 11 gennaio 1495; e già nella predica XIII
sopra Aggeo, e poi anche più aperto ed esplicito nelle seguenti, aveva par-
lato de' mali del tiranno, (') e nella XVIII aveva detto senz' altro esser vo-
lontà di Dio che Firenze si reggesse a popolo. Sono poi note ad ognuno le
molte cose che negli anni successivi e in questo medesimo predicò, scrisse,
fece, a tener persuaso il popolo, che questa forma di governo era ad esso la
più conveniente e naturale ; e che facendo tirannia avrebbe ruinato la città,
com' è notissimo che nel Trattato circa il reggimento della città e governo di
Firenze, in qualche modo raccoglie le cose in questo campo predicate. (2)
Ha egli ecceduto qui e varcati i limiti che gli erano segnati? e diceva il
falso affermando eh' egli « trattava particolarmente del governo della città di
Firenze quanto spettava al grado suo? » e si è proprio egli spinto oltre l'ufficio
del buon religioso? e anche guardando alle circostanze eccezionali, dovremo
proprio inesorabilmente condannarlo? A me par di no. Prima di tutto osservo
ch'egli non si curò di questa materia mentre stavano al governo i Medici; (3)
ma solo dopo alquanto tempo ch'essi erano cacciati. Anzi, finché stettero in
Firenze i Medici, sebbene si mostrasse inflessibile alle allettative di Lorenzo,
nessuna contrarietà egli mostrò alla politica medicea, e la stessa separazione
del Convento di San Marco dalla Provincia Lombarda, pare che si facesse
coli' ajido dello stesso Piero de' Medici. (4) In secondo luogo noto che nella sua
proposta s'appoggiò continuamente a filosofi e teologi; nè l'avrebbe fatta, se
il popolo fiorentino avesse patito il governo di uno; chè allora s'avrebbe
avuto da instituire un principe, non un tiranno, il quale fosse prudente, giusto
e buono; ina esaminando egli bene le sentenze e ragioni dei sapienti, cosi filo-
sofi come teologi, e specialmente di San Tommaso, (5J gli parve di conoscere
chiaramente che alla natura del popolo Fiorentino vivace, abbondante di san-
gue e d' ingegno non convenisse tal forma di governo, in sè per altro ottima,
ma gli stesse meglio la forma di repubblica, ossia civile. (6 )
(') Cfr. il Compendio di Rivelazioni, dove troverai molte cosa utili a questo riguardo, e
anche, specialmente intorno alla questione, se la forma di Governo che il Savonarola pro-
pose a Firenze non fosse per questa città la migliore e più conveniente.
f) Per le idee del Savonarola intorno al Tiranno, oltre al Trattato circa il reggimento e
governo della città di Firenze, e molti altri discorsi, puoi vedere le prediche Vili e IX sopra
Amos e Zaccaria.
(•) Cfr. Pellegrini, Arrh. della Soc. liom. di Stor. Patr., XI, pag. 707, testo e nota 9.
(") Villari. v. II, p. clxxvi. Cfr. Tommasini, Ardi. d. soc. Som., X, p. 707, nota.
(s) De Regimine prinripum, IV, VITI.
(") l'I questa relativa perfezione il Savonarola era intimamente persuaso fin da princi-
pio; ma s' andò sempre più confermando con 1' andare del tempo non trovarsi alcuno che
— 329 -
Era adunque quanto di meglio allora convenisse a quel popolo la forma con-
sigliata dal Frate, e mentre da lui attendevano il consiglio, come poteva egli ta-
cere? E questo per ragioni metafisiche, etnografiche; ma il Savonarola ne aveva
altre parecchie, come è facile vedere a chi legge nelle sue prediche. Ci pare
abbia colto felicissimamente nel segno il cardinale Capecelatro: « In Firenze
il Savonarola vide che il Trionfo de1 Medici tirava con sè il Trionfo dei ban-
chieri, dei ricchi, degli usurai, e di tutti coloro che sotto il nome di tiepidi av-
versavano il buon costume, la pietà e la desiderata riforma; perciò egli si fè
promotore in Firenze del governo popolare, che era colà il governo della parte
dei più, dei buoni e dei riformatori ».
Stando così le cose, come si potrà dire non essere ufficio del buon reli-
gioso, dell' uomo di Chiesa, quello compiuto dal Frate? Se il predicatore sacro
non deve sforzarsi ad impedire fra il popolo il trionfo de' banchieri, dei ric-
chi, degli usurai, di coloro che avversano il buon costume, la pietà, qual' è
dunque l'ufficio del predicatore cattolico? Chi può dubitare che, se Firenze ac-
consentiva che la reggesse un signore, questi sarebbe stato de' Medici? E chi
può dubitare che il ritorno de' Medici, oltre le brutte cose enumerate dal Ca-
_J
sapesse in alcun modo proporgli nulla di meglio, nè riuscendo egli a ciò in nessuna guisa.
Fra le accuse mosse dal Pastor al Savonarola figura anche quella d'intolleranza e d'assolu-
tismo. Egli, secondo il critico d'Innsbruck, non rifuggiva d' inframmettersi nella libertà della
vita privata che in Firenze era sempre stata tenuta in alto pregio (pag. 138.) E si arrogava
per sè il diritto di essere l' immediato interprete del volere divino anche in affari di pubblica
amministrazione » (pag. 141). Di queste accuse il Pastor non riuscirà mai a dare nemmeno
1' ombra della prova; imperocché è vero diametralmente l'opposto. I fiorentini col muta-
mento dello stato e la legge favorita del Frate non persero la libertà, ma l'acquistarono
sotto ogni rispetto. Quanto ad arrogarsi per sè il diritto di essere l' immediato interprete del
volere divino, anche in affari di pubblica amministrazione, bisognerebbe clie il critico venisse a
qualche particolare per discutere. Noi troviamo che ben poche cose il Savonarola disse come
avute da Dio, e di queste non ne conosciamo alcuna che si riferisca alla pubblica ammini-
strazione. Sovente, è vero, diceva essere voluto da Dio ciò che egli predicava, ma con ciò
non voleva dire eh' egli fosse l' interprete divino, ma solo che quanto predicava era essenza
d'Evangelo, era dottrina di Cristo e conforme alla ragione. E perciò faceva allora quello
che può e deve fare ogni buono e fedele predicatore. Nel Compendio di Rivelazioni si leg-
gono le seguenti parole: « In novo Florentiae civitatis statu et in summo eius periculo vi-
debatur officii mei esse consulere quomodo ea gubernanda foret, tamen sine dilina inspira-
tione pubblicae saluti utilia et necessaria civibus suasi, non autem eos coegi ». Del resto che
il Savonarola nelle sue proposte che si riferivano allo Stato fosse molto remissivo e lasciasse
libera la discussione e non fosse mai esclusivo, è provato all' evidenza dalle sue prediche
nelle quali molto spesso, dicendo eh' egli era uomo e poteva errare, si rimetteva a chi sa-
pesse trovar di meglio. E come di assai altre cose, questo diceva egli anche del governo;
come appare anche dalla lettera ad un amico, nella quale scrive appunto che «per soddisfare
ad ognuno, egli ha ripetuto molte volte in pubblico che coloro i quali non erano contenti
volessero trovarne uno migliore, ed egli si offriva a proporlo e a farlo stabilire >. E se altri
avesse ciò fatto, noi siamo persuasi che egli avrebbe certo da parte sua mantenuto la fede.
Ma, come egli stesso continua a dire, «nessuno è riusoito a tanto : ed ora invece avvenuto
molte volte che dopo d'esser venuti a colloquio particolare con lui sopra questo argomento
uomini di valore finirono per concludere essi stessi che non si poteva dare miglior governo
a Firenze. Quanto ai contradittori, quando essi son serrati al muro dalla forza delle ragioni
de' buoni cittadini, restano muti: e non sanno tampoco che cosa vogliano; ma si vede chiaro
che loro intenzione sarebbe o d'essere tiranni o d'esser schiavi». (Cf. la predica XXIII
sopra Aggeo, la XIX Sopra Ruth e Michea e più altre.)
— 330 -
pecelatro, avrebbe portato con sè molto spargimento di sangue, molti esigli,
molte confische? E il Savonarola costretto a entrare nel campo della politica
doveva cooperare almeno negativamente a tutto ciò? Doveva tacere il vero al
popolo che pendeva dal suo labbro? E se anche s' avessero avute assicurazioni,
e non se ne potevano avere, che queste afflizioni non avrebber colpito Firenze,
chi può anche solo immaginarsi un Savonarola che s'adoperasse al ritorno
nella bella città di quella Casa che, come dice il Pastor (pag. 346), l'aveva ma-
lamente guasta? ! ! Nel caso doveva rinunciare ad ogni idea di riforma e lasciar
libero il trionfo del paganesimo. Non v' è dubbio che il meglio per Firenze, se
si guarda con occhio cristiano, era il consiglio del Frate ; o almeno non v' è
dubbio che il Frate credéva sopra tutto conveniente per Firenze la forma di
governo da lui consigliata. Chi adunque lo vorrà incolpare del consiglio? Così
Firenze si fosse tenuta salda ognora a quanto il Frate le aveva predicato!! (i)
Io non pretendo che tutti, solo per quello che ho detto, abbiano a pensare
qui come il Savonarola pensava: ma dico eh' egli aveva certamente il diritto
di pensar così e di manifestare questo suo pensiero, e nessuno lo deve per que-
sto e può chiamare in colpa, nè anche tra quelli che non gli volesser dar lode,
come a me parrebbe giusto di fare. Torna molto a proposito ciò che c' insegna
nella Enciclica sulla Costituzione cristiana degli stali Leone XIII. « Ove si ra.
gioni di cose meramente politiche, come sarebbe della miglior forma di go-
verno, se si debbano ordinare gli stati' secondo questo o quel sistema, è fuori
di dubbio che intorno a siffatti punti si può onestamente essere di diversi pa-
reri. Perciò, trattandosi di persone, di cui si conoscano i religiosi sentimenti e
l'animo disposto a ricevere con la debita sommessione le decisioni della Santa
Sede, giustizia non vuole che siano chiamate in colpa per una differente opi-
nione che abbiano circa le materie sopra indicate: e ingiustizia anche mag-
giore sarebbe muover loro 1' accusa di violata o sospetta fede cattolica, come
è avvenuto con nostro rammarico ». Or quanto più dovremo seguir le norme
che il savio Pontefice bandisce, allorché chi ci intrattiene di siffatti argomenti,
10 fa con ispecial riguardo alla religione e quasi solo per essa?
Per affermare che contradice all'ufficio religioso il predicare che fece il
Savonarola de' mali che la tirannide aveva prodotto in Firenze e di quelli mag-
giori che produrrebbe, se rinnovata, bisognerebbe dire che un predicatore cat-
tolico, ne' grandi bisogni del popolo cristiano, dovrebbe tacere e non potrebbe
servirsi, concionando, della storia, nè esporre le dottrine di San Tommaso, l'En-
cicliche del nostro Pontefice, e nemmeno buona parte della Bibbia.
Bisognerebbe proibire al predicatore cattolico di spiegare al popolo il verso
4 del XXXI de' proverbj : Il Re giusto solleva la terra, l'acaro la distrugge, e
11 27 del XXII di Ezechiele: 1 prìncipi suoi in mezzo ad essi quasi lupi che
(') Vedi il Compendio di lìioeìazioni. dove il Fritte risponde al Tentatore, oho gli aveva
obiettato, che il governo da lui persuaso era pericoloso per i Fiorentini, e troverai provata
la proposizione seguente: « Si regimen hoc recte consideretur, bonum et naturalo est populo
Fiorentina ».
— 331 —
rapiscon la preda per isparger sangue; e il v. 18 del IX dell'Ecclesiastico:
Sta lungi dall' uomo che ha potere di uccidere. Bisognerebbe proibire al pre-
dicatore cattolico di esporre al popolo il v. 2! del cap. XV di Giobbe cbe
del tiranno dice: Il suono del terrore è sempre nell'orecchie; e pur essendovi
pace, egli sempre sospetta insidie; e molti detti di Salomone: Regnando gli empj
ruinan gli uomini. Quando gli empj afferrano il principato, geme il popolo quasi
tratto in servitù; ricomparendo gl' empj, s'ascondono gli uomini.... Leone che
rugge e orso affamato è il principe empio sopra il povero popolo.... (*)
E die cosa fece altro in politica Fra Girolamo che non mirasse a man-
tener salda questa forma di governo? A ciò miravano, e non ad altro, il Con-
siglio Maggiore, e il Consiglio degli Ottanta, il riordinamento delle gravezze, e
l'appello delle sei fave, il tribunale della Mercatanzia o di Commercio; l'abo-
lizione de'Parlamenti. E in tutte queste proposte, chi conosca in cbe veramente
consistevano e come il Savonarola le faceva e difendeva, come può vedere un
eccesso dell'ufficio del buon religioso?
Ma più di tutto e sopra tutto il Frate raccomandava il timor di Dio e
l'amore al bene comune. (2) Quello che egli voleva era che il governo si man-
tenesse nella grazia di Dio e si fondasse in quella, che è sorgente d'ogni
potenza.
« Un regno quanto sarà più spirituale, tanto sarà più forte e migliore,
perchè essendo più vicino a Dio, partecipando più dello spirito e del divino,
bisogna che sia migliore, più stabile e più perfetto.... Non è vero questo tuo
proverbio che gli stati non si possano reggere colle orazioni e co' pater nostri,
anzi è utto il contrario: chè molto meglio si reggono collo spirito, che con
(') Vedi, a questo riguardo, i primi capitoli de Regimine, principum di San Tommaso.
(2) Del timore di Dio il Savonarola parla quasi in ogni predica che tocchi del governo.
Che cosa poi intendesse egli per bene comune è determinato egregiamente dallo Storico
Delie Signorie Italiane: «,11 Savonarola aveva sempre in bocca la frase bene comune. Ben
pubblico è un concetto ben differente da quello di ben comune: l'uno è il bene dello stato
preso iu complesso, l'altro è il vantaggio particolare di tutti i cittadini componenti lo
stato. E perciò la parola del Frate importava la pace fra i partiti, il perdono delle offese
e 1* obblio dei tempi passati ». (Pag. 706.) Se ti piace vedere un luogo fra i mille ne' quali
il Frate chiarisce questo suo concetto, leggi la predica XIX Sopra Aggeo e sarai soddisfatto.
TJn altra giusta veduta dell'illustre professore dell' Università di Torino si è d'avere scorto
assai chiaramente che «il nuovo ordine civile della città tosse l'ultimo, per ordine, degli
scopi del Domenicano; e che il primo e vero scopo del Savonarola, quello pel quale egli di
continuo si professava inviato da Dio, era la riforma morale ». (Ivi, testo e nota 4.) Infatti
il Savonarola voleva che le stesse leggi buone che proponeva o consigliava fossero come
una conseguenza ed un aiuto della ritorma morale da cui si doveva incominciare; e si la-
gna sovente, nelle prediche sopra Aggeo e in quelle sopra i Salmi specialmente, che i suoi
Fiorentini procedessero a rovescio. Insistiamo poco sopra di questo punto, perché amiamo
che appaia in tutta la sua nudità 1' opora politica del Frate; ma il lettore, se non vuole
andar oltre il giusto anche leggendo queste nostre poche pagine, tenga ognora presenta
questo primo ed ultimo scopo del nostro Autore, e gli sarà facile risolvere da sè anche
quelle altre difficoltà che gli possono venir fatte e ohe non sono qui da noi risolute. Le idee
e le cose politiche del Savonarola che qui esponiamo devono trarsi di mezzo a tante ve-
rità di feue e di vita cristiana che, leggendole dove esse stauno, apparirebbero forse misti-
che, più che altro.
— 332 -
altre cose umane. L' esempio tu lo hai nel Salvatore nostro, il quale ha fon-
dato il regno suo nella grazia; vedi quanto ei fu potente da principio, che
quei poverelli semplici e scalzi solo con la grazia che Cristo prestò loro vin-
sero la potenza del mondo colla debolezza; la ricchezza con la povertà; la
sapienza del mondo colla stoltizia della croce.... Vale più la forza dello spirito
e dell1 essere spirituale, che nessuna altra cosa. Vedi ancora, e leggi tutte le
istorie antiche, che gli uomini quanto più erano in grazia tanto più ottene-
nevano e vincevano. Guarda Mosè, guarda Giosuè, guarda Gedeone e gli altri,
che n' è piena la Scrittura, e le istorie antiche.... Chi è in grazia di Dio, ha se-
gno d'esser de' suoi eìetti; e perchè Dio de' suoi eletti lia più speciale prov-
videnza, che degli altri, però quel reggimento che si governa colla grazia, Dio
n' ha più speciale provvidenza; adunque è migliore e più stabile.... Quel regno
che ha persone di speciale fortezza è più sicuro ; ma chi è in grazia di Dio
è munito di più speciale fortezza ; adunque il suo reggimento è più sicuro....
Dove è maggiore unione è maggior fortezza; ma chi è in grazia e carità ha
maggiore unione; adunque ha maggior fortezza.... Dove è più obbedienza, qui
è maggior virtù e fortezza; ma dove è la grazia è maggior obbedienza; adun-
que quivi è maggiore fortezza. Dove è grazia di Dio, quivi si vive più parca-
mente, e tal vivere fa gli uomini più gagliardi, e forti che non sono i golosi ;
adunque quel tale reggimento è più forte.... Dove sono maggiori ricchezze e
quel luogo e suo reggimento è più forte ; ma maggiori ricchezze si fanno
dov'è la grazia di Dio; adunque quel regno è più forte, perchè il comune e
il pubblico se ne può aiutare ne' suoi bisogni.... Dove si vive virtuosamente,
quivi volentieri vi concorrono tutte le arti e le mercanzie, e così fanno sempre
quel luogo più nobile e più famoso.... Ne' bisogni della guerra i soldati più vo-
lentieri vanno in aiuto, e al soldo di una città fedele e timorata, che osserva
la fede ne' suoi pagamenti; adunque, ecc. ecc.... Le città circostanti temono più
della città ben regolata e unita in sè medesima. Parimente volentieri con
quella i vicini circostanti pigliano amicizia. Parimente dove è la grazia di Dio
gli angeli custodiscono quel regno, e specialmente lo difendono in ogni suo
bisogno, per difensione degli eletti di Dio che quivi abitano ». (Sopra Aggeo,
pred. XIII; cfr. ivi pred. Vili, XVII, XVIII.)
Stando così le cose, e Fra Girolamo per senno politico avendo riscosso
molte lodi, quale fra i cattolici vorrà negargli, anche in questo campo, molto
zelo per la morale cristiana, per la gloria di Dio e per la salute delle anime?
Eran questi i buoni e santissimi principj che egli predicava; erano i dettami
della filosofia dell' Evangelo; e li predicava e ricordava al popolo perchè i
Fiorentini, legiferando, ordinassero il governo di Firenze, « come devono es-
sere ordinati finalmente tutti i governi degli uomini cristiani, alla beatitudine
a noi da Cristo promessa ». {Trattalo circa il Reggim., cap. III.)
Del resto, se il Savonarola era non pure nel diritto, ma nell' obbligo di
proporre la forma di governo che propose a Firenze, sarebbe assurdo d'accu-
sarlo d'aver quindi suggeriti i mezzi per conservarla, quand'essi son tutti mo-
rali e savj; savj tanto che riscossero la lode de' maggiori politici anche tra gli
— 333 —
avversai^ dell'ardito Riformatore. Ma io vorrei che si attendesse a quello che il
Frate ripetutamente afferma, eh' egli cioè si teneva sulle generali nelle sue
proposte e dava, per cosi dire, il concetto delle buone leggi, o meglio i prin-
cipj a cui dovevano informarsi; non entrava mai in nessuna speciale disposi-
zione, il che riconosceva non essere officio suo, e perciò non se ne occupava ;
e non troverete nemmeno una parola, nella lunga sua predicazione, che possa
offrir pretesto di accusarlo d' esser venuto meno a questo proposito. Mirabile
è la chiarezza con cui egli vedeva la distinzione fra 1' ufficio del Religioso e
del Politico!
Il padre Marchese con molta giustezza osservava che molti che scrissero
di Fra Girolamo Savonarola non considerarono se non quella parte della sua
vita che si versò nelle pubbliche faccende dello Stato; ma costoro per questo
caddero in molti errori giudicando il grande oratore e profeta e non solo non
presentarono gran fallo la vita intima di quello; ma non seppero per alcun
modo intenderne 1' opera, nè politica, nè religiosa, riè morale. Un altro errore
affine a quello di colesti monocoli a noi pare che sia quello di coloro che pure
studiando Fra Girolamo nel suo complesso, allorché entrano nella politica, im-
maginano e presuppongono che Fra Girolamo fosse e abbia voluto essere il
legislatore, il reggitore, il dittatore della Repubblica Fiorentina e che in lui si
debba trovare quanto s' aspetta da un' assemblea costituente e da un' assem-
blea legislativa e dal polere esecutivo, giudiziario; e poi, leggendone le predi-
che e non vedendoci tuttociò, dicono eh' egli non seppe precisare o colorire il
suo disegno, impedito dalla mente che aveva confusa ed agitata.
Guardando bene la cosa, a noi pare che si possa semplicemente sottoscri-
vere alla sentenza dello Storico delle Signorie Italiane, nostro veneratissimo
maestro: « Il Savonarola comprendeva che il presentare un disegno di governo-
fìsso e compiuto non era quello eh' egli nè dovesse, nè potesse fare. Egli circa
i particolari della città non si estendeva ». (') Io stimo in gran parte non a
proposito nè gli elogj, nè le critiche fatte da molti e valenti scrittori al Sa-
vonarola come politico. Se nella mente sua avesse un compiuto e partico-
lareggiato disegno di legislazione io non lo so, chè egli non lo mise fuori,
e incessantemente ripeteva non esser ciò ufficio suo. Quello che si sa è
eh' egli possedeva la filosofia del Vangelo e voleva, come oggi Leone XIII, che
« la filosofia del Vangelo governasse gli stati e che la forza e la sovrana in-
fluenza dello Spirito Cristiano entrasse bene addentro nelle istituzioni, nei
costumi dei popoli e in tutti gli ordini e rami degli stati; che la religione di
Gesù Cristo posta solidamente in quell'onorevole grado che le conveniva
traesse su fiorente all' ombra del favore de' Principi e della dovuta protezione
de' Magistrati ; che procedesse!- concordi il Sacerdozio e 1' Impero, stretti av-
venturosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servigi. •*> E tutto que-
sto voleva per il bene comune della città e la salute delle anime. Ma questo
(') Pag. 667, nota 3.
I
— 334 -
non si chiama politica nel senso che ora diamo a questa parola, e chi predica
questo al popolo non si potrà certo dire che esca dai limiti segnati al bandi-
tore dell'Evangelo, e s'implichi in negozi secolari.
Qui per noi appar chiaro un' altra volta quanto bisogno abbia il tempo
nostro dello spirito di questo Frate; imperocché per molti segni mi sembra
che la missione degli uomini dabbene, nell' età nostra sia di render cristiani
gli stati, come già gl'individui e la famiglia; e perciò ne pare incalcolabile il
vantaggio che si avrebbe se i banditori della paiola divina prendessero in questo
ad esemplare il Riformatore di Firenze. Felice la Chiesa se di questi politici ne
avesse molti, felice la Chiesa e fortunato il popolo cristiano ! Ed a quanto af-
fermiamo consentirà anche il Pastor. Infatti egli, appoggiandosi al Frantz,
scrive che « la Riforma politica non era che una parte della grande impresa
che il Savonarola avea divisato: i suoi disegni comprendevano puranco la vita
sociale, la scienza, 1' arte, la letteratura. A tener testa al paganesimo del falso
rinascimento bisognava in tutti gli ordini della vita riporre in seggio il cristia-
nesimo. Il suo Evviva Cristo doveva passare di bocca in bocca; il codice di-
vino essere la norma suprema della vita politica e sociale, scientifica éd ar-
tistica. In questo senso Cristo venne proclamato Re di Firenze e vindice della
sua libertà ».
E a pagina 142 scrive che il Savonarola si era immischiato col risorgi-
mento politico, massimamente perchè la religione ne avesse a vantaggiare: lo
stato doveva con mezzi coattivi opporsi alla corruzione ed effettuare un rin-
novamento religioso e morale. (*) Per negare che questo ufficio fosse lecito
al grande oratore fiorentino bisognerebbe anche negare che abbia ragione
il nostro Pontefice, allorché nella Enciclica sulla Costituzione degli Stati dice
autorevolmente: « Giudichiamo esser cosa di suprema importanza e tutta al
caso del Nostro Ministero Apostolico confrontare le moderne teorie sociali con
le dottrine cristiane: per il qual mezzo confidiamo che, facendosi largo la
verità, abbiano a sparire gli errori e le dubbiezze, in guisa che torni facile di
conoscere le principali norme di condotta, alle quali conviene che ognuno si
attenga ed obbedisca ».
E in quella sulla Questione Operaia : « Entriamo fiduciosi in questo ar-
gomento e di nostro pieno diritto, giacché trattasi di questione, di cui non è
possibile trovare uno scioglimento che valga, senza ricorrere alla religione e
(') Questa proposizione però ci pare difficilmente conciliabile con quella che si legge
nella pagina antecedente 141, che in Firenze « l'idea religiosa prese forma politica*.
11 Savonarola non si sognò mai di trarre la religione alla politica ; ma si bene voleva trarre
questa a quella. Non era la rcligiono, in altri termini, che dovesse diventare politica; ma
era la politica che doveva farsi religiosa, e servire alla religione; quindi l'affermare che in
Firenze l'idea religiosa prendeva forma politica, è per lo meno poco chiara a non vediamo
come si possa del tutto conciliare colla proposizione riportata nel testo, la quale ci sembra
assai più vera di questa. Anche il Cipolla scrive: « Vedeva, il Savonarola, che la politica
era la molla con cui muovere i Fiorentini, e la usò. Difatti la riforma politica gli apri la
via iu Firenze alla morale ». {Archivio Veneto, Vili, p. 60.)
— 335 —
alla Chiesa. E poiché la cura della religione, e la dispensazione dei mezzi
che sono in poter della Chiesa, è affidata principalmente a Noi, ci parrebbe
di mancare al Nostro officio, tacendo. Certamente la soluzione di si arduo
problema richiede il concorso e l'efficace cooperazione anche di altri: vo-
gliam dire dei governanti, dei padroni e dei ricchi, ed eziandio deyli stessi
proletarj che vi sono direttamente interessati : ma senza esitazione alcuna af-
fermiamo che, ove sl prescinda dall'azione della Chiesa, tutti gli sforzi torne-
ranno vani. Difatti la Chiesa è quella che trae dal Vangelo dottrine atte a
comporre, o certo a rendere assai meno aspro il conflitto : essa procura con
gì' insegnamenti suoi, non pur d' illuminare la mente, ma d' informare la
vita e i costumi d'ognuno: essa con un gran numero di benefiche istituzioni
migliora le condizioni medesime del proletario : essa vuole e brama che i
consigli e le forze di tutte le classi sociali si collegllino e cospirino insieme a
fin di provvedere il meglio che sia possibile agl'interessi degli operai: e crede
che entro i debiti termini debbano volgersi a questo scopo le stesse leggi e
l'autorità dallo Stato ».
Ora io che mi pigliai il gusto di paragonare la dottrina politica e sociale
che si trova nel Savonarola con quella del Pontefice, oso dire che nel severo
Riformatore di Firenze non si trova nulla che non sia compreso in questo
monumento di sapienza. Le Opere del Frate di San Marco sembrano un
commento e non altro delle Encicliche pontificie, e col tempo ho fiducia di
mostrarlo a tutti coloro che lo vorranno vedere, e spero che nessuno potrà
contradirmi. Stando così le cose, noi crediamo intanto di poter concludere
che, considerate tutte le circostanze di modo e di tempo, Fra Girolamo, trat-
tando e impacciandosi dello Stato di Firenze, non uscì dalle spettanze del re-
ligioso, nè andò oltre all'ufficio suo di sacro predicatore, ma quanto fece egli
10 fece di pien diritto, e con buon zelo operò nella vigna del Signore secondo
11 suo ministero sacerdotale. Onde crediamo doversi rigettare la sentenza del
Pastor, che dice che il Savonarola « dall' indole sua passionata e dalle sugge-
stioni della sua calda fantasia si lasciò trascinare assai oltre i limiti che a lui
come prete e religioso erano assegnati ». (Pag. 377.)
Parlino pure gli storici della sua vita politica, ma ripetano col Cardinale
Capecelatro : « Il pensiero supremo della sua vita politica fu che il governo
dello Stato fosse innanzi tutto Cristiano ; ond'è che le sue più care speranze
erano che Cristo regnasse Lui negli Stati d'Italia». (l) Qui sta realmente
tutta la sostanza dell' opera politica del nostro Frate.
(*) Vita di San Filippo Neri, libro II, cari. V.
XX.
Segue sulla politica del Savonarola
2.
FRA GIROLAMO, LA LEGA E CARLO Vili.
Sommario.
Come generalmente 3' accusi il Savonarola d'aver contato troppo sopra Carlo Vili, ed eccitato in Fi-
renze le passioni politiche. — L' accusa formulata ilei Pastor. — Nostra esitanza e nostra opinione.
— L' affermazione degli avversarj non confortata da alcuna prova buona. — Fra Girolamo non
ritenue che farlo Vili avesse assolutamente a riformar la Chiesa, nè consigliò aperto che si
contasse sopra di quello neanche per le cose dello Stato. — Un documento gravissimo. — Il
duca di Ferrara al Savonarola. — Il Savonarola al dnca di Ferrara. — Fin Girolamo segue il
lume della fede e ta causa con Cristo. — La Lega e il Savonarola. — Cu documento che prova
poco, come lo si chiosi. — Il Savonarola messo volontario a Carlo VIII. — Kelazione al po-
polo Fiorentino. — L' autorità di Piero Parenti contradetta dalla predica delle rivelazioni. —
Espliciti asserti del Frate. — Conclusione.
Ma in questa materia possiamo, se non venire a particolari propriamente
detti, almeno uscire in qualche modo dall'accuse affatto indeterminate e vaglie,
cioè insignificanti, o quasi. Comunemente si scrive che il Savonarola contò so-
verchiamente, per la sua riforma, sopra Carlo Vili, tenne Firenze vòlta alla parte
francese contro la Lega allora ricostituitasi con a capo Alessandro VI per resi-
sistere alle voglie della Francia; e, come da molti si vuol provare che ciò fu
in parte un suo errore, (l) e si tiene da tutti per la prima radice della sua
ruina, cosi da alcuni si trae quindi argomento per accusarlo d'aver eccitato le
passioni politiche e di aver fatto cosa non conforme al suo ufficio di religioso
e di predicatore della parola di Dio. Il Pastor, è inutile dirlo, sta con la gene-
ralità degli storici. Egli scrive che il Savonarola faceva parlare Iddio in buona
parte giusta i preconcetti de' Fiorentini circa il Re di Francia ; e a pagina 140
nota con l' Hofier che « volle identificare la sua causa con quella del Re di
(') Cfr. Cipolla, Archivio Veneto, VIII, pag. 63-64.
— 337 —
Francia (pag. 147), e col Meier e col Ranke afferma senza meno che « quasi
in ogni predica c'era il ritornello, doversi far lega con la Francia »; e sog-
giunge quindi « essersi chiarito che l'adesione de' Fiorentini alla lega non
aveva altro nemico più dichiarato che il Savonarola » ; e come ciò non ba-
stasse, scrive ancora che il Frate incitava Firenze alla politica francese, ed anzi
egli « era l'anima della parte francese in Firenze » : e a pag. 348 mette il
colmo a tutte queste asserzioni scrivendo, che « il Savonarola come patroci-
natore della lega con Carlo Vili si arrogava pure una immediata divina mis-
sione ».
Non senza molta esitazione oso qui andar contro, non pure all'opinione
del Pastor, sibbene di un numero quasi infinito di scrittori. Allo stato in cui
mi trovo nello studio delle cose attinenti al Savonarola non credo audace nè
presuntuoso affermare che il Savonarola della Lega e della parte francese non
si occupò punto, almeno in pubblico, e eh' è esagerato l'affermare ch'egli iden-
tificasse la sua causa con quella di quel Re, vano ed effemminato. Son ben
lontano dal credere e dal dire che il Savonarola fosse avverso alla Francia
od a Carlo Vili : (*) ma non trovo eh' egli si adoperasse a tener vòlto il popolo
a quella parte, e tanto meno che ve lo incitasse. Questa sarebbe stata di
quella politica della quale il Frate di San Marco non voleva fare. Tutto
quello ch'io trovo aver fatto il Savonarola sta nell'essersi adoperalo perchè
Carlo Vili non saccheggiasse la città, non facesse male ai Fiorentini, non
ispegnesse la Repubblica, rimettendovi la tirannide: mantenesse i patti giurati
in Firenze, come da parte sua li manteneva la città.
Coloro che affermano con tanta sicurezza la cosa che leggemmo ora nel
Pastor, quali prove danno? Nessuna che sia convincente, definitiva, e nem-
meno forte.
Alessandro VI diceva, per esempio, al Bonsi ch'egli conosceva che i Fio-
rentini non erano per ispiccarsi dal Re di Francia, e che ogni cosa facevano
col suo consentimento ; ma, per tutta prova, asseriva d'averglielo detto l'oratore
veneziano. (2j E il Pellegrini, che segue l'opinione comune, scrive nell'Archivio
(') E come siamo lungi dal pensare che Fra Girolamo l'osse avverso alla Francia ed a
Carlo Vili, cosi, pensando alla vita di Firenze che pare si esplichi tutta sotto l'impulso del
Frate, non siamo alieni dal concedere che i suoi rapporti con Carlo Vili e le cose dette di
lui, possano aver avuto una qualche efficacia sugli animi dei Fiorentini anche riguardo alla
Lega. Ma di ciò chi potrebbe a ogni modo far colpa al Frate ? La questione presente non
ista qui, sì bene se il Frate nella sua azione politica uscisse dal campo conveniente al reli-
gioso e al predicatore cristiano, come 1' accusano il Pastor ed il Grisar, e incitasse i Fioren-
tini alla alleanza con la Francia e non li lasciasse entrar nella Lega. Del resto, andando in-
nanzi, apparirà forse che nemmeno quanto noi qui saremmo disposti a concedere è provato.
Forse s'accosterebbe più alla verità chi dicesse che il Savonarola si mostrò con Carlo Vili
quale si sarebbe mostrato con ogni altro principe che avesse lasciato sperare di pigliarsi la
cura, che doveva, della Chiesa, e di aiutare la Repubblica di Firenze, senza alcuna considera-
zione per altre cose o rapporti. Se anche uno de'principi della Lega avesse mostrato di
pigliarsi qualche pensiero della Riforma del Frate di San Marco, egli lo avrebbe avuto subito
nelle sue grazie.
(2) Anche il Perrens nel volume II dell' llisloire de Florence, pag. 212, scrive : « Savona-
22
- 338 —
JelUi Società Romana di Storia Patria, XI, pag. 711, che « il Papa credeva, e non
senza buon fondamento, che a quest'amicizia per Francia li avesse indotti, i
Fiorentini, e ora ve li confermasse la parola di quel Frate », ma a mostrarci
questo buon fondamento, egli, ch'è pure in generale diligentissimo, non adduce
alcuna prova nemmeno minima. Lo stesso giudizio dobbiamo portare de' do-
cumenti che nel Cappelli sono segnati co' numeri 81, 82 e di altri. Essi con-
tengono supposizioni, e nulla più : di prova neanche un principio che valga la
pena di essere esaminato e discusso. Il Pastor, quasi a confortare l'autorità
del Meier e del Ranke, cita anche la pagina 52 del Cappelli, ma anche qui
l'egregio critico si appoggia sopra il nulla, o almeno sopra un mero ipotetico.
Infatti, col documento pubblicato dal Cappelli, a cui ci rimanda il Pastor, il
Manfredi scrive al Duca di Ferrara semplicemente così: « Che il Frate tiene,
a quel che si alice, il popolo fiorentino alla vòlta di Francia, dimostrandogli
che questo re cristianissimo abbia omnino a riformare la Chiesa ed essere vit-
toriosissimo in questa sua impresa ». A quel che si dice; dunque il Manfredi
dal Savonarola non lo aveva inteso; eppure egli correva alle prediche di lui,
e assai spesso aveva con lui colloquio, nè questa era cosuccia da nulla cui
l'oratore estense dovesse trascurare di conoscere bene, se l'avesse potuto, e
accertarsene. Ciò significa che di questa faccenda sin qui il Savonarola non
s' era aperto con nessuno ; e che, a più forte ragione, in pubblico non ne aveva
parlato ; e avrà, al più, dato qualche consiglio, cosa non certo contraria all'uf-
ficio de! buon religioso, nè tale da giustificar l'espressione che abbiamo letta
nel Pastor. (') Ma nemmeno questo sì ha. il diritto di farci credere, che nulla ce
10 prova ; e andando avanti troveremo cose le quali ci faranno forse opinare
11 contrario.
Ma v'ha di più; anche senza uscire dai documenti del Cappelli, noi rac-
cogliamo non solo che il Savonarola non aveva predicato in modo assoluto che
rola pousse à 1' alliance de Charles Vili, abrite ses conseils sous le couvert de la Vierge Ma-
rie.... »; ma di prova nemmeno un'ombra, sebbene in quest' opera sia solito di documentare
ogni cosa con molta diligenza; anzi a pag. 169 scrive che « Savonarola voulait que la Repu-
blique restàt neutre ».
(') In un dispaccio del Manfredi al Duca di Ferrara con la data de'19 novembre 1497
crediamo di trovare una prova molto caratteristica della opinione che sosteniamo. Ecco le
testuali parole del dispaccio: € Fra Hieronimo mi disse — che in questo giorno era stato
a lui un fiorentino nominato Nicolò de Cesare, uomo adoperato per la Maestà doli' Imperatore
in Italia, il quale lo aveva visitato per parte di prenominata Maestà estendendosi poi in per-
suadergli per parte di essa, che la Paternità Sua faria buona opera e molto utile a questo
popolo quando la confortasse queste brigate a pigliare la volta della Lega e non si confi-
dare più nelle vano promesse de' Franzosi. Al quale el mi disse che «li aveva riposto: che
'1 non se travagliava di queste cose di Stato o che '1 conosceva i Fiorentini di prudenza tale
che ben (senza suo ricordo) saperiano pigliare quel bon partito al latto loro che conosceranno
essere necessario al bisogno e caso loro ; dicendomi etiam che 'l conosceva che questo tal uomo
tra mandato per chiarirsi se lui si travagliava iti queste cose di stato, forse per appuntarlo per
gualekt modo con gravezze e carico ». (Cappelli, Doc. loò). Ora se in quasi ogni predica c'era
il ritornello, doversi far lega con li> Francia; o comechessia il Frate confortava il popolo
Fiorentino a starsi con Carlo Vili, quale bisogno v'era di scandagliarlo a questo modo,
per vodore se lui si travagliava in queste coso di Stato? E come, in ogni caso, sarebbe stato
possibile che il Savonarola desse un tale significato alla visita singolare?
— 339 —
Carlo Vili dovesse ad ogni modo riformar la Chiesa , ma il contrario ; e che
proprio non ardiva di consigliar aperto che si dovesse contare sopra costui,
nemmeno per ciò che riguarda gli Stati. Infatti al documento segnato col nu-
mero 100 leggiamo che, a preghiera di Manfredi, fattagli a nome del duca di
Ferrara, il Savonarola rispondeva semplicemente : « Che l' Italia avrà da pa-
tire esterminio e gran ruina, e similmente che la Chiesa si ha a riformare in-
dubitatamente, se bene non venisse il re di Francia, perchè cosi è la volontà
di Dio ». E ne' documenti segnati con i numeri 107 e 108 si vede anche me-
glio il pensiero del Frate. Il Savonarola aveva, sì, creduto che Carlo Vili avesse
l'obbligo e la missione di adoperarsi alla riforma della Chiesa, (*) e che « per-
ciò non credeva senza pericolo abbandonarlo, perchè non era ancora ripro-
vato, ma solo ingannato da' suoi, e se avesse voluto avrebbe fatto ancora grandi
cose e spacciato ognuno », cose tutte difficili a contestarsi ; ma egli soggiun-
geva letteralmente : « Non credo però, e questo dico da me, che fosse male
usare qualche astuzia con gli avversarj, per non entrare in qualche pericolo,
infino che Dio gli aprirà gli occhi. Noi aiuteremo la cosa con le orazioni. Saria
dall' altra parte buono aiutarla con la prudenza, con qualche fidato che gli
potesse parlare sicuramente e aprirgli gli occhi. Vorria esser persona religiosa
e saputa, che credesse queste cose. Questo non si vuole conferire a persona,
peixhè non mi sono allargato qui in questa cosa ancora con alcuno. Ma la fede
vostra ha meritato questo secreto dal Signore, nel quale solo vi dovete con-
fidare, facendo i rimedj opportuni circa il ben vivere vostro e de' vostri ;
perchè: « E maledetto l'uomo che confida nell'uomo e fa suo appoggio imbraccio
di carne ». (*)
Questo è indubbiamente uno de' più gravi documenti che si sian pubbli-
cati intorno al Frate, forse il più grave, ed ha, in ispecie se si tien 1' occhio
all' illustrazione che riceve dall' antecedente, un valore molto serio. Ora che
dice esso? Che « la maestà del Re di Francia non s'era mai mutata d'opinione
di non volere ad ogni modo fare la impresa d' Italia e di passarle in persona,
benché i ministri suoi facciano ciò che possono per levarlo da questa disposi-
zione ». Quindi il Frate, come prudente, avvisa esser pericoloso il lasciarlo; ma
intanto insiste che non si manchi di fare provvigioni umane, e raccomanda di non
fidarsi nell' uomo, anche se fosse sollecitato, come dovrebbe sollecitarsi, da
persona religiosa e saputa. Ma con tutto ciò raccogliamo un'altra cosa: « Que-
sto non si vuole conferire a persona, perchè non mi sono allargato qui in questa
cosa ancora con alcuno ». Eppure già siamo, notatelo, nel marzo del 1497.
(1) Questo è facilmente spiegabile per chi pensi che tutti i principi secolari, secondo il
Savonarola, in conformità dei sacri canoni, erano uno dei muri della Chiesa e aviebber do-
vuto curarsi di mantenerla e rifarla bella (vedi la pred. fatta a di 13 gennaio 1494), e che il re
cristianissimo, Carlo Vili, capo d'una potentissima nazione e con un esercito bene agguer-
rito, circondato da molti cardinali col Della Rovere'ai fianchi, lasciava continuamente capire
che lo avrebbe fatto; e 1' aveva forse anche promesso al Savonarola e glielo andava ripe-
tendo per mezzo di suoi autorevoli personaggi. Vedi Commim-s Jlemoires specialmente il
lib. Vili, passim.
(2) Geremia c. XVII, v. 5.
— 340 —
Anche più specchiatamente, se è possibile, si raccoglie, che il Savonarola
non aveva designato in modo assoluto Carlo Vili, come destinato riformatore
della Chiesa, nè a compiere altra impresa notevole, dal documento 120: esso
è una sagacissima lettera del duca di Ferrara al Frate, e fra l' altro dice ap-
punto questo: « Nelle opere vostre non abbiamo veduto che il Re di Francia di
necessità abbia ad essere quello che faccia le cose che hanno a seguire, chè
quando anche questa cosa fosse stata predetta da voi, e che l'avessimo intesa,
non saremo anche in essa mancati di crederla gagliardamente come facemo
le altre ».
Di più, l'accorto Duca avendo chiesto al Frate che gli volesse aprire e cer-
tificare quello che sentiva e che era l'opinione sua circa le cose del prefato
re di Francia, e che profitto l'abbia a fare; s'ebbe in risposta una lettera
molto significativa che può ben servir di chiosa ai documenti or ora veduti;
Essa è pubblicata dal Villari, doc. XXX, pag. CXXXIV. Eccola testualmente:
« Ill.me et exc.me Dux. La elezione del Ministro di Dio a me è stata
sempre monstra condizionata; et insino a questa ora presente non ho visto
di lui alcuna riprobazione. Di queste cose non si può pigliare se non tanto
quanto Dio dà, et a quello ci bisogna stare contenti. Onde è scritto: Altiora
te ne qucesieris, et fortiora te ne scrutatus fueris. Et lo Apostolo : Non sapere
plusquam oportet sapere, sed sapere ad sobrìetatem. Il nostro Signore Dio vuole
che noi stiamo in timore et in umiltà; e che ci confidiamo in lui, non negli
uomini; col quale se noi seremo daccordo, non ci bisogna temere cosa al-
cuna; dicendo el Spirito Sancto nelli Proverbii: Cum placuerint Domino viae
eius, inimicos quoque eius convertet ad pacem. La Excellenzia Vostra non im-
puti a negligenzia la tardità del rispondere a quella; ma al desiderio di sati-
sfargli a pieno, per il quale ho fatto orazione molti giorni. Ora non ho potuto
altramente rispondere che come la legge in questa carta: Gratìa et pax Do*
mini nostri Jesu Christi sit semper vobiscum, amen. A. V. S. mi ricommando.
« Florentige, die 29 augusti 1497 ».
Mi pare che difficilmente si possa parlare più chiaro, e se il Pastor e
1' Hòfler e gli altri avessero un poco pensato a questo documento, certe pro-
posizioni forse non le avrebbero messe fuori. Quello a cui il Savonarola an-
dava dietro e quello cui voleva che seguitasse il popolo era, non Carlo VIII,
ma il lume della fede; e la sua causa non con un uomo la identificava, ma
con Cristo. (*)
Parlando con riguardo speciale alla Lega parrebbe avere un certo valore
il documento 77, una lettera del Manfredi in data 22 giugno 1495 che dice:
« Il nostro Fra Girolamo, ritornato dal Re, ieri fece una predica alla quale in-
tervenne il signor duca d' Urbino, promettendo a questo popolo che indubita-
(') Cfr. Cipolla, Storia delle Signorie, pag. 712-743.
— 341 —
tamente gli succederla in efTecto tutto quello che e' gli ha promesso e predetto
ai giorni passati a suo beneficio, mostrando avere trovato la Maestà del Re
ben disposta verso questa città. Di che esso popolo ne vive con ottima spe-
ranza.... »
Ma anche questo documento dice ben poco, e non prova nulla di quanto
asseriscono certi scrittori della Vita del Savonarola, e delle cose di lui. Per
chiosarlo bene basta pensare al momento storico in cui siamo e veder la pre-
dica cui il Manfredi accenna, che è la XXII sopra i Salmi. Carlo Vili ri riti-
rava dal Napoletano per tornare in Francia, e, mentre ai Fiorentini chiedeva
con insistenza denaro, non si mostrava per nulla pronto a mantenere gli ob-
blighi ch'egli pur s'era imposto, anzi pareva volesse rimettere nel'a città
Piero de' Medici che veniva con lui alla volta di quella ; e a dì 12 giugno 1495
eran pure intercettate lettere a Pier Corsini, nelle quali il Medici gli significava
la buona speranza che aveva di ritornare in Firenze mediante il favore del
Cristianissimo Re. La Lega brigava anch' essa con tutte le sue forze: gli amba-
sciatori della Repubblica non riuscivano a nulla di buono e concludente presso
il Re. Il Frate nella XXX sopra i Salmi dice, che, come quando il Re era in
Firenze tutti gridavano: A sacco, a sacco Firenze: guadag ne rassi un gran te-
soro; così del pari, quando il Re tornò indietro, tutti dicevano: a Firenze, a
Firenze. (4)
Il popolo di Firenze ne fremeva, e come per incanto s' era tutto armato,
onde non era niente difficile che pigliasse da un momento all'altro qualche
deliberazione seria e piena di pericolo per sè e per Carlo VIII, sdegnatissimo alla
sua volta ancor esso al vedere, al suo avvicinarsi, la città tutta mettersi in armi
come all' avvicinarsi di un nemico. In questa Fra Girolamo, che aveva saputo
scrivere nobili e libere parole a Carlo VIII, osò, dacché tutti gli occhi erano
un' altra volta rivolti a lui, osò presentarsi un'altra volta al Re per salvare
la Repubblica dal pericolo che correva, per risparmiare il sangue che potevasi
spargere, e per iscongiurare il nuvolo dalla sua patria adottiva: non dubitando
per ciò di esporsi egli spontaneamente al pericolo di cadere nelle mani dei
suoi nemici ed esserne morto. E nel colloquio avuto con la Maestà del Re a
Castel Fiorentino riusci, almeno in parte, neh' intento. Ora in tutto ciò che fece
il Frate presso il popolo? quale incitamento adoperò per tenerlo in lega con la
Francia? Al popolo, se guardate bene la predica XXII sopra i Salmi, che è
quella appunto che recitò dopo il suo ritorno dal campo e in cui pur sembra
•che riferisca la sua ambasciata, dice eh' ei portava buone novelle; e venendo
più al particolare: * Or su non vi pare questa una buona novella, che Firenze
abbia cominciato a viver bene, e ritornare alla vita Cristian a? Perchè la più
(') Si temeva (nota anche il prof. Cipolla, parlando dulia venuta dol Ite di Francia) che
•Carlo ordinasse di porre a saccheggio Firenze. Il Frate placò 1' adirato principo e lo ridusse
ad accettare i capitoli. (Archivio Veneto, Vili pag. 56.) Vedi anche la predica XXVI, Sopra
Ruth e Michea. Cfr. Landucci, pag. 72-87.
— 342 -
vera felicità che sia è il ben vivere, e dove si vive bene e con timore di Dio-
quivi è la vera felicità. Io sono stato al campo, che è come essere nell' infer-
no; se non fosse maggior pena che quella saria bene assai. Non ti venga già
voglia d' esser gran maestro, perchè non hanno mai un' ora di bene ; e vai
più una consolazione d' una predica, e starti quieto nella tua pace, che non
vale ogni loro cosa e tutte le consolazioni che possono aver loro. Inoltre non
ti pare ancora buona novella, che Iddio abbia levato il nuvolo di dosso a te e
mandartelo adosso ad altri »?
E pure insistendo il popolo per sapere qualche cosa di più, per aver
particolari relativi all' ambasceria sua...., rispose egli : « Io non sono stato
vostro ambasciatore: io non ho avuto commissione da' Signori, nè da' Dieci,
benché io sia stato pregato da alcuni amici miei. Sì che non essendo io stata
mandato da voi, io non ho a riferire a voi; io ho riferito bene a colui che
mi ha mandato. Or su, io ti voglio pur dir questo: Io sono andato, e ho
seminato il grano e buona semente nascerà al tempo suo, e voi la ricor-
rete e mangerete.... — Padre questa è una parabola : noi vorremmo sa-
pere più distintamente. — Or su io sono contento, quando saremo in questa
predicazione a un certo punto che ci starà bene e cadrà in proposito, di
esporti questa parabola ». E a un certo punto dice al popolo che gli vuol
riferire quello che egli ha fatto in questa andata al re di Francia e continua ;
« Io vi ho detto di sopra, come io non sono andato vostro ambasciatore; ma
chi mi ha mandato, lui sa quello che io ho fatto; e pure voi mi domandate:
— che hai tu fatto? — io ho seminato semente buona che nascerà al tempo
suo, e voi ne ricorrete e mangerete. — Ma, Padre, questa parabola è oscura:
ditecela più chiaramente e diteci per chi voi siete andato. — Io sono andato
per te e per amor tuo e non per me: vedi quanto amore io ti porto, che io mi
sono messo a pericolo della vita. Credi tu che io mi mettessi a pericolo della
vita se io non sapessi certo quello che io dico? io mi metto ancora a pericolo
della fama per te, perchè se non venisse quello che io t' ho detto, avendo tu
scritto tutte queste cose per tutto, e però io sarei infamato per tutto e non
avrei dove fuggire. Credi adunque che io non ti parlo senza gran fondamento;
nè senza esser chiaro e certo di quello che io ti dico. Io parlai alla Sua Mae-
stà e dissigli cose che se lui le osserverà buon per lui, per 1' anima sua, per
il regno suo e per i suoi : (*) e perchè io lo dissi a lui lo voglio dire ancor qua
(') Cf. le prediche II e VI sopra i Salmi e potrai anche da quello per analogia argomen-
tare che cosa Fra Girolamo dicesso al Ue a con quanta Libertà gli parlasse, e quanto buon
zelo movesse il Frate in queste sue andate. Nella XXIV leggiamo ancora: «Voi, figliuoli
state allegri, Iddio vi badato tanto bene spirituale, che vale più che non avete perduto. —
Oh! noi abbiamo perduto Pisa. — lo ti dico che tu hai guadagnato molto più che tu non hai
perduto. E' vale molto più il bene che oggi si fa qui, che ciò che tu hai perso; ben che io ti
dico che Pisa è tua; e che tu l'abbi, ed è tua di ragione, e riavraila senza scrupolo di co-
scienza. E se colui che la tiene, non te la renderà per amore, lo farà per forza, e sarà tuo amico
per forza. Lascia pur fare a Dio, che sa bene come lui ha a fare..., » Cfr. Landucci, pag. 108-109.
— 343 —
acciocché tutto il mondo il sappia perchè se non farà quello che io gli ho
detto, quando gli avverrà poi quello che gli ho annunziato, lui e ognuno si ri-
cordi di questo Frate. Io gli ho detto che bisogna che lui stia bene con i Fio-
rentini; e che faccia bene a' Fiorentini: e, se non lo farà per amore, che Iddio
glie lo farà fare per forza: se e' lo farà bene per lui: se non lo farà male per lui ;
e anche, se non lo farà, io gli ho detto in particolare quello che gli avverrà, e
cosi e così. Le quali cose io non voglio dire qua, che non sta bene, e gli ho
detto che, se e' non lo farà per amore, Iddio lo farà venire in tanta angustia
che si umilierà e lo farà poi per forza. Lui ha udito con mansuetudine, e io
anche gli ho parlato modestamente, ma vivo, e hammi promesso di fare, e lo
ha promesso ancora a te; e te lo dico uir altra volta acciocché tutto il mondo
lo intenda, che se lui non osserverà quello eh' egli mi ha promesso per amore,
lui me lo osserverà per forza. E sarà colui che parla in me, cioè Iddio che
glie lo farà fare e non io: certi si credono andare in un luogo che loro si
hanno proposto in mente, ed alle volte vanno poi in un altro. Iddio li piglia
per il naso e li conduce dove vuole. Ma io ti dico bene prima che se non fos-
sero state le tue mormorazioni che tu avresti ora avuto quello che io t' ho
detto: tu hai tanto mormorato a questi dì che è dispiaciuto a Dio. Non attri-
buire il male tuo a persona o alla infedeltà di quello o di queir altro, per-
chè tu solo ne sei cagione; non sai tu? i figliuoli di Moisè mormorarono e
furono puniti nel deserto. Figliuoli miei, non mormorate, voi avete detto tante
bugie a questi di eh' è una vergogna, e questi arrabbiati, io non so chiamarli
altrimenti, io uso i tuoi vocaboli, hanno tanto mormorato e detto tante bugie
che hanno fatto indignare Iddio: costoro diferiscono assai il bene tuo, o Fi-
renze. Secondo, un'altra cosa ancora impedisce assai, e questi sono i tuoi
maligni cittadini; sono pochi però che cercano malignare: io vi prego oramai
che vogliate emendarvi. Tu sai che oramai io ti conosco e tu pure ti becchi il
cervello, e sai che io t'ho detto che vi hai a rovinare sotto se tu vi ti metti:
10 te 1' ho detto tante volte, e pure pare che tu abbi perduto il cervello, questo le-
gno oramai avria inteso e conoscerla che questa è cosa divina e non umana.
Terzo, il timore troppo eccessivo ti nuoce assai ; voi avete avuto troppo spa-
vento, e Messer Dominedio è adirato e dice: guarda gente che non si confida
in me e ha poca fede. Non vi dissi io che non bisognava che voi aveste tanta
paura? Perchè io vi ho detto che Iddio è venuto a governar lui questa città,
lui e gli angeli suoi. Quarto, io vi dico che vi nuoce anche assai che ci sono
molti che a loro pare essere amici de' grandi che saranno poi inimici: tale gli
pare essere inimico che sarà amico; perchè verrà che tu che ti pare essere
amico sarai inimico e tu che ti pare essere inimico sarai amico: chiosa questa
parola a tuo modo. Questa sia la conclusione, che Iddio ha aperto la mano
a questo primo barbiere, cioè al Re di Francia e gli ha dato ciò che ha voluto
in Italia: ma se non farà quello che io gli ho detto, io ti dico, e intendalo lutto
11 mondo, che Iddio tirerà la mano a sé. E se non farà quello, ho detto a'Fio-
rentini per amore, avremo in ogni modo tutto o per amore o per forza: unitevi
tutti insieme in una vera pace e non dubitate che avremo in ogni modo ogni
— 344 —
cosa. Le armi nostre hanno ad essere le orazioni e i digiuni: facciamo pur
tutti orazione e preghiamo Iddio che mandi presto ». (l)
Ecco qui adunque tutto: ma che si trova qui che anche dalla lontana
possa giustificare le asserzioni degli storici in generale e quelle del Pastor in
ispecie? Io non vi vedo nulla: le parole più significative sono quelle nelle quali
il Frate riferisce aver egli detto al Re che e* bisogna che stia bene con i Fio-
rentini ; son quelle che già gli aveva scritto nella famosa lettera pubblicata
dagli amici della Lega; (*) ma ognun vede che si possono e devono semplice-
mente intendere per un richiamo del Re di star fedele a' patti giurati, resti-
tuire le terre e le castella a Firenze e non trattare co' nemici di essa, co' ti-
ranni; proprio come esplicitamente già gli aveva scritto e ripetuto altre volte.
Ma qui non troviamo davvero incitamento al popolo di tenersi vòlti a parte
francese: di ciò il Frate non parla nemmeno in questa predica: nella quale
(') A proposito di questi barbieri, non sarà fuori di proposito notare che Fra Girolamo,
parlandone, non aveva sempre e solo la mente fisa in Carlo Vili. Infatti nella XXV sopra i
Salmi, ricordando ciò che aveva detto di essi, soggiunge : « Ultimamente vi dissi che era
venuto il primo barbiere, che verriano gli altri.... Non intendere però ch'egli abbia a venire
prima uno barbiere e poi un altro successive, e che non possano venire ancora insieme.... »
(2) Questa lettera porta la data del 26 maggio 1495 e venne, come abbiam detto, pub-
blicata dai nemici del Frate, e ciò allo scopo di movergli contro, dice il Villari, lo sdegno
della Lega. E il Savonarola si lagnò di questa pubblicazione nella predica XXVI Sopra i
Salmi recitata a' di 28 luglio 1495: « Quella lettola, ch'io scrissi al Re di Francia è stata
messa in stampa senza averlo io inteso ; ed e' vi fu molti errori. Io prego la Signoria del
Reverendo Vicario, che non lasci mettere in stampa queste cose, se non sono prima da lui
rivedute; e che questi stampatori non le piglino senza il segno del Vicario e sua licenza ».
Qui, più che il vedere nel Savonarola il precursore della Congregazione dell' Indice (il Pa-
stor nota che il primo editto di censura, che si ìiferisca alla stampa, è di Alessandro Vie
porta la data de' 10 giugno 1501), a noi ora par importante osservare che il Frate di San
Marco diceva queste parole mentre prometteva al popolo di mettere alle stampe le principali
cose fino allora predicate, affinchè, come soggiungerà poi nel Compendio di Rivelazioni, i suoi
nemici non gliele alterassero e guastassero. Copie non corrotte di questa lettera, disap-
provata cosi dal Savonarola perchè contenente molti errori, non crediamo che se ne abbiano.
E perciò crediamo che possa aver qualche pericolo decidere la questione che ci occupa,
poggiati solo a tale documento. Ma come si potrebbero conoscere gli errori di questa let-
tera, lamentati dal Savonarola, meglio ohe dal vedere questa o quella asserzione non con-
forme, ma contraria ai fatti accertati? Ora ivi il nostro Frate scriverebbe « che i Fioren-
tini sono fra tutti i popoli d'Italia amici e confederati di Vostra Corona, massime per le
nostre predicazioni »; ma noi leggendo le predicazioni del Savonarola non trovammo mai
ch'egli confortasse i Fiorentini a tale confederazione; anzi, come vedremo anche meglio an-
dando avanti, troviamo tutto l'opposto. Dunque? La conseguenza è facile a trarsi special-
mente se si pensa al fine prossimo ed unico per il quale gli avversari del Frate ne pubbli-
carono lo scritto. Quando si volesse ad ogni modo tenere per autentiche le parole riportate,
se non si vuole (e chi ardirebbe di farlo?) tacciare il Savonarola di menzognero, bisognerebbe
spiegarle solo nel senso cho il Frate avendo distolto l'animo del Re dal proposito di sac-
cheggiar Firenze, e piegatolo ad accettare i capitoli, e poi a partire pacificamente dalla
città, si poteva in qualche modo ritenere come il principio e lo strumento dei patti con-
clusi. O forse anche poteva tenersi tale nel senso che aveva impedito fin qui colle sue pre-
dicazioni, che si facesse tirannia; la quale ove fosse avvenuta, con propabilità Firenze si sa-
rebbe accostala ai nemici della Francia, come lascia chiaramente apparire a Sua Maestà
in questa lettera medesima. (Vedi più innanzi in questo stesso capitolo un passo della XIX
«opra Ruth e Michea.) Altro senso vero non è possibile di dare a quelle parole; e perciò,
se tal lettera può in qualche guisa spiegare come siasi perpetuato il giudizio che il Frate
volgesse alla Francia la Repubblica e ve la tenosso fissa, non lo può in alcuna guisa giusti-
ficate. (Cf. Cipolla, Archivio Veneto, Vili, pag. 64.)
— 345 —
anzi invita il suo popolo a confidar in Dio più che negli uomini se vuole aver
buona fortuna, e lo rimprovera d'aver troppo mormorato e diffidato e temuto,
e perciò gli dice che ancor non ha quella felicità che dovrebbe avere.
Ma una più forte obiezione io mi sento levar contro: essa è tratta dalle
Storie Fiorentine di Piero Parenti. Egli afferma esplicito che nelP urtarsi che
facevano Fra Domenico da Ponzo e Fra Girolamo, questi « in favore parlava
de' cittadini i quali il Re di Francia seguitavano ». E venendo più al parti-
colare, scrive senza meno che « a dì primo aprile, che fu la Ottava di Nostra
Donna, Frate Jeronimo, poiché dato ebbe grandissima aspettazione per tale
di che pronuncierebbe cose gratissime a questa città, presente un gran-
dissimo popolo, affermò come veduto aveva i gigli insieme unirsi e del Re
di Francia e il nostro,' e come a fiorire maravigliosamente avevano, ancorché
delle difficoltà a nascere ci avessero; ma il fine sarebbe per l' una parte
e per l' altra ottimo. E che la Chiesa omnino si riformerebbe ed in per-
fetto slato si ridurrebbe. Ultimamente, gaudio e letizia immensa alla città
nostra ed alla Maestà del Re di Francia seguirebbe. Questo per alcun
modo non mancherebbe, imperocché così in cielo determinato essere veduto
aveva. Queste promessioni maravigliosamente piacquono al nostro popolo, e
grandissimo conforto dettono alle nostre affannate menti; aspettandosi lo ef-
fetto il quale indubitatamente per molli si credea, massime predetto avendo
lui molte altre cose a punto riuscite e di niente mancate.... » (*)
Questo passo, specialmente se si pensa alle cose che nel Parenti im-
mediatamente lo precedono e segi'cno, mentre parrebbe di una forza deci-
siva, fu invece quello che ci diede occasione a sospettare che il comun
giudizio errasse un poco lungi dal vero; e che tanto ne' contemporanei quanto
ne' successivi che scrissero di Fra Girolamo fosse piuttosto espresso un pen-
siero loro, che cioè il Frate così volesse dire, che non il vero pensiero di
lui. Infatti noi abbiamo a stampa la predica alla quale il Parenti accenna; e leg-
gendola vi maravigliente di non trovarvi nulla di quanto il diligente cronista
vi scrive: anzi di trovarvi il contrario di quanto vi dice rispetto alla Francia.
Questa predica è la XXIX sopra Giobbe « fatta martedì primo d'aprile 1495
dopo la quarta domenica di quaresima. E questa fu la predica di rivelazioni
fatta il di della Ottava dell' Annuziazione della Vergine ». Ora in questa si leg-
gono testualmente le seguenti parole. « E stendendo la mano mi porse, la
Vergine, una palla ovvero sfera piccolina.... La quale palla da poi che io ebbi
aperta, vidi la città di Firenze tutta fiorire di gigli, i quali si estendevano so-
pra i merli fuori delle mura, da ogni parte, molto dalla lunga: e gli Angeli
sopra le mura intorno intorno la guardavano. Della qual cosa io allegrandomi
dissi : Madonna, certo bene conveniente mi pare che i gigli piccoli, si congiuri-
ghino con i grandi, i quali in questi tempi hanno cominciato ad estendersi. E
Lei a questo non rispose; ma disse: — Figliuol mio, se i vicini del popol Fio-
rentino, i quali si rallegran del male della città di Firenze, sapessero le tribu-
(') Gheraidi, Kuovi Documenti, pag. 122.
— 346 —
lazioni che hanno a venire sopra di loro, non si rallegrerebbero del male
d' altri; ma piangerebbero se medesimi, perocché sopra di loro verranno mag-
giori tabulazioni che sopra Firenze ». Or qui dove potrebbesi vedere che Fra
Girolamo consigliasse di star saldi neh' alleanza de' Francesi? Anzi chi non
vede che il Frate recisamente afferma che di ciò non vuole egli occuparsi ? E
quale altro senso può avere il silenzio della Vergine alla domanda del Frate
se non questo, che nulla egli sapeva e diceva della alleanza che Firenze avrebbe
a fare? che questo non era ufficio che a lui appartenesse? che Dio di ciò non
lo aveva punto illuminato? (')
Nè questa è un'interpretazione che io dia di mio capo a tali parole;
ma la leggo molto spesso nelle prediche del Frate tanto chiara e aperta
che quasi oserei dire che quanto sin qui affermai come timida opinione do-
vrebbesi cambiare in tesi dimostrata. Leggiamo infatti nella XIII sopra i
Salmi: « Firenze, io non ti predico dello stato: io non ti ho detto che tu fac-
cia lega se non con Cristo: nè che tu ti accordi più con uno che con un altro:
io non te lo dico questo; fa' tu ora. Io ti ho detto il ministro di Cristo: e di-
coti che ne verrà ancora degli altri barbieri a radere l' Italia e Roma. Non
ti ho ancora detto da chi. — Sailo tu? — Sì che io lo so; e dicoti che i prin-
cipi d' Italia non hanno rimedio se non penitenza.... > E nella predica seguen-
te : « Non vi ho io detto: — Voi non avete altro rimedio se non orazioni e pa-
zienza, nè tu, nè tutte le altre terre d' Italia? E non varrà loro se avessero
un milione di gente d'arme; io dico un milione di squadre, non varrà loro
nulla, e se avessero le rocche di diamanti le meluzze le butteranno giù, perchè
non vi è fortezza, nè sapienza contro Dio.... Or facciamo orazioni: queste sa-
ranno le nostre armi, i nostri cavalli, i nostri danari. Io non saprei andare con
la spada, nè la saprei tenere in mano. Ma noi abbiamo le nostre orazioni, che
sono più di cento milioni di ducati, e le nostre squadre tutte di Angeli.... Voi
avete inteso che arme voi avete a adoperare, cioè 1' orazione.... Non mormo-
rate; tu mormorasti ieri, che io dissi che non ni' impacciavo dello Stato, e dis-
siti che tu facessi lega con Cristo. Io non faccio più stima d'un principe, o
d' un signore, che dl un altro uomo, o di me; perchè sono tutti uguali a me in
natura. Bene li voglio onorare e portare riverenza più che agli nitri uomini,
perchè sono ufficiali di Dio, e tanto me ne farla d' uno quanto d' un altro. E
dovrebbero aver caro tutti i principi dell' Italia, che io gli ho mostralo la via
che possano scampare questa fortuna: e voglio che loro restino obbligati a
me, non già che io voglia da loro niente, perchè ho maggior salario che loro
non potriano mai darmi. Se mi avesser creduto quelli che allora erano in Fi-
(') Le prediche sopra Giobbe non essendo stato raccolte con quella precisione e inte-
Critii che lo altre, può forse in alcuno nascere il sospetto che 11 passo trascritto non sia
completo. Ma questo dubbio oltreché non avrebbe vero fondamento, è facile dissiparlo. In-
fatti il discorso citato lo abbiamo riprodotto por intiero nel Compendio di llivelazioni, e il
passo vi si riferisce testualmente: — Iìecte quidem, Domina, convenire videntur lìlìa parva cum
hti proctrtoribtU, quae modo ramos estendere caeperunt — Ad guod ipsa nihil respondens, ita m-
biunxil: t'Ui mi, ai vicini populi Fiorentini, ecc. ».
— 347 —
reme avviano scampato la fortuna. Io ho dato a ognuno il rimedio, e dicoti,
Firenze, se tu non ti darai alla via di Cristo tu non farai niente. Io non ti cerco
di dire altro, se non che tu vada con Cristo, e non tengo più da uno che da un
altro. Bene è vero che ti ho detto qualche particolare, e chi è ministro di Cri-
sto, per illuminarti, non perchè io tenga parte per nessuno. Io vorrei impe-
trare un poco dal Signore che Lui diminuisse un poco di queste tribulazioni ;
in che modo e in che forma io non ve lo voglio dire ora: basti eh' io vi dica
ora così in genere: il modo io l'ho nel petto mio. E però fate orazione tutti
insieme uniti almanco la sera all' Ave Maria; e ognuno sia fervente in questa
orazione a pregare la Vergine che ci conceda questa grazia che io domando ».
Nè questo basta: nelle altre predicazioni abbiamo de' passi anche più espli-
citi : Eccone alcuni: « Noi abbiamo continuamente a combattere con li scribi
e farisei: non te ne maravigliare: perchè Cristo e similmente i suoi discepoli
combatterono con loro: questa è la guerra nostra. Ma tu scrivi a Roma: io ti
voglio svergognare in presenza di questo popolo: come el viene io ti aspetto.
Inoltre, costoro, poi che non possono trovarmi in bugia e che non possono im-
pugnare apertamente questa verità, vanno cercando delle altre vie e dicono ;
Questo è l'uomo che guasta V Italia: questo è l'uomo che guasta Firenze: co-
stiti è quello che non lascia far la lega! — Che ho io a far di questo io? tu
scriverai ancora questo!! Se tu lo scrivi, io te lo rimprovero ancora questo;
perchè me ne è testimonio tutto il popolo; io non ini impaccio di tua lega;
io non t'ho mai detto che tu facci, se non con Cristo e te l'ho detto qua in
pubblico. Tu_ sai che in privato io non me ne impaccio, e non te ne ho voluto
dir mai niente: bene ho detto che si faccia orazione, massime in queste cose
grandi; e poi fate i vostri consigli, e poi quello che viene stimate che sia da
Cristo; e se voi avete fatto orazione e sia così venuto, io credo che quello che
è venuto sia da Dio. Dello stato tuo tu sai che non mi impaccio, se non quanto
è la pace e il ben vivere del popolo, perchè io so che di questo Cristo vuol
così. Ma tu vai sempre dicendo male e sei simile a' tepidi scribi e farisei. Tu
dì: — Egli è costui un seduttore del popolo: noi non vorremmo che si im-
pacciasse dello Stato : questa sua dottrina è con falsità. Sciocco, che tu se' ». (So-
pra Amos, XIX.) E nella predica XVIII dello stesso quaresimale recitata nel-
1' Ottava di Pasqua: « Io v'ho detto che non voglio impacciarmi di vostri governi,
di vostre leghe con questo o con quello, ma solo mi voglio impacciare della pace
universale della città per mantenerla salda.... Quell'altro viene a dire: Io vo-
glio fare una provvisione. Io dico: Non me ne voglio impacciare: andate a'ma-
gistrati, queste non son cose da me: io voglio solamente fare che il popolo stia
in pace e che non vi facciate male ».
« Io vi dico che Cristo e vostro Re, e però vi ho detto più volte che voi
facciate lega con Cristo, e che vi leghiate con lui. Dell'altre vostre leghe fatele
con chi voUte, che io non me ne impaccio. Attendete pure a riformare la città nel
ben vivere, e così i piccoli come i grandi, e le femmine come i maschi ». (Sopra
Ruth e Michea, pred. III.)
« Voi, cattivi, avete scritto per tutta Italia che io fo ogni cosa qua. Oh! se
— 348 —
io avessi questo impaccio io non potrei avere un'ora di bene.... Tu sai che di
tuo stato non m'impaccio.... Quell'altro diceche io ho consigliato che eglino stieno
col Be di Francia, e quell'altro dice con la Lega; io non ho parlato sopra questo.
Ma stanimi un poco ad udire sopra questo punto. Io faccio un presupposto che
è vero, che a ligarsi più ad un signore che ad un altro non è mai venuto da te,
e non te l'ho mai consigliato, ne in universali, ne in particulari; questo lascio fare
a voi. Io non voglio male e nessuno principe. E' sono alcuni qua che mi hanno
ricerco sottilmente, a' quali avreipotuto dire il mio secreto, e non ho voluto. Io non
voglio dire questo a persona. Ma se avrete fatto male o bene, il fine loderà il
tutto. Io non voglio che nessuno Principe, Re o Signore si possa gloriare che io
abbia declinato più da uno che da un altro, nè favorito persona : in tanto che nes-
suno mio frate sa in questo il mio concetto, e non l'ho detto nè posso dirlo. E' biso-
gna obbedire. Io vi ho detto che facciate orazione e i vostri Consigli, e poi fac-
ciate quello che Dio vi ispira. — 0 frate tu hai pur detto: Gigli e gigli. — Tu non
lo intendi quello. — 0 frate, tu scrivesti al Re, tu dovevi avere intelligenza seco.
— Io scrissi al Re quando egli era qua in Italia. Egli era bisogno allora di scri-
vergli e scrissegli, se non faceva quello che doveva, quello che gli interverrebbe.
Io non scrissi per compiacergli, e non voglio che nessuno Principe nè Signore
10 possa dire che io lo faccio, che io scriva per alcun premio. Io non sono uomo
di Stato. Tu hai scritto che io sono uomo di Stato: io gli ho bene saputo ri-
spondere.—0 frate, ben, che ci di' tu? — Io non dico altro se non che al levar
delle tende si conoscono le feste. Fate orazione e poi i vostri Consigli; ed io anche
farò orazione per voi, e quello che Dio vi inspirerà, quello fate. Io dico bene
questo, che il tuo male viene dal tuo mormorare ». (Sopra Ruth e Michea,
pred. XIX.)
E nella predica XXII sopra Ezechiele, pur consigliando il popolo a confi-
darsi in Dio e non ne' principi del mondo, a un punto fattosi obietare: « — Tu
ci hai tenuto col re di Francia », risponde deciso: « Io non ti ho già detto
questo, che tu stia con nessuno: questo non hai potuto aver mai da me. Io ti
ho ben detto più volte che in queste cose tu faccia orazione prima, e poi i tuoi
Consigli, e dove allora Iddio ti adirizza quello facci. Questo è quanto io ti ho
detto, non che tu faccia lega con nessuno, se non con Cristo; questo non ha
potuto mai avere uomo alcuno dalla mia lingua, nè in pubblico nè in privato. Or
su, io ti ho detto tutte queste cose, non perchè tu faccia, o non faccia; ma ti
ho discorso così, acciocché tu non dica male, e che tu non depravi le cose
di Dio... »
Dopo ciò non ho altrimenti bisogno di ricordare le molte prediche nelle
quali il Savonarola minaccia Carlo Vili; le prediche nelle quali sgrida e minaccia
11 popolo, perchè si confida meglio nel re di Francia che non in Cristo. (') Nè
(') Cf. Cappelli, (loc. 96, e Villari voi. I, pag. 485, e Pellegrini Archivio della Società Ro-
mana di Storia Patria, voi. XI, pag. 715. Quofit' ultimo accennato ad una predica che il Savo-
narola fece, confortando il popolo a sperare più nell'aiuto divino, che noi terreno, e in parti-
colare nelle fallaci promosse di Francia, soggiunge, che ciò non impedi che l'agente del
I
— 349 —
ho altrimenti bisogno di rammentare il documento 64 del Cappelli, dal quale
appare che i Fiorentini, se si fossero confidati delle offerte e larghe promesse
ch'eran lor fatte per il duca di Milano, senza rispetto alcuno nel giugno
del i 495 avrebbero aderito alla Lega; ma per l'esposto 'già ci sembra di non
essere soverchiamente audaci se non sottoscriviamo la sentenza di coloro i quali
affermano, che Fra Girolamo faceva parlar Dio giusta i pensamenti de' Fioren-
tini circa il re di Francia: che volle identificare la causa sua con quella d'esso re;
che quasi in ogni predica c'era il rifornello doversi far Lega con la Francia; che
l'adesione de' Fiorentini alla Lega non aveva alcun altro nemico più dichiarato del
Savonarola; che il Frate incitava Firenze alla politica francese; eh' era l'anima
della parte francese in Firenze; che il Savonarola come patrocinatore della Lega
con Carlo Vili si arrogava pure un'immediata divina missione; nè ci sembra
d'esser troppo audaci se a costoro chiediamo che vogliano darci qualche prova
di tali asserzioni. Noi crediamo all'autorità e alla tradizione storica, ma quando
queste non contradicano all'evidenza de' fatti.
Moro non interpetrasse in tutt' altro senso le sue parole dandone notizia al suo signore,
che è quanto dire a Roma. Intatti, come notalo stesso Pellegrini, il Somenzi a di 28 ottobre
149G scriveva al Moro, e informandolo della predica del Frate diceva: «Sopra tutto esortò
questo popolo a volere star saldo alla tede, cioè del re di Francia (licet eh' egli non lo dica)
ed ha affermato che tutto quello che ha predetto delle cose future sarà vero senza manco ».
Qui si può in qualche modo capire come questa storia, alla stessa guisa delle altre che po-
tevano mettere il povero Frate in disgrazia di Alessandro VI, si andasse propagando. E la
solita malizia da diavolo degli avversarj dell'onesto predicatore!!
XXI.
Segue sulla politica del Savonarola
3.
TRA GIROLAMO E l' UNIONE E LA GIUSTIZIA POLITICA NELLA CITTÀ DI FIRENZE.
Sommario.
X,' accuse cV intemperanza escandescenza e crudele fanatismo. — Leggerezza. — Innocenza del Savo-
narola. — TJn articolo del Grisar. - Compito degli avversari del frate. — Una domanda oppor-
tuna. — Caluunie, e autodifesa del Savonarola. — Le fazioni in Firenze all' uscita de' Medici.
— Sforzi del Frate per dar la quiete alla città, e suoi frutti. — Il Savonarola voleva Firenze
ad immagine della Gerusalemme Celeste. — Insistenze per la legge della pace — Il
Frate vuole l'unione degli animi. — Durezza di Fiorentini. — Cenno all'arte diabolica usata
dagli avversar) del nuovo governo. — I Fiorentini non vogliono lasciar gli odj. — GÌ' Israeliti
e i Fiorentini, Mosè e Fra Girolamo. — L' accusa di crudeltà. — Metodo da condannarsi. —
Cose vere e incensurabili. — Difesa magra. — Libertà nella repubblica di Firenze, e pene dei
turbatori dell'ordine pubblico nel secolo XV. — Un principio vero e un falso supposto. — Uf-
ficio del predicatore cristiano e Leone XIII — Il torto di F'ra Girolamo. — Breve epilogo e
conclusione.
Ma noi abbiamo altre cose da dire e altre accuse da esaminare. Col detto
fin qui non è intieramente giustificato Fra Girolamo in tutto ciò che fece nel
campo politico; sopra di lui religioso, e che però doveva esser ministro di pace,
gravita un'accusa che potrebbe anche da sola oscurarne sensibilmente la fama.
Egli, dicono, fu causa di politiche discordie (*) e usò a volte un linguaggio
niente affatto conforme ad un ministro di pace.
Il critico d' Innsbruck comincia dal dire (pag. 140) essere innegabile, che
il Frate di S. Marco con tutta la sua azione ridestò non solo le passioni politi-
(') Per vedere con quanta insistenza gli avversar)' del Savonarola ripetesser l'accusa
ch'egli teneva divisa la citta, basta darò uno sguardo ai Nuovi Documenti o .specialmente ai
pubblicati dall'illustre Alessandro Gherardi, negli articoli VI, VII, VIII; ed è poi questo
fatto chiarissimo dal Breve pontificio du'lO ottobre 149"), dalla lettera del Savonarola ad un
■amico, e da molte prediche.
— 351 —
che (*), ma sè stesso infiammava fino all'esaltamento politico; e poi, seguendo,
aggiunge: < Anche dichiarati ammiratori del Savonarola debbono convenire che
egli non di rado sul pergamo lasciavasi trasportare ad un linguaggio null'affatto
conveniente ad un ministro della pace. (2) Così nella sua predica contro le tu-
multuarie assemblee popolari, tanto spesso abusate dai Medici, i così detti par-
lamenti, diceva: — Se quello volessi fare parlamento sarà dei Signori, gli sia
« tagliato il capo ; se è altro, sia rubello e confiscatogli tutti i beni. Quando i
« signori voglion far parlamento, subito s'intenda non essere più signori, e
« ognuno li possa tagliare a pezzi senza pecca. — Fu il 28 luglio 1495 che
il Savonarola si lasciò cosi sopraffare dalla sua passione politica. Due settimane
dopo, la sua proposta era elevata a legge! Allorché nell'ottobre dopo la ritirata
di Carlo Vili, i Medici fecero un tentativo di rientrare in Firenze, il Savonarola
in Chiesa, sul pergamo, col Crocifisso in mano, consigliava apertamente e ad
alta voce di mettere a morte quelli che volessero ristabilire la tirannide. Alle
parole seguì l'effetto. Quattro giorni dopo si vinceva una provvigione, che, men-
tre rimetteva la taglia sopra i Medici, era quasi un generale eccitamento alle
armi ».
E, ciò non bastando, a pag. 318 il critico ribatte ancorai! medesimo chiodo:
« Portato dal favore del popolo, il focoso domenicano ingaggiò una formale
guerra di esterminio contro tutti i suoi avversari; nel suo fanatismo trascorse
tant'oltre, che in una predica, preso in mano il Crocifisso, chiese la morte per
tutti coloro che volessero ristabilire in Firenze la tirannide ». E a pagina 350 il
severo accusatore è da capo, accrescendo la dose: « Il Savonarola, incalzando
i pericoli da parte di Piero de' Medici alla città di Firenze, messo da banda ogni
riguardo, era di nuovo tornato sul pergamo agli 1 1 ottobre, per dare animo ai
cittadini ed infiammarli a combattere contro il tiranno. Un'altra volta dal luogo
santo ad alta voce consigliò la morte per tutti coloro che favorissero il ritorno
de' Medici: — « Bisogna usare con costoro, come fecero i Romani contro quelli
« che volevano rimettere Tarquinio. Tu che non vuoi aver riguardo a Cristo,
« vuoi averne ai privati cittadini? Fa giustizia, ti dico io. Tagliali il capo, e sia
« pure il maggiore della casa sua quanto si voglia: tagliali il capo. — Simili
« escandescenze si ripeterono nelle prediche del 15 e 2G ottobre. » (3)
E l'effetto di tutto ciò? Lo dice il Pastor parlando del tumulto avvenuto
durante la famosa predica dell' Ascensione del 4 maggio 1497 e lo dice con le
parole di un uomo che merita piena fede davvero; con le parole dell'amico
del Savonarola, P. Somenzi ambasciatore del Moro in Firenze, che tentò invano
di trarre, corrompendolo, dalla parte del suo Signore il predicatore austero e
(') Questa prima parte dell'accusa forse é difficile conciliarla con ciò che si leggo nel
Pastor a pagina 142, dove dice che al Savonarola « non tutta la sua eloquenza non riusciva di
spegnere la passione per la politica eh' era il dehole del popolo fiorentino ». Alcuno potrebbe
chiedere al Pastor se il Frate volesse spegnere o ridestare questa passioni: politica.
(!) Vedi anche il Villari, pag. 307-309.
(3) Per 1' errore di queste date vedi sopra a pag. 18. Il Savonarola non predicò nè il
15 nè il 26 ottobre 1195.
— 352 -
incontaminato; e poi si compiacque con diabolica voluttà del lagrimevole spet-
tacolo di cui fu oggetto il Savonarola, e ne informò il suo Signore vilmente
scherzando sulla morte dell'odiato avversario: (') « Sono tornati i tempi de'Guelfi
e de' Ghibellini ». (Pag. 356.) E a pagina 139 già il critico di Innsbruck aveva
scritto che (per cagione del Savonarola, s' intende) il malumore delle fazioni,
le cui onde avrebbero poi inghiottito il capopopolo, (2) s'inaspriva di giorno in
giorno, le condizioni della città si facevano sempre più innaturali e insoppor-
tabili. Anziché godere della pace promessa, tutta Firenze, ogni famiglia era
lacerata da litigj e discordie.... »
« Con tutta ragione Papa Alessandro VI nella lettera scritta al Savonarola
gli rimprovera d'aver fatto nascere la discordia e si comprende tanto più facil-
mente quanto fondate fossero le parole del Capo della Chiesa, se prendiamo
in considerazione l' influenza del Savonarola asceta, caldo oratore e stimatis-
simo direttore di anime ». (3)
(4) Cfr. Cipolla, pag. 7Ò9-760: e vedi anche ne' documenti pubblicati da I. Del Lungo nel-
l' Archivio Storico Italiano, voi. XVIII, parte seconda, il doc. XLII.
I2; Il prof. Carlo Cipolla scrive : « Egli (il Savonarola) non fu mai capo-popolo » (Storia delie
Signorie, pag. 160 ) Chi ha ragione? Sarebbe certo bello e altamente proficuo che i due egregi
storici svolgessero e mostrassero le prove della propria asserzione. Noi li sentiremmo devoti.
Vero è che il pensiero del primo già mi par chiaro. Dal suo articolo dell' Archivio Veneto
voi. VII, Vili, da noi più volte citato, e dalla sua Storia delle Signorie Italiane si può racco-
gliere che, a chi gli dicesse che il Savonarola prese parte alle cose politiche, risponderebbe
si; chi gli volesse fare del Savonarola un arrutfapopoli, ohe fa della politica per scopo mon-
dano o anche solo civile, direbbe, no- Per lui il Savonarola mirava direttamente solo al bene
morale, e se sbagliò fu solo per zelo eccessivo. Ecco il pensiero che il Cipolla lascierebbe
discutere. Quindi se potrebbe consentire che il Savonarola fu capopopolo nel senso predetto,
non acconsentirebbe certo che fosse nell'altro senso. Ma saremo anche nel giusto, secondo
il Pastor, facendo il Savonarola capopopolo in buon senso? Dalla versione italiana par-
rebbe il contrario.
(3) Queste ultime parole sono del Grisar il quale scrisse intorno al Savonarola un
articolo che già abbiamo citato. E contrario al Frate: ma i cattolici possono giudicare
della gravità di questo scritto anche solo dall' osservazione seguente. Parlando dei grandi
santi che venerarono il Savonarola specialmente San Filippo Neri, S. Caterina de' Ricci
e San Fracesco di Paola scrive: « Veniamo all'esempio dèi grandi Santi e specialmente San
Filippo Neri, Santa Caterina de' Ricci e San Francesco di Paola. Già nel metterlo innanzi è
stato detto da bocca autorevole che cosa fa prosupporre tale pratica di venerazione privata:
la probabile acccttazione dell' approvazione divina. La forza della prova nel nostro caso però
si assottiglia anche più se riflottiamo che sul teatro dell' operato del Savonarola ancora per
molto tempo sopravisse la potente impressiono dolla sua apparizione, e che le prime biogra-
fie dol Burlamacchi e di Pico colle inesattezze da loro insognate erano piuttosto panegirici da
scolari e da amici appassionati anziché lavori storici. Potevano Caterina e Filippo rimanere
estranei all'influenza di quelle tradizioni ancora cosi vive ai loro tempi? E nella loro qua-
lità di fiorentini nei sentimenti verso il Savonarola non dovevano aver risentito alcunché di
quelle tradizioni di famiglia che si erano fatte strada nella loro patria incantata dal Savo-
narola? Intorno a Francesco di Paola vogliamo qui soltanto osservare che il suo celebre
scritto pel Savonarola vide la luce nell'anno 147!), dunque non meno di sedici anni prima della nota
disubbidienza di quesV ultimo ».
In verità che il modo di giudicare San Filippo e Santa Caterina non mi paro soddisfa-
cente. Che sulla bilancia del loro giudizio potesse valere l'essere loro fiorentini e che essi
non potessero liberarsi dall' influenza (lolle tradizioni per quanto vive nella loro patria, non
oserei affermarlo in modo cosi assoluto. Certo anche i Santi possono errare, ma quelli della
portata di Filippo Neri o di Caterina de' Ricci non son cosi facili a lasciarsi trarre nell'in-
— 353 —
Che dobbiamo dire a questo punto?! Già s'intende che non intendiamo
riprendere la questione risolta di sopra (cap. XV), dove abbiamo scagionalo il
Frate dall' accusa di aver generata la discordia nelle famiglie e ne' Fiorentini
come privati, come cristiani; qui dobbiamo riguardarlo solo come cittadino e
politico. Posto ciò diciamo che l'accusa come altre molte che oppressero il Frale
da un lato ci pare leggiera, dall'altro ingiusta troppo e anche maligna, non
diciamo nel Pastor, ma in chi la inventò da prima e la diffuse. A dimostrare la
leggerezza dell'accusa non impiegherò molte parole: dovrei argomentare in
modo affatto analogo a quello che feci di sopra. (Gap. X1V-XV.) Che colpa può
avere il Savonarola se, predicando egli il miglior governo per il popolo Fioren-
tino, proponendo le buone leggi, minacciando i tiranni e coloro che i tiranni
seguivano e aiutavano, una parte de' cittadini non l'ascoltava, ma faceva contro
l'altra, maggiore e migliore, che lo seguiva? Che colpa aveva egli se asceta,
caldo oratore e stimatissimo direttore di anime, come lo dice il Grisar, levando la
voce contro gli scandali che guastavano la città, gli Arrabbiati e i Compagnacci
vedendo il frullo che quegli faceva anziché piegarsi anch' essi alla nuova
vita, bramosi invece di avvolgersi in un sucido guazzo, fecero poi causa co-
mune co' tiranni e guerra al Frale ed a' suoi? A me pare che in lutto questo
il Savonarola non avesse altra colpa fuori di quella eh' ebbe San Paolo e gli
altri Apostoli e che hanno i predicatori cristiani, che aveva Gregorio VII ed ha
Leone XIII allorché sorgono degli oppositori alle dottrine da essi bandite con-
dannando i corrotti costumi, e le ingiustizie sociali. « I Piagnoni e gli Arrabbiali
non sarebbero mai stati in Firenze, se il Savonarola non si fosse mosso da
Ferrara ».(*) E vero, com' è verissimo che cattolici ed eretici non sarebbero mai
stati al mondo se il Figlio di Dio non fosse disceso dal Cielo! Ma che perciò?!
A me parrebbe molto naturale e logico che coloro i quali accusano e con-
dannano il Frate di questa dissensione, ci mostrassero che quanto egli pre-
dicava era almeno imprudente, non era la Scrittura, non era il Vangelo, la Dot-
trina de' Padri, de' Dottori ; e che coloro i quali reagivano avevano il diritto di
gaiino; tanto più chi pensa quanto lungamente persisterono nel loro concotto, e quanto leg-
gesse!' le Opere del Frate. Il giudizio poi che riguarda San Francesco di Paola ci pare anche
meno felice. Il Grisar pare dimentichi di che tratti la famosa lettera del Romito delle Cala-
brie, altrimenti non iscriverebbe, per toglierle valore, ch'essa fu pubblicata non meno di
sedici anni prima della nota disubbodienza del Savonarola. A questo insigne documento, della
cui autenticità il Grisar non muove questione, è importante appunto perchè il Santo vi
racconta vent' anni prima i fatti della vita del Frate di San Marco, con una precisione tale
ohe pare te li descriva proprio come se compiuti sotto i suoi occhi. Il Grisar ha la sua
parte di responsabilità nella questione del Savonarola : il suo articolo venne quasi per intiero
a passare nell' Opera del Pastor.
(') Quest'espressione il Grisar la piglia dal Cosci; ma nell'articolo della Zeitsclirift fiir
Katholische Theolor/ic non ha il senso prociso che negli articoli dell' Archivio Storico Italiano.
In questo è preceduta da questo giudizio : « Il Savonarola non aveva colpa di certo se Fi-
renze si trovava da più anni piena di abberrazione per cagion sua, perché le intenzioni sue
erano state sempre puro e aveva fatto al contrario di gran bene a quella città ». La diversità
di senso apparirà anche meglio a chi voglia considerare e sul Cosci o sul Grisar i periodi
che seguono alla citata espressione.
— 354 -
così fare o nel nome della morale, o nel nome della giustizia, o nel nome del
vero bene comune. Il semplice fatto dell'esser nata discordia tra i Fiorentini
non porta con sè la condanna del Savonarola, ma a ciò sarebbe necessario
ch'egli l'avesse voluta e procurata ingiustamente o almeno con imprudenza:
cosa che non trovo in nessun modo provata dai giudici del Condannato e che,
penso, non può affatto provarsi perchè non vera.
Del resto perchè non ci facciamo un' altra dimanda? Io vorrei chiedere
non pure che cosa sia avvenuto in Firenze, per esservi capitato il Savonarola,
ma ancora, che vi sarebbe avvenuto ove il Savonarola non si fosse mosso da
Ferrara. Si pensi un poco alla risposta che si potrebbe dare a questa que-
stione, e forse il Savonarola apparirà in miglior luce.
Ma è poi vero che Fra Girolamo mettesse la discordia ne' cittadini di Fi-
renze ? Egli nella famosa lettera ad un amico scrive aperto che tale accusa è
una calunnia, e che l'amico ne avrebbe conosciuto meglio la stoltezza quando
avesse avuto qualche notizia de' governi passati e delle condizioni de' citta-
dini e della natura di quel popolo. E asserisce francamente che se Dio non
avesse concesso il regime che concesse alla città nelle condizioni difficili nelle
quali essa si trovava, la discordia dei cittadini sarebbe stata così grande che
Firenze non solamente sarebbe stata guasta non solo da loro medesimi, ma
ancora dagli altri, ch'essa avrebbe perduta la libertà e sarebbe divenuta
una spelonca di ladroni. E vuol provare la sua asserzione notando che dopo
la partenza di Piero de' Medici fur viste sorgere diverse fazioni composte
di cittadini che avevano patito numerose e gravi ingiurie dal 1434 al 1494.
Ognuna di esse pensava a vendicarsi e a farsi grande nella città, e credeva
dovesse con tutta giustizia aver soddisfazione delle ingiurie e danni sostenuti
per il passato, e che dopo d'essere stati così lungo tempo depressi pareva loro
fosse giunto il momento d' esser esaltati. Nuove fazioni non tardarono a sor-
gere, alle quali se non si fosse provveduto per il Gran Consiglio e la pace uni-
versale, la discordia avrebbe ben presto condotto allo spargimento di sangue,
alla ruina ed all' esiglio di un gran numero di cittadini.
E queste cose medesime, con poche varianti nella forma, ripete il Frate le
mille volte nelle sue prediche, e nelle sue lettere ('), aggiungendo sempre che
un popolo intiero gli è testimonio eh' egli non ha messo la discordia in Firenze,
ma la pace, e sempre chiamando calunnia 1' accusa. E bisogna essere intiera-
mente selvaggio alla storia della Vita di Fra Girolamo e del suo tempo per
non sapere che tutto ciò è verità. Una delle fatiche più grandi che il nostro
Riformatore ha sostenuto fu appunto quella di mettere e conservare la pace
fra i cittadini e una delle glorie più belle che adornino la sua aureola è ap-
punto quella d' esser riuscito fra i diversi partiti che laceravano la città e mi-
(') Vedi specialmente la famosa lcttora ad Alessandro VI, do' 14 settembre 1495, in ri-
sposta al brovo degli 8 del mese stesso, nella quale, come dalle altro ingiuste accuse, il Frate
si difende ancho da questa di avor messo la discordia nolla città. Cfr. del pari la prodica re-
citata a' di 18 febbraio 1498.
— 355 —
nacciavano di rovinarla a far concludere una pace, simile alla quale non so se
la storia alcuna ne narri. Debbo io esporre qui queste cose? Ma se non v' è
storico il quale non ne ragioni! se non v' è predica del Frate che non abbia
almeno un cenno per questo ! Se il Pastor dice anch' egli, a pag. 129, che il
Savonarola per il nuovo governo raccomandava fra le altre cose la pace, una
pace generale, colla quale si assolvessero gli amici del passato governo per-
donando anche le pene pecuniarie verso i debitori dello Stato!
Ad ogni modo perchè non vogliamo che altri resti con desiderio solo
mezzo appagato, e v' è chi ripete la vecchia accusa, diremo brevissimamente
dell' opera del Frate a pacificar Firenze. Le preghiere e le ragioni del Frate
perchè la città si ricomponesse in pace sono continue specialmente dopo la
predica XIII sopra Aggeo, nella quale già raccomanda di proposito la pace
universale. Nella famosa predica XIX parlando appunto delle cose che egli
aveva predicate nelle antecedenti esponendo il versetto 2 del Salmo CXLVI:
Il Signore che edifica Gerusalemme radunerà i figliuoli d' Israele dispersi,
dice: « Gerusalemme è interpretato visione di pace, e questa io 1' ho detta
e predicata tanto, cioè che tu facci questa pace universale In fra tutti i citta-
dini. Firenze tu sei stata inferma, e gli è venuto in te Dio della pace per
sanarti, e vuole guarirti, se tu vorrai, di tutte le tue infermità, e bisogna
cominciare da qualche capo, e pian piano ti guarirà del tutto. Cominciamo
dalla pace, perchè se non fai la prima cosa questa, saresti in un caos
di Arassagora. Questo luogo è tutto infermo: cominciamo dalla pace, e a le-
vargli questa piaga dell' odio e del rancore, e fa pace la prima cosa, e poi se-
guiteranno 1' altre cose di mano in mano secondo l'ordine che io t' ho detto.
Tu sai che io t' ho mostrate le ragioni, perchè tu debbi fare questa pace: ac-
ciocché lasciando tu gli odj e le malevolenze, tu sia in grazia di Dio, e che tu
diventi città spirituale, e ti ho dimostrato con ragioni evidentissime che quanto
un regno è più spirituale, tanto è più forte, e tanto diventa più spirituale, quanto
più s'accosta e unisce con Dio; e non può essere unito con Dio, chi non fa
pace e non sta unito col suo prossimo; dopo vi ho sempre esortati a questa
pace universale, ed il modo come la si ha fare, e quello ch'essa ha contenere,
altra volta io ve 1' ho detto e di riuovo vel dichiaro, cioè che tutti leviate via
da' cuori vostri quella antica ruggine che s' è contratta in voi 1' uno contra
1' altro per i tempi e casi passati; e questo intendo delle cose e parzialità vo-
stre attinenti allo stato, e tutto intendo d'ogni cosa simile stata da questa vostra
ultima mutazione di stato indietro: che tutto s'intenda perdonato, e cancellato
senza riconoscerne cosa alcuna; ma chi per 1' avvenire errasse, sia castigato
se farà male alcuno, e basta che per casi di slato da qui indietro tutte le per-
sone siano salve. Non per questo intendo che chi fosse debitore del comune
non debba pagare, ma facciasi che paghi chi ha debito o in mano di quello
del comune ; ben dico e dissi che queste cose non si ricerchino con torture, uè
tormenti, ma con modi ragionevoli, giuridici, e vi ho detto e dico che non fac-
ciate sangue; perchè così è la volontà di Dio, perchè se Dio non ha lasciato
seguire sangue in te, in queste cose occorse, come forse tu meritavi, non
- 356 —
vuole che tu facci sangue contra altri. Se loro hanno offeso la repubblica tu hai
offeso Dio, che è maggiore peccato: però se Dio t'ha perdonato, perdona ancora
tu ad altri. Inoltre questo è un tempo singolare, che non è stato più ne' tempi
passati, quello che ti occorre al presente; io t' ho detto e dico che in questo
tempo presente egli è venuto Cristo a Firenze per medicarla: e però tu devi
in questo tempo voler far grazia ancora tu verso del prossimo tuo. Inoltre chi
vuole castigare altri bisogna che prima lui sia senza peccato, cercati un poco
la coscienza, e vedrai se tu debba castigare, o esser castigato; e se tu do-
mandi giustizia contra altri, bisogna che ella sia stata ancora contra di te,
e però t'ho detto e dico fa pace, fa pace: e se veramente tu la farai, non
temere poi se tutto il mondo venisse contra di te. Guarda la primitiva Chiesa,
perchè ella era unita tutta insieme, e con pace, dopo, benché tutto il mondo
gli fosse contro, intanto sempre andò innanzi, e sempre vinse, mentre che
lei stette in quella carità e in queir unione e in quel fervore ; però vi dico
fate questa pace e questa unione, e poi non avete da temere di cosa alcu-
cuna; voi magistrati che siete posti da Dio in cotesti luoghi, dovete esortare
ciascuno a questa pace; voi siete ministri di Dio e non signori, e dovete au-
mentare tutte le cose che sono in onore di Dio e in salute della vostra città,
e perchè questa pace è 1' onore di Dio e la salute della città, però dovete
aumentarla e operare che ella si faccia. Ed alle ragioni, che alcuni fanno in
contrario, vi sono date le risposte, e non servono quelle ragioni e non con-
cludono in questo tempo, il quale è un tempo singolarissimo, nel quale Id-
dio singolarissima misericordia v' ha dimostrato, e però dovete in converso
mostrare misericordia singolare ai prossimi vostri, e se altrimenti voi fa-
ceste, voi siete in grandissimo pericolo. Tu che contradici alla pace, sotto
specie di zelo di giustizia, Dio lo sa, ed io lo so, che zelo è il tuo: la tua
giustizia è l'odio, il rancore e la vendetta, e ti dico che per questo tu ne
sarai punito. Dio te lo fa dire innanzi per farti misericordia, se tu la vorrai,
se tu avessi zelo di giustizia, tu terresti altra vita che tu non tieni; e non
è tale vita la tua che si possa comprendere in te zelo di bene ».
E nella predica XXIII chiudendo questa predicazione ribatteva sopra le
medesime cose: « Signori vecchi, aiuteranno ancora voi. Siate diligenti e sol-
leciti circa al ben comune, e circa questa pace universale. Cristo è vostro Re,
e voi siate suoi ministri. Rallegratevi e ringraziatenelo che lui vi abbia eletti
per suoi coadiutori. Servite a Dìo con timore, e rallegratevi con tremore ; ab-
bracciate la buona dottrina affinchè non abbia il Signore a sdegnarsi e voi vi per-
diate, smarrita la via della giustizia Q) ; abbiate cura, di far bene, acciocché il
Signore Iddio non si adirasse contra di voi; perchè se voi non deste perfezione
a questa riforma, perché la perfezione sua sarà con pace, e se il difetto ve-
nisse da voi, o, per negligenza o per altro, il Signore si adirerebbe con esso
voi e farebbevi perdere la buona fama, e per contrario darebbe a voi puni-
zione, dove agli altri ha dato gloria e fama. Dio vuole ad ogni modo far per-
(') Salmo II, v. 11.
— 357 —
fetta quest'opera: però fate d'essere suoi buoni cavalieri e buoni ministri.
Imparate bene quello che avete a fare, perchè avete a lavorare nell'opera per
la città di Dio. E confidatevi tutti in Dio, e non in uomini, e non dubitate che
Dio vi aiuterà. Ora la vostra nave, come v' ho detto, resta in mare, e va verso
il porto, cioè verso la quiete, che ha ad avere Firenze dopo le sue tribola-
zioni. Signori, vecchi, e nuovi tutti insieme procurate che questa pace uni-
versale si faccia e fate buone leggi per stabilire e formare bene il vostro go-
verno: e la prima sia questa che nessuno si chiami più bianchi, o bigi; ma
tutti insieme uniti siano una medesima cosa: queste parti e parzialità nelle
città non stanno bene: mettetevi pena, a clii più parla a questo modo bianchi
o bigi, e fatelo perchè questa è cosa di gran momento che vi farebbe un dì
venire alla vostra ruina e distruzione, e suscitereste un' altra volta nella città
vostra le parti guelfe e ghibelline, come già vi furono anticamente, e sapete che
effetti elle fecero. Fate questo che io v' ho detto e non temete, se voi fate
questo, in verità fatelo, dico, e statene sopra della coscienza mia che sarà
ben fatto ; i nemici vostri saranno quelli che voi vi farete da voi medesimi.
Se non lo fate, voi vi farete tanti nemici, che non la potrete poi spegnere a
vostra posta. Questo io ve lo dico con grande fondamento, e così inspirato
da Dio, fate queste buone leggi, e non avrete nemici alcuni. Io non ti
parlerei a questo modo tanto risoluto, se io non avessi tocco il fondamento di
quello che io ti dico; fa pace vera e di cuore, e declina sempre più a mise-
ricordia, che a giustizia questa volta, perocché Dio ha usato ancora questa
volta verso di te più misericordia che giustizia. 0 Firenze, tu avevi bisogno
di gran misericordia, e Dio te l'ha fatta: però non essere ingrata. La mise-
ricordia trionfa del giudizio. (*) Se tu fai questo che io ti dico, e davvero, Fi-
renze, sarai in massima quiete, altrimenti sarà il contrario, e tienlo bene a
mente ».
Nelle prediche poi sopra i Salmi, come già osservò il Villari, Fra Girolamo
raccomanda di continuo la pace generale: quasi ogni giorno diceva: « Firenze,
perdona e fa la pace, e non gridare più: carne, carne, e sangue, sangue ».
Anzi le prime di queste prediche e alcune di quelle sopra Giobbe insistono
particolarmente sopra la necessità della pace anche per la lotta che il Savo-
narola combatteva con Fra Domenico da Ponzo emissario del Moro e della parte
medicea. (*)
Chi pone 1' occhio sopra queste prediche resterà ammirato della insistenza,
forza, zelo con cui l'oratore Domenicano raccomanda questa pace, e ribatte le
obiezioni contrarie. A dì 6 gennaio 1495 diceva: « Io fui in Palazzo il di di
San Silvestro per concludere questa pace universale e dissiti prima che tu
temessi Dio, secondo che tu amassi il ben comune, terzo che tu facessi la
0) Lettera di San Giacomo apostolo, c. II, v. 13.
C) Cfr. Gherardi, Nuovi documenti da pag. 108 a pag. 129 e i doc. XVIII e XXVIII
tra' pubblicati da I. Del Lungo.
- 358 —
riforma, quarto che tu facessi la pace universale; e perchè lassù io lo dissi a
pochi, perchè lassù eravate pochi, ora ve lo dico qui in pubblico, che siete as-
sai e dirovvi tutte le ragioni che allegai lassù....
« La pace, che t'ho detto è in questo modo: che dal di del caso indietro
non sia riconosciuta cosa alcuna di stato contro persona che fosse stato amico
o avesse servito la parte contraria: bene dico che chi ha debito pubblico o
privato lo paghi: ma non estorcere queste cose con torture, ma solo con libri o
testimonj o fama pubblica....
« E io ti provo questa conclusione, cioè che tu debba fare questa pace,
primo, per ragione divina; perchè questo è un tempo singolare che forse non
tornerà mai più, e devi credere Firenze che essendo tu stata nei pericoli e
tribolazioni che sei stata da tre mesi in qua, è cosa maravigliosa a credere che
tali casi siano seguiti senza grande effusione di sangue; essendo passate fino
a qui queste tabulazioni con si poco sangue e poco detrimento, devi credere
che Dio è stato placato grandemente nell' ira sua contro di te. Adunque tu
devi placarti nell' ira tua contro del prossimo e perdonargli, siccome si dice
nell' Evangelio di quel Signore che perdonò i mille talenti al suo servo, il
quale non volle poi perdonare cento al suo conservo, e dopo bisognò poi che
lui rendesse ragione di mille che di già prima gli erano stati perdonati. E
però ti dico, o Firenze, per questa ragione divina e similitudine di questa
figura che Dio ti ha perdonati mille talenti, cioè tanti tuoi peccati e le tribo-
lazioni che per essi meritavi. Adunque è cosa giusta che tu perdoni cento
al tuo conservo, cioè ai tuoi prossimi e cittadini, altrimenti Iddio ti farà pa-
gare i mille talenti, cioè li darà il flagello che ti aveva preparato. Ma perchè
tu, Firenze, non credi a ragioni divine, odi queste ragioni naturali. In prima,
colui che è senza peccato è giusto che punisca gli altri degli errori suoi. Di-
temi, chi è di voi che non abbia fatto mille sacramenti falsi negli officj vostri?!
e renduto le fave bianche dove avevi a renderle nere e al contrario?! La se-
conda ragione: se cominciate a mettere le mani nel sangue, ognuno a casa
1' uno l'altro, e' verrà ancora che quelli che danno le torture e i tormenti sa-
ranno accusati loro, e avranno a patire quei tormenti che danno ad altri. La
terza: se tu tocchi uno, tutti i suoi parenti 1' avranno per male ; e resterà loro
il rancore nel cuore, e dove tu avevi uno inimico di quella casa, avrai per
inimica tutta quella casa e i suoi parenti, e se alcuno ti dicesse il contrario, non
lo credere. La quarta: l'usare misericordia piace a tutti i buoni, e se tu fossi
buono e da reggere bene useresti misericordia. La quinta: la tua città si di-
viderà in due parti: cioè buoni e cattivi e mancherà l'amore della tua città.
La sesta, e tienla bene a mente, che tu provocherai Dio contra di te, perchè
avverrà che saranno accusati quelli ancora che saranno innocenti e tu per
tormenti gli farai confessare quello che non avranno fatto, e li punirai senza
loro colpa e così provocherai 1' ira di Dio contra di te, perchè non è cosa che
provochi l'ira di Dio più di questa. La settima: se tu mandi via de' tuoi cit-
tadini e li confini, andranno a' principi e riveleranno i secreti del tuo stato, che
ti potrebbe nuocere assai. Ultimo: l'esperienza ti dimostra che hai veduto
— 359 —
ora che per essersi nel tempo passato conceputo assai sdegni è bisognato che
ora scoppino ». (Predica I, sopra i Salmi.)
E quindi, dopo d' aver raccomandato 1' appello delle sei fave appunto
perchè nell' avvenire non potesse venir turbata la pace un' altra volta, torna
a dire: « Le mie ragioni sono: prima che i cittadini saranno più sicuri per-
chè non temeranno della Signoria seguente. Secondo: non si potrà fare par-
lamento se non giustificato e con buona discussione e ragionevolmente. Terzo:
i cittadini che sono stati amici dello stato passato saranno molto quieti e con-
tenti in questa unione. Quarto: i tuoi che sono in luoghi lontani con grandi
ricchezze torneranno e saranno le loro ricchezze beneficio universale a tutta
questa città. E queste sono le ragioni che io allegai su in palazzo il di di
San Silvestro; però non dire che io parli alla semplice, cioè alla pazza: per-
chè t' ho allegato le ragioni le quali noterai diligentemente, e tienle a mente
e rispondi in questo modo che t' ho insegnato e detto quando ti trovi con co-
loro che contradicono a questa cosa. Domenica ti dirò le altre ragioni, e se le
tue saranno migliori delle mie, io cederò; ma ti dico, o Firenze, che se non
vuoi perdonare, che Dio non perdonerà a te. Inoltre si Taccia ti dico, Firenze,
un bando per parte della Signoria: che tutti i cittadini che sono stati amici
dell'altro stato sieno ricevuti per buoni amici e buoni cittadini di questo reg-
gimento d' oggi e per buoni figliuoli di questa Signoria e che questo sia pub-
blico a ognuno per bando e che non si dica più bianchi o bigi o altro vocabolo
che importi quest'effetto; e, come dissi nel precedente sermone, a me parria
porvi pena conveniente per la prima volta dieci fiorini; la seconda quattro
tratti di corda, per la terza confinato in perpetuo nelle Stinche chi lo dicesse;
e se non levi via questa favilla e' si accenderà un gran fuoco: io vi dico, Si-
gnori, fatelo, che leverete via una radice di gran ruina ». (')
Ma anche qui allungheremmo di troppo il capitolo, e ne faremmo un vo-
(') Nel Sermone VI, battendo il medesimo chiodo, ha tra le altre cose il seguente pe-
riodo: «Tu dell'ordine di San Domenico, che tu di che non ci dobbiamo impacciare dello
stato: tu non hai bene letto; va leggi le croniche dell'ordine di San Domenico, quello che
lui fece nella Lombardia nei casi di stati. E cosi di San Pietro Martire quello che fece qui
in Firenze : che s' intromise per comporre e quietare questo stato in tanto che il trattato
della sua morte fu fatto in questa città. Il cardinale messer Latino dell' ordine nostro fu
egli quello che fece la pace tra i Guelfi e Ghibellini; Santa Caterina da Siena fece fare la
pace in questo stato al tempo di Gregorio Papa; l'arcivescovo Antonino quante volte an-
dava su in palazzo per ovviare alle leggi inique che non si facessero? Ma dimmi, chi sono
quelli che devono pacificare e comporre la città di Firenze? Certo non bisogna già gli ap-
passionati; adunque deve essere pure qualcuna di mezzo senza passione. Firenze, io t'ho
predicato già parecchi anni la verità; è bisognato che io tocchi molti stati degli uomini, e
per questo mi ho convocato molta invidia con molti nemici addosso. Io verrei che tu con-
vocassi una pratica, dove fossero molti cittadini bianchi e non bigi, non dico bigi, come li
chiami tu, ma dico bianchi, cioè buoni e che giudicassero bene e nettamente senza passione:
e cosi convocassi di molti buoni religiosi, che ci sono bene de' buoni e che amano la ve-
rità. Fa questa pratica e quivi disputiamo le ragioni che ti ho dette ». A commento di que-
ste ultime parole, le quali forse diedero luogo a qualche periodo del Burlamacchi, vedi il
Gherardi, pag. 110 e seg., e il Villari, pag. 347-348. Vedi anche nel Compendio di Rivelazioni un
passo analogo al qui trascritto.
- 360 —
lume, se trascrivessimo quanto fra Girolamo disse e fece perchè si conclu-
desse questa pace. Ci è caro notare piuttosto che finalmente il 18 marzo
14-95 ne! Consiglio degli Ottanta, e il 19 nel Consiglio Maggiore venne appro-
vata la legge seguente: « Considerando di quanta utilità sia 1' unione e la con-
cordia in una Repubblica bene istituita; e per seguire i vestigj di nostro Si-
gnore, il quale in ogni sua operazione, o andando o predicando o quiescendo,
sempre diceva: pace; e questo medesimo potendosi vedere nelle cose natu-
rali, le quali cercano sempre l1 unità, secondo la loro natura, onde il filosofo
diceva: la virtù unita è più forte; ed ammonendoci finalmente le cose so-
prannaturali, che abbiamo sperimentato quest' anno, nella formazione del
nuovo governo, e la misericordia usataci dal Signore, la quale noi siamo ob-
bligati d'imitare. I magnifici Signori e Gonfalonieri ordinano che sia fatta
pace generale, e siano perdonate tutte le ingiurie e tutte le pene in cui sono
incorsi i fautori del passato governo».^)
Nessuno vorrà certo, dopo quanto abbiamo visto, dar torto al Villari,
allorché afferma che questa legge era affatto secondo le idee del Savonarola,
e che pareva anzi che egli medesimo 1' avesse scritta, e crediamo del pari
che ognuno siasi persuaso che a lui veramente si debba se la legge fu pro-
posta ed approvata. Come si fa adunque a chiamar responsabile il famoso
predicatore delle discordie che travagliarono Firenze, a dire eh' egli suscitò
le passioni politiche, e generò la discordia nella città? A me par giusto quanto
scrive il buon cronista Landucci appunto nei patti di prigione: « Il Frate te-
neva col popolo e col bene comune. Fu molto infamato da questi golpini, a
torlo; che la verità sta sempre di sopra.... La maggior parte gli credeva;
massime chi andava beile senza passione di stato o di parte ». E il Parenti ove
discorre appunto di questa legge: « Il popolo, cioè chi bene vivere e in co-
mune desiderava, partigiano gli diventò; li altri capitali nemici.... » (*) E per
vincere questi capitali nemici e per trarli ad unirsi a chi ben vivere e in
comune desiderava, lo zelante Predicatore anche dopo approvata la legge ado-
perava tutte le forze dell'animo suo ardente. Era l'unione degli animi che
egli voleva; e non semplicemente la legge come lettera morta: « A voi
uomini ho a dire questo, che dobbiate stare uniti perchè vi ho detto altre
volte che la primitiva Chiesa, benché fossero pochi, perchè fu unita, vinse i
tiranni e prese il regno dei Romani. Unitevi adunque tutti in carità, e se, quelli
che sono stati cattivi per i tempi passati, vogliono esser buoni, abbracciateli
(') Vedi Villari, voi. Il, pag. 294-301. Dopo tutto ciò credo che nessuno vorrà muovere
rimprovero al Frate, se discutendosi da avversar] che invocavano contro di lui un brove
sospeso, come vedremo, dallo stesso ponteiice, nel quale gli era messa anche l'accusa di
porre la discordia nella città, diceva non esser vero che avesse comandamento di non pre-
dicaio. E lattosi obiettalo: «Oh come! o' ci è pure non so che comandamento »; rispondeva:
• Guarda, so così è, non viene a rne. Tu hai preso fallo; egli è mandato ad un altro, che ha
nomo come ino, il quale ho inteso, elio ha fatto rissa o dissensione, e mosso eresio, e fatti
molti altri mali; io non son desso, porche non ho fatto simili coso ». Predica XLVT1I sopra
Amos fatta la Domenica doll'ottava di Pasqua del 1496.
C) Landucci, Diario fiorentino, p, 97, e Parenti presso (Jherardi, pag. 124.
- 361 —
tutti; e se fosse nessuno che avesse cercato di offender me io 1' abbraccio; io
voglio bene e prego Dio che gli perdoni. Voi cominciale già a entrare in
certi termini che Iddio solo potrà cavarvene, voi non vi siete però arrivati
ancora, ma vi andate a poco a poco; state adunque uniti come vi ho detto
e abbiate fede che se voi foste nel profondo del mare, Dio ve ne caverà ».
Attendete a stare uniti sotto il vostro Re Gesù Cristo, il quale verrà ancora
nella città vostra e dirà: Ecco io sono costituito Re. (') « Unitevi tutti insieme,
lasciate andare le vostre dissensioni, e se voi fate questo e facciate una vera
unione, notate bene quello che io vi dico, io voglia perdere la cappa, se noi
non scacceremo via i nostri nemici ». (Sopra Ruth e Michea, Predica XXVI.)
E le stesse raccomandazioni ripete incessantemente con calore ognor più
forte. Aprite le sue predicazioni, quale volete, e ne rimerrete subito persuasi e
ammirati.
Ma che gli valse? Poco in vero; ma non per sua colpa. Ci par che dica
bene 1' Aquarone: « A siffatti ammonimenti di pace, di concordia e di dimen-
ticanza d' ogni affetto partigiano, molti di quella generazione non potevano
rassegnarsi. Per troppo lungo tempo i Medici avevano trastullato la città di Fi-
renze; e avendone nell'ebbrezza de' sensi e nell'apparato delle arti disfran-
cato ogni forte sentimento; e per le oziose declamazioni delle tante accademie
rintuzzata negli animi ogni virtuosa memoria; era impossibile che tanta inno-
vazione, e tanto profonda e radicale, fosse accolta senza opposizioni. Uno sto-
rico, che di certo non è sospetto di piagnone, mostra i giovani di quell' età
rotti a tutte le lascivie, e in conviti spendere tempo e sostanze eccessivamente:
che gli studj loro erano apparire col vestire splendidi, nel parlare sagaci ed
astuti; e quello che destramente mordeva gli altri, era più savio e da più sti-
mato; » e la città dice: «piena di cortigiane delicatezze, e costumi ad ogni
bene ordinata civiltà contrarj ».
Della vita cristiana predicata dal Frate costoro non ne volevano sapere e
molti e con ingratitudine massima e arte finissima e quasi diabolica (2), appa-
rentemente s' accostarono al nuovo ordine di cose, solo per rovesciarlo me-
glio. Il Frate tutto questo vedeva assai chiaro, e, sebbene ne soffrisse immen-
samente, pure lo doveva tollerare, perchè non avvenissero mali maggiori, e
invece della pace non s' avesse subito guerra civile, sanguinosa. A questo ri-
guardo non si può leggere da alcuno la lettera ad un amico senza reslarne tri-
sti. Ivi appare chiaro quanto sentisse forte il Savonarola che 1' unione de'prin-
cipali cittadini nell' amore del ben comune avrebbe migliorato e perfezionato a
poco a poco il governo: e che se quest'unione si fosse fatta davvero, il governo
0) Salmo II, v. 6.
O Cfr. il Villari dove con molta acutezza di giudizio e con veduto nuove con 1' aiuto
di nuovi documenti mostra in parte le opero da volpo che usarono i partigiani de' Medici
e gli avversar] del Savonarola e del vivere a popolo nella famosa logge dell' Appello. Più
innanzi vedremo anche come si adoperassero diabolicamente per irritare contro il Frate il
Pontefice. In verità che il Macchiavelli scrisso il suo Principe in un tempo elio ben sapeva
intenderlo e n'era degno!
— 362 —
in poco tempo avrebbe lasciato ben poco a desiderare, e la città sarebbe di-
venuta felicissima. Ma pur doveva constatare che un troppo gran numero l'ave-
vano preso in odio il nuovo governo e consacravano tutto il loro ingegno e tutti
i loro sforzi a rovinarlo e distruggerlo e con arte veramente diabolica mette-
vano ostacolo a molte opere buone che si sarebbero potute fare. Mandavano
questi scaltri avversarj nel Grande Consiglio molti del basso popolo privi di
giudizio, ed altri che non sarebbero stati degni neppur di vivere sopra la terra,
mentre avrebber dovuto farsi innanzi essi e consacrare al ben comune le loro
forze e i loro talenti. Costoro egli li diceva ingrati o fossero amici del passato
governo, o banditi richiamati o di quei cittadini che vivevano prima neh' umi-
liazione; o di quelli che s' erano adoperati a conseguir la libertà. Li diceva
ingrati tutti, imperocché Dio aveva fatto a tutti segnalati beneficj con la procla-
mazione del nuovo governo. Tutti costoro, non volendosi unire insieme e tutti
d'amore e d'accordo pensare al ben comune, erano la cagione che Firenze
non andasse bene come doveva andare secondo le promesse del Frate.
La città era in discordia. Pur troppo! E Fra Girolamo era continuo nel
gridar questo, e che la pace si era fatta, ma non col cuore, e che i Fiorentini
non volevano lasciar gli odj e le inveterate inimicizie, e che in nessun modo
volevano accordarsi nel vivere iti pace, ma nascostamente macchinavano in
tutti i modi a danno del nuovo governo e della libertà. Pur troppo è vero tutto
questo; ma recarne la cagione al Frate è come accusare la corrente del Golfo
che non dia alla Scandinavia il clima di Quito; è come accusare l'agricoltore
se la brina gli ha cotto le tenere pianticelle alle quali egli aveva dedicato ogni
sua cura; è come accusar il seminatore del buon grano se altri nascostamente
getta nel suo campo la zizzania.
Amare, ma giuste, son pur le parole del Frate che si leggono nella XXVI
sopra Ruth e Michea: « Quando io vi guardo qua in viso veggo che voi siete
divisi in tre parli. E prima voi che eravate di fuori innanzi a questo stato, e
non potevate venire a vedere la vostra città, e dicevate: 0! se io vi potessi
andare, e starmi nella mia patria, io mi starei in pace, senza cercare altro.
Slatti dunque ora: perchè non ti stai? che fai tu? — Oh! io mi sto. — E'non
è il vero, ti dico io, tu non ti stai. Io ne saprei mostrare qua una brigata a
dito : io t' ho visto, tu non stai cheto; l'ambizione, l'odio, l'invidia sono quelle
cose che t' accecano. Un' altra parte veggo di voi che avevano il capestro alla
gola, io dirò pur così, ed avriansi tolto la vita di banda, ed ora non si stanno
e non si ricordano del beneficio. — Oh! padre, e' non è il vero ; tu menti per la
gola. — Oh! egli è cattivo vocabolo: io lascio il pensiero a te. Egli è vero, ti dico
io, io ti ho visto. La terza parte siete quelli che siete stati magistrati e non
avete voluto fare giustizia ».
E qui mentre ammiriamo la profonda accortezza del Savonarola che così
bene scopriva il marcio celato sotto belle apparenze, e non si illudeva come
pur troppo accade a chi si lasciò trasportare dalla passione di parte, doman-
diamo ai lettori: Che poteva fare il Savonarola e non ha fatto per salvare Fi-
renze ? perchè la discorde città si ricomponesse ? perchè divenisse una e forte
— 363 —
e felice? perchè fosse come l' immagine della Gerusalemme celeste ? Non ac-
cusiamo nè Mosè, nè Aronne se, di tanta moltitudine che usci d' Egitto con la
promessa che sarebbero entrali in Terra Santa, due soli giunsero alla meta! (*)
Ma ci resta pur sempre una grave accusa, l'accusa di esaltamento, d'intem-
peranza, di eccesso e, se anche volete, di crudeltà. Dalle parole del Paslor
trascritte in principio del presente capitolo non abbiamo udito dal Savonarola
un linguaggio nient' affatto conveniente ad un ministro di pace? Non abbiam vi-
sto con quanta terribile crudeltà minacciasse chi tentava di far parlamento?
Non lo abbiamo veduto col Crocifisso in mano minacciare esilio e morte a chi
volesse ristabilire la tirannia? e non abbiam visto alle sue parole seguire im-
mediatamente le provvisioni in Consiglio? E non merita egli il nome di focoso
e di sanguinario allorché ingaggia una guerra d'esterminio a tutti i suoi nemici?
Queste cose non macchiano esse gravemente 1' esaltalo Riformatore? Chi non
lo dirà intemperante e crudele udendo da lui parole cosi diverse da quelle che
si convengono al ministro di pace, al predicatore della mite dottrina di Cristo?
Prima di entrare nel merito della questione vorrei osservare che questo
metodo di scriver la storia, parlando più al cuore e al sentimento che alla ra-
gione, non mi par troppo conveniente. Deve lasciarsi ai romanzieri e a quei
tristi che desiderosi d'ottenebrar gl'intelletti più che d' illuminarli e intenti
sempre a screditare la Chiesa e gli Stati, rappresentano, non senza esagerare
molto, alla fantasia delle plebi ignare, le pene con le quali la giustizia medioe-
vale puniva i rei. Con questo metodo mi sarebbe molto facile gettare nell'ani-
mo, specialmente di giovanetti inesperti, un vero senso di orrore per i tribunali
della Santa Inquisizione e per quasi tutte le legislazioni antiche, e forse li farei
apparir cosa da selvaggi molti capitoli del Diritto Canonico. A me pare che sia
obbligo dello storico, libero da passione, non solo di dire la verità, ma tutta la
verità, parlando prima alla mente e poi al cuore, e mostrando le cose, quali
erano, nel tempo che avvennero, coi loro aggiunti. Questo il Pastor nel caso
del nostro Riformatore, non fa, e non mi par giusto.
Io non nego neppur una delle cose di cui il Pastor accagiona qui il
Frale severo: anzi ne potrei aggiungere delle altre che il critico d' Innsbruck
tace; e non mi sento nemmeno l'animo di ricorrere alla scusa che alcuni
degli amici e ammiratori del Savonarola invocano: esser, questi suoi, casi iso-
lati e quasi moti primi primi. La scusa sarebbe magra quand'anche fosse fon-
data sul vero. Il nostro autore ti ripete più volle le cose dette ne' sermoni
sopra citati in altri sermoni che vengono dopo, in quelli sopra Amos e Zacca-
ria, in quelli sopra Ruth e Michea, e le scrive anche altrove, come, per esem-
(*) Non insistiamo qui da vantaggio nel notare quanto facessero per turbar Firenze i
principi della Lega e specialmente il Moro co' suoi satelliti, co' suoi emissarj, e cogli ora-
tori. I Nuovi Documenti pubblicati dal Marchese, da I. liei Luugo, da C. Lupi, dal Guasti, dal
Gherardi contribuiscono tutti quali più quali meno a mostrare l'arto diabolica che qui
usavano i nemici del Frate e del nuovo ordine di cose in Firenze, accusando poi dogli
effetti che le loro trame producevano il Savonarola, che più di tutti por bene di Firenze
e delle anime si opponeva loro.
- 364 —
pio, nella famosa lettera ad un amico. Tutto quello che si potrà notare di spe-
ciale nelle prediche citate dal Villari e dal Pastor si è una forma alquanto
più vivace e calda che pigliano i concelti del Frate, ma i concetti di lui re-
stano sempre inalterati, e sono ognora da lui esposti nella loro crudezza, anche
quando il furore oratorio non lo agitava niente affatto. Poi io osservai che il
Savonarola sul pulpito non diceva mai cose non pensale, quindi tutto ciò che
consta eh' egli dicesse una volta, non essendosi mai ridetto, dobbiamo rite-
nerlo senza meno suo pensiero; e qui siamo nel caso di cose non pur dette,
ma ripetute più volte. E nemmeno vorrei che si ricorresse alla scusa che si
può trarre dalle speciali condizioni in cui si trovava il Frate di fronte alla re-
pubblica fiorentina, di fronte ai macchinatori contro Io Stato. Certo il veder
l' ingratitudine e la diabolica perfidia con cui molti degli avversarj del nuovo
Governo procedevano, è facile sentirsi ribollire il sangue addosso e dare in
fremiti. A loro era stala data la libertà, erano stati restituiti padroni delle pro-
prie sostanze e delle proprie famiglie, a molti era stato tolto l'esiglio, erano stati
condonati debiti, risparmiato carcere e ad alcuni tolto anche il capestro alla
gola, gli amici e servitori del Governo passalo erano stati accolti nella pace
universale: potevano come gli altri assumere ed assumevano le pubbliche ca-
riche. La più ampia facoltà di esporre i proprj pensieri era lasciata a tutti — (*)
(') « Firenze, tu sai che sessant' anni tu hai avuto uno forte armato in casa che Ita co-
litodito V atrio suo, cioè ha custodito le cose sue in pace, ma non le tue. Costui era diven-
tato torte armato, aveva lo braccia forti, cioè le amicizie grandi: costui se ti toglieva la
roba e ti toglieva le donne, ti bisognava aver pazienza. Iddio t'ha levato questo forte ar-
mato, non sia nessuno che dica: io fui io; non sia nessuno che se ne vanti, perchè non
avevi tanta forza tu che potessi sbarbare tanta gran cosa e sì forte armato. Veniamo alle
ragioni. Tu che di': io fui io, dove era l'appoggio tuo, in che governo ti trovavi tu a quel
tempo, che era un governo non so come fatto: dimmi, che cervelli avevi tu dal tuo? Con
lui erano migliori cervelli del tuo; dico di quelli eh' erano suoi aderenti; però non sia nes-
suno che dica: io fui io. Se sopraggiunga tino pia forte di lui Io vincerò e gli toglierò tutte le
sw spoglie (Vangelo di San Luca, c. XI, v. 21, 22.) Iddio è venuto più forte di lui e gli ha
tolto le spoglie sue, la roba sua e 1' autorità sua sopra di te. Tu eri prima tuffato sotto,
ora non sei cosi: e però io vorrei che tu lasciassi la tua ambizione, e tu, che eri prima di
fuori, vorrei che tu considerassi dove tu eri prima e dove tu se' ora, e che però stessi pa-
ziente. Quell' altro che eri dalla parte sua, vorrei che tu considerassi la grazia che tu hai
avuta, che gli è fatta la pace e che non t' è data molestia alcuna; che però stessi contento:
per la qual cosa io vi dico a tutti, se non farete quollo che io vi dico sarà tolto questo re-
gno dalle mani vostre e dato ai vostri figliuoli....» (Sopra Amos, XIX.) K poi notissimo
con quanta libertà e indipendenza e larghezza di vedute Fra Girolamo voleva che i
cittadini dessero le fave. Il modo con cui egli parla di ciò è veramento ammirabile. (Cfr.
Sopra ì Salmi, pred. XXVII; Sopra Amos e Zaccaria IX; Sopra Ruth e Michea XIV e XIX....)
E del pari è mirabile e forse più la libertà che voleva lasciata ad ognuno di esprimere le
proprie idee intorno allo Stato e alla pubblica amministrazione: « l'aria Marzocco e dice:
Insino a' di nove di novembre passato, sono stato morto, o a dormire. Il Signore mi ha risu-
scitato: leverommi su, e avrò gran coso secondo che il Signore mi ha promesso; e se non
testò grande regno, almanco in comparaziono qualeho cosa di beno spirituale,... Fiorentini,
voi siete liberi, o non più schiavi; bisogna ora sapersi reggere o conoscere la vostra felicità;
potete ora dire si o 710 corno volete: hai riavuta la favella, elio aveva prima perso il popolo
iiorontino. Iutondoto ohe siate ricchi, o potete lare della vostra roba a vostro modo. Inten-
dete, che pototo diro in consiglio quollo vi paro sia bene: lascia diro chi dice e consiglia pure
— 365 —
Perchè dunque avversare il nuovo Governo ed il ben vivere introdotto per
esso? Perchè tramare per rimettere il tiranno in Firenze? In vero l'animo
del Savonarola doveva essere ben fornito di mitezza e di prudenza per non
dare in escandescenze. Ma con tutto ciò la scusa non ci piacerebbe. Il Frate
sarebbe ad ogni moilo venuto meno ai santi principj ch'egli costantemente
bandiva dal pulpito, e ne' suoi scritti. Nessuno deve lasciarsi trasportare dal-
l' ira e tanto meno chi vuole condurre gli uomini alla verità della fede e alla
semplicità della vita cristiana.
Con questi principj in mente noi abbiamo letto nel Savonarola, noi ab-
biamo esaminato le nuove accuse, e crediamo tuttavia non solo di poter as-
solvere il Frate, ma di dichiarare che non si può procedere contro di lui per
1' inesistenza di reato. Il Savonarola non solo non ha dato in escandescenze,
nè ha passato i limiti concessi, ma avrebbe potuto e forse anche dovuto, ove
le circostanze 1' avesser richiesto, andar oltre assai.
In altri punti dell' apologia del Frate sentirei forse il bisogno di pregare
il lettore a rivestire quella tempra dura, d' acciaio, che avevano gli ultimi figli
del medio evo, anche in mezzo alla corruzione trionfante; ma qui solo suppongo
che il lettore ammetta per veri i principj de' grandi filosofi e teologi nostri e
specialmente di San Tommaso, sanzionati dalla legislazione nel Diritto Cano-
nico e universamente applicati nel secolo XV. In conclusione che cosa faceva
Jl Savonarola? Nient' altro che questo: affermare che coloro i quali volevano
far tirannide e abbattere con la violenza il legittimo Governo fiorentino e di-
struggere il Gran Consiglio meritavano la pena di morte ('), e che se v' era chi
il bene e di la verità liberamente. Tu i>uoi parlare, non ci è più quel freno; voi potete fare
tutto quello, che vuole Dio, se voi volete, e se direte la verità per amore di Cristo, sarete
de' suoi baroni, quando si scoprirà capo della città di Firenze. Può essere che i Fiorentini
non conoscano quello che e' sono ? su sollecitate quella sala : quello è il bene vostro, o come
voi perdeste questo governo perdereste Cristo «.(Sopra i Salmi, XXVII.) « Pigliatevi insieme
quattro, quando vedete una cosa buona, e dite : Noi vogliamo cosi ». (Sopra Ruth e Michea, IX)
Lasciate consigliare ognuno liberamente, e non calunniate poi chi dice. Quando i cittadini
sono congregati, e' non si può dire bene, nè consigliare bene, se non si dice tutto quello che
l'uomo ha in animo. Lascia dire a ognuno quello ohe e' vuole: tieni pure saldo l'occhio
al Consiglio, e basta. La Signoria poi, udita la volontà do' cittadini, si ha stringere fra gli
Ottanta e dire: — Egli è stato consigliato cesi e cosi: che ve ne paro? — E piglierete buoni
partiti. Ma se la va cosi che voi siato sfiduciati P uno dell'altro, ella non va bene — O Pa-
dre, e' ci è di chi l'uomo non si può fidare. — Non ti curare, lascia parlare ad ognuno libe-
ramente ne'tuoi Consigli, ohe la vita loro gli manifesterà. Fate questo che non si possa
mormorare di quello che si dice in Consiglio sotto qualche pena. Ma se non ti piace quello
che si consiglia, non dire male di colui; di' : — E' non mi piace questa ragione, — ed allegano
tu una migliore, perchè se voi dite male l'uno dell'altro, non vi è poi nessuno che voglia
parlare. Noi abbiamo anche noi frati i nostri consigli. E' si chiamano tutti i frati secondo le
cose importanti: ognuno è libero di dire, e poi si guarda le migliori ragioni, e quello che
tiene la maggior parte quello si osserva. Il Consiglio vuole essere libero. Mettete qua una
pena a quelli che dicono: Quel cittadino ha detto male, egli è un ribaldo e un cattivo. Di' più
presto : — Gli ha buona mente, ma la ragione sua non mi piace. — Se voi fate questo, che
siate uniti ed amiate il bene comune, e fate orazione in ogni cosa, lo cose vostre andranno
bene ». (Ivi, pred. XIX.)
(') Dice San Paolo: Chi resiste all'ordine di Dio resiste alla potenza di Din e apparto-
Ckiasi la dannazione. (Ai Romani, c. XIII, v. 2.) Qual' è la potestà ordinata a te popolo fio-
i
— 366 —
attentasse a questo, il popolo desse mano alle armi e si difendesse, anche uc-
cidendo gì' ingiusti aggressori. Trovatemi un solo codice medioevale che non
porti per tal delitto siffatta pena, ed io sarò con voi a condannare il Frate
come intemperante. Piacemi riportare le gravi parole di Gino Capponi a que-
sto proposito: « Vinti da principio si presentavano gli amici di casa Medici; ma
1' adoperarsi a ricondurne la dominazione era col promuovere una tirannide,
contrastare alla grande opera che stava in cima d'ogni suo pensiero, e alla
quale si sentiva egli chiamato da Dio; era delitto cui non poteva essere indul-
gente ». (')
Ho inteso, direte ; ma non aspettava a Fra Girolamo dichiarare la guerra,
anche se giusta, contro i nemici dell' ordine puhblico, e tanto meno dichia-
rarla dal pergamo.
Ed io vi do perfetta ragione riguardo al vostro principio ; ma nego reci-
samente il vostro supposto. La guerra devono dichiararla e guidarla non i
Frati, ma i reggitori dello Stato: quest' è verissimo. Ma dove mi trovate che il
Savonarola dichiarasse egli guerra alcuna, e facesse alcuna legge? Anche qui
si è egli semplicemente limitato a consigliare a Firenze, al popolo di Firenze,
al Signore di Firenze, a provvedere perchè le arti da volpe e la violenza non
gli guastassero il bene comune : e questo lo può fare ognuno in nome di Dio,
e il Savonarola doveva farlo in modo speciale, dacché dalla sua bocca si aspet-
tavano i buoni consigli, nè altri aveva il coraggio di darli. E singolare la con-
seguenza a cui si arriverebbe con la condanna del Frate. Ecco una città in
gran parte riformata e che sta per riformarsi anche tutta nella vita cristiana;
ecco una città da schiava e corrotta divenuta libera e buona; ecco un Governo
che fa leggi informate al timore di Dio, che mirano a provvedere al ben co-
mune, e far rifiorire ogni còsa nella pace universale ; alle porte di questa
città ecco il tiranno armato che conduce con sè il trionfo del vizio. Il predi-
catore cattolico, vedendosi pendente dalla sua bocca il popolo trepidante, il po-
polo, che in qualche modo ha da provvedere, non dice una parola del pericolo
che si corre, non dà un conforto, non un incitamento perchè i vogliosi ardi-
scano, i neghittosi si movano, l'autorità provveda; ma lascia che l'inetto ti-
ranno compia il suo giuoco e i malvagj trionfino e piglino vendetta contro
i buoni. Me se così dev' essere; che si potrà rispondere a coloro i quali ino-
rentino? eli' è il Consiglio Granilo, porche quello come Principe e Signore fa tutti gli of-
ficiali, questo è il tuo He, Firenze, questo è il tuo Signore. Or, dimmi un poco, popolo mio,
elio pena merita colui, il quale nmmazza un Re, o veramente un signore di una città? Oh,
merita grandissima punizione. Quia cut crimcii le.sae, maiestutis. Che morita dunque uno che
andasse pensando o tonfando d'ammazzare e guastare questo Consiglio? Certo meritoria
quella medosima pena che merita colui che ammazza il Re, o veramente il principe. Se
colui che ammazza un uomo merita la morto, che ne va a chi ammazza un comune o una
repubblica? Oh, corto grandissima pena; so adunque ne va una gran pena a ofl'ondoro questo
Consiglio, dove ciascuno con ogni sua l'orza difenderlo cho non sia offeso da persona ».
(Sopra Amos, prod. V.)
('j Storia della repubblica Fiorentina, Libro VI, c. II,
- 367 —
vono alla Chiesa la vecchia accusa di essere nemica degl' interessi civili e
incapace affatto di promovere quelle condizioni di ben essere e di gloria cui a
buon diritto e per naturale tendenza aspira ogni ben ordinata società? La
salute pubblica è legge suprema; ed interessa il privato come il pubblico
bene, che sia mantenuto l'ordine e la tranquillità pubblica; che la famiglia sia
ordinata conforme alla legge di Dio e ai principj di natura: che sia rispettata
e praticata la religione : che fioriscano i pubblici e privati costumi: che sia in-
violabilmente osservata la giustizia: che una classe di cittadini non opprima
l'altra: e allorché è minacciata la mina dello stato la forza e l'autorità delle
leggi deve fare il suo estremo sforzo e giungere sino, se sia necessario, alla
uccisione dell'ingiusto oppressore. E chi, quand' è uopo, predica perchè la
società non patisca questi mali e goda questi beni, non fa certo politica mon-
dana, e che non si convenga a buon religioso e a uomo pacifico. (*)
Secondo questi principj noi dobbiamo esaminare la predicazione del Sa-
vonarola e non altrimenti, se non vogliamo insegnare in teorica una cosa e poi
praticarne un'altra contraria, e renderci ridicoli. Esaminata con questi prin-
cipj la causa del Frate è giusta e santa e nessun cristiano la può condannare.
Devo dirlo? Se il Savonarola ha un torto; questo si è 1' abborrire dal
sangue. (2) Se ha un torto, non è per intemperanza o per escandescenze o per
crudeltà nell' invocar pena e morte, ma nel chiedere misericordia, perdono e
pace tra le risorgenti fazioni.
Se il Savonarola fosse stato focoso e crudele forse, chi sa? la repub-
blica Fiorentina avrebbe durato più a lungo e la sua riforma avrebbe
ottenuto altri risultati. Chi guastò 1' opera del Frate furono coloro che avendo,
coni' egli stesso diceva, il capestro alla gola, furono accolti pacificamente nel
novero de' buoni cittadini, colla fiducia che essi sarebbero vissuti quieti. Se
invece di predicare la pace e la misericordia con quante forze Dio gli aveva
dato, egli non si fosse interposto sì che qualche centinaio di cittadini aves-
ser mozzo il capo, qualche migliaio fossero chiusi nelle carceri, altri, confiscati
loro i beni, fossero stati messi a' confini, altri corrotti con le cariche, con il
danaro, allora, davvero, l'ottimo Frate non avrebbe dovuto poi lottare cotanto
contro que' duri e pertinaci avversarj che lo condusser finalmente alla morte!!
Ma i santi non pensano come noi: pongono la loro fiducia in Dio e vogliono,
ogni volta che si possa farlo, non la morte del peccatore, ma che si converta
(') V .l' Enciclica sulla Costituzione, Cristiana degli Stati, in principio, e l'altra Sulla Que-
stione Operaia. Se avesser ragione i giudici del Frate, non s'intenderebbe più come si meri-
tino lode Pietro d'Amiens e San Bernardo di Chiaravallo e gli altri predicatori cristiani,
che incitarono 1" Europa a muovere contro i turchi, per liberare il Santo Sepolcro.
(2) Il buon Frate si lagna sovente nelle sue prediche della parziale crudeltà do' ma-
gistrati, e tanto esponendo Aggeo quanto esponendo i Salmi e anche in altre predicazioni
insiste nel deplorare che i Fiorentini usassero la tortura contro i debitori del comune, o
per futili motivi. A questo pare che non abbia volto più che tanto l'attenzione il Pastor, ma
è pure non ultima delle glorie del Riformatore fiorentino. Vedi per esempio le prediche I o li
sopra i Salmi.
— 368 —
e viva; (*) sono come la misericordia di Dio, che abbraccia tutto ciò che a lei
si volge.
Pensai più volte per qual ragione il Savonarola gridasse tanto perchè non
si lasciasse tornare il Tiranno, e invocasse, contro i favoreggiatori di quello,
pene quanto giuste altrettanto gravi; e credo che anche questo egli in parte
facesse per risparmiar sangue, confische, esigli. Ma di ciò dovremo occuparci
un'altra volta andando innanzi. Per ora il detto basta a scagionare il nostro rifor-
matore. Concludiamo adunque così: Il Savonarola s'implicò ne'negozj dello stato
solamente quando lo starne fuori sarebbe stata una colpa; se ne implicò per favo-
rire il bene comune della città, per la salute delle anime, per l'onore di Dio, e non
per altro ;(2) nell'animo suo non entrò mai nemmeno l'ombra dell'ambizione
politica; egli si tenne sempre pago, dacché altri non aveva il coraggio di farlo,
a predicare che si promulgassero buone leggi informate al timore di Dio, che tu-
telassero la religione e l'integrità de' costumi, il vivere cristiano e, favorissero
il bene comune e la dignità personale umana. Ne' particolari non scese mai,
nò si usurpò mai l'ufficio di coloro che dirigono lo stato, non fu mai egli il go-
vernatore di Firenze, ma lasciò sempre questo a coloro cui spettava. In partico-
lare non è provato, anzi è falso eh' egli tenesse rivolto a Francia il popolo con-
tro la Lega; egli lasciava questa e le altre questioni simili a coloro a' quali
spettava pensarvi. L' accusa eh' egli fosse intemperante, crudele è accusa leg-
giera e niente giusta. Fra Girolamo potè adunque a ragione, nella predica XIX
sopra Aggeo, dire che le cose da lui predicate nessuno le poteva biasimare,
e se tutto il mondo avesse detto al popolo Fiorentino il contrario, esso non
avrebbe dovuto credergli, perchè quanto egli aveva predicato « non era altro
che la sostanza dell' Evangelo, Amerai il Signor Iddio con tutto il cuore e sopra
tutte le cose e il prossimo tuo come te stesso. L' amore di Dio e del prossimo
è tutta la legge di Cristo. Nè potrai trovare persona che contradica a que-
sto, se non viziosi ambiziosi o stolti e dissipati di mente. Tu di' che gli è
nata la discordia in Firenze e le divisioni. Io ho predicato e sempre predico
la unione, e la pace: ma se tu non la vuoi, duolti di te e non di me. Cristo e
(') Le stesse coso dovremmo dire se fosso discorso do' principi e de' loro servi, o grandi
o piccoli, die tramavano contro il Fi nto e in particolare de' cittadini parimente avversarj
suoi e dui governo. 11 Savonarola ne conosceva le arti e le opere, e se, invece di star redo-
lissimo alla logge impostasi di non trarre dal pulpito a nessuno in particolare, avesse ogli
ni focose concioni al popolo o anche in discorsi agli amici ed ai magistrati svelato le mali-
zio e chiesto pone particolari, forse al Somenzi e a Fra Lauro JJossi non sarebbe stato suffi-
ciente il fuggirò da valorosi per qualche tempo da Firenze, nè sarebbe quogli arrivato a
scherzare cinicamente e turpemente sulla morto de' Martiri fiorentini; ma ed egli e i pari
suoi o avrebber cambiato registro, o bagnato ossi di sangue la piazza della Signoria o le
Stincho. Molti certo se non por amoro della giustizia, almeno per vorgogna e per timore si
sarebbero ridotti al silenzio. Ma a Frate Girolamo bastò sempre far minacco in genore e
piuttosto che esser altrui cagiono di morte, amò meglio morir ogli vittima della prepotenza
della malizia o della ingratitudine! Cosi soglion fare i veri santi.
Vi Gino ('apponi dice (1. o.): « Potova egli con verità dichiarare ohe in cose di stato non
gli sia piaciuto d'ingerirsi mai». Vedi il Compendio di Uiuclaxione.
— 369 —
gli Apostoli suoi predicavano sempre la pace: eppure nascea su presto la
divisione dalli cattivi, che ripugnavano il ben vivere che si predicava: cosi
hai fatto tu. Incolpa dunque te, e non me. Io ho fatto 1' offizio mio, e più
in là, ne' tuoi particolari, non mi ho a intromettere. A me basta avere de-
nunziato quello che mi ha dato il Signore, e averti sollecitato e confortato
a farlo. Da me non venire a cercare altro che orazioni ; perchè io voglio es-
ser Frate, e non altro, altrimenti se tu non vorrai fare la volontà di Dio, tuo
sarà il danno ».
24
XXII.
Necessità di esporre la teorica Savonaroliana in-
torno la gerarchia ecclesiastica, l' obbedienza
a' superiori, le leggi canoniche e la scomunica.
Sommario.
Importanza crescente del nostro lavoro. — Un mare poco navigato. — Dottrina e fatti più critici del
Savonarola. — Nostra speranza. — Che cosa si chiede al lettore. — Come si procederà. — La cre-
denza universale nell'ortodossia del Savonarola. — Giudizi di cattolici o di acattolici. — Ufficio
conseguente a chi voglia rivendicare alla Chiesa Fra Girolamo. — Un verso dell' Alighieri che
s' aggiusterebbe al Savonarola. — Il Pastor riuscirebbe a metter in dubbio anche l'ortodossia del
Savonarola. — Asserzioni dello storico d' Iunsbruck contro il Frate. — Obbligo che quindi ne viene
negli esaminatori del Pastor. clie vogliono cattolico il Savonarola. — C'ontradizioni nel Pastorelle
non ritolgono tale obbligo. — Altri scrittori che giudicano sinistramente la dottrina del Frate. —
Xostra speranza. — Metodo che seguiremo.
Arrivati a questo punto il nostro lavoro assume un' importanza capitale.
Ci piacerebbe sostare un poco ; ma la via che ci resta da percorrere e il desi-
derio di giungere alla meta ci attraggono potentemente, e son pur molli che ci
stimolano di andar forte. Senz' altra cura adunque, e non pigliandoci nem-
meno il conforto e il vantaggio che ci verrebbe dal volger lo sguardo al cam-
mino già fatto, spieghiamo le vele pel mare più alto e tempestoso che ci si
para innanzi, e in cui molti ricusarono di mettere il loro legno, o navigarono
pessimamente, non lasciandovi nemmeno segnato il solco del loro cammino!
In vero, il periodo di vita del Savonarola e la dottrina e i fatti che ci re-
stano da esaminare sono i più critici; e la questione che ci proponiamo di ri-
solvere non solo è grave assai, ma forse unica negli annali della storia eccle-
siastica; ed essendo già per se medesima difficile ad esser risolta, venne ancora
intenebrata per guisa dalla passione e dall' ignoranza e dal pregiudizio, che
trasse nel falso, e ve li lien fermi tuttavia, molti eletti ingegni, molli spiriti colti,
anche fra gli amici del Frate di San Marco, anche fra i migliori cattolici!
— 371 —
Se Dio ci vorrà concedere di rischiarire un poco la cosa, e sanar un poco
le viste turbate, a noi parrà davvero di non aver faticato indarno ; e accoglie-
remo nell' animo la certezza che molti cammineranno poi per la retta via, e
sarà tersa ogni macchia e fugata ogni nebbia, anche leggiera, che ancor resti,
nella fama del grande e singoiar martire Fiorentino.
Nè, a riuscir nell'intento, chiediamo al lettore molte cose; lo preghiamo
solo che voglia astenersi dal pronunciar semplicemente proposizioni generali,
senza considerar poi s' esse abbian luogo e sian vere nel caso particolare di
cui si parla. Questo ci è necessario per essere intesi, e questo chiediamo e non
altro; e lo chiediamo come cosa pur onesta e giusta, e come tale confidiamo
che nessun lettore ce lo voglia negare. Procederemo così: esporremo prima
la teorica del Savonarola, poi dimostreremo ch'essa è cattolica, e quindi faremo
vedere ch'egli nella pratica non venne mai meno alla bontà-delia sua dottrina.
Ma per non perder altro tempo e giunger presto alla meta, facciamoci subito
a dire di ciò che porta la intitolazione del presente capitolo.
E oramai generale la credenza che la dottrina di Fra Girolamo Savorarola
■è ortodossa. La Civiltà Cattolica nel quaderno 1111 de' 3 ottobre 1896, parla
di questo con una sicurezza che non ammette dubbio: « L'ortodossia del Sa-
vonarola (dice l'autorevolissimo Periodico) è saputa ».
Monsignor Francesco Baldassarri, Vescovo d'Urbania e di Sant'Angelo in
Vado, uomo quanto cortese e buono con ognuno, altrettanto di diffìcile conten-
tatura in teoria, non uso a pronunciar giudizio se non dove i suoi occhi vedono
molto bene, ci scriveva di questi giorni, che « l'ortodossia del Savonarola è
più chiara della luce meridiana ».
Ognuno conosce del resto la lunga schiera de' celebri scrittori, che posero
il loro ingegno a sostenere e dimostrare questa tesi: L'ortodossia di Fra Giro-
lamo Savonarola. Il Pastor medesimo nota a pag. 378 che son venuti in luce
una gran quantità di scritti cattolici i quali espongono l'ortodossia del Monaco
di San Marco. (l) Ed ognuno conosce l'autorevole giudizio pronunciato, a que-
sto riguardo, dalla Congregazione istituita per 1' esame dei libri al tempo di
Paolo IV terribilissimo avversario d'ogni eresia; giudizio che vale da solo per
molti volumi. (2)
(') A questo proposito richiamiamo l'attenzione dei nostri lettori al nuovo opuscolo del
P. Giovanni Procter Provinciale dei Domenicani in Inghilterra, intitolato: II Savonarola e la
■Hi/orma, risposta al Dott. Farrar Decano di Canterbury. Traduzione italiana con prefazione e
note del P.Lodovico Ferretti dei Predicatori. — Milano, Tip. Pontificia S. Giuseppe Via S. Ca-
locero n. 9. — Allo stesso scopo e insieme a provare la santità della vita del Savonarola, tende
l'altro opuscolo pubblicato alla stessa Tipografia dal suddetto P. Lodovico Ferretti: Per la
causa di Fra Girolamo Savonarola, Fatti e testimonianze.
(2) Anche nell'articolo del Grisar citato di sopra, si legge quanto seguo: « Paolo IV
dichiarò di non voler condannare gli scritti del Savonarola come contrarj al dogma, su di
che San Filippo Neri espresse la sua gioia. Certamente Paolo IV non poteva agire diversa-
mente. Il Savonarola era rimasto sempre fedele alla teoria del dogma cattolico, e al ricono-
scere questa verità tutti i ben pensanti, come San Filippo Neri, dovevano rallegrarsi ».
E avrebbe anche potuto aggiungere che Dio intervenendo con un miracolo, sanzionò
Egli stesso in modo singolarissimo quella dichiarazione del suo Vicario. (Vedi Capecelatro,
— 372 -
Nè soli credenti e cattolici, ma anche razionalisti e protestanti conven-
gono ormai in questa sentenza. Un celebre critico francese ci scriveva l'altro
ieri, che il Savonarola fu rigorosamente ortodosso ed ebbe, secondo lui, il torto
di pensare all'epoca sua quello che i cattolici, con Leone XIII, pensano tutta-
via oggi giorno. Lo stesso crede (e lo scrive nella prefazione alle prediche so-
pra Ruth e Michea, edite in Firenze dal Salani nel 1887) Giuseppe Baccini; e
così fanno altri non pochi. Onde il Villari nota a proposito che anche in Ger-
mania e in Inghilterra, quando furono colà meglio conosciute le opere di Fra
Girolamo, le opinioni errate di quegli scrittori riguardo alle dottrine di lui ven-
nero corrette universalmente.
Dopo tutto, parrebbe adunque che almeno nella dottrina il Savonarola si
avesse da tenere senz'altro per buono; e per conseguenza che s'avesse a tenere
per retto anche nella teoria dell'obbedienza de' sudditi verso i prelati e di
tutti i fedeli verso il sommo Pontefice. Questo parrebbe ormai che s'avesse a
credere ; e perciò che si dovesse stimare superfluo il soffermarsi, chi vuole
rivendicare la memoria del Frate al cattolicismo, ad esporre l'ortodossia della
sua dottrina; ma, tenendola senz'altro per vera e nota, parrebbe che si
avesse ad entrar subito a mostrare che il Frate non si è dipartito in pratica
dalla sana teorica professata: il peccato suo, se mai, non sarebbe di scienza o
di fede, ma di fatto e pratico.
Si potrebbe adunque al più aggiustare al Savonarola, da chi lo accusa, il
verso 99 del canto XVI del Purgatorio di Dante:
Ruminar può, ma non ha 1' unghia fessa,
traendo il ruminare a dire che il Frate di San Marco ha ben saputo pascere e
digerire studiosamente le sacre scienze, e che fu, se piace, dottissimo in di-
vinità ; ma, traendo l'unghia fessa a pratica di vita, si dovrebbe volger subito
la lode in biasimo acerbo, e negare al Savonarola d'aver saputo tradurre
in fatto la sapienza e la dottrina che possedeva. In breve: al nostro Frate si
concederebbe per un lato e sapienza e dottrina, e per l'altro si negherebbe la
conformità delle opere e l'esemplarità della vita. Onde colui, che Io volesse
scagionato e purgato intieramente da ogni accusa e macchia presso i cattolici,
dovrebbe pur soffermarsi a mostrare e provare il contrario, cioè la conformità
degli atti del Frate alla buona dottrina.
Così forse dirà alcuno, e così forse potrebbe farsi in un altro genere di
lavoro, ma non quando si esamina e si giudica il Pastor. Questo critico, tanto
autorevole, quanto spietato contro Fra Girolamo, non dubita, a pag. 352, di
paragonare, rispetto alla dottrina, il Savonarola all'Hus, e asserisce franca-
mente che il Frate di San Marco « non si peritò punto di dichiarare il con-
vincimento soggettivo quale stregua dell'obbedienza ecclesiastica » ; e a pag. 357
Vita di S. Filippo, Lib. II, cap. V; e il Padre Marchese, Lettere al Cardinale Capecelalro, Pa-
dova, pag. 117. Cl'r. anche gli articoli comparsi nel Rosario, Memorie Domenicane, Anno XIV,
fase. 3 e i intitolati: — Il sovrannaturale nella causa di Fra Girolamo. —
- 373 -
insinua, anzi afferma, che il Savonarola « aveva l'ardire di professare la dot-
trina di un magistero profetico sopra la gerarchia ecclesiastica »; nè dubita di
ripetere più volte che e' dimenticò eziandio del tutto l'insegnamento della
Chiesa, che la vita peccaminosa e viziosa del superiore, anche del Papa, non
vale a scuoterne la giurisdizione (pag. 379) : e a pag. 3G4 nota, che il Per-
rens a ragione giudica che la teorica del Savonarola facilita ogni ribellione
contro l'autorità; e più esplicito ancora, a pag. 359, ha l'audacia di scrivere
« Che la teoria esposta neh' Epistola contro la scomunica surrettizia a tutti i
cristianie diletti di Dio contrasta direttamente alla dottrina della chiesa, eviene
a rovesciare i fondamenti di ogni ordine ecclesiastico». (l) Per tutte queste as-
serzioni, e per altre simili che abbiamo viste, o vedremo, è chiaro che l'illu-
stre professore d'Innsbruck pensa e insegna che il nostro Frate non solamente
è stato protervo in pratica, ma anche in teoria « si è staccato dal fondamento
di ogni riforma nel senso cattolico, cioè dalla soggezione della suprema e le-
gittima autorità, anzi assalì il fondamento di ogni ordine nella chiesa » (pag. 143).
Perciò il Savonarola, secondo il suo ultimo grande giudice, almeno in que-
sto campo, avrebbe professato dottrina e compiuti fatti ugualmente dannabili.
È ben vero che il Pastor ha giudizj e concetti i quali pugnano contro
questa conclusione; così a p. 360 nella nota 2, egli deplora nel Ranke l'as-
serzione che resistere alla scomunica era uno spianare la strada alla riforma
generale, di cui si occupava il Savonarola; e trova vie più grande l'errore nelle
proposizioni seguenti del medesimo storico: « Di gran lunga più grave (che le
funzioni ecclesiastiche del Savonarola) si fu il maneggiarsi onde permettere al
Frate anche la predicazione persino fuori di San Marco ; chè in ciò stava
un'aperta ribellione contro gli ordini pontificj e la scomunica dello stesso
Tutto ciò non vuoisi riguardare per un semplice atto di disobbedienza; è
manifesto che in tal guisa veniva intaccato 1' intero sistema della Chiesa.
L'autorità suprema del Pontefice e la infallibilità dello stesso erano con ciò
messe in dubbio »; ed è ben vero ancora che egli non vuol consentire a
questo storico che il Frate possa chiamarsi « un precursore de' riformatori del
secolo XVI ». ed è ancor vero che a pag. 377 l'illustre critico, nella lunga nota
terza, riconosce ed afferma stravagante l'idea di collocare sul monumento di Lu-
tero a Worms il Monaco di San Marco, il quale nel suo Trionfo della Croce pa-
ragona il discostarsi dalla Chiesa Romana col discostarsi da Cristo; e dà lode
non piccola al Marchese e al Villari con riconoscere i meriti di quest'insigni
scrittori nel rimuovere l'idea, contraria alla storia, che il Savonarola sia uno
de'precursori della riforma; e insieme coll'Hergenrother afferma: « sicuramente
(') Avvertiamo i lettori che quest'epistola, esaminata insiemo colle altre opere del Sa-
vonarola. non è stata trovata in nessun modo meritevole di censura. Se (corno il Pastor fa
dire ad Alessandro VI nel breve dell' 8 marzo 1198) il Savonarola divulgava per le stampe
dottrine che rovesciavano l'autorità apostolica, perchè nel rigoroso esame che se ne i'eco,
queste dottrine non furon condannate, come nessun altro scritto ove si provava la nullità
della censura ?
— 374 —
il Savonarola non era un eretico formale riè un precursore della così detta rifor-
ma, se però la sola opposizione contro il papa è quella che decide; la sua dottrina
era del tutto cattolica »; questo è ben vero tutto; ma siffatte ed altre asser-
zioni simili, che si leggono nelle note dell'illustre prof, d' Innsbruck, non val-
gono punto a rischiarare la fosca luce che viene dal testo gettata sulla persona
del nostro Frate. Resterà in coloro che, senza aver letto le opere del Savona-
rola, leggeranno il Pastor, e pur compatiranno allo scrittore questi opposti
giudizj, resterà almeno il dubbio che il Frate esaltato, davanti alla legge si ti-
rasse addosso il sospetto d'eresia, in quanto che parrà che negasse il diritto del-
l'autorità ecclesiastica ad infliggere la scomunica o la necessità dell'appartenenza
alla Chiesa. (Cfr. nel Pastor la nota 1 a pag. 377.) (') E perciò resterà almeno
il dubbio che il Savonarola non riconoscesse gli obblighi de' sudditi verso i pre-
lati e segnatamente verso il Sommo Pontefice; non riconoscesse la gerarchia
ecclesiastica, nè il valore delle leggi canoniche, in ispecie di quelle che riguar-
dano la disciplina e la scomunica; e così sarà per necessaria conseguenza cre-
duto dannabile anche in teoria il nostro povero Maestro, e la sentenza andrà a
terra o si sgretolerà almeno anche il giudizio con tanta fatica ottenuto, che egli
nella dottrina fosse ortodosso; e sarà aperta un'altra volta la via, che il Pa-
stor medesimo pur vorrebbe chiusa, ad introdurre il Riformatore fiorentino tra
le file de' protestanti; o almeno de' liberaleschi moderni ; e i cattolici dovranno
continuare a guardarlo con occhio poco benigno e niente favorevole !
È una necessità adunque, per chi vuole purgatoli Savonarola dalle macchie
e rischiarato dalla nebbia onde lo ricopre e avvolge il nuovo libro tedesco, di-
mostrare non solo che egji rettamente operò ne' suoi rapporti con Alessan-
dro VI papa; ma ancora, che pensò rettamente.
Del resto, a dire tutto il vero, il Pastor non è solo a pronunziare una-
sentenza così grave; in qualche modo la pronunziarono anche recentemente
il Ranke, il Ròsler, il Cosci, il Grisar... e più altri, dai quali anzi il Pastor la
trascrive e copia, rincarandone però la dose a modo suo. E adunque non solo
opportuno, ma anche necessario a noi discutere e risolvere questa questione.
Altrimenti ci sarà impossibile giudicare, come si conviene, le sentenze sopra-
scritte del professore d'Innsbruck e più altre ch'egli accolse nel suo libro, che
levò contro il Savonarola tanta avversione, e gli fece e fa tuttora tanto male !
E noi veniamo volentieri a questo, anche perchè non sappiamo chi fra i
moderni l'abbia fatto di proposito e sufficientemente ; e fra gli stessi storici più
accreditati regna a questo riguardo non poca confusione. Osserviamo però che
noi svolgiamo colla dovuta ampiezza quest'argomento in altri scritti, e perciò
qui si ha da star contenti a quanto è strettamente necessario all' intento di ora.
Saremo relativamente brevi adunque; ma speriamo tuttavia di poter riu-
scire a risolvere definitivamente la questione famosa, che tiene ancor sospeso il
giudizio di molti intorno al Martire fiorentino. Esporremo adunque prima la teoria
(') Questo giudizio è anche «lei (.«riunì-.
- 375 —
del Savonarola riguardo alla gerarchia ecclesiastica, e all'obbedienza de' sud-
diti a'prelati e segnatamente al Papa; poi la teoria intorno al valore delle leggi
canoniche; e quindi la dottrina della scomunica, procurando sempre di tenerci
stretti alle opere del Frate, e possibilmente di presentare ogni cosa colle stesse
parole di lui. Ci par questa l'unica via per togliere di mezzo ogni dubitazione,
e disporre le menti ad un giudizio spassionato, ragionevole e sicuro intorno
la convenienza della dottrina Savonaroliana colla dottrina cattolica, colla dot-
trina de'Padri e de' Dottori della Chiesa, e particolarmente di San Tommaso
d'Aquino; e per arrivare al punto decisivo, cioè alla domanda se il Frate sia
da condannare o da assolvere e commendare non pure nel campo delle idee,
ma anche della pratica.
Per questo modo apparirà chiaro quanto merito debba darsi alle asser-
zioni del Pastor di sopra recate ed a più altre che si leggono nel libro di lui,
libro a nostro giudizio, nella parte che spetta al Savonarola, infelicissimo, come
per il resto, così anche per i rapporti del Frate con il Papa.
XXIII.
Della gerarchia ecclesiastica
secondo Girolamo Savonarola.
Sommario.
Distruzione tra clero e popolo. — I Ministri iustitniti da Cristo dispensatori de' Sacramenti. — L'Euca-
ristia fonte e ragione della gerarchia ecclesiastica. — Del Sacerdozio e degli altri ordini che ad
esso ministrano; o de' gradi della gerarchia ecclesiastica. — Del Vescovato. — La potestà epi-
scopale e la sacerdotale rispetto al corpo vero e rispetto al corpo mistico di Cristo. — Come si
riducano tutte le diocesi ad un solo capo. — La gerarchia nel nostro cosino, e la gerarchia uel-
1' universo di Cristo.
Parlando della gerarchia ecclesiastica osserviamo prima di tutto che Giro-
lamo Savonarola pone nella Chiesa di Cristo una vera e propria differenza fra
laici e chierici: « La Chiesa si distingue in laici e chierici ». (Scritti inediti, po-
stille al Salmo 1.) « Il popolo cristiano si divide in due parti: l'una il clero, l'al-
tra i secolari e cittadini. » (Sopra Rulli e Michea, pred. XIX.) « La dignità sa-
cerdotale dev'essere e restare, per la sua eminenza, distinta dalla moltitudine
plebea. » {Scritti inediti, postille al II de' Numeri.)
Lo stesso potremmo vedere in molti altri luoghi, come per esempio nel
cap. XIII del libro III del Trionfo, dove il Frate, discorrendo della dottrina
cristiana circa la legge e la costituzione giudiziale, che trova massimamente
ragionevole, ha, tra l'altre cose belle, la proposizione seguente: « Per le leggi
canoniche è giudicato e governalo il clero e per le leggi civili il popolo ». Ma
non ci pare il caso di soffermarci qui ora da vantaggio, non essendo possi-
bile sopra questo punto alcun dubbio da parte di nessuno; e poi togliendo ad
ogni modo qualunque esitanza di giudizio e distruggendo qualunque obiezione
quanto diremo or ora della gerarchia ecclesiastica.
Di questa il Savonarola discorre in molti luoghi delle sue opere, e fra gli
altri nel capo XVI del libro III del Trionfo della Croce; e ivi, come altrove, la
fa nascere da' diversi gradi onde si compone il Sacramento dell'Ordine.
Osserva per prima cosa l'alto teologo, che. avendo Cristo a sottrarre la
— 377 —
sua presenza visibile alla Chiesa, fu necessario che sostituisse in suo luogo
ministri che avessero a dispensare i sacramenti a' suoi fedeli. E questi mi-
nistri non furono angeli, non furuno esseri differenti da noi, ma scelti tra
noi; furono uomini. E non essendo questi uomini, pure elevati a tanta dignità
e a tanto ufficio, immortali, Cristo diede loro per tal modo la potestà di am-
ministrare i suoi Sacramenti, che la potessero conferire a' successori con-
tinuamente sino alla consumazione del secolo.
Questo osserva per prima cosa il Savonarola; e, ciò posto, considera la
potestà dell'Ordine e i gradi rispetto all'Eucaristia; e ci mostra la gerarchica
dipendenza di essi gradi, e dice: « Quando una potestà è ordinata a qualche
principale effetto, molte volte ha sotto di sè potestà inferiori che le servono;
mala potestà dell'Ordine è instituita principalmente a consacrare il corpo e il
sangue di Cristo e dispensarlo a' fedeli, e a purgare questi acciocché sieno de-
gni di ricever tanto Sacramento ; bisogna adunque che vi sia qualche ordine il
quale sia principale a quest' effetto deputato, e sotto il quale gli altri ordini sieno
ministranti. E questo, cioè il principale (continua sempre il Frate), è il Sacer-
dozio. E siccome il Sacerdozio si estende a due cose, cioè a consacrare il corpo
di Cristo, e a purgare i fedeli dai peccati, per farli idonei a quello, così bisogna
che gli ordini inferiori servano ad esso o in queste due cose o almanco in una;
i quali sono tanto più degni, quanto a quello ministrano in cose più degne.
Gl'infimi ordini adunque sono instituiti solamente a preparare il popolo, e i
superiori sono instituiti alla preparazione del popolo fedele e alla consuma-
zione del Sacramento dell'Eucarestia. L'ordine degli Ostiarj separa gl'infedeli
e li scaccia dalla Chiesa; l'ordine dei Lettori ammaestra nella fede quelli che
vogliono diventar cristiani; l'ordine degli Esorcisti scongiurali demonio dagli
energumeni: l'ordine degli Accoliti per il nostro Frate, quasi anello trai mi-
nori e i maggiori domandati propriamente sacri, ha per ufficio di preparare i
vasi consacrati con la materia che si ha a consacrare, e a preparare e por-
tare i lumi per riverenza ed onore di tanta dottrina.
« Vengono poi gli altri ordini, maggiori: l'ordine del Suddiacono, che di-
spone la materia ne' vasi sacri, e 1' ordine del Diacono, che ha qualche pote-
stà sopra la materia già consacrata, in quanto che dispensa a' fedeli il sangue
di Cristo; perciò il Sacerdozio, 1' ordine del Diacono e 1' ordine del Suddia-
cono sono domandati sacri; perchè hanno potestà sopra la cosa sacra. Ancora,
il Suddiacono e il Diacono ministrano il Sacerdote in preparare il popolo, cioè
il Diacono in pronunciare e leggere al popolo 1' Evangelo, e il Suddiacono
1' epistola >. (l)
Quanto al Vescovato il Savonarola, col suo maestro San Tommaso, (2)
non pare che lo creda un ordine distinto dal sacerdozio : ma come il comple-
mento, il perfezionamento, la pienezza di quello. Scrive poi che nella Chiesa
si pone razionabilmente 1' autorità episcopale, e per riverenza e onore alla dot-
(') Cfr. San Tommaso, Contra GentiUs,YA>- IV, cay>. LXXV.
■ {') Cfr. ivi, cap. XXXVI.
— 378 —
trina della Scrittura, e perchè, essendo gli ordini sacri conferiti per mezzo di
un Sacramento, bisogna che sieno conferiti da ministri idonei, e da qualche
potestà di ordine superiore.
Per ciò che riguarda adunque il corpo di Cristo, secondo Girolamo Savo-
narola, lutti coloro che hanno la potestà di consacrare e dispensare l' Euca-
ristia a' fedeli e prepararli e disporli a riceverla, hanno tutti uguale potestà; e
qui tanto vale un semplice sacerdote, quanto il più grande di lutti i pontefici.
Ma nel corpo mistico di Cristo, cioè nella Chiesa, la cosa sta altrimenti; onde
il Frate nostro scrive che « 1' autorità episcopale, sebbene non ecceda la sa-
cerdotale quanto alla consacrazione del corpo di Cristo, nientedimeno la ec-
cede quanto a quello che appartiene al corpo mistico della Chiesa, a tutto il
corpo della Chiesa, ed ha ivi potestà nelle azioni gerarchiche, e a lei (all'auto-
rità episcopale) è riservata ogni alta difficoltà che occorre nel ceto de' fedeli. »
Nè basta questo al Savonarola; ma segue con dire che sebbene le di-
verse diocesi de' Cristiani abbiano i loro vescovi nelle diverse parti del mondo,
nientedimeno, perchè è una sola Chiesa, tutto il popolo cristiano si riduce ad
un capo; acciocché tutti convengano in una fede; e che per la diversità delle
opinioni, non rimanesse divisa la Chiesa. (*)
Con questo già noi avremmo in qualche modo soddisfatto all' obbligo
nostro e dato un'idea, se non completa, almeno sufficiente della dottrina della
gerarchia ecclesiastica di Fra Girolamo Savonarola. Ci piace tuttavia indugiare
ancora un poco, e non sia grave al lettore farlo con noi. Un poco, ma non
troppo; e per esser brevi non toccheremo più degl'infimi gradi della gerar-
chia, contentandoci per questi di additare al lettore la predica XII sopra
l'Esodo, nella quale se ne discorre assai lungamente, e per gli altii gradi sta-
remo paghi a poche cose tratte dall'ultimo sermone recitato dal pergamo dal
nostro Frate al popolo di Firenze. (XXII sopra l'Esodo.)
Ivi il Savonarola vede nelle opere di Cristo come un nuovo universo, e un
nuovo mondo; e ammira anche nelle cose naturali una specie di gerarchia,
quasi segno e figura della gerarchia che Cristo institui nella sua Chiesa, e nel
suo universo spirituale.
« Nel mondo (in questo mondo corporeo, che ci sta innanzi gli occhi), v' è
il cielo (non dimentichiamoci che il Savonarola parlava nel secolo XV) causa
universale, che con la sua virtù fa produrre le cose naturali ». (*) Cosi nella sua
Chiesa v' è Cristo, che, con la sua passione, è causa universale della salute delle
anime. (3) Al cielo seguono gli elementi, causa meno universale di quello, che
producono le varietà delle cose particolari di questo mondo; neh' universo di
Cristo vi sono i Sacramenti della sua Chiesa, che conferiscono la grazia a coloro
che li ricevono. Poi nel mondo corporeo viene un'altra causa meno universale
(') San Tommaso, loc. cit.
(J) La Sottrimi trovasi più volte ripetuta da San Tommaso, (V. Somma TtologiCO, p. I-I I,
O.Q. 10». art. 1 e II-II; qu. 47, art. 5, ad 3m).
(,a) Cl'r. San Tommaso, Somma Teoloijica, p. Ili, qu. XLIX, art. I ad 4.'"
— 379 —
degli elementi, cioè gli agenti naturali e particolari; e nell' universo di Cristo
vi corrispondono e sono i prelati della Chiesa: alcuni universali, alcuni partico-
lari. Il più universale è il Papa, il quale, dopo Cristo, deve provvedere a tutta la
Chiesa; seguono poi i vescovi, meno universali, che devono provvedere alle loro
diocesi; e quindi vengono i parrochi, meno universali ancora, i quali devono
provvedere alle chiese loro; e quindi per ultimo v' è ciascun individuo, che deve
provvedere all' ànima propria.
« E tutte queste cause dell'universo di Cristo (trascrivo sempre le pa-
role del Frate), furono da Lui bene collegate e concatenate insieme V una
sotto 1' altra con la sua sapienza. Perciò è facile capire e vedere che 1' una
deve stare sotto Y altra e riconoscere la superiore rispettivamente e ricor-
rere ad essa e obbedirla; e tutte riconoscere la suprema e ricorrere ad essa
e obbedirla. Onde se un cittadino, continua i! Savonarola, facesse male contro
la Chiesa, per esempio dicesse male della fede, e' si ricorre il primo tratto al
suo parroco; e se lui non gli provvede, si ricorre al vescovo, e se il vescovo
non gli provvede, si ricorre al Papa, e se il Papa non provvede, si ricorre a
Cristo: si fa orazione, perchè quello è 1' ultimo rimedio ».
E nel Trattato del governo cap. II, si leggono le seguenti parole, ripetute
poi con pochissime varianti in ogni predicazione: « Il nostro Salvatore, volendo
mettere nella Chiesa sua ottimo governo, fece Pietro capo di tutti i fedeli, ed
in ogni Diocesi, anzi in ogni Parrocchia e Monastero volle che si governasse
per uno; e che finalmente tutti i capi minori fossero sotto un capo, Vicario suo...»
Chi ne avesse desiderio potrei moltiplicare questi passi fino a farne un
volume; ma credo che i citati bastino per affermare senz' altro che nella gerar-
chia ecclesiastica il Savonarola è perfettamente cattolico; e perciò andiamo oltre
senza più nulla dire nè aggiungere a questo riguardo, per la parte generale;
ma subito ci facciamo a parlare del Papa.
XXIV.
Il Romano Pontefice nella gerarchia ecclesiastica
secondo Girolamo Savonarola.
Sommario.
Pagione del capitolo presente. — Chi sia il Papa secondo Girolamo Savonarola. — Fu passo aureo. —
Verità che piace al nostro Frate. — Il Papa capo della chiesa, successore di Pietro, vicario di
Cristo, rappresentaute di Dio in terra. — Il Papa avrà sempre Poma per sede. — Il capitolo VI
del libro IV del Trionfo. — Per qual fine sia tatto il Papa. — Il Papa giudice supremo nella
Chiesa di tutte le questioni'e compositore di tutte le differenze. — Il Papa e la perpetua unità
della Chiesa. — Tutti i papi quasi un papa solo. — Parole di Fra Girolamo alla Chiesa Catto-
lica. — Riepilogo e conclusione.
Ciò che abbiamo esposto nel capitolo passato è certo sufficiente perchè
noi ci formiamo un concetto abbastanza preciso della gerarchia ecclesiastica
secondo Girolamo Savonarola; e potrebbe anche bastare per vedere che nella
Chiesa il Frate di San Marco riconosce al Papa il posto che gli conviene, po-
nendolo al sommo di tutta la gerarchia, e riconoscendolo perciò capo di tutta la
Chiesa, di tutti i vescovi, di tutto il clero e di tutto il popolo cristiano. Ma perchè
*ono troppo profondi i pregiudizj contro il grande Riformatore, e noi qui dovremo
occuparci specialmente de' rapporti corsi fra Alessandro VI Papa, e Girolamo
Frate domenicano, non sarà tutto tempo gettato, nè tutta opera perduta, se ci
fermeremo ancora un poco a tratteggiare più compiutamente il sommo Gerarca
della Chiesa cattolica, e vedere chi sia propriamente il Papa secondo il nostro
Riformatore, e a qual fine venisse egli creato e fatto.
Chi ò il Sommo Pontefice, chi è il Papa, secondo Girolamo Savonarola? Il
Papa è il capo, il primate della Chiesa universale, è nella Chiesa come l'anima
nell'uomo, e il cuore nel corpo, come la luce del sole nella generazione; è
nella chiesa ciò che nelle scienze e nelle arti sono i principj universali, ciò che
è il fondamento nella casa; è il capitano de' soldati cristiani, il principe loro.
Togli dall' uomo 1' anima, dal corpo il cuore, dalle scienze e dalle arti i primi
— 381 —
principj, il fondamento dalla casa, dall'esercito il capitano, dalla città il prin-
cipe, e tutto andrà in mina. Così avverrebbe del governo della Chiesa se ne
togliessi il capo, se ne togliessi il Papa.
Lasciatemi trascrivere intiero il passo savonaroliano, dove sono esposte
queste cose, nè vi dolete se il Frate riprende la cosa alquanto dall'alto, e trae
immagini dalla fisica ed astronomia dei tempi suoi; fissale l'occhio all'essenza
dell' argomento e vedrete che non sarà senz'utile: «L'onnipotente Dio ha
creato tutto questo universo, e dà 1' essere a tutte le creature, e fa che 1' una
dipenda da 1' altra e che l' una operi mediante 1' altra. E benché Dio potesse
fare, se volesse, che nessuna creatura operasse mediante 1' altra, ma operasse
Lui in esse, (') tuttavia Lui, per dimostrare e diffondere più la sua bontà, ha
voluto così ordinarle, ed ha diffuso e sparso la sua bontà in esse, ed ha voluto
che la diffondano poi 1' una nell' altra, ed ha fatto in loro una colligazione che
1' una sta conlenta sotto i' altra, e la superiore sparge la sua bontà nelì' infe-
riore, e la inferiore sta contenta anche solto la superiore. Ed in tutti gli or-
dini delle creature ha proposto una cosa principale, sì che, tolta via quella,
rovinano tulle quelle altre cose che da quella dipendono. Ad esempio: nei mo-
vimenti il primo e principal movimento è quello del cielo cristallino, dal quale
tutti i movimenti sotto di lui dipendono (,*). Se togliessi via un movimento di
questi intermedj, per esempio il movimento dell'aria, non cesserebbero però gli
altri, ma tolto via il principale, cioè quello del cielo cristallino, tutti gli altri
movimenti cesserieno. La luce nella generazione delle cose naturali è virtù
principale, che fa produrre tutte le co -c; togli via quella, e che e' non si abbia
più sole, non si produrrà più nulla. (3) Onde tu vedi che se lu vuoi fare un giar-
dino in un luogo che non vi dia il sole, non fai nulla e non vi nasce niente.
L' anima è la principale parte dell' uomo ed è quella che sostenta il corpo; se
tu togli un membro, il corpo non cade, ma tolta via 1' anima, il corpo va tutto
per terra. Il cuore dà il movimento a lutto il corpo; tolta via una mano, gli al-
tri movimenti del corpo non cessano; ma tolto via il cuore, il corpo non fa più
alcun movimento. Le scienze hanno tutte i loro primi principj; tolti via quelli,
sono tolte via tutte le scienze. Le arti hanno tutte anche i loro principj, e tolti
via quelli, ruina tutta 1' arte. La casa, se tu togli via il fondamento, tutta ruina.
Questo medesimo interviene negli eserciti; tolto via il capitano, è dissipato tutto
1' esercito. Così ancora ne' governi delle città; tolto via il principe tutta la città
si guasta....
« Nel governo della Chiesa ancora le cose si riducono ad una principale,
cioè nella città il capo spirituale è il vescovo, e poi in tutta la Chiesa è il Papa,
e tolti via questi, rovineria tutto il governo della Chiesa. Così Dio nella sua Chiesa
dal principio insino ad oggi ha posto sempre qualcuno per difesa di quella. E
benché si perda qualcuno e qualche membro e qualche parte del popolo, tut-
(') V. questa dottrina in San Tommaso, par. I, q. 68, a. 1.
(2) Cfr. San Tommaso, I, par. 6, q. 100, a. 1.
i3) Cfr. San Tommaso, P. I, q. LXVII, art. 3-1.
— 382 —
tavia il corpo della Chiesa è stato sempre saldo, stando saldo il capo ». (Sopra
Ruth e Michea, pred. XXII.)
E questo pensiero, questa verità sotto questa forma piace assai al Savo-
narola, e ci è inculcata molto sovente ; e nel Sermone X sopra i Salmi ri-
petendola ci fa capire che il Papa è nella Chiesa come 1' oro tra i metalli, il
diamante nelle pietre preziose; la prima causa; colui al quale tutti gli altri deb-
bono far capo, colui dal quale tutti devono riconoscere la loro virtù e il loro
ufficio, e, quasi direi, la loro forma nella società cristiana, nella Chiesa. « L' arte
imita la natura. Vediamo nelle cose naturali diverse generazioni di cose, ed in
ogni genere si deve ammettere un primo. Ne' metalli il primo è l'oro; nelle
pietre preziose, il diamante ; negli animali, 1' uomo, ne' cieli, 1' empireo. Cosi
nelle cause; perchè sono alcune cause universali, alcune particolari; e tutte
finalmente si risolvono, e si riducono ad una causa, alla causa prima, la quale
ha in sè tutto 1' effetto delle altre cause dipendenti da quella. Vedi, nelle città
sono molti ordini; poi si riducono tutti ad un ordine superiore: vedi, nel cielo
gli ordini degli angeli, tutti si riducono a Dio. Così nella Chiesa tutte le diocesi
si inducono alla Romana, e tutti i prelati al Papa ».
Adunque il Pontefice nel Savonarola, è veramente il capo della Chiesa,
come ripete nel sermone XLVIII sopra Amos e Zaccaria; ma questo non ba-
sta ancora: il Papa per il Savonarola è il successore di Pietro che fu il primo
vescovo di Roma, è il Vicario di Cristo, il rappresentante di Dio in terra. « Tutte
le parti del mondo dove saranno i Cristiani, s' umilieranno alla Chiesa Roma-
na, perchè tutte saranno rette dalla fede Romana, sotto un papa santo suc-
cessore di San Pietro primo Vescovo Romano; del quale la sedia e diocesi
principale sarà Roma: benché abbia ancora potestà plenaria sopra tutte le
altre chiese, come hanno tutti i Papi. E quando ancora il Papa non istesse a
Pvoma, non perde però la sua giurisdizione, anzi sempre lui è il Vescovo Ro-
mano, e in lui si unisce tutta la Chiesa Romana, anzi tutta la Chiesa uni*
versale ». (Lettera ad un amico, ottobre 1495 ; cf. le lettere ad Alessandro VI
colla data de' 31 luglio e 14 settembre del 1495; quella ad un religioso del suo
ordine de' 15 settembre 1495; la predica XXII sopra l'Esodo, e, negli Scritti
Inediti, le chiose al XVII e al XXVIII di Ezechiele.)
Ma meglio, e in misura più compiuta che altrove, noi troviamo la dottrina
del Savonarola sul pontificato romano nel capo VI del libro IV del Trionfo.
Ivi il Frate disputa contro gli eretici, e li riprova tutti insieme mostrando con
San Tommaso (') il primato del Ramano Pontefice e la potestà sua sopra tutta
la Chiesa, che essi tutti convengono nel negare. « È necessario che la Chiesa di
Cristo sia governala da un capo solo, perchè se gli eretici credono che la divina
provvidenza governa il mondo, e specialmente la sua Chiesa, per la quale ha
fatto cose tanto grandi, bisogna che confessino che il governo della Chiesa
deve essere ottimo, come quello che è ordinato dal governatore del tutto. Ora
Ci \'. Somma contro. Gentile*, lib. IV, c. 76; Somma Teol., P. II-1I, qu. 50, art. 1 ad 2"', e De
Regimine Prindpum, lab. i, cap. II,
— 383 —
l'ottimo governo è quello che è per uno, imperocché per uno si unisce più
la moltitudine, che per molti. La quale unione e pace è fine del governo. Es-
sendo dunque il governo della Chiesa ottimo, è necessario che tutta la Chiesa
sia governata per uno. Similmente, il governo delle cose inferiori naturalmente
seguita il governo delle superiori, alle quali quanto più si avvicina, tanto più è
perfetto. Dunque nel governo della Chiesa militante, seguitando essa il governo
della trionfante, nella quale è un solo governatore, che è Dio, bisogna che vi
sia un solo dal quale sia ordinato e retto. Similmente le cose soprannaturali
sono più ordinate, che le naturali. Ma noi vediamo nelle cose naturali, che
dove è governo, sempre un solo regge, come le api hanno un solo re, e i mem-
bri del corpo sono governati e retti dal cuore. Essendo dunque il governo
della Chiesa soprannaturale ed eccellente sopra tutti i governi, bisogna che sia
governato per un solo governatore. Similmente tutti gli eretici sono d'accordo
con noi, o solamente nel Nuovo Testamento, e nel Nuovo e Vecchio insieme,
benché si discordino poi nella intelligenza di quelli. Ma neh' uno e neh' altro
si determina che abbia ad essere un capo nella Chiesa; onde in Osea al primo
capo si legge così: — Congregheransi i figliuoli di Giuda e i figliuoli di Israele,
e faranno sopra sè un capo. — E in San Giovanni al capo X dice il Salvatore
« che si farà un ovile ed un pastore ». Nè si può dire razionabilmente che Cri-
sto sia così capo della Chiesa, che essendo asceso in Cielo, I' abbia lasciata in
terra senza altro capo, perchè da questo ne nascerla grande divisione, e però
singolarmente disse a Santo Pietro : — Pasci le mie pecorelle. — Ed in un altro
luogo: — Pietro io ho pregato per te acciocché non manchi la fede tua, e tu
converso alcuna volta conferma i tuoi fratelli. — Per la quale parola dimostra che
lasciava Pietro vicario suo come più apertamente espresse quando disse: — Tu sè
Pietro e sopra questa pietra edificherò la chiesa mia e le porte dell' inferno
non prevarranno contro lei. E darotti le chiavi dei cieli e quello che tu leghe-
rai sopra la terra sarà legato in cielo, e quel che tu solverai sopra la terra
sarà soluto in cielo. — (')
« E non si può dire che questa autorità fosse data sola a San Pietro, e
non ad altri uomini che avessero a seguitare, avendo promesso Cristo che la
sua Chiesa durerà insino alla fine del mondo, quando disse a' suoi discepoli,
i quali tenevano la persona di tutti i fedeli: — Ecco che io sono con voi ogni
giorno insino alla consumazione del secolo. — Ed Isaia, al capo IX disse di Cri-
sto: « Egli sederà sopra il soglio di David e sopra il regno suo per confermarlo
e corrobolarlo in giudizio e giustizia in sempiterno ». — Dunque seguita che nel
vicariato di Pietro abbiano a succedere tutti quelli che sono sorrogati in luogo
suo, acciocché sempre sia un capo nella Chiesa che tenga il luogo di Cristo,
e che abbia quella medesima podestà che ebbe Pietro. Con ciò sia dunque che
(') Vedi a questo proposito l'opuscolo del P. Raimondo Bianchi de' Predicatori, De con-
slittinone monarchica Ecclesia et de infallibitate Bomani Pontificis, Roma lb70, ove tra le testi-
monianze degli scrittori domenicani che sempre difesero questa dottrina ò riportata con ouo-
rata menzione anche quella del Savonarola.
— 384 -
Vescovi Romani siano successori di Pietro, manifesta cosa è che la Chiesa
Romana è duce e maestra di tutte le altre, e che tutti i fedeli cristiani si deb-
bono unire nel Pontefice Romano, come nel capo loro. Dunque chi si parte dalla
unità e dottrina della Romana Chiesa, sema dubbio si parte da Cristo. Ma
tutti gli eretici si partono da questa dottrina, perchè non vogliono stare alle
determinazioni della Chiesa Romana, ma ostinatamente seguitare le proprie
fantasie; però non sono cristiani come loro falsamente dicono ».
Ma per qual fine venne istituito il Pontefice e fatto il papa? La risposta
è facile ricavarla da quanto si è fin qui detto; ad ogni modo per soddisfare
ogni desiderio de' lettori non ci spiacerà recarla direttamente trascrivendo
qualche altro passo dalle opere del nostro Frate.
Xel sermone XII sopra l'Esodo il Savonarola, dopo d'aver parlato
de' gradi inferiori e degli ordini minori nella gerarchia ecclesiastica, toccando
de' superiori, dice che il Vescovo ci fu dato e posto nella Chiesa per le dif-
ferenze che possono nascere nel corpo mistico di lei; e non potendo un Ve-
scovo essere in tutti i luoghi del mondo, acciocché la Chiesa non si risolvesse,
ma più unita stesse, fu eletto « un Papa sopra tutti i vescovi, e tutto il corpo
della Chiesa, il quale avesse a solvere tutte le differenze ». (')
Questa medesima verità espone il Savonarola ed analizza nel sermone XX
sopra l'Esodo, e non meno chiaramente nel famoso capo VI, libro IV, già citato,
del Trionfo, dove ripetendo la dottrina di San Tommaso nella Somma contro i
gentili, lib. IV, cap. 76,' dice che: « Se Cristo salendo al Cielo avesse lasciato
in terra la Chiesa senz'altro capo ne sarebbe nata grande divisione e confusione
in essa, perchè le varie opinioni circa la fede e circa il ben vivere cristiano non
*i potrebbero determinare, non sapendo a quale sentenza si avesse a stare. E
però il nostro Salvatore singolarmente disse a San Pietro: Pasci le mie peco-
relle; e in un'altro luogo: Pietro, io ho pregato per te acciocché ?ion manchi
la fede tua, e tu converso una volta conferma i tuoi fratelli. Lasciava dunque
Cristo, salendo in Cielo, Pietro suo Vicario, perchè durasse 1' unità nella Chiesa;
nè la potestà di decidere in materia di fede si può dire che fosse data solo a
Pietro; ma avendo Cristo promesso che la sua Chiesa durerà sino alla fine del
mondo, l'autorità e la potestà data a Pietro doveva passare negli uomini che
avevano a seguitare ». Onde per il Frate di San Marco, (Chiosa al cap. XVIII
di Ezechiele) tutti i papi, da San Pietro ad Alessandro VI, li considerava come
un papa solo; perchè tutti ebbero la medesima podestà e il medesimo ufficio.
Per questo forse, nella predica XLV1II sopra Amos e Zaccaria gridava : « Alla
Chiesa Cattolica dico cosi : Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la
(') Va da sè che il Papa venne fatto ila Cristo e ila Cristo investito del suo ufficio. Per
questo nella medesima predica XII sopra l'Esodo il Frate segue: « E il primo papa tu San
Pietro»; e nella Esposizione della salutazione angelica, ripete ancora che Pietro fu eletto a
tanto ufficio da Cristo: « Il cambiamento di Stato reclama un nuovo nome. Nostro Signor»
ci mostra questo a riguardo di San Pietro, il quale si chiama Simone; il suo stato cambiò
quando egli fu stabilito capo dogli Apostoli, e Cristo ha voluto che egli quind' innanzi si
chiamasse Pietro, come quegli che era la pietra cioè il fondamento e il capo della Chiesa».
— 385 -
mia Chiesa, e a te darò le chiavi del regno de' cieli, e qualunque cosa avrai le-
gata sopra la terra sarà legata anche in Cielo, e qualunque cosa avrai sciolta
sopra la terra sarà sciolta anche in cielo ».
Ma non è il caso che ci dilunghiamo maggiormente; imperocché oramai,
anche intorno al supremo capo della gerarchia ecclesiastica, ne sappiamo ab-
bastanza, e possiamo, riepilogando, concludere che il Savonarola credeva e
predicava che al Pontefice fu data la potestà delle somme chiavi, perchè sen-
tenziasse e decidesse in tutte le cose che si riferiscono alla fede e alla vita
cristiana; decidesse definitivamente, inappellabilmente tutte le liti, tutte le dif-
ferenze che potessero nascere tra i fedeli; il Savonarola credeva e predicava
che fu fatto il Papa perchè insegnasse a tutto il popolo e a tutta la Chiesa la
dottrina di Cristo, e comandasse tutto ciò che è bene, tutto ciò che è van'ag-
gioso pe' fedeli; e impedisse cosi, che nella Chiesa di Cristo s'infiltrassero ere-
sie, e facesse che pura e immacolata la Chiesa medesima a traverso questo
mondo navigasse alla volta del cielo per trionfar ivi eternamente cól suo fon-
datore, il Papa celeste, Cristo Dio. (Conf. lapred. II sopra 1' Esodo, il cap. XVI
del III libro del Trionfo; e le postille inedite al v. 2 del XXVI di Ezechiele,
al v. 2 di San Luca, e al cap. VII de' Maccabei....)
25
XXV.
Teorica dell' obbedienza.
Sommario.
Come si ha da obbedire ad ogni potestà, perchè ogni potestà ò da Dio. — Il principe, o è ministro nelle
mani di Dio, o è ferro rotto. — Il comando del principe ferro rotto non obbliga. — L'obbedienza
nella gerarchia ecclesiastica. — Fondamento della teorica savonaroliana. — Soggezione del popolo
al clero. — Obbedienza al Papa. — Tutti i canoni impongono obbedienza al rontefice. — Il Savo-
narola e i suoi frati vogliono prima morire che far peccato di disobbedienza. — Il Savonarola non
vuol peccare in questa materia nemmeno venialmente. — Limiti dell' obbedienza al Pontefice, e a'
prelati superiori. — Come' la Chiesa Romana non può comandare contro Dio, ma sì bene gli uomini
della Chiesa Koiuaua. — 11 comando del Papa e la professione religiosa. — Del comandamento de'
superiori sopra, infra, oltre, contro, secondo, quel che siamo obbligati ad osservare ; e quando lo si
abbia ad obbedire, e quando si possa non obbedirlo, e quando non si debba obbedirlo. — Girolamo
Savonarola obbliga tutti a stare all' obbe dienza del Pontefice. — Kegola da seguire quando fosse;
fatto comandamento contro la carità. — Che cosa scrivessero a Poma i nemici del Frate. — Di co-
loro che hanno levato il Capo. — 11 Papa si vuole obbedire nel bene. — Il cittadino e la sua vigna
e il suo figliuolo e i calunniatori. — La ragione a Bruges. — 11 re, il sorvo e il barone. — Bisogna
obbedire piuttosto a Dio cho agli uomini. — Che cosa si dovesso scrivere a Poma del Frate.
L'argomento presente è della massima importanza; e perciò noi dobbiamo
procurare di essere più che mai diligenti nel recare integro il concello di Fra
Cìirolaino, e il lettore deve alla sua volta usar la massima attenzione e il mas-
simo studio per concepirlo tutto e intenderlo bene e fermarlo in mente.
Il Savonarola insegna prima di tutto che ogni potere viene da Dio, e che
ogni potestà tiene il luogo di Dio in terra; e perciò vuole che le onoriamo e
obbediamo tulle e stiamo soggetti, altrimenti guastiamo l'ordine stabilito da Dio
e andiamo incontro alla nostra dannazione : « Ordinò Dio, che una creatura
l'osse superiore all'altra, ed un'altra ad un'altra; al quale ordine non si deve
resistere. E però Dio ha fatto le creature e ordinatele come i numeri, uno, due,
tre, quattro, cinque, sei ; cioè l'un numero sopra l'altro; così ha fatto una
creatura sopra l'altra, e la più nobile sopra la manco nobile: la terra che è manco
nobile è la prima; poi più nobile è l'acqua; e però è la seconda; poi l'aria,
poi il fuoco, poi i cieli, poi gli angeli: e ad ogni creatura più nobile, ha dato
- 387 -
Dio una virtù più nobile; ed ogni creatura più ignobile sta contenta e sog-
getta a quella che le ò superiore. Dice Sant'Agostino che tanto piace a Dio
quest'ordine che ha molto più per male che si faccia un minore peccato con-
tro a quest'ordine suo, che non ha per male d'un grande, che sia fu ora, ma
non così contro l'ordine Dassi l'esempio nel peccato contra la natura, che
Dio non lo può per alcun modo patire. Sicché all'ordine fatto da Dio nes-
suno deve contraporsi.
« Inoltre, sì come dicono questi filosofi, che gli è necessario dare una
prima causa, dalla quale dipendano tutte le altre, ed un primo motore, dal
quale nasca ogni moto; così bisogna dire che ogni potestà è da Dio prima ed
infinita potenza. La potestà degli angeli è da Dio; quella degli uomini è da Dio:
E' non è potestà se non da Dio, e quelle che sono, sono da Dio ordinate. Per
la qual cosa, chi si oppone alla potestà, resiste alla ordinazione di Dio; e
que' che resistono si comperano la dannazione. Dice San Paolo: — Chi resiste
all'ordine di Dio resiste alla potestà di Dio e apparecchiasi la dannazione sua; —
e dice che i re pagani debbono essere obbediti dai loro sudditi Però non re-
sistere nè fare contro l'ordine che ha posto una volta Dio, che le cose igno-
bili obbediscano alle più nobili ». (Sopra Amos e Zaccaria, V.) (')
« Ogni anima, dice l'Apostolo a'Romani, sia soggetta alla potestà supe-
riore. Non è potestà in terra se non da Dio, e chi resiste alla potestà supe-
riore resiste a Dio La potestà è gran cosa perchè tiene il luogo di Dio in
terra ». (Sopra Ruth e Michea, pred. VII.)
I passi analoghi ai presenti saranno almeno trecento nelle opere del Sa-
vonarola; ma non ci pare il caso di trascriverne altri. Già i trascritti sono più
che sufficienti a provare che il nostro autore voleva che i sudditi obbedissero
a' superiori. Ma non sarà disutile che vediamo come limitava il Frate di San
Marco e il diritto di comandare e l'obbligo di obbedire: questo è anzi neces-
sario perchè appaia intiero il concetto dell' ardente Riformatore in questa ma-
teria. — Voleva egli adunque che si obbedisse e sempre e in tutto alla potestà
costituita? — Voleva che si obbedisse sempre e in tutto, salvo se il comando
non fosse contro Dio, contro il bene comune, contro il ben vivere, effetto
solo di malizia e di cattive e false persuasioni.
« Ognuno deve essere soggetto alla potestà superiore, se quella già non
comanda contro Dio. Diciamo al tempo innanzi che fosse la Chiesa di Cristo,
i pagani erano sottoposti ai loro re e tiranni, e dovevano obbedire nelle cose
civili, e in dar loro il tributo; ma non già se dicevano: — Va ad adorare gli
idoli; — a questo erano obbligati a non lo fare: nelle altre cose che non
erano contro Dio erano obbligati » (Sopra Ruth e Michea, VII.) « I re pa-
gani debbono essere obbediti dai loro sudditi in quello che non è contro Dio,
ma in quello che fosse contrario a Dio, non sono tenuti, nè debbono obbe-
dire ». (Sopra Amos e Zaccaria, V.)
(') Cfr. San Tommaso, De Regimine Principum, L. Ili, oay. 1 o 11.
— 388 -
Anche qui potremmo moltiplicare le citazioni a piacimento; ma a quale
scopo lo avremmo a fare? Solo non sappiamo astenerci dal trascriverne uno
dei più aurei e più incisivi che noi conosciamo: quello che si legge nel I de' Ser-
moni sopra l'Esodo; in quel sermone che fu tanto male interpretato, ed è tut-
tavia, da parecchi avversarj ed anche da alcuni amici del Frate, recando a lui
non poco danno!
Ivi Girolamo Savonarola non solo considera e vede ne' principi la po-
testà divina, ma i principi stessi come semplici strumenti nelle mani di Dio;
e insegna apertamente, che quando quelli si dipartano dal volere divino, come
tali, cioè in quanto si dipartono dal volere divino non valgono più nulla, nè
possono vantare l'autorità loro, nè pretendere obbedienza in quella che co-
mandano contro Dio, il ben vivere, il bene comune: « Fatti in qua, filosofo,
e dimmi: è vero questo, che bisogna dare una prima causa? — Sì — Ed è
vero ancora questo, che in ogni cosa più influisce la causa prima che la se-
conda? — Sì, è vero ancora questo. (') — Or nota dunque che la prima
causa va sempre innanzi alla seconda; perchè se la prima causa non andasse
innanzi, nessuna delle altre si moverebbe. La prima è come tu dicessi che una
mano pigliasse la virtù del cielo e tira e viene agli elementi, e tira la virtù degli
elementi; poi viene al seme e piglia e tira la virtù del seme, e fa il frutto. E così
questa prima causa, cioè Dio, produce le cose in questo universo per le seconde
cause. Ben potria se il volesse far senza le seconde cause: potria il Signore
se il volesse, generare qui subito una mela senza le seconde cause; perchè
lui ha fatto il cielo e la terra dal niente; ma produce quaggiù gli effetti e le
cause naturali per le seconde cause; per comunicare più la sua bontà a
quelle; e vuole che le sieno partecipi ancora loro a tali operazioni: come se tu
vedessi che un dipintore pigliasse la mano di un fanciullo, e dipingesse là una
figura; tu diresti che il dipintore l'avesse fatta, e non il fanciullo. (*) Concludi
adunque che Dio fa ogni cosa, e non fa quello che è nulla, cioè il peccato; per-
chè il peccare è mancare, e non fare; (3) e Dio non manca inai alla divina sa-
pienza: si che concludi, che le seconde cause sono istrumenti di Dio, e lui è
quello che principalmente fa ogni cosa. Or tieni saldo questo fondamento, e
nota quest'altro: Che Dio governa le cose naturali inferiori per le superiori: (*)
e gli angeli superiori per gl'inferiori; ma gli uomini son tutti uguali di natura;
vero è che uno è più grande d'intelletto che l'altro; e però gli uomini di grande
intelletto sono naturalmente signori degli altri uomini: signori, dico, non di po-
testà, ma per mostrare la via agli altri, ed insegnarli; ma perchè l'uomo natu-
ralmente è animale civile, e vivono insieme, è stato necessario far qualcuno
governatore del bene comune, e tali governatori sono strumenti di Dio, mossi,
come V ho detto, come seconde cause dalla prima. E così il principe è strumento di
(') Cfr. San Tommaso, P. I-II, qu. XIX, a. i, e De Regimine l'rincipitm, Lib. III,,o. II.
(2) Gir. San Tommaso, t'ontra gentile», Lib. Ili, cap. LXX iu fino.
(3) Ctr. San Tommaso, Somma Teol., P. I, qu. XLIX, art. "J, e De potentia, qu. Ili, art. 7.
f4) Ctr. San Tommaso, De liegimine Principimi, Lib. Ili, cap. II.
— 389 —
Dio, come sono gli angeli, a governare gli uomini e moverli al bene. Or tieni saldo
quest'altro punto, e nota che ogni strumento ha tre cose: La prima è la mate-
ria, la seconda la forma, la terza èia virtù che procede dalla mano dell'agente,
cioè di colui che guida ristrumento. (l) Togli ad esempio la sega: ella ha la ma-
teria di ferro; secondo, ha la forma, cioè i denti, e le altre parti perchè ella è sega ;
terzo, a volere che ella operi, bisogna la mano dell'artefice, cliè senza quella la
sega per sè non farebbe nulla: e però nota che quanto alla natura, la sega è
uguale a tutti gli altri ferri; e così anche tutti gli uomini in natura sono uguali.
E però se è portata una sega ad un fabbro, egli la compera, e buttala là tra i
ferri rotti; e quell'istrumento allora è uguale a tutti gli altri ferri, quando non ha
l'agente superiore che lo mova. Così il principe, se non è condotto, come stru-
mento dall'agente di sopra, cioè da Dio, del quale egli è strumento, di' allora,
ch'egli è uguale a te, e che non ha chi lo mena, ed è simile ai ferri rotti che
sono tutti uguali: e gli puoi dire allora: tu non fai bene, perchè tu non sei
condotto dal principale agente. E s' egli dice: — Io ho la potestà; — tu gli
puoi dire: — E' non è il vero, perchè non ci è la mano che ti guidi; e tu
se' ferro rotto. (3)
« Ma se tu mi dicessi: — Quando m' accorgerò io che lo agente superiore noi
muova? — Ti rispondo: Guarda se egli fa contro alla sapienza di quel princi-
pale agente che l'avrebbe a muovere; e perchè la sapienza di quel princi-
pale agente introduce ed ama il ben vivere e il ben comune, guarda se quel co-
mandamento dell' istrumento ripugna al ben vivere e al ben comune, e se tu
t'avvedi di questo, di' allora: Tu non se' mosso dall'agente superiore e però sei
ferro rotto. Onde dice Santo Tommaso che se il principe fa una legge contro
il ben vivere o ben comune che il popolo non è tenuto ad osservarla. (3) Ogni
volta adunque, che tu vedi che il principe fa contro al ben comune, o ben vi-
vere tu gli puoi dire: Tu non se' sega condotta dalla mano dell'agente supe-
riore, ma tu se' ferro rotto. (4)
« E nota che questo errore del principe può essere in due modi, il primo
per la pravità del principe: ecco, quando gl'imperatori avessero comandato ai
(') Cfr. San Tommaso, Summa Teol., P. I, qu. XLV, art. 5, e 1. c. De potentia.
O V. in San Tommaso questa dottrina della causa principale e istrumentale in molti
luoghi, come nella Somma Teol, p. Ili, qu. XIX, art. I, ove portasi l'esempio della scure, o
nelle Qu. disp. de ventate, qu. XXXVII, art. 4 ove San Tommaso reca l'esempio della sega.
(3) Cfr. San Tommaso, Somma Teol, p. II-II, quest. 104, art. V.
C1) Xon credo che pur uno de' nostri lettori si lasci passar per la mente il dubbio cho
Fra Girolamo cada qui nel grossolano errore che gli attribuisce il Pastor; cioè cho la vita
peccaminosa o viziosa del principe ne scuota la giurisdizione. Quest'accusa per quel ri-
spetto che il Pastor la muove al Frate la esamineremo quanto prima in un capitolo a parte;
qui vogliamo solo invitare il lettore a guardar bene con l'occhio desto nello espressioni del
Savonarola, e a notare che questi nega autorità al superiore solo per il comando specilico
che è contro il ben vivere o il bene comune, che è contro il volere di Dio da cui viene
ogni potestà. E questo è uno de' più elementari veri filosofico-teologici: nè può esser im.
pugnato minimamente; perchè non si può pensare in nessun modo che Dio conceda pote-
stà al principe di fare o di imporre autorevolmente il male: sarebbe una troppo brutta con-
tradizione. Gli esempj che il Savonarola, seguendo, cita tolgono affatto ogni dubbio.
— 390 —
loro sudditi: andate alla guerra per la libertà della patria, erano tenuti obbe-
dire, ed allora gl'imperatori erano buona sega; ma quando comandavano loro:
adorate gli idoli, non erano tenuti, anzi non dovevano farlo, percbè allora tale
comandamento non veniva dalla sega, ma dal ferro rotto. Il secondo modo,
può essere per male persuasioni fatte al principe; ed allora ancbe la sega non
è condotta dalla mano dell'agente superiore, ma da loro, e però non si deve
obbedire ». (*)
Ma oramai è tempo che ci accostiamo un poco più alla dottrina di Fra
Girolamo intorno all'obbedienza nella Chiesa, nella gerarchia ecclesiastica; è
tempo ch'entriamo ad esporre la dottrina intorno la soggezione dovuta dal
popolo cristiano al clero, e dagl'inferiori a' prelati superiori ed al Papa. Qui
sta la maggior gravità dell'argomento e il nodo di tutta la presente questione
Savonaroliana, e qui deve in ispecie esser rivolto il nostro studio. Facciamolo
adunque brevemente, ma con la più grande cura possibile di riuscir chiari e
di dir tutto.
Veramente noi già conosciamo almeno in parte il principio e il fonda-
mento di questa teorica Savonaroliana per i due capitoli antecedenti; imperoc-
ché venga assai facile e spontanea le deduzione che, posta la gerarchia nella
(') Cfr. San Tommaso, Somma Teol., P. I-II, qu. 96, a. 4 in fine. Abbiamo voluto trascri-
vere per disteso questo passo affinchè si veda con quanta ragione gli avversar) del Savo-
narola dal Cardinale Ascanio al Pastor affermino che c'nella predicazione del Frate Sua
Santità si diceva esser ferro rotto. (Del Lungo, Doc. XXIX.) Il Frate non giunse mai a tale
insulto. La teorica ch'egli ha esposto è inesorabilmente vera e ìa l'orma usata lo fa toccar
con mano anche ai protervi; ma chi può dargliene colpa? Egli parla qui in genere; e
non si fa a dire che il Papa Alessandro VI sia senz'altro un ferro rotto. Eran piuttosto
i nemici del Frate che insultavano Sua Santità. Il Savonarola aveva detto: Il principe ohe
comanda contro il ben comune, contro la verità e contro Dio è ferro rotto: e i nemici del
Frate soggiungevano: ma Alessandro VI scomunicando il Savonarola fa contro il ben vi-
vere, il ben comune della città di Firenze, fa contro la verità e contro Dio; e però con-
cludevano, Alessandro VI è ferro rotto. Era un dare al Papa quello ch'essi dovevano, a
molto più forte ragione, tenersi per sè, mentre il Savonarola ha persistito fino all' ultimo
nel predicare cho la responsabilità della scomunica ricadeva sopra gli Arrabbiati, sopra i
tiepidi, sopra gli oratori de' grandi Maestri e principalmente sopra alcuni principi d'Italia,
i quali volendo guastare il ben vivere e il ben comune e il nuovo governo e asservir la città
e ridurla ai loro intenti, e stimando il Frate insormontabile impedimento ai loro disegni lo
volean toglier di Firenze, o ucciderlo e, non avendo altro mezzo, ricorsero alla scomunica, cir-
convenendo con molte calunnie il Papa, il quale secondo Fra Girolamo, era tanto lontano
dall'aver quest' intenzione cho se avesse conosciuto come stavano le cose avrebbe severa-
mente punito coloro che gli riferirono tante cose false. Sentite il Frate come seguo e vedrete
che, il cardinale Ascanio, il fratel suo degnissimo o gli altri calunniatori del Frate anziché
attribuire al pontofico queir espressione ferro rotto, avrebber dovuto tenersela per sè: « Ora a
proposito, dimmi che volevano costoro per questa scomunica? Io ti dirò che non segheranno
beni- a questa volta e non faranno buono scanno. Che volevano fare costoro? Ognuno il sa
lino ai fanciulli, che non volevano altro che levare via il ben vivere, e il ben comune; perchè
volevano guastalo ogni buon governo, e non si curavano, cho fosse aporta la via ad ogni
vizio. Onde, venuta la scomunica, mano a taverne e a lascivie, o ad ogni malo; e il ben vi-
vere andava per terra; e però tu vedi che la sega non è menata dal suo principale agente ».
La responsabilità adunqno della sentenza il Savonarola la sapeva attribuirò veramente a chi
hi conveniva. Il Pontefice pur troppo era strumento inconscio di male nelle mani di nomini
scellerati ». Ma di questo riparleremo poi. (Cfr. Del Lungo, Fra Girolamo Savonarola, Doc. Ili,
XIX, XXX, XXXI, eoe.)
— 391 —
Chiesa di Cristo come 1' abbiamo veduta porre da Fra Girolamo, si debba sen-
z' altro ritenere che in essa il popolo abbia a dipendere dal clero, e nel clero
i gradi inferiori abbiano rispettivamente a dipendere da'superiori, e i supe-
riori abbiano potestà sugl'inferiori, e questi obbligo di obbedire e servire a
quelli. E perciò già potremmo dire che da prima il popolo cristiano deve te-
nersi soggetto al clero, e che poi nel clero i gradi e gli ordini minori devono
tenersi soggetti a' gradi ed agli ordini maggiori, e tutti servire e obbedire al
Supremo Gerarca, al Papa. Ma noi, parlando del Savonarola, non amiamo
far induzioni o deduzioni, nè anche quando esse vengano cosi spontanee; e
crediamo piuttosto sia meglio recar sempre la dottrina e le esplicite afferma-
zioni di lui ; e qui vogliamo evitare per sin 1' ombra del dubbio che invece della
teorica del Savonarola si esponga ciò che abbiamo noi nella mente e nel cuore.
Prima di tutto riconosce adunque il Savonarola obbligo nessuno del po-
polo verso il clero? verso i prelati superiori? Quando il Savonarola non facesse
ciò, la distinzione sopra recata (cap. XXI) sarebbe inutile e vana; e si rom-
perebbe senza meno il corpo della Chiesa. Ma cosi non è; e basteranno poche
parole a provare il contrario.
« Molte volte il capo è infermo, perchè seguita il popolo; ma che dice
Celestino Papa? Il popolo deve essere insegnato e non seguitato. Ora i buoi
traendo il carro, seguitano il carro ? Or che abusione è questa che il capo sia
retto dalle membra? Perchè il popolo non dee insegnare ai sacerdoti, ma im-
parare da loro. Le labbra del sacerdote, dice Malachia, custodiscono la scienza,
e dalla bocca di lui ricercherassi la legge, perchè egli è l'angelo del Signore
degli eserciti ». (Sulla Ia di San Giovanni, IV.) E nella predica XXIII sopra il
Salmo Quatn Bonus si legge che « la dottrina evangelica nella Chiesa è dichiarata
da' Dottori », ed è soggiunto che « il tetto della Chiesa, che è esposto dalla parte
superiore all'acqua e al vento, significa il Clero, preti, frati e altri sacerdoti, che
mangiano i peccati de' popoli. Questo Clero adunque insieme co' signori tem-
porali, hanno a difendere le anime de' popoli, e i popoli hanno a vivere quie-
tamente sotto la loro protezione ». E nella predica Vili sopra il medesimo
Salmo si ribadisce questo stesso vero in modo molto sensibile. Ivi si parla
d'Israele nel deserto presso il monte Sinai, e de'grandi avvenimenti colà suc-
ceduti e si narra come Dio aveva costituito al popolo i loro termini che non
dovevano esser arditi di oltrepassare; e mentre a Mosè e ad Aronne era lecito di
salire su al Signore sopra il monte caliginoso e fumante, il popolo non doveva
in modo alcuno toccarne nemmeno i confini, pena la morte; ma doveva conte-
nersi a'piedi di quello ne' termini fissati...
Narrato ciò il nostro Frate nota che lo Spirito Santo con questo parlare
c'insegna che « a Mosè e ad Aronne, agli uomini scientifici e buoni, che son
fondati in umiltà, appartiene dichiarare le difficoltà della fede e delia Scrittura »,
e che i popoli per contrario non devono « voler rimare i segreti della fede, e in-
tendere le difficoltà delle Scritture; ma devono stare in istato di soggezione e
infra i termini della semplice credulità. Tutte le eresie, soggiunge, son pro-
cedute perchè gli eretici hanno voluto superbamente e temerariamente tra-
— 392 —
passare i termini segnati da Dio ». Ed è mirabile la sicurezza con cui il Sa-
vonarola parla della fonte d'ogni eresia proprio alla vigilia della grande apo-
stasia luterana, come mirabile è anche il modo con cui procede nel confutar
« tutti insieme con ragione » gli eretici nel IV libro del Trionfo al cap. VI, op-
ponendo loro l'unità e infallibilità della Chiesa e la necessità assoluta del-
l' unione col Pontefice Romano.
Ma ne anche in questo punto ci pare che valga la pena di soffermarci più
a lungo; esso del resto non è uno de' controversi, almeno in modo diretto; e
basta all'uopo nostro quanto s'è detto. Sarà buono adunque che veniamo più
al particolare e imprendiamo senz'altro l'esposizione della dottrina della ob-
bedienza e soggezione nella gerarchia ecclesiastica in senso stretto, secondo
il nostro Frale. S'intende che noi, addotti alcuni brevi passi ne' quali il Savo-
narola afferma l'obbligo ne' fedeli dell'obbedienza ai prelati superiori ed al
Papa, ci soffermeremo a preferenza a trascrivere gli altri passi i quali ven-
gono a limitare la potestà di questi e l'obbligo di quelli; stando qui partico-
larmente il forte della questione: se ed in quali casi sia lecito o anche doveroso
oltrepassare il comando de' superiori ecclesiastici, e anche del Papa.
Già nelle parole tratte or ora dalla predica Vili sopra il Salmo Quam Bo-
nus potremmo vedere in qualche modo un principio di soluzione della que-
stione presente: Mosè ed Aronne si potrebbero considerare come il Papa ed i
prelati, e siccome a Mosè e ad Aronne Dio voleva che si avesse rispetto e si
prestasse fede e soggezione, così potremmo già credere che il nostro Frate
pensi che Dio voglia il medesimo nella Chiesa nostra, e perciò già potremmo
affermare che il Savonarola a nome di Dio impone a tutti i fedeli di star soggetti
a' prelati ed al Papa. Ma noi vogliamo sentire le asserzioni del Frate, le asser-
zioni chiare ed aperte. E qui egli ne ha di tali ch'io non so se in altri autori
se ne trovino delle simili.
Quella volpe astuta e malvagia, che fu Lodovico il Moro, volendo nel 1496,
(per mezzo del suo Oratore in Firenze, Paolo Somenzi, degno ministro del
Signore che serviva) cattivarsi un poco il Savonarola, stimandolo oramai pa-
drone di Firenze, dopo averlo prima calunniato di predicare in modo asso-
luto che non s'aveva da obbedire al Pontefice, gli scrisse il 20 aprile assai
dolcemente, affermando ch'egli l'aveva prima riprovato come aveva fatto,
perchè così gli era stato riferito; ma prometteva di non voler più credere
a' calunniatori. Or bene il Frate rispose a questa lettera ai 25 di aprile, come
segue: « Visto quanto la Eccellenza Vostra per sue lettere graziosamente mi
risponde, dico ch'io non ho punto a dolermi ch'essa abbia improbalo quello
che saria da improbare, quando così fosse, cioè ch'io avessi detto assoluta-
mente non essere da obbedire al Pontefice; al che ripugnano tutti i sacri
canoni, secondo i quali io mi son sempre governato ». (Pubbl. dal Villari, V. I,
Doc. XXXI.)
E nella predica XX Vili sopra i Salmi diceva: « Ben sai che noi obbedi-
remo al Santo Padre: ed io e i Frati miei vorremo prima morire che far pec-
calo..» E se non pollò liberare altrimenti la mia coscienza (scriveva a dì 10 set-
— 393 —
tembre 1495 ad un religioso del suo ordine in Roma) obbedirò anche allora
che la mia obbedienza dovesse produrre la ruina del mondo intiero ; perchè
io non voglio in questa cosa peccare in nessun modo nemmeno venialmente »•
E difficile trovare chi parli più esplicito. Ma con ciò noi siamo appena
a mezza via. Ora dobbiamo esporre le limitazioni che Fra Girolamo poneva
all'obbedienza verso i superiori ecclesiastici: questo è che specialmente ci
preme. Non v' è dubbio che per il Savonarola 1' obbligo di obbedire ai pre-
lati non è semplice ed assoluto, che non si deve cioè obbedir sempre ed in tutto
e per tutto ; ma che si danno casi anche qui nei quali è lecito non obbedire.
Ed è più che certo che, pur dichiarandosi e protestandosi egli ognora devoto
e sommesso figlio della Chiesa, in qualche caso non volle obbedire agli ordini
pontificj, ma rescrisse al Papa adducendo ragioni e scuse. E di sommo rilievo
conoscere qui la dottrina del Frate. Or qual' è essa la teoria del Savonarola
nel campo dell'obbedienza verso dei superiori ecclesiastici e del Papa? — E
analoga perfettamente alla esposta di sopra rispetto alla potestà civile. In tutto
ciò che è bene, o almeno che non è male, e non eccede la potestà del superiore
si deve obbedir sempre: in ciò che fosse male, ed eccedesse la potestà del su-
periore è lecito, e può essere alcuna volta doveroso il non obbedire: « Non si
deve obbedire nè anche al Papa in quella cosa che fosse contra Dio ». (Sopra
Amos, V.)
Ma vediamo questa teorica un poco diffusamente, che essa è per noi d'im-
portanza capitale.
« Io son preparato ad ogni obedienza della Romana Chiesa, eccetto quando
comandasse contra Dio o contra alla carità, il che non credo; ma quando lo fa-
cesse, direi allora: Tu non sei Romana Chiesa, tu sei uomo, e non sei pa-
store; perchè il pastore non comanda contro a Dio, o contro alla carità. Sì
che io mi sottometto alla Chiesa Romana, e alla obbedienza di quella, eccetto,
come ti ho detto, se la comandasse contro a Dio. Il che non può fare la Ro-
mana Chiesa, ma sì bene gli uomini della Romana Chiesa. E sappi che
jo non sono obbligato a obbedire al Papa, quando comandasse contro la
nostra professione senza causa; per esempio, se mi comandasse ch'io tenessi
possessioni, non son tenuto a obbedirlo, perchè sarebbe contro la nostra pro-
fessione, avendo io promesso ed essendomi obbligato a non le tenere. E
sebbene volesse darmi la dispensa, non son anche obbligato; perchè non
si può dare la dispensa se io non voglio, o se non vi fosse lecita causa. (')
Così ancora non sono tenuto ad obbedire al mio prelato che mi comandasse
contro alle costituzioni nostre. Cosi dicono tutti i dottori. (*) Sono dunque prepa-
rato alla obbedienza della Santa Romana Chiesa, come vi ho detto, e voi ne
siate tutti testimoni ». (Sopra Amos.. XLV1II.) « Sappi che i teologi dicono che
(') Cfr. Ballerini S. I. Opus Theologium morale, voi. IV, p. 109 e segj;. n. 180.
(•) V. S. Tommaso P. II- li, Qu. 104, art. 5. ad S"1, ove chiama illecito l'ubbidienza con-
tro Dio o contro la professione della regola. Cf. Suarez, tr. 7. o. 8. n. (i, ove dice elio questa
dottrina è comune.
— 394 —
il comandamento a noi fatto dal superiore o che gli è sopra quello che noi
siamo obbligati ad osservare, o che gli è infra quello, o che gli è oltre, o che
gli è contra, o che gli è secondo. (') E possiamo questo considerare in tre ordini:
il primo è dei secolari, i quali sono obbligati ai comandamenti dello Evangelio
e della Chiesa e alla salute loro; il secondo ordine è dei preti i quali sono in
più strettezza che i secolari; il terzo ordine sono i religiosi, che sono ancora
in maggiore strettezza che non i secolari e i preti. Prima, dicono adunque i
teologi, che ogni volta che il superiore vuole comandare sopra quello che
T uomo è obbligato; ad esempio: al secolare che lasci la roba e muti stato, e
che si faccia religioso, che non è obbligato a obbedire. Così se comanda al
prete o al religioso che digiuni più, che non l'obblighi la sua regola; ad esem-
pio: che digiuni ogni dì in pane e in acqua, non è obbligato ad obbedirlo; (8)
salvo se non glie lo desse in penitenza per qualche suo peccato. Ma non è
obbligato specialmente a entrare in una più stretta regola.
« Secondo, quando il superiore comanda quello che è infra; ad esempio:
Se tu secolare vivi bene, e in qualche tua strettezza di vita, non può assolu-
temente comandarti il superiore che tu ti allarghi, eccetto se non avesse giu-
sta causa, come se vedesse, che ti fosse nocivo al corpo, e allo spirito, come
saria troppa astinenza; e quando lui ti volesse mettere in magistrato; dove bi-
sognasse che tu vestissi meglio che tu non fai. Così a preti e religiosi non può
comandare che allarghino la sua vita.
« Terzo, se il superiore comandasse al secolare una cosa che e' fosse in-
differente, cioè che non sia nè sopra, nè infra, nè contra, nè secondo, ma oltre
(praeter) come saria andare in villa o simile; e così ancora se a te religioso co-
mandasse una cosa che fosse oltre (praeter) la regola; cioè una cosa indifferente,
non se' obbligato ad obbedirlo. Ben è vero che faresli meglio per reverenzia
ad obbedire, benché tu non sia obbligato. E questo si chiama comandare quel
che è oltre.
« Quarto, se il superiore comanda quel che è contra, dicono che questo
non si debba obbedire per niente; come saria se a te secolare comandasse
qualche cosa contro la legge evangelica, ed a me religioso contro le nostre
costituzioni; per esempio che io mangiassi della carne; allora non siamo ob-
bligati ad obbedirlo, se già non vi fosse il bisogno per infermità.
« Quinto, se il Papa comanda quel che sia secondo, sempre siamo obbli-
gali ad obbedirlo, cioè se al secolare comanda secondo l'ordine dell'Evangelo,
e della dottrina della Chiesa, e a noi secondo le nostre costituzioni, siamo te-
nuli e obbligati a obbedirlo, e devesi obbedire. E questo è quanto dicono i sacri
teologi.
« Ora al proposilo nostro dico che dovete credere e obbedire ai canoni
(') V. questa distinzione) nel Ballerini, pai». 10).
('•) S. ISernardo, de prajc. et disp. oap. 7. « Penso cho da mo non si possa esigerò so non
quanto ho promosso ». 01'. Suarcz 1. c. n. 5, o l'ico della Mirandola, Apologia, Hb. I, oap. V.
li
— 395 -
delia Chiesa, e ai concilj, e in una parola, alla dottrina della Chiesa Romana,
così siamo obbligati tutti, e stare all'obbedienza del Pontefice, e io e ognuno.
Ma dico bene, s'egli accadesse, non dico eli' egli abbia ad essere, nò che sia
stato fatto comandamento nessuno, ma dico s' egli accadesse, che fosse fatto co-
mandamento die fosse contra alla carità, che ognuno prima debba avere que-
sto pietoso credere, che tal comandamento non sia la volontà del superiore,
nò la sua intenzione, ma o che sia stato fatto per errore, o per esser stato male
informato. E però tu debbi credere che il superiore intenda che tal coman-
damento abbia effetto, se gli è così come gli è stato riferito, altrimenti
no. E però dicono i dottori in questo caso che tu devi soprasedere e informare
il superiore della cosa com' è, e della verità. Ma mettiamo per caso, (non dico
che sia, tu andrai a scrivere poi a Roma; io non ho cancellieri, io ti darò fac-
cenda a te, che scrivi a Roma; intendimi bene, io non dico che sia) ma se per caso
venisse un altro Pontefice, diciamo cosi, il quale volesse che io facessi male,
e che intendesse il comandamento che fa essere contra la carità e volesse
che valesse; dico che in tal caso non hai a temere nè sua escomunicazione,
nè sua forza, anzi devi piuttosto morire che obbedirlo. (l) (Sopra Amos e Zac-
caria, pred. XXIX.)
« Coloro che ti hanno havuto in odio hanno levato il capo. (8) Pensando so-
pra questo punto dicevo: Ecci nessuno che abbia in odio Dio? È certo
nessuno per sè ha in odio Dio; ma ha ben in odio le cose che Dio fa, che gli
dispiacciono. Dio fa predicare la verità, e molti la hanno in odio, ed ecco che
gli hanno levato il capo e gli hanno levato la cresta: nota che non dice: hanno
levato i capi, ma dice: hanno levato il capo. Diciamo contro a quelli che vanno
dicendo cose che nessuno gli risponde: Egli hanno levato il capo. Qual è il capo
della Chiesa? hanno levato il Papa. — 0 dirai tu contro il Papa? — Non io,
ma quando tu lo vuoi levare suso quanto Dio, tu levi troppo il capo. Quelli che
pria dicevano male della corte Romana, ora dicono che le si deve obbedire in
ogni cosa. Se tu di' che si debbe obbedire in ogni cosa, tu non devi intendere
che si abbia a obbedire nel male, perchè il male è nulla, secondo che dicono
i filosofi. Se tu intendi adunque che si obbedisca nel bene il capo, sta bene; se
tu intendi anche nel male, tu levi troppo il capo. 0 se lui ti comandasse che
facessi una fornicazione, obbediresti tu ? — Sì, dice colui, che io lo farei. Ecco:
tu levi troppo il capo. — 0 frate, egli è Dio in terra; è vicario di Cristo! —
Egli è vero; ma Dio e Cristo comanda che si ami il suo fratello, e gli si fac-
cia bene. Adunque se il Papa ti comandasse che tu facessi contro la carità,
e tu lo facessi, levi troppo il capo, e vuoi che il Papa faccia più che non
fa Dio.
(') Tutto questo passo mostra benissimo con quanta cautela il Savonarola si guardasse
dall' offendere personalmente il Romano Pontefice, e conferma quanto tu detto da noi a
pag. 267 e segg. relativamente a quei passi ove si vorrebbe che il Savonarola mirasse al par-
ticolare.
0 Salm. LXXXI1, v. 2.
- 396 -
« Egli non si domanda allora Papa, e non si serba obbedienza, quando egli
comanda contra Dio. — il Papa in quanto Papa non può fare cosa falsa. — Tu
credi forse che il Papa non sia uomo?! Quando lui fa male, non fa inquanto
Papa; ma perchè è uomo può, per false persuasioni, errare e fare male. Non
dite adunque più che il capo si vuole obbedire in ogni cosa; ma nel bene ».
(Sopra 1' Esodo, Sermone XVIII e altrove.)
« Un cittadino aveva una bellissima vigna, la quale faceva di molto frutto
per operazione e industria d' un suo figliuolo. Alcuni ladroncelli vicini a que-
sta vigna, avendo gran desiderio di rubarla e di guastarla; ed essendo proi-
biti dal figliuolo di questo cittadino, pensarono tra loro e dissero: Il padre
di costui, per la via lunga, e per le sue occupazioni, non può venire a ve-
dere il suo figliuolo e la vigna. Scriviamogli dunque male di questo suo fi-
gliuolo, dicendo che egli è un mangiatore e un bevitore, e che egli sta tutto
il giorno con le meretrici e con i ribaldi, e consuma tutti i beni paterni e
la vigna. Ed oltre allo scrivere, mandiamogli diversi messi i quali abbiano
apparenza di persona da bene, che confermino tutto quello che gli avremo scrit-
to, persuadendogli che gli comandi che non stia più a quella vigna e che lo
chiami a sè e puniscalo gravemente. E così fecero. Il padre suo adunque,
vedendo tanti testimonj, se lo credette; e adirato chiama il figliuolo a sè scri-
vendogli come aveva inteso tutto il male che faceva. Il figliuolo vedendo che
la sua partita saria causa della distruzione della vigna, non si parte, e non
obbedisce al padre; ma gli scrive e manda a dire, che egli è ingannato da quegli
che vorriano guastare la vigna. — Dimmi, cittadino, pare a te che questo
figliuolo, abbia fatto bene o male? o che egli abbia fatta la volontà o contro
la volontà del padre? Certo se tu non sei uno sciocco, tu dirai che egli ha
fatto prudentissimamente, non contro, ma secondo la volontà del padre.
« Dimmi, se tu avessi una ragione a Bruges, e fosse bene governata da un
tuo garzone; e per invidia i tuoi nemici ti scrivessero male di lui, e tu mosso
dalle lettere loro, lo rivocassi scrivendogli quel che tu hai inteso di lui, e lui
tornasse lasciando andar male la ragione, non ti adireresti con lui? e dire-
sti: Pazzo, non vedi tu in che modo io ti avevo scritto? Certo per modo al-
cuno tu non dovevi tornare.
« Ma dimmi un' altra cosa: se un re avesse comandato ad un suo ser-
vo, che andasse contro i suoi nemici sotto la obbedienza di un suo barone,
e cominciasse già il servo ad espugnare i nemici, e aver gran vittoria; e il
barone, o per essere male informato, o per altra causa comandasse al servo
del re che tornasse addietro, per la (piale tornata i nemici avessero a di-
ventare vittoriosi; e che il servo non volesse obbedire, sapendo che questa
vittoria al re sarebbe gralissima, e che il comandamento del barone è con-
trario al comandamento del re; non ti parrebbe egli a te che questo servo
avesse fatto prudentemente, e che il barone, se egli fosse buono e fedele al
suo re, avesse poi grata quella sua disobbedienza con quella vittoria?
« Ogni volta adunque che si potesse vedere espressamente che i coman-
damenti de' superiori sono contrarj ai comandamenti di Dio; e massime al
— 397 —
precetto della carità, niuno deve obbedire in questo caso; perchè gli è scritto:
E' bisogna obbedire piuttosto a Dio che agli uomini. Avvengachè quando non
fosse chiaro, ma dubbio, che il comandamento del superiore fosse contrario
al comandamento divino, crederei in questo caso che si dovesse seguitare il
giudizio del superiore. Avendo dunque noi tutti comandamento da Dio della
carità fraterna che ciascheduno abbia cura della salute del suo prossimo, di-
cendo il savio nell'Ecclesiastico: Comandò a ciascuno di aver pensiero del
prossimo suo, quando io vedessi espressamente che il mio partire d' una città
fosse ruina spirituale o corporale del popolo, non obbedirei ad uomo vivente,
che mi comandasse che io mi partissi. Sì perchè il suo comandamento saria
contrario al comandamento divino, sì perchè io presumerla che quella non
fosse la intenzione del mio superiore; sapendo che è piuttosto da obbedire
alla intenzione della legge che alle parole.
« 0 tu, che scrivi a Roma tante bugie, che scriverai tu ora? Io so bene
quello che tu scriverai. — 0 che, Frate? — Tu scriverai che io ho detto che
non si deve obbedire al Papa, e che io non voglio obbedire. Io non dico così:
Scrivi come io ho detto, e vedrai che non farà per te ». (Sopra Amos e
Zaccaria, pred. I.)
E se avessero scritto, come egli diceva, avrebbero adunque scritto la tesi
che ponemmo di sopra: che bisogna sempre obbedire dove sia bene, dove non
sia male, dove s' estende la potestà del superiore, la legge; e che nel caso con-
trario è lecito o anche doveroso non obbedire. E così scrivendo i cancellieri
non avrebbero davvero fatto il proprio giuoco nè ottenuto ragione o ascolto in
Roma, siccome vedremo chiaramente quanto prima.
XXVI.
Delle leggi canoniche e della scomunica.
Sommario.
Fra Girolamo dotto in diritto civile e canonico. — Opere legali del Frate. — Ragioni che indussero il Savo-
narola allo studio del diritto. — Nomologia Savonaroliana. — Leggo in genere. — Legge eterna. —
Leggo naturale. — Leggi civili. — Leggo soprannaturale. — Leggi canoniche. — La carità legge
suprema. — La legge divina e la naturale e quelle che ne dipendono per modo di deduzione sta-
bili ognora. — Mutabilità delle leggi moramente positivo umane. — Condizioni alla validità della
legge; o casi di nullità. — Criterio per giudicare della bontà delle leggi. — Un esempio. — Dot-
trina del Savonarola intorno alla scomunica. — Uno studio della scomunica del nostro Frate. —
Fouti dalle (piali attingiamo 1' esposiziono presento. — Limiti di questa. — Natura della scomunica.
— Como ossa non sia da infliggerò se non per colpe gravissime. — Suo conseguenze. — Fra Gi-
rolamo lamenta la troppa frequenza dolio scomuniche. — Casi di nullità della scomunica.
Fra Girolamo studiò con molta cura diritto canonico e legislazione eccle-
siastica, e tra le sue opere, come si può vedere in un catalogo edito dal Villari
(Doc. VI, pag. XXII), figurano le seguenti: « Decretum abreviatum : pars Decreta-
Unni; Clementìnae abreviatae: Capitolum breviatum; Decretum in membranis ». E
come in diritto canonico, si mostrò egli mollo studioso e profondo in diritto
civile e nel costituzionale segnatamente, come appare dal Compendio di tutta
la Filosofia, dalle prediche sopra Aggeo e dal Discorso intorno il reggimento
degli stati, e come è del resto noto ad ognuno che anche per poco conosca la
vita e 1' opera sua politica in Firenze.
E si capisce facilmente che ciò egli facesse, ove si pensi alla natura del
suo ingegno così avido di apprendere, all' ufficio d'insegnante che tenne
parecchi anni, alla riforma che voleva predicare, e alla lotta che doveva
sostenere contro i tiepidi secolari ed ecclesiastici. E pare ancora che nelle leggi
egli studiasse con molto disinteresse; imperocché sovente nelle sue prediche
e negli altri scritti, grida mollo forte contro coloro i quali, lasciando tra la
polvere ben anco la Scrittura, studiavano incessantemente diritto solo per tinti-
le entrale, avere i benefizi c far pompa di scienza. Ma lasciando ciò e lenen-
- 399 -
doci stretti stretti al nostro intento, noi esporremo qui brevemente la nomo-
logia del Frate nostro.
Per questa, lasciando i molti altri luoghi, ne' quali il Savonarola ne tratta, ci
serviremo qui della predica XXII già citata sopra Amos, del capitolo XIII del
libro III del Trionfo, della predica I e li sopra V Esodo, della predica X sopra
Ruth e Michea, e di un saggio di lezione fatta in San Marco a' suoi Frati
pubblicato dal Villari (Doc. V, pag. XII e seg.). Raccoglieremo le cose essen-
ziali da questi luoghi, ritenendo per quanto ci sia possibile le stesse parole del
nostro Filosofo. (£)
La legge è ordinazione della ragione al bene comune promulgata da
chi ha la cura della comunità. A capo, principio, fonte e regola di tutte le
altre leggi, sta la legge eterna ; la ragione della divina sapienza in quanto
è direttiva di ogni atto e di ogni mozione. {') Questa legge è Dio stesso, è la ordi-
nazione della ragione divina promulgata da Dio prima in se stesso producendo
il Verbo e lo Spirito Santo, a' quali la manifestò dall' eternità. Essa fu poi del
pari promulgata alle creature; e ciò quando, creandole, Dio diede loro ap-
punto la norma onde operassero; e la diede alle animate e alle inanimale,
alle razionali e alle intellettuali: imprimendo in loro tali forme per le quali
sono esse inclinate piuttosto così che così; hanno questa o quella inclinazione;
inclinazione che le cose inanimate e gli animali irragionevoli seguono necessa-
riamente e sempre; gli uomini e gli angeli, avendo avuto il libero arbitrio, po-
terono seguirla o anche avversarla. Tutte le creature adunque partecipano della
legge eterna, e cosi essa legge si fa legge naturale; ma più di tutte le altre
creature terrestri e più perfettamente ne partecipa la creatura razionale. E
questa partecipazione, la partecipazione della legge eterna fatta all' uomo, si
può anche chiamar legge razionale; ed ha per radice il lume della ragione da
Dio impresso nell'uomo. ' 3) Da questa legge naturale o razionale, da' comanda-
menti di questa legge, derivano tutte le altre leggi particolari, e derivano o per
modo di conclusione, o per modo di determinazione. (') Queste ultime si doman-
dano propriamente leggi umane positive.
Ma per essere 1' uomo elevalo ad un fine soprannaturale, e per molte al-
tre ragioni, a tutto il governo dell' umana famiglia non essendo sufficiente la
legge naturale, è stato necessario 1' aiuto della legge divina soprannaturale.
Questa legge che è detta positiva divina, è un' aggregazione di comandamenti di-
vini, la quale procede dal lume della fede soprannaturale, ed è, essenzialmente,
la grazia dello Spirito Santo. Da' comandamenti di questa legge e grazia deri-
vano, come da primi principj, le altre leggi particolari per modo di conclusione,
Ql>er modo di determinazione, le quali si domandano leggi canoniche, proprio
cosi come dalla naturale derivano le civili.
(') Cfr. anche le i-red. Vili, XVII e XVIII Sopra A<*geo.
(z) Cfr. San Tommaso, Somma teol., p. I-II, qu. 90, a. 4, e, qu. 93, a. 1.
(■*) San Tommaso, 1. e, qu. 91 a 2.
(') San Tommaso, 1. e, qu. 95, a 2.
— 400 —
Si potrebbe adunque dire che le leggi positive civili sono la ragione di Dio
1' ordinazione della ragione di Dio promulgata da' principi, le canoniche od ec-
clesiastiche sono la ragione divina, 1' ordinazione della ragione divina promul-
gata dalla Chiesa.
Di queste leggi la naturale e la positiva divina non possono contenere
errore alcuno, sono tutte verità, e resteranno eternamente, e devono essere
osservate da tutti così come Dio comanda e vuole. Sarebbe eretico e pazzo chi
dicesse o pensasse il contrario. Del pari, le leggi che dipendono dalla natu-
rale per conclusione si debbono ognora tener per vere e sante da tutti gli
uomini: perchè da veri principj non possono procedere conclusioni false. Esse
si potrebbero chiamare leggi naturali particolari, e devono essere stabili presso
tutte le nazioni. Le leggi meramente positive, fatte dagli uomini per modo di
determinazione, si possono variare secondo le diversità de' luoghi e de' tempi,
perchè il contenuto loro non dipende formalmente dalla legge naturale o
divina. (*)
Or nota che tutte le leggi le quali sono applicate al bene comune, e senza
le quali il bene comune non si può mantenere, obbligano a peccato. Sono di
poi certe altre leggi che sono a onestà e a vita più costumata; e queste non
obbligano a peccato. Del resto 1' amore verso Dio è la plenitudine della legge
di Dio; e l'amore verso gli uomini è la plenitudine delle leggi umane. Tutte
le leggi devono essere informate a' due principj notissimi: l'amore di Dio, e
1' amore del prossimo. La legge suprema, la legge di tutte le leggi, è la carità;
è il nostro Salvatore Gesù Cristo Crocifisso. (2)
Ove manchi 1' amore, la carità, lo spirito di Cristo, le leggi non valgono
nulla. Quando le leggi son fatte per oppressare i sudditi, o per uccellare a be-
neficj e a denari e a roba, quando son fatte a sole gravezze, quando son reti
a tirar danari, e servono solo al comodo privato e non mirano al ben vivere, non
mirano al bene comune, vanno contro la salute delle anime, allora non valgono
nulla. Se il principe fa una legge contro al ben vivere, o al bene comune il
popolo non è tenuto ad osservarla.... (3) « Fanno ancora leggi costoro contrarie
alla carità.... lo ti dico che non le si debbono osservare. La carità rompe ogni
legge.... Per giudicare della bontà di una legge non bisogna guardare tanto alle
foglie e a' rami, quanto alla radice; cioè alla ragione con la quale elleno son
fatte. Voi, canonisti, non avete fatte le leggi, ma sono piuttosto procedute
dai teologi ; ed ogni volta che la legge non concorda con la ragione, o con
la legge della grazia, massime in quelle cose che concernono 1' anima, non
vale nulla. Ed ogni volta che la ragione non concorda qua non viene dalla
radice dell'arbore, ma è ramo secco ».
Ma è necessario che veniamo un poco al particolare per intendere meglio.
E egli lecito, per esempio, a' governatori civili, che si propongono di purgare le
(') San Tommaso, 1. e, qu. 94, a. i e 5.
0 Smi Tommaso, 1. o. a. ti. — Oft. Ve. HegiminC I'i-incipum, L. Ili, c. ti" e 4°.
(a) Saii Tommaso, 1. e, qu. 96, a. 4e 6.
— 401 —
città loro dai vizj, levar via la cattività dei cattivi preti? Come si risponde a que-
sta questione per chi ammette le leggi canoniche e le leggi civili, e che per le
leggi canoniche sia giudicato e governato il clero, e per le leggi civili il popolo?
Si risponde negativamente. Rispondendo altrimenti, s' andrebbe contro la
legge della Libertà Ecclesiastica. Ma presupponiamo che vi sia un prete o frate
non solo cattivo in quanto a sè, ma causa della corruzione degli altri, come
infame, sodomita, incantatore, eretico, o traditore della patria; e presupponiamo
che i reggitori della città lo abbiano detto ai superiori del prete o del frate e lo-
cali e centrali gradatamente su su fino al Papa; e che questi non vi volessero
provvedere, nel caso tieni tu ancora che e' ci sia scomunica alcuna a cac-
ciare dalla città siffatto arnese ? credi che si faccia tuttavia contro la legge
della libertà ecclesiastica? Il Savonarola risponde di no; ed è opportune che
vediamo le ragioni, perchè in esse è detto abbastanza bene in quali casi egli
credeva che si potesse trapassare impunemente le leggi positive.
Si premette che « in tutti gli atti morali, il fine è forma e regola di tutta la
operazione; e che la forma di ogni virtù è la carità, e se non vi è la carità
quella virtù è senza forma, e però si chiama virtù morta, e non è più virtù:
ogni cosa opera per la forma sua. La fede opera per la carità, e però quella
fede, dove non opera carità, si chiama fede morta. E però la fede senza le
opere è morta. Ogni volta adunque che tu fai un atto virtuoso per carità, egli
è informato della sua forma. Ma così è che le leggi sono per gli atti delle virtù.
Adunque così, come una virtù senza carità è morta, così ogni legge che non
ha carità è morta e non è legge ». Questo premette il Savonarola, e poi segue
francamente: « Quelle leggi che tu di': che nulla può farsi contro la libertà
ecclesiastica, e che nessuno deve essere giudicato da un giudice che non sia
suo, se le stanno ed hanno luogo, in questo caso, le non hanno carità in sè,
adunque sono leggi morte; e non sono più leggi in questo caso. Che le fossero
contro la carità se le includessero il caso nostro, io te lo dimostro, perchè tu
non potresti cavare l'anima del prossimo di peccato, e tuttavia non solo ci è
comandato da Dio per la legge della carità, che noi facciamo ogni cosa per
la salute del corpo del prossimo, ma molto più per la salute dell'anima. Im-
perocché ad ognuno ha fatto Dio comandamento del suo prossimo. Adunque se
tu hai fatto il debito tuo in richiedere i superiori, e queste leggi poi ti tenes-
sero che tu non potessi aiutare il prossimo, le sarebbero contro la carità. E
però io ti dico che tu non debbi farlo, e che queste leggi non sono più leggi,
ma sono morte in questo caso: e questa è la prima ragione.
« La seconda ragione è questa: San Tommaso dice che ognuno è obbli-
gato alla correzione fraterna sotto pena di peccato mortale. (') E Santo Am-
brogio dice che se tu vedi uno morire di fame, e tu puoi aiutarlo, e non lo
aiuti, tu se' causa della sua morte e pecchi mortalmente. (2) Onde soggiunge
San Tommaso e dice: Se noi siamo obbligati alla salute del corpo del prossimo,
(') V. San Tommaso, II-II, qu. 33, a. 2.
(2) De Officis, 1. 1, c. 30.
26
— 402 -
molto più per la salute dell'anima sua, perchè, se vediamo i prossimi andare
a casa del diavolo, dobbiamo fare ogni cosa che non sia contro la carità
o fuora di essa carità per salvarli. (*) E questa è legge divina e naturale che ci ob-
bliga. Si argomenti adunque così: Ogni legge o sia naturale o sia divina sta sempre
salda ed immutabile, e non si può dispensare. Ed ogni legge che seguita dalla
naturale e dalla divina per modo di conclusione si chiama sempre o naturale a
divina, e non si può mutare. Ma quelle leggi, che si cavano dalla naturale e
divina per modo di determinazione, si chiamano leggi positive e possonsi torre
via e mutarle e alterarle, e il Papa le può dispensare e torre via; com'è dire:
se uno fa la tale cosa, abbia la tale pena, o sia escomunicato. Queste si chia-
mano leggi positive, e si possono torre via; ma la naturale e divina sta sempre
immobile, e quando egli accade che la naturale non può stare, stante la posi-
tiva, sempre in quel caso la positiva cessa. Per esempio: Tu fai un comanda-
mento al tempo di guerra, che nessuno sia lasciato entrare dentro alla porta
sotto pena del capo. Se viene un tuo cittadino alla porta e voglia entrare den-
tro, colui che il mette dentro non merita di essere decapitato, perchè in questo
caso l'amore naturale stringe a mettere dentro il tuo cittadino, e non s'intende
che quella legge positiva abbia luogo, quando non può stare la naturale ».
Cf. la predica XXVIII sopra i Salmi.)
Applicando questa dottrina, il Savonarola così argomenta:
« Volendo tu servare questa legge positiva: che io cada in pena di esco-
munica a cacciare via costui, benché io non sia suo giudice, avendo io
fatta diligenza, saria contra la legge naturale dello amare il prossimo, e con-
tra la legge divina del cercare la salute dell' anima sua. E però questa posi-
tiva cessa, perchè altrimenti non si potria salvare 1' anima del prossimo che
si vede andare all' inferno.
« Poi, in ogni legge si debbe massimamente osservare la intenzione del
latore della legge; ma la intenzione della legge della Chiesa in tutte è que-
sta: primo, l'onore di Dio, secondo, la salute delle anime, terzo, il bene co-
mune. E dice San Tommaso che ogni volta che le leggi non hanno questa
intenzione, non valgono nulla. (2) Ma così è che in questo caso cessano tutti
questi fini e tutte queste intenzioni. Adunque quelle leggi che tu alleghi non
comprendono il caso nostro ». (Gonf. la XI sopra 1' Esodo.)
« Inoltre, la materia è fatta per la forma, ed il corpo per lo spirito. Que-
sta legge, che tu alleghi, della libertà ecclesiastica, riguarda alla libertà del
corpo; ma la legge divina appartiene alla libertà dello spirito: perchè chi fa
il peccato è servo del peccato, e perde la libertà dello spirito. Essendo adun-
que fatto il corpo per lo spirito, ogni volta che la libertà corporale guasta la
libertà spirituale, cessa quella legge, e non si ha avere rispetto alla libertà
corporale: ma così è, che in questo caso, se quella legge della libertà eccle-
siastica si avesse ad osservare, si guasteria la libertà spirituale e la libertà
(') San Tommaso, 1. c. a. 1.
(') P. I-II, qu. 9G, a. 4.
— 403 —
di Cristo; adunque quella legge, cessa in questo caso, e non si chiama più
legge.
« Inoltre, ogni legge bisogna che sia fatta con ragione; e la ragione della
legge, è l'anima della legge, e se non è fatta con ragione non è legge. Ma così
è, se quelle leggi che tu alleghi avessero aver luogo in questo caso, non sa-
rebbero fatte con ragione nessuna. A lunque non valgono, e non son leggi in
questo caso. E se tu di' che le son fatte con ragione in questo caso, e se egli
è ragionevole di lasciare stare costui in questo modo ad esser cagione di far
ruinare l'anime, adunque si potria fare una legge in questo caso; perchè dove
porta la ragione si può fare la legge. Si potrebbe adunque fare una legge che di-
cesse: — Noi comandiamo che un prete o frate corruttore delle anime e che
guasta il bene comune, benché non sia corretto da' suoi superiori, che sia la-
sciato stare, e che ognuno il lasci fare. — Parrebbe egli a te che questa legge
fosse ragionevole? Io per me, me ne farei le marce beffe, e se la facessi bene
il Papa questa legge, io ti dico che io me ne farei le marce beffe.
« Inoltre, il servare la fama del prossimo è di diritto naturale e divino; e
la salute delle anime è di diritto naturale e divino. Ma egli è maggiore cosa e
più da stimare la salute delle anime, che la fama del prossimo : ma così è
che Cristo non curò di servare la fama, dove andava il pregiudizio delle ani-
me; adunque noi non dobbiamo servare questa leg^e della libertà ecclesia-
stica, la quale è molto manco che la fama, quando noi vediamo il pericolo
delle anime. Cristo non servò la fama agli scribi e farisei, perchè vedeva che
rumavano le anime allo inferno; anzi ùisse che erano ribaldi e cattivi: e se
questo rispetto della salute delle anime è tanto potente, che fa cessare questo
comandamento della fama (') che è di diritto naturale, molto maggiormente
debbe far cessare le leggi che tu alleghi, le quali sono leggi positive....
« Sicché non bisogna che tu alleghi capitoli della libertà ecclesiastica, perchè
una risposta sola solve ogni cosa; che cioè la carità va innanzi ad ogni cosa, e
quando non è carità in una legge, quella legge è morta e non è più legge. E
se tu di': — Oh! la libertà ecclesiastica si deve salvare; — io ti rispondo che
la libertà di Cristo va innanzi ad ogni libertà, e la libertà ecclesiastica non è
fatta per guastare la libertà di Cristo, ma per mantenerla ».
E qui fa ancora un passo il nostro Frate, un passo assai ardito : osser-
vato che questo cacciare il prete ne' casi presupposti non è giudicarlo, ma
correzione fraterna, soggiunge: < E dicoti più, che questo lo può fare ognuno
per zelo della Chiesa o per zelo dell' onore di Cristo. Vogliamo vedere se que-
sto è vero? Domandiamone Cristo. Poni per caso che mandassimo una amba-
sceria a Cristo, e che gli dicessimo che ci è un prete o frale cattivo, secondo
il caso eh' io t' ho proposto, e dimandassimo se vuole che Io cacciamo, certo
credi che risponderebbe che lo cacciassimo.... Se Cristo ci rispondesse che non
volesse che lo cacciassimo, tu diresti anche Cristo cattivo. Sed hoc absit, chè
(') San Tommaso, H-U. qu. 33, a. 7 in fine.
- 404 —
non si può dire. (i) E però tu debbi considerare che la intenzione di Cristo è,
che in quel caso che io ti ho proposto, quando e' non c'è altro rimedio, tu
debbi mandare via quel cattivo che mina le anime degli altri ».
Questo basti per ora della teorica della legge secondo Girolamo Savona-
rola, e teniamo a mente questi principj che ci verranno bene assai quando or
ora avremo ad occuparci del fatto.
Dopo il detto fin qui è cosa agevole esporre la dottrina del nostro Frate
intorno alla scomunica. Non ogni comando è scomunica, ma ogni scomunica è in
qualche modo un comando, come ogni scomunica è una specie di legge. Dun-
que ciò che si pensa del comando e della legge penale in genere si ha da pen-
sare e dire della scomunica in ispecie.
Il nostro Frate come era esperto e dotto nella legislazione civile e nella
ecclesiastica in genere, così doveva possedere del pari molto bene la dottrina
della scomunica. Infatti, nel catalogo citato di sopra, tra i libri del Frate si legge
anche questo che segue: Excomunicationes brevialae; e nella Predica XVII sopra
Amos e Zaccaria diceva egli di sè: « Io sono andato cercando quante ragioni
di scomunicazioni sono: e'son tante che non si possono quasi numerare, elle
son quasi un libro »". La dottrina intorno la scomunica, il Savonarola l' ha in
parecchie lettere; nelle Prediche I, XXIX, XXXV sopra Amos e Zaccaria, nella
XXVIII sopra i Salmi, nella XXXIX sopra Ezechiele, nelle prime sopra l'Esodo,
nel Confessionale in tutta la la Parte, e qua e là negli altri suoi scritti e luoghi.
11 Pico la raccolse assai bene neh' Apologia al capo IV del libro I. Noi ci con-
tenteremo qui di pochissime cose; di quanto è strettamente richiesto all' intento
di questo scritto. Del resto ne dovremo riparlare tra poco, ne' capitoli succes-
sivi, quando verremo alla questione di fatto.
Nella predica XII sopra Ruth e Michea il nostro severo canonista, rimprove-
rando a'magistrati di Firenze l' impacciarsi che facevano indebitamente in cose
ecclesiastiche, e gridando che cosi facendo cadevano in iscomunica, diceva:
« E sai tu quello che vuol dire essere scomunicato? Io tei dirò in una parola:
E' non vuol dire altro che essere tolto Via dalla Chiesa, e dato nelle mani del
diavolo. E però quel magistrato che cade in escomunica ha il diavolo addosso,
e gli va sempre ogni cosa di male in peggio ». Essa è adunque la pena più
grave che vi sia nella Chiesa.
Di qui argomentava subito il nostro Autore come la scomunica non deve
essere inflitta per lievi cause, ma solo a rei di colpe gravissime ed aperte:
e come non la si deve infliggere per lievi cause, così non la si deve lanciare
leggermente.
E invero è piccola cosa la parola scomunica, ma certo non son piccole
le conseguenze; perciò Fra Girolamo nella III sopra l'Esodo lamentava, nel-
1' età sua, la troppa larghezza delle scomuniche, e l1 abbondanza che ne era
(') Qucst' espressione del Savonarola ricorda quella di San Paolo Dell' Epistola ai Ro-
mani, cnp. 3". « Nunquid iniquns est Deus qui inferi iram? isccunduni hominem dico) Absit •.
— 405 —
venuta; e diceva esplicito che non deve la Chiesa cosi presto, per ogni pa-
rola correre alla scomunica. Ond'egli lamentava, e forte assai, le scomuniche
a buona derrata, e che se ne desse a chi ne voleva; e facea giudizio che le
date a prezzo, e non per altro; le emesse per lievi cause e per ogni favola (')
non valessero gran fatto. E a più forte ragione il severo Frate credeva nulle e
di niuno effetto presso Dio le scomuniche quando fosser carpile all'autorità
ecclesiastica contro innocenti da calunniatori nemici della verità e del ben vi-
vere cristiano; come le credeva nulle allorché fossero contro la Iegse naturale
o la positiva divina, o contenessero un errore intollerabile. Inoltre, era nulla
per lui la scomunica 1' osservanza della quale avesse costretto di andar contro
la carità e importasse la ruina del bene comune di una città o della salute
delle anime dei buoni.
E in questi casi, come le scomuniche son nulle, così non possono legare
e non legano colui contro il quale son pronunciate; e può questi, salvo il
caso di scandalo, non osservarle; e qualche volta anche è obbligato a non
osservarle. Anzi, nel caso che esse fosser contro la legge naturale o la posi-
tiva divina, o contro le leggi dedotte da queste per modo di conclusione; e nel
caso che 1' osservanza loro importasse la ruina del bene comune di una città, o
delle anime innocenti, non si dovrebbero osservare affatto; perchè è manifesto
che a nessuno è data potestà contro Dio, e che non può essere maggior errore
che lasciar ruinare una città, o lasciar le anime in mano de' cattivi.
Del resto nelle sentenze e ne' brevi di scomunica il Savonarola crede,
come puoi vedere nella XXVIII sopra i Salmi, che si abbia sempre da inten-
dere eh' essa scomunica vale, se son vere le cause esposte, e per le quali
essa viene lanciata. Per esempio: se uno fosse scomunicalo per aver predicato
falsa ed eretica dottrina, c per aver introdotto una nuova maniera di vita
contraria alla cristiana, per aver messo discordia in una città, e tolto le
anime dal rispetto alla Chiesa e al Papa, o per altra causa quale si voglia,
il Savonarola dice allora che la scomunica vale, quando queste cause son
vere; nel caso contrario non è valida affatto, e se può e deve esser temuta,
non v' è però obbligo di osservarla, salvo il caso di scandalo. L' innocente,
il colpito da questa pena atroce allora deve soprassedere e informare il su-
periore e dimostrare la sua innocenza. Ciò fatto, egli è sciolto senz'altro dalla
«comunica, nè ha più oltre bisogno di chiedere assoluzione alcuna; anzi, ove
l'innocenza del condannato e l'invalidità della sentenza fossero evidenti e no-
torie al popolo, fossero per sè patenti o rese tali con buone ragioni alla società,
allora, essendo rimosso ogni pericolo di scandalo, non si è tenuti in alcun modo
ad osservarla, e si può non tenerne conto nè in pubblico nè in secreto. Di più,
anche quando vi fosse pericolo di qualche scandalo, se l'osservanza della
(l) Il Pastor, probabilmente senza pensarvi, si prese l" incarioo di giustificar <iueste, che
certo sanno di forte agrume, espressioni del Savonarola. Infatti a pag. 63 scrive : « I mezzi
coercitivi della Chiesa, causa in parte lo stesso clero che troppo sovente per fatili motivi gV inflig-
yeva, non agivano più con quella forza che ne' primi tempi ».
— 406 —
scomunica importasse il contravvenire ad un comandamento di Dio o alle
legge naturale, o alla positiva divina, o a quella di carità, non si dovrebbe per
modo nessuno osservare. (*)
Questa in breve la teorica della scomunica del Savonarola, quale si rac-
coglie dalle fonti sopra citate. E essa cattolica? Lo vedremo nel capitolo
che segue.
(1) Vedi la lettera € contro sententiam excommunicationis contro, se nuper iniuste latam, »
nelle Addizioni del Quétif.
XXVII.
Si dimostra la teoria del Savonarola sopra esposta
esser cattolica, e si ribatte l' accusa eh' egli
ritenga che la vita peccaminosa de' prelati ne
scuota la giurisdizione.
Sommario.
La dottrina del Savonarola e i Canoni. — Il Pastor non ha ben letto. — Il Savonarola cattolico come
San Tommaso e Sant'Antonino. — Il Pastor ammette possibile una scomunica ingiusta. — La
sentenza ingiusta pnò esser nulla. — L' autorità di San Tommaso e quella de' Canoni. — Se la sen-
tenza ingiusta e nulla s'abbia ad osservare. — Un equivoco che gnasta tutto. — Si rimanda il
lettore al Pico. — Si trascrive un' altra volta da' Canoni. — Timore dell' ingiusta sentenza. — Di-
stinzioni importanti. — Discrezione nello intendere la glossa a' Canoni. — Aureo passo del Sa-
vonarola. — Un nostro dubbio. — Accusa del Pastor contro il Savonarola di non aver obbedito
ad Alessandro VI perchè uomo guasto. — Asserzioni del Pastor. — Che cosa poteva dire il Pa-
stor. — L' importanza del buon esempio de' capi per il popolo cristiano secondo il Pastor e Fra
Girolamo. — Il peccato del sacerdote non reca scapito essenziale al sacrifizio, al sacramento, in-
aila dottrina. — Analogo insegnamento di Fra Girolamo. — La dignità sacerdotale secondo il Sa-
vonarola. — Fra Girolamo riconosce ne' prelati e nel capo indeguo la potestà anche nel corpo mi-
stico di Cristo. — Difficoltà della lotta sostenuta dal Savonarola. — Dio non vuole mutar chiave.
— H Savonarola è con Sant'Ambrogio e S. Gregorio Papa. — Ai perversi comandamenti, non ai
superiori perversi si vuole resistere. — Il Papa può tutto il bene. — La teorica del comando con
viene anche alla teorica della legge e della scomunica. — Le leggi, le scomuniche ingiuste cosa del
diavolo. — Conclusione contro il Pastor.
La dottrina intorno alla natura e agli effetti della scomunica Girolamo
Savonarola la toglie letteralmente da San Tommaso e da' Canoni; e perciò è
affatto inutile che ci soffermiamo a mostrarne ai cattolici la verità. D' altra
parte la controversia non è qui, ma piuttosto ne' casi di nullità: in questi è
cattolico Fra Girolamo?
Il Pastor dice cliiaro che « la teoria del Savonarola contrastava diretta-
mente alla dottrina della Chiesa, doversi rispettare eziandio la scomunica in-
giusta, e veniva a rovesciare i fondamenti di ogni ordine ecclesiastico »
(pag. 359).
— 408 -
Ma a noi par vero il contrario. La teoria del Savonarola, nemmeno nelle
restrizioni, non contrastava nè direttamente, nè indirettamente alla dottrina
della Chiesa, ma è per contrario la stessa dottrina della Chiesa. li Savona-
rola nella teoria della scomunica ingiusta è cattolico come i suoi fratelli
San Tommaso e Sant' Antonino: (') è cattolico come è cattolico il diritto
canonico, voglio dire la Legge Ecclesiastica. Non vi è cosa al mondo più facile
a mostrare. Fra Girolamo nell' esporre la teoria della scomunica non inventa,
ma ripete sempre letteralmente la dottrina de' Dottori e del Diritto Canonico.
È possibile una scomunica ingiusta? L' ammette anche il Pastor; impe-
rocché egli dice che si deve rispettare anche la sentenza ingiusta ; cosa assurda,
se non potesse aversi mai alcuna ingiusta scomunica. È inutile che si addu-
cano qui autorità, essendo cosa che nessuno può, nè vuole negare.
E possibile che una sentenza, una scomunica ingiusta sia nulla, e non le-
ghi lo scomunicato? Leggete San Tommaso nel corpo dell'art. IV della Que-
st. XXI del Supplemento e troverete che fra gli altri casi, s' ha a dir nulla la
scomunica la quale sia pronunciata per una causa indebita. E allora la sentenza
di scomunica, appunto perchè nulla, non ha valore alcuno. Onde ne' Canoni è
detto « dover ognuno star ben attento a non perseguitare, o giudicare, o punire
chicchessia ingiustamente, per non perseguitare, giudicare, punire Gesù ».
(Decret. seconda parte, Caus. XI, Quest. Ili, Can. LXXXII, Unicuique). (*) Ed ivi
stesso (Can. XXXV, Irritarti), sull'autorità del IV Concilio Cartaginese, è detto
esplicitamente, che «è irrita anche l'ingiusta condanna de' vescovi». Ancora
ne' canoni che seguono è pur detto, che « la sentenza de' vescovi e de' preti
non lega gl'innocenti » ; (Can. XLIV, Quomodo), (8) che « nessuno nè appo
Dio, nè appo la Chiesa di Dio può essere gravato da una sentenza iniqua »
(Can. XLVI, Cui); che « secondo la fede cattolica e la sana dottrina e la verità
evidente a tutti che hanno l' intelletto sano, come non può alcuno nuocere alla
natura di Dio, così neanche la natura di Dio può nuocere ingiustamente ad
uomo del mondo, nè consentire che altri gli nuoccia; onde colui che avrà
recato nocumento, s' avrà egli il nocumento recato » (Can. XLVII, Secuu-
dum), e che « le ingiuste catene le rompe la giustizia ». (Can. XLVIII, Capisti. >
Di più si legge sempre nel luogo medesimo : « Che fa all'uomo se l'umana
ignoranza non voglia computarlo nel suo libro, quando dal libro de' vivi
non lo cancella l' iniqua coscienza » ? (Can. L, Quid). « Senz' alcuna temerità
dirò, che, se alcuno de' fedeli sarà stato anatematizzato ingiustamente, que-
st'ingiustizia nuocerà più a chi l'ha fatta che non a chi la patisce. Imperoc-
(') VeJi di Sant'Antonino nella Somma Teologica il Titolo XXIV e specialmente il
Cap. LXXIII.
Edizione di Torino 1745.
(3; Notevole è anche il can. fìidicuhnn: « Ridiculum est, ut eum nmnduni esse dicarmis
qui vinculis peccatorum suorum ligatus est, propter hoc solimi, quod Kpiscopus dicitur
haberi hujusmodi potestatem, ut soluti ab eo, soluti sint in coelo, et ligati in terris ligati
sint in coelo. Sit ergo irreprehensibilis, qui alterum ligat aut solvit ». Cfr. Danto Alighieri.
Jnf., Canto XXVII, v. 100 e seguenti.
- 409 —
chè lo Spirito Santo che abita ne' Santi per cui ognuno è legato o sciolto,
non infligge ingiusta pena a nessuno >. (Can. LXXXVII, Illucl.) « Altro è la
sedia terrena, altro il tribunale de' cieli: di sotto avesti la sentenza, di sopra
avrai la corona ». (Can. LUI, Et si.) « Custodisci entro di te la tua innocenza,
dove nessuno opprime la causa tua. Prevarrà contro di te la falsa testimo-
nianza, ma presso gli uomini. Forse che varrà essa presso Dio, dove si avrà
a dire la causa tua? Quando sarà giudice Iddio, non vi sarà altra testimo-
nianza che la coscienza tua. Fra il giusto giudice e la coscienza tua, non
aver altro timore che la causa tua ». (Can. LIV, Custodi.) Ma che fermarsi
a trascrivere autorità, quando la cosa è evidente per se stessa?
Sia adunque nulla V ingiusta sentenza: ma si potrà per questo ritenere
dottrina cattolica quella che insegna a non osservarla? Ecco: il Pastor dice che
si deve rispettare la sentenza della Chiesa, anche ingiusta; e forse non avrebbe
torto, se si potesse interpretare benignamente la sua parola. Anche ne' canoni
sta scritto che la sentenza della Chiesa non devesi disprezzare, e che si ha
da temere la sentenza del pastore, anche se leghi ingiustamente. Ma di che
si questiona qui ora? E dove ha mai detto o insegnato semplicemente Fra
Girolamo che le sentenze ecclesiastiche, anche le ingiuste, si debbano senz'al-
tro disprezzare, e non si abbiano a temere?! Vuol forse dire il Pastor che siamo
obbligati a eseguire la sentenza ingiusta ? Sembra che ciò appaia dal contesto.
Certo si danno dei casi in cui (come vedremo) si deve noi osservare, ma che
sempre siano da osservare lo neghiamo recisamente. Distinguiamo adunque
nettamente fra rispettare e osservare; e poi andremo avanti sicuri e franchi:
l'equivoco guasterebbe ogni cosa.
Anche qui mi piace rimandare il lettore all' Apologia del Pico al libro 1,
ai capi VI e VII, ne' quali si ribattono le false e si mostra la vera interpreta-
zione del motto :
Sententia pastoris, slve jusla, sive injuota, limenda est.
Noi ci contenteremo di trascrivere poche cose da'Canoni; poche, ma suffi-
cienti a risolver la questione.
Si deve temere ogni sentenza ingiusta e sempre? Ecco la glossa del Ca-
none LXV, Episcopus, Decret. par. II, Caus. XI. Quest. Ili: «Alcuna volta la sen-
tenza è ingiusta per l'animo di chi la pronuncia, ma giusta quanto all' ordine ed
alla causa; altra volta è giusta quanto all'animo e quanto alla causa, ma non per
V ordine ; ed altra volta è giusta per l'animo e l' ordine, ma non per la causa.
Quando è ingiusta per la causa, può essere che colui il quale è accusato sia
mondo da ogni delitto degno di condanna; a volte può essere innocente del
delitto che gli è apposto, ma meritevole di condanna per un altro. Quanto
all'animo è ingiusta allorché altri, salva l'integrità dell'ordine giudiziario,
pronuncia sentenza contro un reo di adulterio e di altro delitto, non per amore
della giustizia, ma per livore e odio, o per prezzo, o indotto dal favore degli
avversarj. Onde Beda sopra l'Epistola di Giacomo dice: Imperocché l'ira del-
l'uomo non opera la giustizia di Dio, perchè colui il quale adirato pronuncia
— 410 —
sentenza contro alcuno, sebbene il condannato quanto a sè riporti una sentenza
giusta, tuttavia, avendo dato quegli sentenza non per amore della giustizia, ma
per livore e odio, non imita la giustizia di Dio, in cui non cade ira ». E se-
gue nel can. LXXIII Servetur: « Del pari la sentenza è ingiusta quanto all' or-
dine allorché, lasciando di osservare 1' ordine giudiziale, si condanna alcuno
per una colpa eh' egli ha veramente commesso ». Segue poi nel can. LXXVII
non soliim: « Ora l' ingiustizia della sentenza quanto all' ordine non autorizza il
condannato a dipartirsi senza meno da questa; chè anzi prima che la sentenza
fosse pronunziata, già il reo era legato, per la qualità de'suoi delitti, presso Iddio.
Avviene alcune volte, che un adultero riporti una sentenza per un sacrilegio, di
cui nella sua coscienza non è reo. Questa sentenza, sebbene sia ingiusta, perchè
il condannato non è reo del delitto per il quale s' è pronunciata, tuttavia non
gli sta male, perchè, per il reato d' adulterio, già egli era scomunicato presso
Dio. E in questo caso si deve intendere 1' autorità di Gregorio Magno: La
sentenza del Pastore, o sia giusta, o sia ingiusta, decesi temere. Chiama giusta la
sentenza quando esiste il delitto sopra il quale quella si pronuncia; ingiusta
quando quel tale delitto non v' è; ma questa è pur da temersi e da rispettarsi,
perchè già aveva da esser pronunciata anche prima per altro delitto. Onde avendo
premesso Gregorio: 0 che giustamente o che ingiustamente il Pastore leghi,
la sentenza del Pastore dev'essere sempre temuta dal gregge, soggiunse: Affin-
chè il suddito, quantunque forse legato ingiustamente, non meriti per altro
delitto cotesta sentenza di rimaner tuttavia legato. Il Pastore adunque terna
di legare od assolvere senza discrezione. E colui che è sotto la mano del
Pastore tema d'esser legato anche ingiustamente: nè riprenda temerariamente
il giudizio del suo Pastore: affinchè, sebbene sia egli legato ingiustamente,
non commetta per la superbia dell' altera riprensione la colpa che non aveva
commesso prima ».
Ma quando non esiste delitto alcuno, e tuttavia o per odio del giudice o
fazione de' nemici altri riporta una contraria sentenza di dannazione; in
questo caso si ha ancora da temere la sentenza? La risposta dipende sia
dalla natura della sentenza stessa, sia dall'esame delle circostanze. 0 il co-
mando riguarda cosa che può esser legittimamente imposta e la volontà del
superiore è assoluta, qualunque siano i motivi (come quando venisse tolta la
giurisdizione ad un individuo, la quale può togliersi anche per solo capriccio
del superiore) e allora tal sentenza si deve subire, sebbene la coscienza del
suddito possa starsene tranquilla. (l) 0 il comando riguarda cosa illecita per
sè o nociva alla salute delle anime o al bene comune, oppure la volontà del
superiore, qualunque sia l'oggetto della sentenza, è basata su falsi motivi e
ad essi subordinata; e allora che deve farsi? Ognun vede da sè la risposta:
(') A] Can. Qui justus est, et injuste maledicitur, praemium Mi redditur: deot. II, Part.
guest. Ili, la glossa di Oraziano dice: Hio etsi est, dictum ut, non teneatur ligatus apud
Ueum, sentontiHe tamen parure dobet: ne ex superbia ligetur qui prius ex puntate conscion-
tiae absolnttts tenebatur.
— 411 —
deve temersi per il male che può recare nel corpo e negli averi, deve temersi
quanto sono da temere coloro che hanno potenza di farne male e ucciderci il
corpo, deve temersi quanto potevano i martiri di Cristo temere la sentenza
dei loro persecutori, si ; ma di più, francamente, no. « Non vogliate temere
quelli che uccidono il corpo, affinchè per il timore della morte non diciate più
liberamente ciò che avete udito, nè più fidentemente predichiate a tulli ciò
che da soli avete nell' orecchio udito. » (Can. Notile). (*)
Del resto anche i casi in cui la glossa dice doversi temere la sentenza
ingiusta vogliono esser intesi con senno e discrezione. Chè i canoni stessi (Glossa,
Decreto li, cau. XI, q. 3,111) insegnano che «la sentenza è da temere salvo se
contenga un errore intollerabile, o sia pronunciata dopo un legittimo appello. »
E San Tommaso dice chiaramente nel libro IV delle Sentenze, distinzione 18,
che « la scomunica la quale contiene un errore intollerabile è resa nulla, così
da non potersi più dire scomunica »; e nella questione di sopra citata insegna
ancora che se 1' errore quanto all'ordine è tale da far perdere alla scomunica
la natura di scomunica, essa è nulla; e non produce effetto alcuno. E allora a che
temerla? Ma quello che ancor più preme di considerare si è che nelle stesse
glosse troviamo notato assai opportunamente che Gregorio non dice che
la sentenza ingiusta si debba servare e mantenere, ma temere, come fa
anche Uibano: « Si deve temere, cioè non si deve per superbia disprezzare ».
« Non deve sostenere la pena canonica, colui che non è slato condannato
con una sentenza canonica. L'ingiusta sentenza non lega nessuno nè presso
Dio nè presso la Chiesa. Onde, se altri sia stato colpito da una sentenza in-
giusta, e l' ingiustizia sia notoria, non si è obbligati ad astenerci dal comu-
nicare con lui, nè egli a cessare dall' ufficio ». Così leggo nel Canone LXIV,
Non debet, e nel canone XLVI, Cui est illata; e cosi penso debba credersi, e
non altrimenti, se s'intendon bene le cose.
Aureo e da non tacersi è un passo di Pietro da Palude nel IV delle Sen-
tenze disi. 18, art. 1, conci. 2, citalo anche dall'Arcivescovo Sant'Antonino,
parte 111, tilol. 24, cap. 73 : « La scomunica ingiusta non si deve temere per
la pena di diritto, perchè secondo la verità non incorre nessuna pena di diritto
colui che non osserva una sentenza che è nulla: ma per la colpa deve te-
mersi, per ragione dello scandalo. Ma, siccome dice Boezio, alcune nozioni
entrano nell'intelletto di tutti generalmente. Altre solo nell'intelletto de' sa-
pienti. Quando adunque è noto ai sapienti che la sentenza è nulla, quantunque
presso il volgo questo non si sappia, si può non osservarla in secreto: ma in
pubblico si deve osservare, finché sia tolta la ragione dello scandalo: così se
uno, essendo pubblicamente scomunicato e pubblicamente denunziato, per
contrario egli pubblichi la causa per la quale la sentenza non ha valore, per
(') Si quis Episcopus aut Abbas Presbytero aut Monaco suo jusserit Missas pio haereti
cis cantare, non licet et non expedit obedire ais. Ivi, can. Si quis Episcopus.
— 412 —
•esempio l'appello, o altra giusta causa: fatto ciò, non v' è più scandalo dei
pusilli, ma de' farisei, onde si deve spregiare ». (*)
lo adunque me ne sto con Sant'Agostino: « Chi resiste alla potestà re-
siste all' ordinazione di Dio. Ma che s' ha a dire se chi ha il potere ti comandi
ciò che non devi fare? Da senno, qui disprezza la potestà, temendo la pote-
stà >. (Serm. VI. Delle parole del Signore; riportate nel can. Qui resistit.) E
quando mi avvenisse un caso simile, e la cosa fosse evidente, di evidenza og-
gettiva, rimossa ogni cagion di scandalo, farei come dice Gelasio Papa (Canone
Cui, Decret. Second. Part. Gaus. XI, Quest. ILI.) « Ita ergo ea (sententia injusta)
se non absolvi desideret, qua se nullatenus perspicit obligatum ». E così ose-
rei, nel caso, anche di imitare San Paolo, die resistette in faccia a San Pietro e
10 riprese perchè era riprensibile.
Ma noi ci siamo trattenuti vanamente a cercar ragioni per mostrare che
la dottrina del Savonarola è cattolica. Queste ragioni avremmo potuto leggerle
senza altro in Fra Girolamo. Eccole. «Ascolta ora un'altra parola, che seguita
11 Vangelista: — In iudicium ego in hunc mutidum veni: ut qui non vident videant:
et qui vident caeei fiant: — (2) disse il Salvatore agli scribi e ai farisei: — Io sono
venuto in questo mondo in giudizio, acciocché questi dotti e savi ai quali
par tanto vedere, non veggano e restino nella lor cecità : ma i fanciulli sem-
plici e le donne veggano e diventino illuminati. I farisei udendo queste pa-
role dissero: — Nunquid et nos caeci sumusf — cioè: Adunque noi siamo ciechi?
ai quali Gesù rispose: — Si cceci essetis, non haberitis peccatum: mine vero dicitis:
quia videmns, peccatum vestrum manet: — cioè: se vi paresse essere ciechi voi
non pecchereste; ma perchè vi pare veder troppo: però è fermato in voi il
peccato. Costoro dicono: e' non bisogna che tu m'insegni: Io so bene delle
autorità: e io ti rispondo: che però tu sei cieco perchè ti pare veder troppo.
Ora ti voglio parlare in quest' ultimo una parola. Considerate che ogni cosa
che fece Cristo fu per nostro esempio: — Omnis divisti actio nostra est instru-
dio. — Al tempo che Cristo predicava non era però tanto morta la legge di
Mosè che non la si potesse osservare, e ancora avevano autorità i sacerdoti
di scomunicare; e avevano scomunicato (come tu hai inleso) chi confessava
che Gesù fosse Cristo, e avevano cacciato dal tempio il cieco che l'aveva con-
fessato. E tuttavia il Salvatore, non ostante questo, lo riceve. Signore, io
voglio parlare un poco teco, Signore; tu ricevi quello che è scomunicalo :
che esempio ci dai tu? Noi abbiamo da San Gregorio nel decreto undecimo,
questione terza, queste parole: — Sententia pastoris, siee insta, sive injusta
timenda est; — cioè la sentenza del Pastore o sia giusta o sia ingiusta è da
temere. Che di' tu a questo, Signore? Risponde e dice: Guarda di sotto a quello
che vi è un altro lesto di Pelagio papa il quale dice: — Cui illata sententia, de-
ponat errorem et vacua est: sed si iniusta est, tanto curare eam debet quanto apud
(') Questo passo si logge nell' Epistola del Savonarola contro Sente nt hi m Ki-coinnuinici-
tionis contro se nupe.r injustc ìotam ; dove il lettore può leggero anche altri passi al proposito
di Giov. (ìerson.
(2) Vangelo di Sau Giovanni, Cap. IX, v. 39 e segg.
— 413 —
Deum, et eius Ecclesiam itemi nem potest gravare iniqua sententia: ita ergo ea se
non absolvi desideret, qua se nuìlatenus percipit obbligatimi. — Dice Pelagio papa:
Che colui contra il quale è data una sentenza giusta, emendisi dell'errore e non
sarà più scomunicalo; ma s'ella è ingiusta, non si debba curare, perchè non ag-
grava nè appresso a Dio, nè appresso la Chiesa; e nè anche deve cercar l'uomo
di farsi assolvere da tal sentenza, dice Pelagio, perchè essa non lega. Dice pure
Sant'Agostino più di sotto nel capitolo Quid queste parole: — Quid obesi homini
quod ex illa tabula vult eum delere h umana ignorantia; si de libro viventium non
eum deleat iniqua conscientia? — Cioè: Che nuoce all' uomo essere cancellato dalla
tavola della compagnia degli uomini dalla umana ignoranza, se dal libro de' vi-
venti non lo cancella la iniqua coscienza? E nel capitolo: Etsi dice: — Aliud
est sella terrena, et aliud est tribunal celeste: ab inferiori accipis sententiam: a
superiore coronavi. — Altra cosa è la sedia terrena e altra è il tribunale celeste;
adunque, facendo tu bene, se dalla inferiore avrai contra di te la sentenza,
dalla superiore tu avrai la corona. Nel decreto ancora vigesimo quarto, que-
stione terza, sono molti che dicono: Che quello che dà la sentenza ingiusta
e iniqua è piuttosto scomunicato lui, che quello contro cui è data. Come accor-
deremo adunque questa chitarra? come accorderemo questi testi contrarj, o
Signore mio? Ora sta a udire come si solvono. E questo ti voglio dire questa
mattina, perchè tu conosca che 1' uomo non è uno sciocco, e acciochè tu impari
di non esser troppo semplice, onde non si verifichi in te quello che dice Osea
al settimo capitolo : — Factus est Ephraim quasi columba seducta; non habens-
cor: — ma che tu sia di quelli ai quali dice il Salvatore: — Estote prudentes sicut
serpentes et simplices sicut columbos. (/) Se adunque qualcuno vorrà disputare con
noi con ragione, gli risponderemo con le ragioni; ma quando la forza volesse
superare la ragione, avremo allora da mostrar la verità per altri modi che
sarebbero sopra 1' umana forza. Il Salvatore dunque riceve coloro che erano
scomunicati dalla Sinagoga; benché il sacerdozio della legge di Moisè non fosse
ancora riprovato. E però nota che questa sentenza dei farisei si vedeva
ingiusta manifestamente, non solo perchè si vedeva manifestamente la pre-
dicazione, la dottrina di Gesù Cristo esser retta e buona, e al contrario la vita
de' farisei esser cattiva e la dottrina loro esser contraria alla verità: ma ancora
perchè la sentenza data conteneva manifesto errore contrario ai comanda-
menti di Dio e alla legge; essendo ancor chiaro e per la vita, dottrina e mi-
racoli di Cristo che lui era il Messia promesso. E però il Salvatore ricevette
il cieco e scomunicato e cacciato dalla Sinagoga per dare esempio a noi che
di simil sentenza dobbiamo farcene beffe e non curarla.... Che vuoi tu mag-
giore confirmazione di quella del Salvatore e dell' esempio che questa mattina
ci dà nelP evangelo »? (Sopra Amos, pred. XXIX.)
Ma dobbiamo oramai sentire ed esaminare un' accusa speciale che ha
importanza massima. Il Pastor forse più che condannare in genere la teoria
dell' obbedienza del Savonarola, sebbene siasi espresso come abbiamo visto,
1 Vangelo di S. Matteo, c. X, v. 16.
— 414 —
vuole semplicemente dirci che questo Frate errava credendo di poter disob-
bedire ad Alessandro VI perchè uomo guasto e corrotto, di vita scandalosa.
Difatti, lasciando per ora ciò che dice a pagina 367 parlando del concilio, a
pag. 359 incontanente dopo la proposizione da noi ora esaminata, scrive la
seguente: « Ad obbedire alla Santa Sede il Savonarola era obbligato, anche al-
lora che da un Alessandro VI la vedeva turpemente profanata » : e a pag. 143
già aveva scritto del pari, che « il Savonarola prese a battere la via dell'oppo-
sizione contro il possessore pur troppo indegno della legittima autorità; nel
che appunto trovò non solamente la propria ruina, ma pregiudicò altresi alla
causa della vera riforma. Per mezzo della rivoluzione questa non si poteva con-
seguire ». (') E per farci meglio persuasi che il Savonarola errò proprio nel ricu-
sare obbedienza ad Alessandro VI perchè uomo corrotto, si compiace di citare
T autorità di Santa Caterina da Siena; onde segue : « Santa Caterina da
Siena aveva scritto una volta alla Signoria di Firenze, che, eziandio se il papa
fosse un demonio incarnato, conviene essere sudditi e obbedienti a lui, non per
lui in quanto lui, ma per la obbedienza di Dio, come vicario di Cristo ». E su-
bito dopo questa autorità, rimprovera un'altra volta al Savonarola il non aver
fatto caso della scomunica di Alessandro VI, come per farci persuasi che pro-
prio il Frate misconosceva questa santa dottrina. Appare poi anche molto
chiaro il pensiero del Pastor da quanto scrive alla pag. 379 : « Nel suo zelo in-
focalo onde ottenere un rinnovamento morale, il Savonarola si lasciò non so-
lamente trascinare agli assalti più intemperanti contro chi era in allo od in
basso, ma dimenticò eziandio del tutto V insegnamento della Chiesa, che la vita
peccaminosa e viziosa del superiore, anche del papa, non vale a scuoterne la giuri-
sdizione ». (2)
Dunque il Savonarola sarebbe accusato di aver alzata la bandiera dell' op-
(') Cfr. il Grisar, articolo citato.
(2) A pag. 143 il Pastor allude parimente anche all'invito al Concilio. Esamineremo
questo senso delle espressioni dello storico d'Innsbruek più sotto; qui riguardiamo questi
luoghi e gli altri simili solamente per ciò che richiede il titolo del presente capitolo. Del
resto il Pastor non è solo a ritenere che il Savonarola si volesse scusare della lotta intra-
presa contro Alessandro VI per la vita privata di questo papa; anzi il Pastor ha qui tanti
compagni che il Procter nell' Opera citata (pagina 51) ha potuto scrivere quanto segue :
« L'argomento addotto da qualche autore Cattolico, come pure da quelli Protestanti, che
cioè fu scusabile il Savonarola se non si assoggettò in tutto ad Alessandro VX per la vita
privata del Papa che era indegna della sua alta vocazione; è un argomento che interamente
ripudiamo. Non importa quale sia stata la vita privata di lui, nessuna depravità può giusti-
ficare la disobbedionza, nonostante che la corruzione sia certo esasperante per un uomo di
virtù austera. L' obbedienza dei Cattolici al Papa è fondata non sulla sua santità |perso-
nale, ma sulla potenza autorevole di lui. Non gli obbediamo noi come ad uomo, ma come
a Vicario e rappresentante di Dio. Lasciamo quel che sia stato Papa Alessandro come uomo,
egli era Papa, e come Papa, aveva l'autorità di comandare. Inoltre come Papa fu ricono-
sciuto dalla Chiesa, e come Papa aveva diritto all'obbedienza dei fedeli. La sua vita privata
la lasciamo giudicare a Dio, la sua autorità pubblica è al disopra d'ogni disputa. Ammet-
tiamo adunque che, se il Savonarola disobbedi, in ciò peccò; quello che però asseriamo è che.
se peccò, il suo peccato non fu né d'eresia nè di scisma. Ma disobbedi veramente costui? •
Noi rispondiamo semplicemente di no; o neghiamo la disobbodienza anche dove non
pare negarla (pag. 58, 59^ il Procter.
— 415 —
posizione ad Alessandro VI per la peccabilità (') di quest' uomo; perchè que-
st' uomo era indegno dell'alta dignità che esercitava. .. Dunque per conseguenza
il falso e pestifero domma del Savonarola potrebbe star qui : L' indegnità del
Sacerdote, anche del Sommo Sacerdote, fa perdere del suo pregio al ministero
che esercita; e la dignità di Pietro scade in un indegno successore, e allora
non siamo più tenuti ad obbedire....! Egli insomma avrebbe errato, non rite-
nendosi obbligato ad obbedire alla Santa Sede perchè la vedeva da un Ales-
sandro VI turpemente profanata.
Regge quest' accusa ? A noi pare assolutamente che no. Finché si dicesse
che Fra Girolamo Savonarola non portava grande slima ad Alessandro VI
come uomo; e che perciò se Rodrigo Borgia avesse dato un consiglio al Frate
di San Marco, questi, solo per considerazione della persona, ne avrebbe tenuto
poco conto, forse, chi sa? si percuoterebbe nel vero; ma affermare addirittura
che Fra Girolamo si levò contro di Alessandro Vi, perchè il Borgia era inde-
gno della dignità papale, oh, questo è troppo! Finché il Pastor dicesse che
Fra Girolamo riteneva come regola generale che Dio non è uso di concedere
1' abbondanza delle sue grazie a uomini guasti e corrotti, non è uso di servirsi
abitualmente di uomini guasti e corrotti per infondere l'abbondanza dello
spirito suo nel popolo a rinnovellarlo, si direbbe forse vero; ma affermare che
il Savonarola credeva che non tenga più la persona di Dio il papa guasto e cor-
rotto, che la vita peccaminosa del papa ne scuote la giurisdizione, questo passa
la misura del giusto, e non si può concedere !
Fra Girolamo intorno a quest' argomento gravissimo credeva e predicava
proprio quello che dice il Pastor, e non più e non meno. Il Pastor dice a
pag. 436: « Per la vita de' fedeli la dignità personale del sacerdote è certa-
mente già per questo di massimo momento, perchè dà con essa ai membri della
Chiesa un vivo esempio di imitazione, ed a quelli che stan fuori impone una
riverenza maggiore » ; del pari a pag. 435 scrive che « Alessandro VI, che
doveva aver l'occhio vigile al suo tempo, salvando quel che si poteva sal-
vare, ha contribuito più di qualsiasi altro a far si, che la corrutela nella
Chiesa venisse potentemente aumentando >. Di più, poco è se non si mara-
viglia della pietà che l'anno del grande giubileo, 1500, traeva d'ogni parte
d' Europa pellegrini a Roma, « dove tante cose dovevano offendere ben ad-
dentro i loro sentimenti religiosi »; e cita come prova di queste sue asserzioni
le parole che il Vettori intese da un romano, il quale si stava al servizio
del cardinal Briconnet, a noi già note. (2)
Or che dice o insegna di più o di diverso Fra Girolamo, sicché il Pastor
l'abbia a condannare? Nulla, proprio nulla: « L'uomo ha bisogno dell'altro
uomo; però ha bisogno di chi predichi la verità e dia buon esempio ed ha bi-
(') Quest'astratto crediamo che Clemente Belletti avrebbe potuto lasciarlo nella penna.
Chi ha mai preteso che il Sacerdote sia impeccabile ? Questo non ó certo il pensiero del Pa-
stor. Vedi la versione a pag. 435 e il testo a pag. 475.
(*) Vedi sopra a pag. 216.
— 416 —
sogno di vedere far bene ; e perchè 1' esempio d' altri lo fa vergognare, consi-
dera la bruttezza del peccato suo e poi la brevità di questa vita; e ha paura
dell'inferno; di che si ritrae a poco a poco dal peccato e fa bene per amore
di Dio ». (Sopra Ezechiele, sermone XXV.) « Grande miseria certamente è
quella, quando egli è detto al discepolo: fa secondo le parole del tuo maestro,
ma guardati di non operare secondo che fa lui; e gli debba parere star male, ed
essere stato ingannato; perchè i discepoli molto più imparano guardando alle
opere del maestro alcuna volta che alle parole. Pensa tu come ella va quando
il discepolo s' ha a guardare dalle opere del maestro »! (Sopra Amos, Pre-
dica XIV.)
« Dicono alcuni: Che certezza hai tu della fede? Tu rispondi: — Perchè
T ha detto Iddio, adunque io n' ho certezza. — Che ne sai tu che l'abbia detto
Iddio? — Tu rispondi, che gli Apostoli e i Profeti hanno detto che Dio glie l'ha
manifestata. — Che ne sai tu che il dicessero gli apostoli e i profeti, e che Dio
parlasse loro? — E' lo dicono i Dottori e di poi i nostri superiori e prelati cosi
ce lo insegnano. E così la fede si va appoggiando in sull' autorità degli uomini
buoni, perchè la vita loro fu a noi e alli nostri padri grande argomento della
fede. E sono due appoggi della fede, 1' uno è il miracolo e 1' altro è la buona
vita de' capi della Chiesa, coi quali due appoggi la fede si va sostentando, ma
più forte appoggio è la buona vita che il miracolo. Vedi, gli Apostoli conver-
tirono più gente con la buona vita che coi miracoli; perchè, come t' ho detto
altre volte, il miracolo non fa credere; come manca la buona vita, la brigata
comincia a vacillare. E così, come quando manca nella scienza la ragione, la
scienza manca e vacilla, così quando manca la buona vita nella fede, la bri-
gata comincia a vacillare. E sappi che solamente lo starsi e non operare ai
capi e ai superiori è peccato: poiché, dando mal esempio, sono cagione di che
gli uomini vacillino nella fede. Or quando credi tu, che sia peggio? Quando i
capi sono cattivi e che fanno male, allora la fede va per terra ; e questa è la
ragione che gli è oggi poca fede, perchè i buoni capi nella Chiesa sono man-
cati e il male esempio è venuto, e però è mancata la fede ». (Sopra Amos..
Predica XX.)
« La virtù di Dio non ha bisognò di altra virtù per operare; ma le altre
virtù hanno bisogno per operare di altra virtù, che della loro. La virtù di Dio
potrebbe, se il volesse, generare quaggiù il grano senza la sementa del gra-
nello; ma il cielo, nè l'angelo, nè gli elementi non possono senza questa causa
particolare inferiore generare il grano. Così nelle cose spirituali, la virtù di Dio
discende prima in Cristo, poi nella Vergine, poi negli angeli e ne' beati, poi
ne' prelati della Chiesa, e poi agli altri uomini; ed in questo modo Dio dà la
sua virtù e la sua grazia mediante Cristo e la Vergine, e mediante gli angeli
ed i buoni capi, come per via di generazione. E se il clero fosse buono, che
ricevesse la virtù da Dio, farebbe buono tutto il popolo cristiano, ed i buoni
cristiani farebbero buoni i turchi e tutto il mondo. E però il peccato di tulio
il mondo è attribuito ai capi e prelati della Chiesa, e prima al Papa, se e' fosse
cattivo ». (Sopra Ruth e Michea, pred. XXIV).
— 417 —
v
Ma diamo un altro passo: penetriamo un poco più dentro la questione.
Il Pastor insegna che « la peccabilità di un sacerdote non può recare scapito es-
senziale al sacrifizio che egli offre, nè ai sacramenti di cui è ministro, nè alla
dottrina che insegna »: e gli piace di ripetere che « il ministerio pontificale sta
più in alto assai della persona di chi lo possiede, nè per sè può, in causa
della dignità di chi lo porta, guadagnare, nè in causa della costui indegnità
perdere punto del suo intrinseco pregio.... La dignità di Pietro non va a sca-
dere nè anche in un indegno successore (pag. 435-436) ». Tutto questo ed altro
ancora insegna e ripete: e certo qui è buon teologo. Insegna e ripete ciò che
il popolo cristiano sa e crede. (')
Il Bayonne a pag. 173 dice, a proposilo delle prediche sopra l'Esodo,
che il Savonarola predicava si bene che per essere il potere ecclesiastico so-
prannaturale e divino, conveniva che fosse il più eminente in dignità ed esi-
geva massima santità, ma soggiungeva ancora che, benché i ministri prevari-
cassero, non perdevano mai il loro carattere indelebile.
Nè solo nelle terribili prediche sopra 1' Esodo (2) si può leggere la teoria
del Pastor, ma anche in molte altre prediche ed altre opere del nostro
Frate. Apriamo il Trionfo: ecco che cosa si legge al capo XVI del libro III :
« Ciò che per via di consacrazione s' acquista ad alcuna cosa, rimane
perpetuamente in quella. Onde quel che una volta è consacrato, non si ri-
consacrerà più. E perciò la potestà data ai ministri della Chiesa è indelebile e
non si perde per alcun peccato; onde i sacramenti possono essere ammini-
strati dai peccatori solo che una volta abbiano conseguito 1' ordine. Imperoc-
ché i sacramenti per i peccati de' ministri non perdono la loro virtù, nè hanno
meno efficacia, perchè chi consacra non opera per virtù propria, ma in virtù
di Cristo. Onde non fanno simili a sè, ma a Cristo coloro a' quali ministrano
simili sacramenti, perchè loro sono solamente instrumento di Cristo, e la cosa
operata non diventa simile allo inslrumento, ma all'arte del principale agente ».
E notate che queste parole seguono incontanente dopo quelle che già ab-
biamo visto di sopra (pag. 378), che dicono dell' ufficio del papa e dell'essere
egli posto nella Chiesa, perchè ne mantenga l'unità, e impedisca, decidendo
autorevolmente ogni dissenso, che l'unità si rompa. Se aprite le prediche sopra
Ruth e Michea, nella X troverete delle espressioni non men vere e non men
forti delle sentite ora. Lo ripeto, questa dottrina l'ha famigliarissima il Savo-
narola, e l'inculca ad ogni piè sospinto. (3)
(') Cfr. Villari, II, pag. 109, e Cipolla, pag. 752.
O Belle e molto al proposito ci paiono anche le seguenti proposizioni del Pastor eh»
si leggono nella pagina citata 436: « La santità e n..n santità di qualsivoglia persona non
può esercitare un' efficacia immediata e decisiva sulla natura, divinità e santità della Chiesa,
sulla parola della rivelazione, sulle grazie e sul potere spirituale. Il perchè eziandio il sommo
sacerdote non è in grado di togliere alcunché dal merito dei tesori colesti che gli sono nella
loro pienezza affidati e cui egli amministra e dispensa. L'oro rimane oro sia che lo dispensi
una mano pura od impura ».
(3) Molto bello e molto espressivo è ud passo che si legge nella predica recitata il sa-
bato dopo la quinta domenica di quaresima l'anno 1497: « Unumquodque perfectum non orba-
27
— 418 —
Che poi la indegnità pel sacerdote non rechi nocumento alle dottrine che
egli insegna, già lo avete inteso nelle parole sopra Amos or ora citate; e non
è qui nemmeno il caso d' insistere. Ma non posso astenermi però dal legger-
vene alcune altre che stanno nella predica Vili sulla I di San Giovanni.
Da esse apparirà quanto fosse grande la stima pel sacerdote in Girolamo
Savonarola e si potrà meglio mirare il dolore dell' anima sua, vedendo tal di-
gnità in uomini senza pregio morale. « Il sacerdote rappresenta la persona di
Cristo : onde lo devi avere in riverenza, come Cristo. Maravigliami adunque
come voi grandemente manchiate in questo caso. Voi non avete alcuna
reverenza a' sacerdoti.... — Mi dirai: — Non è usanza appresso di noi. —
Adunque fate male, perchè, se non volete onorarvi 1' un l' altro, onorate
almanco i sacerdoti del Signore. Ma che dirò io, che trattano i sacerdoti
come servi, non gli danno onorata sedia? Ma Innocenzo III riprese l'im-
peratore Costantinopolitano, perchè non faceva il debito onore al suo ve-
scovo e patriarca, ma facevalo sedere sotto lo scabello dei piedi suoi dalla
parte sinistra. Essendo che, dice, che gli altri re e principi faccino onore ai
vescovi e arcivescovi, e gli dian onorabil sedia, perchè lo defraudi del debito
onore? Imperocché il regno spirituale è più degno del temporale. Onde Co-
stantino imperatore chiamò il Papa Dio, come si ha nei decreti alla distinzione
nonagesima sesta nel capitolo che comincia: Satis; e nel capitolo seguente,
dice che se lui vedesse un prete, ovver monaco a peccare, lo coprirebbe col
suo mantello, acciò non fosse veduto dagli altri. E leggesi nella Istoria tripar-
tita, che, congregati i vescovi nel concilio Niceno, entrò Costantino e stette
neh' ultimo luogo e dimandò licenza di sedere. E al presente non si obbedisce
il pontefice, quando non piace la obbedienza, nè si onorano i vescovi, nè i sa-
cerdoti, e se peccano, sono infamati da tutti.
« Ma perchè? Perchè ancora loro sono causa di questo, perchè peccano
tum generat sibi simile: bisogna a generare essere perfetto. Vediamo se Cristo fu perfetto.
Tu devi sapere che sono alcune forme, che non hanno intenzione o remissione, come l'essere
uomo: non è alcuno più una volta uomo che un'altra. Altre forme sono le quali crescono, e
minuiscono, come è la calidità: guarda l'acqua, che quando è più calda e quando manco; e
tanto è calda alle volte, che è venuta più calda che la può, ed all'ultima perfezione di oaldo.
Cosi la grazia ha intenzione, e remissione, e quanto il soggetto è meglio disposto, cioè
l'uomo, tanto ha più grazia. Ila il nostro Salvatore è uomo unito con Dio, ed è in sommo grado
d'appropinquazione a Dio: adunque non può avere più grazia che ha; o però disse San Gio-
vanni Battista: Deus non dat spiritimi ad mensuram: il che s'intende di Cristo. Cristo ha
adunque grazia immensa, ed infinita, et nos de plenitudine eìus acccpimus : però Lui è nostro
padre, e ha la virtù generativa, perchè ci dà la grazia. Chi è la madre? K la Chiesa. Cristo è
quello che battezza, non il sacerdote, dico. Piglia un cattivo sacerdote, chi battezza, chi dà
la grazia? Cristo dico, e non il sacerdoto. Dicono i Dottori, che se tu pigli un turco, benché
non creda la nostra fede, tuttavia so dice, in questo atto intendo fare quello che fa la vostra
Chiesa, benché io non lo creda; se dice: io ti battezzo in nomine Patris, et Filii et Spiriti'.*
Sancii, amen, dicono che colui è battezzato, c Cristo è stato quello che lo ha battezzato, e
datogli la grazia del battesimo. E però al tempo di Atanasio fu concluso noi Concilio, di
quelli fanciulli, che battezzarono, che non si ribattezzassero altrimenti, eccetto elio si faces-
sero le cerimonie, ma non si dicessero quelle parole: in nomine Patri»—. Cristo adunque è no-
stro padre.... »
— 419 —
pubblicamente o si espongono in dispregio degli uomini. Il che predisse il Si-
gnore dicendo: Voi siete il sale della terra, e se il sale sarà fatto insipido, che
cosa si insalerà? Cioè se voi perdete la devozione e la carità, come potrete
infiammare gli altri? A niente altro se non che sia mandato fuori e conculcato
dagli uomini. Sono mandati fuori quando sono assoluti e privati degli offici)', e
da quelli sono conculcati. Nondimeno voi, cittadini, non peccale manco, per-
chè dovete in quelli onorar Cristo ».
Ma spingiamoci innanzi. Vorreste forse dire che Girolamo Savonarola ri-
conosceva ne' prelati indegni e nel Pontefice peccatore indelebile la potestà
quanto al corpo reale di Cristo, ma non quanto al mistico? V ingannereste a
partito. Se voi aveste letto le prediche sopra V Esodo, alle quali il Bayonne
allude nel luogo citato, avreste in esse potuto leggere tradotte letteralmente le
parole di Ambrogio, riportate nel Canone Julianus (Decret. part. sec. Caus. XI,
Quest. Ili): « Giuliano imperatore, quantunque fosse apostata, ebbe tuttavia
sotto di sè soldati cristiani; ai quali, quando egli diceva: Andate alla guerra per
la difesa della Repubblica, essi obbedivano ». E la medesima verità esprime as-
sai bene nella predica VII sopra Ruth e Michea: vedetele e ne sarete soddi-
sfatto.
Del resto che il Savonarola rispettasse la potestà e la giurisdizione eccle-
siastica, anche quando la vedeva in uomini indegni, lo si vede chiaramente an«
che là dove parrebbe meno; voglio dire là dove il Frate dichiara la guerra ai vizj
dei prelati. Nella predica ora citata, la VII sopra Ruth e Michea, parla il Frate della
difficoltà di fare il bene sotto principi cattivi: e non teme di dire che, se vi è
un principe pagano e un cristiano insieme tutti e due cattivi, non parlando
quanto alla fede, ma caeteris paribus, civilmente, quanto al governo, sarà sem-
pre più cattivo quel cristiano che quel pagano. E soggiunge poi, che « si vive
meglio, quanto al governo civile, sotto il principe pagano, che sotto il cristiano
cattivo. Il cattivo principe cristiano è molto duro a sopportarlo, ed alla potestà
superiore non si può resistere, come dice Paolo. Me se tu vi aggiungi a questo
principe cattivo la potestà ecclesiastica, egli ha doppia potenza, secolare ed ec-
clesiastica; tu non lo puoi comportare. E' ti bisogna star sotto, perchè Dio non
vuole mutar chiave. Come dunque si può viver bene sotto i principi che vogliono
far male? E tanto è peggio poi se tu v'aggiungi doppia scienza della Scrittura
e della filosofia. Eglino usano la scienza de' filosofi e quella dei santi in difesa
del male, e tanto più ancora poi quando e' v' è aggiunta doppia malizia de' te-
pidi, occulta e scoperta ». — Che durezza di verità!
Avrete però notato le frasi che nemmeno quando son cattivi i principi cri-
stiani non si vuole resister loro, e in riguardo all' ecclesiastico avrete anche no-
tato che pur essendo essi tristi bisogna star sotto, perchè Dio non vuole
mutar chiave. Vi par poco questo? Leggiamo avanti e troveremo di meglio.
« Gli apostoli non ebbero paura della chiave; perchè era mutalo sacerdozio,
non avevano avere tanto scrupolo quant' abbiamo avere noi; andavano più li-
beri e potevano far bene e dire la verità senza paura. E però fu dato allora lo
Spirito Santo in abbondanza, perchè mediante i buoni Prelati discendeva lo
— 420 —
spirito nel popolo. Ma se Dio desse oggi lo Spirito suo a qualcuno, vedete eh' e'
non può introdurre il bene e dire la verità, ma bisogna che abbi paura della
chiave ».
E questo pensiero il Frate, che voi osale dire rivoluzionario, lo ripete
molto sovente ai suoi Fiorentini; e v' insiste sopra, quasi tema che alcuno di
loro nello sdegno contro il male non sia principio di scisma.
Onde nella medesima predica VII diceva: « La Chiesa si ha a rinnovare,
ti dico io ; ma non si muterà già la fede, non lo credere, non si muterà la
legge evangelica, non la potestà ecclesiastica; ma gli uomini diventeranno mi-
gliori »- E altrove dice ancora testualmente così: « Grave è V angustia quando
s' ha da combattere contro la potestà temporale e spirituale, grave sì che non
si può comportare; ma pur bisogna tenersi sottemessi; perchè il Signore noti
vuole mutar chiavi. Ognuno pare che abbia paura del bene. Più felici assai
erano i tempi degli Apostoli; chè essi almeno avevano a combattere un'auto-
rità che non dovevano rispettare ».
Ma dunque che voleva il Savonarola allorché gridava nelle prediche par-
lando de' prelati e del papa, che prima di andare al ricorso di queste cause
universali dell' universo di Cristo bisogna guardare se sono in termini che lo
si possa fare; e che, se vedessimo eh' esse facesser guasto, non dovremmo cu-
rarci altrimenti delle stesse, ma rivolgerci a Cristo? (Sopra l'Esodo XX; e so-
pra Ruth e Michea XXIV.) La cosa è chiara a chi la vuo! vedere; e a vederla
non si richiede se non che noi apriamo gli occhi. Nelle prediche sopra l'Esodo
come in quelle sopra Ruth e Michea e nelle altre, come si trova la prima
parte del Canone Julianus, così si trova anche la seconda, e già noi ve la ab-
biamo trascritta. « Quando l' imperatore diceva ai soldati cristiani: portate le
armi contro i cristiani; allora riconoscevano l'imperatore del cielo; e a que-
st' imperatore obbedivano piuttosto che a Giuliano ».
E del pari si trova nelle prediche del Savonarola il detto aureo di Grego-
rio Papa (Omel. 26, sopra gli Evang., riportata nel canone Plerumque) : « Av-
viene spesso che qui tenga il luogo di giudice chi ha una vita che non con-
corda punto con il luogo che occupa. E però spesso succede che egli condanni
chi non se lo merita, seguendo non il merito delle cause, ma i moti della sua
volontà. Onde avviene eh' egli si privi della potestà di legare e di assolvere ». (*)
Questo è proprio il pensiero del Savonarola. Quando egli dice che i pre-
lati e anche il Papa guasti non s' hanno daobbedire, non intende di parlare di
un guasto generico, nè vuol parlare in modo assoluto; ma intende di parlare
di un guasto specifico, e parlare in modo relativo. Non devonsi obbedire in
quanto guasti, non devonsi obbedire in quanto comandano contro il loro uffi-
cio, comandano contro le istituzioni canoniche o gli esempj de' Santi Padri o la
legge eterna o contro Dio, o contro la carità Insomma il Savonarola non
( ) Cfr. Leonardo Scioruti, Elementi di Filonojìa Cristiana, Genova, 1880, quinta edizione,
pag. 857, n. 199.
— 421 —
vuole già che si resista ai superiori perversi, ma ai comandi perversi. Come il
figlio, pur dovendo rispettare il padre sciagurato e riconoscerlo per tale, in
alcune cose non è obbligato ad obbedirlo e nelle cattive non deve obbedirlo, così
è di ogni cristiano verso i prelati ed il Papa. Nella XIV sopra Amos esponendo
sopra le parole del Vangelo: Fate tutto quello che vi dicono..., con quel che se-
gue; dice: « S'intende che le sieno buone le cose che vi dicono; ma le cose
cattive, se ve le dicono, non le fate.... Non solamente non è da fare le opere loro;
ma non è neanche da fare secondo le loro parole, perchè fanno male e dicono
peggio ». (Vedi anche sopra Ezechiele, predica XXIV.)
Non è adunque che egli non volesse la potestà ecclesiastica, nè che la
debilitasse; ma voleva che la s'intendesse come si deve. « Se tu vedessi che
i prelati, e le cause universali della Chiesa la guastassero e che dessero ani-
mo ai cattivi, e li aiutassero e li favorissero e perseguitassero i buoni, che si
ha a fare allora? Hassi a resistere a quest' influenza. Hai a fare orazione, ed
a ricorrere a Cristo. Questo è quanto rimedio tu hai. Bisogna, dico, resistere
all'influenza cattiva. Cristo non ha dato la potestà ecclesiastica per guastare
la sua Chiesa.... Il Papa può tutte le cose che consuonino con Cristo e che con-
cordino con le sue intenzioni, cioè tutte le cose buone..., » (Sopra V Esodo,
Pred. XX). « Quelli che prima dicevano male della Chiesa Romana ora dicono
che la si debba obbedire in ogni cosa.... Se tu dì in ogni cosa, tu non devi
intendere che si debba obbedire nel male, perchè il male è nulla, secondo che
dicono i filosofi. Se tu intendi anche nel male, tu levi troppo il capo. 0! se lui
ti comandasse che facessi una fornicazione, obbediresti tu? Sì, dice colui, che
io lo farei. Ecco che tu levi troppo il capo. 0 frate, egli è Dio in terra e vica-
rio di Cristo. Egli è vero : ma Dio e Cristo comanda che si ami il suo fratello,
e che si faccia bene. Adunque se '1 Papa ti comandassi che tu facessi contro
alla carità, e tu lo facessi, tu levi troppo il capo, e vuoi che il Papa faccia più
che non fa Dio. Egli non si domanda allora Papa, e non si serva obbedienza,
quando egli comanda contra Dio. 0! il Papa in quanto Papa non può fare cosa
falsa. Tu credi forse che il Papa non sia uomo ? Quando lui fa male, non fa
in quanto Papa, ma perchè è uomo può per false persuasioni errare, e fare
male. Non dite adunque più che il capo si vuole obbedire in ogni cosa, ma nel
bene ». (Ivi. Pred. XVIII.)
E come si dice del comando in genere così si deve dire delle leggi e della
scomunica in ispecie. Fra Girolamo non si contradice mai.
Nella III sopra 1' Esodo, avendo già spiegato, come si è visto di sopra, il
motto: Sententia pastoris sive jmta, sioe injusta timenda est, dice il Frate:
« Se tu chiosi altrimenti eh' io ti dissi, come puoi tu salvare quel testo di Pe-
lagio che io ti allegai, cioè che la escomunicazione ingiusta non sei obbligato
ad osservare? Pazzo che tu se'; sicché, se una sentenza è ingiusta, io V ho ad
osservare? Se una cosa è ingiusta, adunque è contro la giustizia; parimente se
la giustizia è Cristo, adunque è contra Cristo. Ho adunque io ad osservare
quello che è contrario a Cristo? Parimente, se è contra a Cristo, adunque viene
da' suoi avversar)'; e i suoi avversar)' sono i diavoli e i suoi membri. Adunque
- 422 —
osserverò la legge del diavolo e de' suoi membri? Tu sei adunque pazzo, che
tu creda eh' io abbia ad osservare una legge fatta da' diavoli. Se ti fosse proi-
bito sotto pena di escomunicazione latae sententiae che tu non dessi da man-
giare ad uno che fosse in estrema necessità, tu saresti obbligato a non os-
servare tale scomunica ? Credi tu che le leggi sieno fatte per poter far
male »?
Questa è la teoria del Savonarola, la quale, com' è chiaro, è perfettamente
conforme e non è niente contraria all' insegnamento della Chiesa. Quindi resta
anche qui provata la tesi che dovevamo provare, e ribattuta V accusa che do-
vevamo ribattere; e possiamo andar oltre spedili.
XXVIII.
Se Girolamo Savonarola dichiarasse il convinci»
mento soggettivo quale stregua dell'obbedienza
ecclesiastica.
Sommario.
Una obbiezione. — Il Frate di San Marco e Giovanni Enss. — Prova del Pastor e nostro vedere. — Chi
sia soggettivista e che soggettivismo. — Si nega la verità dell' asserzione che dice Girolamo Savo-
narola soggettivista. — La verità secondo Fra Girolamo. — La verità è Dio. — La verità è Cristo.
— Forza della verità. — L' uomo che cammina nella verità. — Il vero e il bene. — Una protesta.
— Girolamo Savonarola ammette la realtà oggettiva dell'intelligibile. — Eapporto del vero col-
1' intelletto nostro. — Questione mezzo risolta. — L'evidenza oggettiva, criterio supremo della
verità. — Verità, luce e bellezza secondo Fu Girolamo. — L'evidenza oggettiva è un lume og-
gettivo. — Specie di verità secondo il Savonarola e loro realtà oggettiva. — Distinzione di verità
e di lumi. — Ogni lume viene da Dio ed ha evidenza dell'oggetto proprio. — Potenza e limiti
de' lumi. — Principj supremi di Girolamo Savonarola. — A ricusar V obbedienza si richiede
l'evidente ingiustizia del comando. — Si trascrive il testo del Frate citato dal Pastor. — Ragione
del fatto. — Altri passi del Savonarola. — Le condizioni richieste per trapassare il comando
si richiedono anche alla inosservanza della scomunica. — Esame dei testi Savonaroliani. — Xo-
zione dell'evidenza. — La parola de' superiori non è la causa formale della fede. — Chi insegna
non dà il lume al discepolo. — Se Cristo non ci apre gli occhi nessuno vede. — Assurdi della teo-
rica del Pastor. — Alcuni esempj evidenti. — Autorità che confortano la dottrina di Frate
Girolamo.
Dopo quanto abbiamo esposto fin qui intorno la gerarchia ecclesiastica e
la teoria dell'obbedienza secondo il Savonarola; dopo i molti raffronti che
abbiamo fatto della dottrina del Frate con quella di San Tommaso, e special-
mente dopo l'ultimo capitolo della cattolicità della Teorica savonaroliana, po-
trebbe parere inutile che si raccolga e si ribatta di proposito I' accusa che
forma il titolo del capo presente: la falsità di essa si potrebbe tenere per co-
rollario legittimo di ciò che abbiamo fin qui veduto. Ma percliè noi amiamo
non resti nemmeno l'ombra di dubbio intorno ad una proposizione tanto
grave, come se nulla fin qui avessimo detto, nè visto, nè provato, crediamo
tuttavia opportuno dimostrar direttamente che la nuova accusa contro del
— 424 —
Frale non regge. E crediamo che i lettori ci seguiranno di buona voglia per que-
sta via e sosterranno anche questo poco di fatica, per veder purgato il nostro
Maestro da sì grave taccia.
Il Savonarola adunque è soggettivista alla maniera di Huss e dichiarò il
convincimento soggettivo quale stregua dell'obbedienza ecclesiastica! (*)
Il Pastor qui ci dà anche la prova della sua asserzione colle parole stesse
del Frate: « Il Papa non può comandarmi contro alla carità cristiana o contro
al Vangelo. Io non credo che il Papa voglia mai farlo ; ma quando lo facesse,
io gli direi: Tu ora non sei pastore, tu non sei Romana Chiesa, tu erri. Ogni
volta che si potesse vedere espressamente che un comando de'superiori è
contrario ai comandamenti di Dio e massime al precetto di carità, niuno debbe
in questo caso obbedire. Se però il caso non fosse evidente o che vi fosse il
menomo dubbio, allora bisogna sempre obbedire » (pag. 353 testo e nota 2,
e pag. 361, nota 1).
Soggettivista il Savonarola! E tutta questa è la prova, che mi sapete dare
per convincermi che la dottrina del Savonarola è ussitica?\ Questa èia prova
che il Savonarola « non si peritò punto di dichiarare il convincimento sogget-
tivo quale stregua dell'obbedienza ecclesiastica »?!! Ma, die Dio ci salvi, dove
si può scorgere ombra di soggettivismo nelle citate parole del Savonarola ?!
« Questa dichiarazione importante, che sta nelle Prediche di Frate Hiero-
nymo da Ferrara, Firenze 1496 (stiie fior.) », come dice in nota e con assai
poca precisione il Pastor, a me pare invece distruggere recisamente ogni ma-
niera di soggettivismo e mostrare nel Savonarola il vero seguace della teorica
cristiana, della criteriologia tomistica, la quale pone il criterio della verità nel-
1' evidenza oggettiva : questo mi pare e non altro. Leggete infatti gli articoli
IV e VI della questione XGVI nella I— II, colle risposte alle obiezioni, e vi con-
vincerete presto che è vana l'accusa, purché non vogliate chiamar soggettivista
e ussita San Tommaso. Che il Savonarola e San Tommaso la pensano allo stesso
modo, lo abbiamo mostrato più volte, ma non sarà inutile fare un nuovo con-
fronto fra il discepolo e il maestro. Prendo dal Savonarola le parole colle quali,
secondo il Pastor, egli dichiarava il convincimento soggettivo quale stregua
dell'obbedienza ecclesiastica; e da San Tommaso traduco alcune espressioni,
che del resto è facile trovare in altri teologi :
Savonarola
« Il Papa non può comandarmi
- contro la carità cristiana o contro
« il Vangelo. Quando lo facesse, io gli
San Tommaso
« Le leggi possono essere ingiu-
« ste per contrarietà al bene divino....
c ordinate contro il comandamento di
() L'accusa è presa anche questa volta dal Perrens, il quale è tuttavia molto più mite
ohe il Pastor: « En montant dans la rimiro, malgré 1' excommunication, il donnait des arine»
à ceux qui l' accusaient de marchcr a grands pas vers 1' hórésie, et d'etre d'accord avec
Jean Hus qui reconnaissait au prOtre oxcommunié le droit de prècher » (pag. 226). Citiamo
la seconda edizione, Parigi 1851. È uscita la terza, ma nei passi da noi citati non porta mu-
tazioni sostanziali.
— 425 —
Savonarola
■ direi: Tu ora non sei pastore, tu non
• sei Romana Chiesa, tu erri.
« Ogni volta che si potesse ve-
« dere espressainete che un comando
i de' superiori è contrario ai comanda-
• menti di Dio e massime al precetto
c di carità, niuno debbe in questo caso
• obbedire (perchè egli è scritto : Opov-
« tet obcdire magis Deo quam homi-
« nibus). (')
« Se però il caso non fosse evi-
« dente o che vi fosse il menomo
< dubbio, allora bisogna sempre ob-
« bedire». (Dalla predica I sopra Amos,
secondo il Pastor.)
San Tommaso
• Dio.... a questo 1' ordine della pote-
« sta non si estende.
« Tali leggi non è lecito in nes-
« sun modo osservare.... perchè, come
* dicesi negli Atti cap. IV: Obedire
« oportet Deo magis quam. hominibas.
« La legge è ordinata al bene comu-
« ne.... tutta la perfezione della legge
consiste nella carità. E se da questa
< vien meno, non ha forza d' obbli-
« gare.
« Se è dubbio, devesi agire s.econ-
« do le parole della legge, oppure con-
1 saltare il superiore ». (Somma Teol.,
P. I-II, qu. 96, art. 4 e 6 e Commenti
all'Epistola ai Romani, cap. XIII, v. 8.)
Stando adunque nei limiti della teorica, sembra che il Savonarola abbia
un buon compagno nella sua « lubrica via » (Pastor, pag. 252). Mi sembra
di udirlo ripetere sdegnoso: « Dovete pure ormai conoscere che non sono
uno sciocco e dovete credere che non direi queste cose, se non fossero vere ».
(Predica XLVIII sopra Amos.)
Il Savonarola soggettivista alla maniera diHuss! A me pare non solo che
questo sia falso, ma impossibile a concepirsi nel sistema del Savonarola. La
stessa sua filosofia bastava a salvarlo. Consentitemi cbe ve lo provi e non vi
dolete se prendo la cosa alquanto dall'alto ed esco un poco di questione: non
^arà tutto a sproposito. Per soggettivismo, come sa ognuno, s'intende quel si-
stema di teologia o filosofia, falso e pernicioso, che ripone il supremo criterio
della verità nel soggetto conoscente; in noi, cioè, o in una nostra facoltà intel-
lettiva o nella natura dell'anima nostra; quel sistema che fa l'uomo misura
delle cose, che dice la verità esser fattura tutta nostra e da noi intieramente
dipendente; ed è soggettivista chi pretende che il nostro conoscere faccia esser
le cose; e quindi afferma esser o non esser ciò che la nostra vista corta d'una
spanna vede o non vede. E soggettivista chi nega le verità che superano la
coscienza sua d'uomo, il suo sentimento; chi fa se stesso legge de' suoi pen-
sieri e delle sue operazioni. Questo s' intende universalmente per soggettivi-
smo, e tale si fa il soggettivista, nè credo la pensi altrimenti il Pastor. Ora il
Frate di San Marco ha una teoria la quale sta proprio agli antipodi a questa
e ne è la morte e l'annientamento. Potrei scrivere, dalle Opere sue, un libro
intiero a provar questa tesi. Abbiate la pazienza di leggerne almeno alcuni
passi.
(') Le parole tra parentesi non si leggono nel Pastor, ma si bene nel Villari e nel
Savonarola.
— 426 -
« La verità, egli dice, è una adequazione, o quadrazione dell'intelletto
alla cosa, o della cosa all'intelletto (*); cioè quando la cosa creduta e l' intelletto
credente (*) sono simili e concordano insieme. Tu, per esempio, di'; Quel frate
predica; e in questo tu di' la verità; perchè il dire tuo e il fare del frate quadrano
insieme; e in questo modo quello che tu di' si domanda vero; perchè è ade-
guato all'intelletto tuo. Fatti innanzi: Iddio intende ogni cosa (questo tu noi
negherai) ; Iddio conoscendo sè, conosce e intende tutte le cose del mondo, e
conobbele ab eterno innanzi che nulla fosse, e la sua essenza e il suo intendere
è una medesima cosa: intanto che il suo intelletto e il suo intendere sono
esso Iddio ; (3) e però Dio è essa verità, il che non è di creatura alcuna perchè lo
intendere suo è differente dall'essere.... Dio e l'essere sono una medesima cosa,
perchè lui solo è quello che è. Ego sum qui sum, dicit Dominus. La crea-
tura è tanto distante dall'essere di Dio quanto è una cosa finita dalla infinita,
ma si dice una creatura aver 1' essere per partecipazione, perchè dipende dal
primo essere, cioè da Dio. E però, come la sanità propriamente conviene al-
l' animale, e non conviene secondo quella medesima ragione al cibo, e alla
medicina...., così l'essere propriamente conviene a Dio, e non alle creature se-
condo quella medesima ragione, secondo la quale conviene a Dio : e così è
della verità; perchè Dio è essa verità; (4) ma niun intelletto creato è essa verità;
ma la verità che è nel nostro intelletto dipende dalla prima verità, ed è una
certa partecipazione e similitudine di quella. Per esempio: immaginati che
sieno qua venti specchi, e uno si appresenti qui con la faccia: apparirà quella
faccia in tutti quei venti specchi, e pareranno venti facce ; e tuttavia la vera
faccia sarà una. Così la verità in ogni intelletto dov' ella è nasce dalla prima
verità, cioè da Dio ». (Sopra Amos e Zaccaria, pred. XXIII.) (5)
« La verità si definisce in questo moilo: Veritas est adosquatio rei ad in-
tellectum, vel adiequatio intellectus ad rem ; cioè quando l'intelletto è conforme
ad una cosa, quello si chiama esser vero. Iddio si chiama essere essa verità:
tuttavia si attribuisce più al Figliuolo, benché convenga a tutte tre le persone
(') Questa stupenda definizione della verità abbraccia la verità logica e la verità metafi-
sica. Vedi la dottrina di San Tommaso a questo proposito, nella Somma Theol., P. I, Qu. XVI,
art. I e nella Qu. I, art. 1° e 2° De ventate, Quwst. disp. Cfr. Zigliara. Stimma Philosophica, On-
tologia L. II, c. II a- 3" n. XII, e Dialettica, Lib. Ili, cap. IV, a. 1, n. I.
(2) Creduta e credente sta per conosciuta e conoscente. Questa espressione è usata ancbe da
S Tommaso, il quale dice che « nelle scienze dimostrative si credono più i principii che le
conclusioni ». De caritate, in Qumsl- Disp. art. IX, ad lm. In queste e simili altre espressioni
credere vuol dire tener per certo.
(8I Vedi San Tommaso, Somma 'leol. P. I. Qu. XVI. art. 5 e 6.
(4) Vedi San Tommaso, Somma Teol P. I. Qu. XVI. art. 5 e 6 e Qu. XII. art. 5.
(5) La qnal dottrina dilucidata eoli' esempio dello specchio è nel citato art. 6° della
Quest. XVI di S. Tommaso: c Come da una sola faccia d'uomo risultano più similitudini
in uno specchio, cosi dalla verità divina, ohe è una. risultano (ìlei creato) più verità ».
«Tutte le verità » scriveva or ora il cardinale A. Capecelatro, « conosciute dall' uomo, ancor-
ché sieno tra loro diverse, splendono quasi raggi più o meno lucenti d'una sola verità
eterna infinita e immutabile, la quale è Dio ». La stampa cattolica: discorso letto per l'inau-
gurazione dell'anno scolastico 149*5-97 del Seminario capuano.
— 427 -
della Trinila. Dice Cristo nel Vangelo : Io sono la via, la Verità e la vita. Così
la carità s' attribuisce allo Spirito Santo, benché convenga al Padre e al Fi-
gliuolo ugualmente. In ogni genere di cose, si deve dare una cosa che sia prima
in esso genere, adunque nel genere della verità la prima verità è Dio. E se
adunque Iddio è essa verità, adunque quanto una creatura è più presso a Dio,
tanto più intende la verità ». (*)
In conformità di questa dottrina il nostro Frate celebra sovente la potenza
e la forza insuperabile della verità; come fa per esempio nella predica IX so-
pra Ezechiele; dove dice appunto che la verità vince in ogni cosa e sempre; e
così vince sempre 1' uomo che cammina in verità, perchè egli è simile a Dio,
e ha Dio in sè, Dio, che è la forza per eccellenza, la forza infinita.
Per questo il nostro Frate era solilo di dire che chi ha seco la verità non deve
assolutamente aver paura di sorla alcuna (ivi XLIV). E nella XX sopra Giobbe,
dice pure: « L'uomo che va in verità è sempre conforme con Dio, che è essa
verità; e in ogni cosa sua dentro e di fuori trovi in quest'uomo la verità ». Del
pari come conseguenza di questa dottrina nella predica sopra Ezechiele, fatta
il lunedì dopo la V domenica di quaresima, dice: « Il vero e il bene hanno in
sè tanta convenienza, che ogni cosa che è vera, è buona, e al contrario; e che
ogni cosa, che è al mondo, è buona e vera; perchè ogni cosa si domanda vera
per comparazione all'intelletto, e buona per comparazione all'affetto. E per-
chè non è cosa che non si possa intendere, massime dall'intelletto divino; e
perchè non è cosa che non possa essere appetibile, almeno quanto all' essere,
però ogni cosa è vera e buona ». (s)
I passi analoghi ai presenti nel nostro Frate saranno mille almeno; non
ne trascrivo altri e protesto che nelle Opere di lui non trovo nemmeno un
iota che contradica ai concetti de' passi riportati. Resti fermo adunque che
Fra Girolamo ammette la realtà oggettiva e la verità, l'oggetto della nostra
conoscenza, fuori della mente nostra, indipendente dalla mente nostra: e pro-
curiamo di dare un altro passo e vedere come noi veniamo alla conoscenza
delle cose, come si generi in noi la certezza della verità. Che insegna a questo
riguardo Fra Girolamo? Quale rapporto pone egli tra il vero e l'intelletto? La
questione già è in qualche modo risolta dalle parole trascritte di sopra; impe-
rocché se la verità per noi consiste nella quadrazione, o nell'adequazione della
nostra mente con la cosa, se la verità per essenza è Dio, fonte di ogni realtà,
sostanza infinitamente perfetta, alto puro, e se noi intendendo partecipiamo
della verità dell'intelletto divino, e nulla intenderemmo senza Dio, il soggetti-
vismo è morto: l'essere, la verità misurano il nostro intelletto, e non al con-
trario; cioè la verità sarà semplicemente l'essere in quanto è inteso.
Data la natura della verità, quale ce l'ha data Fra Girolamo, è possibile
che si ritenga che essa per risplendere alle menti ha bisogno di accattar luce
(l) San Tommaso, L c. a. 5.
(*) Cfr. San Tommaso, 1. c. art., 1.
- 428 —
d'altronde? Sarebbe assurdo. Nel sistema Savonaroliano non si può nean-
che concepire che il motivo della certezza sia soggettivo. Il nostro Frate ri-
pete in seicento luoghi che il criterio della certezza si ha da prendere nell' og-
getto conosciuto; genera la certezza in noi il mostrarsi dell'oggetto alla
niente nostra; e solo quando 1' oggetto si fa in noi vedere, il Savonarola dice
che noi siamo certi; e non altrimenti.
Il nostro Frate ripete continuamente che scienza è cognizione certa, cioè
cognizione di cosa conosciuta con chiara evidenza; e soggiunge non si dover
dire che altri sappia alcuna cosa, se chiaramente essa cosa non gli sia manifesta
ed ei v'aderisca fermamente senza timore alcuno della falsità del contrario. La
certezza che è nella scienza e nell' intelletto il Savonarola dice che proviene
dall'evidenza delle cose che noi diciamo esser certe, e insegna egli con San Tom-
maso {Somma Tedi. p. I qu. 85 a. 3) che tanto più nota è una cosa quanto
più universale e comune. < Tra tutte le cose (scrive nel Compendio di Filosofia)
la più comune è 1' ente che di tutte le cose si afferma ed è concepito dall' in-
telletto come la cosa più nota. Tutte le altre cose sono maggiori o minori
spiegazioni e determinazioni dell' ente ; e perciò 1' ente bisogna che sia indi-
stintissimo e per conseguenza a noi notissimo, onde da esso bisogna inco-
minciare ». E inutile che io citi passi, si legga il Compendio citato, si leggano
le prediche, quali si voglia, e subito si vedrà che noi abbiamo completa ra-
gione.
Ma forse mi domanderete in che propriamente consista questa evidenza
oggettiva. Ecco, per il Savonarola, come per San Tommaso e per tutti gli sco-
lastici, è un lume oggettivo. Adunque l'intelletto nostro nella teorica del Savo-
narola non genera, nò forma l'intelligibile, ma ne è informato; non pone l'es-
sere, non crea la verità; ma la apprende. L' uomo conosce e si fa certo perchè
gli esseri a lui si mostrano chiusi e parventi nella propria luce. Se gli enti fos-
sero tenebrosi, egli non li vedrebbe: Or questo è soggettivismo?!
Ma andiamo oltre un altro passo.
Dalle cose dette appare che il Savonarola ammette non pure una verità
prima ed assoluta, ma varie specie di verità. Le verità per Frate Girolamo de-
vono necessariamente essere tante quanti sono gli ordini degli esseri, tante
quanti sono gli enti. E gli ordini degli enti per il filosofo Ferrarese son tanti
quanti sono per lutti i filosofi e i teologi del callolicismo. Per il nostro scopo
presente ci basti accennare la grande divisione di verità naturale e di verità
rivelata. Suddividendo, il Savonarola ammette poi la verità che ci si manifesta
alla luce del sole; quella che ci è fatta palese al lume naturale dell'intelletto,
quella che vediamo al lume soprannaturale della fede, quella che si manifesta
al lume della gloria; e finalmente quella che è aperta al lume di Dio.
Che questi ordini di verità ammettesse Fra Girolamo, stanno a provarlo
tutte le sue opere, e segnatamente il Trionfo della Croce. È poi impossibile,
anche a voler essere protervi al sommo grado, il mettere in dubbio che con
questa dottrina Fra Girolamo non facesse reale, oggettivo, esistente in sè
questo e quelP ordine di verità. Per le verità rivelate questo è tanto certo,
— 429 -
juanto è certa l'incarnazione del Verbo, l'esistenza di Cristo, Uomo-Dio,
rivelazione sostanziale e soggetto di tutte le Scritture e di tutta la tradizione
cattolica. E posto ciò, per dire poi che il Savonarola non facesse realmente
esistente l'oggetto delle cognizioni razionali e delie altre specie di cognizioni
enumerate, bisognerebbe essere pazzi della peggiore specie. Fra Girolamo
come ammette 1' oggettività del vero e dell' essere in genere, cosi fa dei veri
e degli esseri in ispecie.
Il nostro Frate ammetteva e sapeva tener assai ben distinte l'una dal-
l' altra la cognizione nello stato di via e la cognizione in patria, la cogni-
zione di scienza dalla cognizione di sapienza, la cognizione di ragione e la
cognizione di fede: ammetteva e sapeva tener assai ben distinte l'una
dall'altra tutte queste; ma ammetteva del pari come realmente esistenti e
distinti l'uno dall'altro i lumi di tali cognizioni, li ammetteva realmente esi-
stenti e tutti li faceva necessarj e provenienti da Dio datore di ogni lume.
« Non è un solo lume ordinato da Dio, ma son più lumi, come dice San Giaco-
ino nella sua Epistola (cap. I. v. 17): Ogni buon dato e ogni perfetto dono
viene di sopra, scendendo dal Padre dei lumi. Il lume primo è il lume di Dio,
poi è il lume dei beati, quindi il lume della fede, segue il lume dell'intelletto e
finalmente la luce corporale. Dio è il padre dei lumi. Da Dio vengono tutti
questi lumi e ognuno di essi ha un ufficio ed un oggetto proprio.
« Cinque trovo essere i lumi. Il primo è il lume corporale, cioè il sole; il
secondo è il naturale, cioè dell' intelletto; il terzo è il soprannaturale, cioè della
fede; il quarto è il lume della gloria, cioè dei beati; il quinto è il lume eterno
di Dio. Il primo si manifesta all' occhio, e quando il lume v' è, 1' occhio non
s' inganna. Se tu dimandassi uno perchè è rosso quel colore, lui non saprebbe
dartene ragione; ma 1' occhio ha evidenza certa e conosce la differenza del
rosso e del bianco, e avendo la luce, non può essere ingannato. Cosi l'intel-
letto ha evidenza e sa naturalmente i primi principj, come : credere Iddio e
amarlo e far bene e non male, e simili; e conosce queste cose naturalmente,
benché non ne sa ragione alcuna, ma lo sa, perchè ne ha evidenza come due
e due fanno quattro. Di sopra sono quei due lumi, l'uno dei beati e 1' altro di
Dio; e questi hanno evidenza ferma e chiara. Il lume della fede sta in questo
mezzo, il quale non ha evidenza che sappiamo come è fatta la Trinità, e come
Cristo è Dio e uomo. Ma benché tu non sappia questa ragione, tuttavia sai che
è vero e certo e ne hai una certa evidenza; e la causa di ciò viene dal lume
della fede, perchè ha quella natura, come la pietra ha natura di andare al cen-
tro, e il fuoco e le cose leggiere di andare in su ». (VII sopra Giobbe e XV so-
pra i Salmi.)
E questi lumi, ognuno di questi lumi, ha un oggetto suo proprio, per guisa
che chi ne manca s'affaticherebbe inutilmente alla conoscenza di tali ordini di ve-
rità. Basta a mostrar ciò tra i mille luoghi che potrei addurre un luogo della
predica II sopra Ezechiele: « Vien qua, savio: l'occhio tuo vede qua i colori per
un poco di luce; cresci la luce del sole, vedrai meglio; cresci più, vedrai ancora
meglio i colori. Ma credi tu, se crescessi assai più il sole e la luce, che 1' oc-
- 430 —
chio potesse pervenire alla cognizione della sostanza? non mai. E però, se l'oc-
chio volesse fare questa operazione dello intelletto, direbbe lo intelletto: Oc-
chio, tu sei pazzo, tu non puoi uscire dalle cose sensibili e dai colori; e quello
è il termine tuo, ne puoi andar più in là. Dimmi, savio, come intendi tu che sia
un angelo? è egli quadro, tondo, grande, piccolo? non lo puoi sapere, perchè
eccede il termine del tuo intelletto nella vita presente. Così l' intelletto del
beato, se volesse intendere quanto intende Dio, non può, perchè vorrebbe uscire
dai suoi termini. Così, se la vecchierella volesse riprendere il filosofo, non si
farebbe beffe il filosofo di lei? Così adunque il tuo lume, o savio, non passa le
cose naturali e non va più in su alto. Il lume della fede va più in su che non
va il tuo, e però, volendoci tu riprendere, noi ci faremo beffe de' fatti tuoi, come
fa il filosofo della vecchierella. Se gli è qua un modello d'una casa, tu vedi
quegli uomini piccini e quelle camere piccole: se uno dicesse: queste stanze
piccole e questi uomini piccini non stanno bene, sarebbe pazzo: così chi vo-
lesse riprendere queste figure de' Profeti sarebbe pazzo. Ma colui che ha il
lume divino vede in queste figure il modello di Dio, cose misteriose e grandi ;
però le crede e le stima assai; e però vi ho detto che bisogna che crediate
prima che questo sia modello di Dio, e ho detto: nisi credideritis, non intellige-
tis: se voi non crederete non intenderete. Dice ancora un' altra lettera: Nonper-
manebitis, cioè se voi non crederete, non permanerete nella buona vita: guarda
bene e vedrai questo segno: che quegli che non crede subito cade nel dir male
e lascia la buona vita: orsù questo è il modello di Dio. Che caveremo di qua ?
Cuarda che il filosofo considera un animale se ha fronte larga, I' occhio nero,
guarda il naso, guarda tutti gli accidenti, e da questa cognizione degli accidenti
penetra alla cognizione della sostanza e alle sue proprietà e dice: Egli è col-
lerico o sanguineo, e cosi forma la definizione. Così colui che ha il lume so-
prannaturale va investigando queste figure e considera, verbigrazia, il vento e
la sua natura, il fuoco e così le altre cose: e cava con quel lume della fede
per quelle proprietà di queste figure un tesoro grande. Ma nota, che nei filo-
sofi sono stati due grandi lumi naturali, ma non hanno poi evacuato ogni cosa:
dico di Aristotile e di Platone. Onde dice Aristotile: Minimum est quod sciinus:
magnimi quod ignoramus ». (Cfr. la pred. X sopra Ruth e Michea.)
Nè questo basta per Girolamo Savonarola; imperocché, oltre all'insegnare
che a veder la verità si richiede il lume, oltre all'ammettere quale criterio
della verità l'evidenza oggettiva, ammette ancora delle verità concrete, de'prin-
cipj per giudicare di tutte le singole verità contenute nei varj ordini. Così in logica
egli ammette come principio supremo il principio di contradizione: in morale
il principio: — Si deve fare il bene e fuggire il male, — o anche, — fare il bene
patire il male e così perseverare sino alla fine. — Nelle cose di fede il suo prin-
cipio supremo è il seguente: Credere tutto quello che si contiene nella Sacra
Scrittura e tutto quello che in passato insegnò e al presente insegna ed inse-
gnerà in futuro la Chiesa Cattolica ; o: La nostra fede tiene per vero tutto quello
che è contenuto nelle Sacre Lettere, cioè nei Libri i quali dai nostri dottori si
domandano del Canone e tutto quello che insino a qui ha determinato la Santa
— 431 —
Romana Chiesa e per l' avvenire determinerà che si debba credere. — (Gfr.
Semplicità della Vita Cristiana, conci. I). (')
Posta questa dottrina teologica e filosofica già mi par lecito argomentare
a priori non esser possibile che Fra Girolamo cadesse nel soggettivismo di Hus.
Questo importerebbe una conti-adizione inesplicabile; ed io non trovo che Fra
Girolamo si contradicesse punto. Egli vedeva ognora armonizzanti i vari lumi,
e i veri eh' essi ci mostrano. Anzi questo principio fu a lui famigliarissimo e
gli diede somma utilità.
Che cosa importi 1' essere soggettivista alla maniera di Huss il Pastor
non lo dice, in questo III volume, ma non è tuttavia diffìcile a capirlo e si può
forse in qualche guisa argomentare dal cenno sopra questo eretico che si legge
nel volume II. — Importa, questo soggettivismo, l'anteporre la persuasione per-
sonale al comando esterno del superiore. — E poi noto del resto che quest'ere-
tico, citato al Concilio di Costanza, vantavasi, che, giunto colà, persuaderebbe i
Padri; e, se al contrario essi convincessero lui di un solo errore di fede, as-
sentiva di subir le pene destinate agli eretici.
E al Concilio, essendosi scoperto il veleno delle sue dottrine, gli furon po-
sti in faccia trentanove articoli, perchè li abiurasse sottomettendosi alla deci-
sione dei Padri. Ma egli rispose che quelli, tra si fatti articoli, che gli apparte-
nevano credeva verità; e ch'era pronto a morire prima che rinnegare la propria
coscienza; e mori infatti protervo. (2)
E adunque questo una specie di soggettivismo ristretto al campo eccle-
siastico, che erigerebbe a giudice della fede e delle norme della vita il convin-
cimento privato, la coscienza d' ognuno, anzi che 1' autorità del Pontefice e
della Chiesa. Perciò l'accusa vorrebbe che Girolamo Savonarola si costituisse
egli giudice della fede, piuttosto che rimettersi umilmente al Papa; e che non
fosse pronto a sottomettersi mai, se la sua coscienza individuale e il suo giudi-
zio privato non gli diceva che bisogna sottomettersi.
Ha nulla di vero questa accusa? Nulla: imperocché suppone quello che
non è in alcun modo. La teorica che qui segue Fra Girolamo è perfettamente
analoga a quella che egli professa in genere nel campo della Filosofia e della
Teologia. Per veder ciò, basta che noi osserviamo che cosa richiedesse ne' casi
accennati nel capitolo passato, perchè sia lecito o doveroso non obbedire ed
opporsi al comando de' superiori ecclesiastici e anche del Papa.
Per Fra Girolamo adunque a ricusare obbedienza non basta che il co-
mando sia oltre a ciò che si è obbligati, o contro la carità o contro al van-
gelo o a Dio, ma è necessario ancora che ciò appaia evidente; voglio dire:
è necessario un lume oggettivo, un lume che mostri al nostro intelletto la
(') Da non poche prediche si raccoglie poi che principio sapremo del Savonarola era
quello che impone alla creatura ragionevole di riconoscere l'ordine da Dio stabilito e non
far mai nulla contro il medesimo. Vedi, per esempio, la predica XXII sopra Ruth e Michea,
e la V sopra Amos e Zaccaria.
(') Cantù, Storia Universale. IX edizione Torinese; tomo IV, pag. 176.
— 432 —
cosa manifestamente, sì che non sia possibile in noi alcun dubbio dell'op-
posto. È necessario in altri termini che la sentenza che dice essere il co-
mando del superiore contrario alla fede sia pronunciata dal lume della fede,
dalla verità, da Cristo, e pronunciata in modo indubbio, sicché la vediamo
non solo noi, ma tutti quelli che hanno il lume della fede e della verità e co-
noscono la legge di Dio. Sentiamo il Frate. E prima di lutto trascrivo qui pro-
prio come stanno due luoghi che si leggono nelle prediche I e XLV1II sopra
Amos e Zaccaria; e lo faccio perchè le parole citate dal Pastor non sono le
parole testuali del Frate; il Pastor le trascrisse, non avendo visto le Opere
del Savonarola, dalla pagina 424 del Villari (Ed. 1887 voi. I) dov' è sempli-
cemente raccolto il senso de' due passi; e per giunta trascrive lasciando il
testo allegato e tratto dal cap. IV degli atti degli Apostoli: motto che ha pur
la sua importanza: « È scritto che bisogna obbedire piuttosto a Dio che agli
uomini ». In questo sunto ove trattavasi nientemeno che infliggere al Savona-
rola la terribile condanna di eretico ussita, era necessario, più che altra volta,
prender le sue parole tali e quali. Ecco dunque le parole di Frate Girolamo.
« Le chiavi con le quali la Chiesa solve e lega dico che hanno potestà di
poter comandare a ciascuno; e io son sempre preparato alla obbedienza della
Romana Chiesa, e sottomeltorni ad ogni suo comandamento, e dico che sarà
dannalo chi non obbedirà alla Santa Romana Chiesa. Sicché son preparato a
ogni obbedienza della Romana Chiesa, eccetto quando comandasse contro Dio,
o contro la carità; il che non credo; ma quando lo facesse, direi allora: tu non
sei Romana Chiesa; tu sei uomo, e non sei Pastore, perchè il Pastore non co-
manda contro Dio, o contro alla carità; e direi allora: tu erri. Sicché io mi
sottometto alla Chiesa Romana e alla obbedienza di quella; eccetto, come ti ho
detto, se la comandasse coDtro a Dio o alla carità; la qual cosa non può fare
la Romana Chiesa, ma sì bene gli uomini della Romana Chiesa; e sappi che io
non sono obbligato a obbedire al Papa, quando comandasse contro la nostra
professione senza causa ■». (XLVIII sopra Amos e Zaccaria.)
* Ogni volta che si potesse vedere espressamente che i comandamenti de'
superiori sono contrarj ai comandamenti di Dio, e massime al precetto della
carità, niuno dovrebbe obbedire in questo caso; perchè gli è scritto: Oportet
magis obcedire Beo quam hominibus, e' bisogna obbedire piuttosto a Dio che
agli uomini: avvegnaché quando non fosse chiaro, ma dubbio, che il coman-
damento del superiore fosse contrario al comandamento divino, crederei
in questo caso, che si dovesse seguitare il giudicio del superiore. Avendo
dunque noi tutti comandamento da Dio della carità fraterna che ciascheduno
abbia cura della salute del suo prossimo, dicendo il savio nell' Ecclesiastico:
Mandavit illis unicuique de proximo suo, quando io vedessi espressamente,
che il mio partire d'una città fosse ruina spirituale e corporale del popolo, (4)
(') San Tommaso nella citata iju. 96 della parte l-II, art. 6 ad 2'° ritiene, come il Savona-
rola, che si possa seguire l'intenzione della leggo e nonle'parole e interpretar oosi la legge
nel caso in cui 2 manifesto per V evidenza del nocumento (la rovina corporale o spirituale del po-
polo, secondo il Savonarola), che il legislatore ha avuto altra intenzione.
— 433 -
non obbedirei a uomo vivente che mi comandasse che io mi partissi. Sì perchè
il suo comandamento saria contrario al comandamento divino, si perchè io
presumeria che quella non fosse l' intenzione del mio superiore, sapendo che
è piuttosto da obbedire alla intenzione della legge che alle parole ». (Sopra
Amos e Zaccaria, pred. I.)
Trascriviam qualche altro passo: lo possiamo fare senza uscire del Qua-
resimale che abbiamo alle mani. Nella predica XXIX tra molte altre cose che
vedremo poi, si leggono le seguenti espressioni: « Quando fosse fatto coman-
damento a uno, al quale lui obbedendo ne seguiteria la ruina del ben comune
di una città e della salute delle anime, posto che questo fosse manifesto, non si
dovria per modo alcuno obbedire, perchè è manifesto che non vi può esser
maggior errore che lasciar minare una città e lasciar le anime in maro dei
cattivi. — Tu dirai che potrebbe fare così ognuno, e così niuno obbedirla alla
sentenza de' superiori. — Rispondo che quando l'errore della sentenza non è
manifesto, si deve osservare la sentenza per non dare scandalo al prossimo....
ma quando gli è errore manifesto e notorio e il superiore, persuaso dai cattivi
facesse un comandamento al quale obbedendo ne seguisse manifesto, intolle-
rabile errore, dico che non si deve osservarlo, e non solamente non siete
tenuti, ma non dovete obbedirlo, perchè obbedendo fareste contro il coman-
damento di Dio, e non obbedendo non è scandalo niuno: perchè si sa l'errore
della sentenza ».
E nella predica XXVII prevedendo P obiezione di coloro che avesser po-
tuto immaginarsi che egli predicasse contro il comando del Papa, dice: «Ioti
voglio cavar questo scrupolo : e' non lì è venuto comandamento nessuno, ma
io gli ho scritto, e voglio che tu sappia che stante le cose come stanno, non si
può fare tale comandamento, perchè sarìa dissipamento. Oh ! — ta dirai: — Tu
non l'hai a giudicare tu. — Io ti rispondo che quando la cosa è per se nota, non
ha bisogno di più giudizio. E' non è donnicciola qua che non sappia che tal co-
mandamento sarìa contro la utilità della vigna, e in distruzione della città di Fi-
renze. Ma è ben vero che quando io dubitassi se tal comandamento fosse con-
tra la vigna o no, io debbo inclinare, e pigliare la parte del superiore. Ma di questo
io non ne sono punto dubbio, ma ne sono chiaro. Io non posso credere che venga tale
comandamento, perchè io so che sono savj, e che non vorranno credere alle
persuasioni false. Io 1' ho scritto che noi posson fare, e ho scritto con ragioni
alle quali non si può rispondere a nessun modo. — Oh adunque tu ti persuadi
molto, Frate, e parti essere molto savio ! — Io non dico così: ma le cose sono per
si patenti, e molto chiare, si chè non credo che si movano a fare alcun coman-
damento; ma potrebbero pure farlo, se credessero agli scribi e ai farisei! — E
se in questo caso e' venisse, obbediresti tu? — Io ti dico cosi, che quando il
Papa fosse persuaso da false persuasioni de' farisei, e facesse il comanda-
mento che non si predicasse, io non obbedirei alle parole, ma sì bene alla in-
tenzione. Io non credo che lo facesse, ma pure se lo facesse, essendo tal co-
mandamento confra la coltura della vigna, e indotto da false persuasioni
de' farisei, io farei quello che ho detto ».
28
— 434 -
Chi avesse scrupolo ad ammetter questa teoria, legga gli articoli già ci-
tati di San Tommaso, (I — li, qu. 96, a. 4 e 6) e svanirà ogni dubbio.
E ciò che il Savonarola pretende per il comando in genere, così pretende per
la scomunica, che è un comando particolare; bastino a provarlo la predica or ora
citata e la XXIX sopra Amos. In quella il Frate per mostrarci che la scomunica, la
quale contiene un intollerabile errore, è lecito (se non sia il caso di andar sen-
z' altro contro un comandamento di Dio) trasgredirla solo quando quest' errore
è manifesto e notorio, cita 1' esempio seguente: « Se una poverella, che non abbia
il modo a pagare, e credendosi che l'abbia il modo, sia scomunicata, s'ella non
paga; dico che quanto a Dio non è scomunicata; ma deve, per non scandalizzare il
prossimo, starsi, e non andare alla messa, perchè questo è errore occulto ». E
nella predica III sopra l'Esodo dice parimente: « 0 Padre, dicono pure li ca-
noni, che quando 1' errore fosse occulto, che, benché la scomunica fosse ingiu-
sta, si deve temere. — Questo è vero; così per esempio, se tu fossi scomunicato
per non aver dati cento ducati a uno: del quale in verità tu non fossi debi-
tore, ma tu fossi creduto debitore universalmente da ognuno ; allora tu devi
osservarla, cioè non andare a messa per non dare scandalo al prossimo. Ma
se questo credere d' ognuno non fosse, e che tu avessi giustificata pubblica-
mente la causa tua, dico così, che allora tu non 1' hai da temere, nè sei ob-
bligato ad osservare la scomunica, poiché egli è levato lo scandalo: e vieni a
me, che in tal caso ti comunicherò ».
Or dov'è qui il soggettivismo dell'Huss? Si può credere in buonafede che
il Savonarola colle parole trascritte dal Pastor, e con le altre che trascrissi
io, intendesse di significarci una evidenza puramente e semplicemente dell'in-
telletto suo, come tale, indipendentemente dal lume della ragione e fede? Si può
credere che il dotto teologo confondesse malamente evidenza con certezza? No,
non lo si può credere, e chi lo credesse sarebbe in un inganno solenne! Questo
non voleva il Frate. Egli pretende che 1' evidenza piova neh' intelletto puro
dalla cosa veduta o intesa; e quando si tratta di verità di fede, vi piova per
il lume della fede. Quindi egli non acconsentirà mai che il suddito possa ribel-
larsi ad un ordine esterno del superiore se non quando questo sia contrario
non ad una opinione personale di quello, ma contrario evidentemente alla fede
e alla vita cristiana. E questo non è per nessun modo soggettivismo di Huss.
Intendiamoci ancora una volta: qual è la nozione di evidenza? A me
piace assai lo Zigliara quando dice : « Evidente è parola comunissima il
cui significato s'intende da tutti più chiaramente che non si possa spie-
gare. Infatti siamo pur soliti di dire: Che v'ha di più evidente di questo?
E così parlando intendiamo di dire che la cosa è aperta e manifesta, visibile
ad ognuno die la intuisca, così chè intorno ad essa sia necessario che tutti
convengano. In altre parole, la cosa è evidente per 1' evidenza, come è vera
per la verità, buona per la bontà, lucida per la luce. Adunque l'evidenza presa
astrattamente è la perspicuità della verità alla mente conoscente. — Niente di
più chiaro che ivxpyda., come la dicono i Greci, o perspicuità o evidenza come
la diciamo noi. — (M. T. Cicerone, lib. II, Acad. Prior., Cap. VI). La quale evi-
— 435 —
denza si chiama anche lume oggettivo, per metafora presa dalla luce corporea
manifestativa de' corpi. Il lume, dice San Tommaso, P. 1, Qu. 106, a. 1,
per ciò che s' appartiene all' intelletto non è altro che una certa manifesta-
zione della verità. L' evidenza oggettiva poi si dice la perspicuità della cosa
risplendente alla mente. Questo è il significato di evidenza oggettiva, che è
poi causa della soggettiva, che è la chiara percezione dell' oggetto medesimo
presente all'intelletto per la evidenza oggettiva ». (Somma Filosofica, I, 54.) Ora
è possibile di dubitare che così proprio la pensasse Fra Girolamo? Ma allora
che valore potrebbero avere le espressioni: esser chiaro, esser manifesto e no-
torio, cose per se 'patenti e molto chiare, cosa per sè nota, e vedere espressa-
mente? Se qui non si descrive 1' evidenza oggettiva e la certezza che dalla evi-
denza oggettiva proviene, con quali altre espressioni la si potrà descrivere ? A
me pare che nemmeno a voler prolervire non si possa affermare il contrario
da nessuno; e chi l'afferma, lo ripeto, o delira, o ha la mente ad altro, o be-
stemmia ciò che ignora.
Pretendereste forse che i superiori ecclesiastici insegnando ingenerino in
noi proprio cosi il lume della fede? Certo, senza la parola sensibile secondo
1' ordine stabilito da Cristo quando istituì la sua Chiesa, non si crede a ciò
che Cristo medesimo c'insegna per mezzo della sua Chiesa; ma pensate che
la fede dipenda da chi ce la predica e insegna e che perciò la parola de' su-
periori sia proprio e senza meno la norma e la ragione del credere, la ca-
gion formale della fede? Non saremmo d'accordo con voi, nè voi sareste
cattolici.
« E stata lunga questione tra i filosofi ed ancora è tra questi naturali,
cercando donde vengano le forme delle cose : e segnatamente cercano del-
l'anima che è forma del corpo dell' uomo donde la venga. (*) I Platonici dicevano
che le forme vengono dalle idee, le quali dicevano imprimere qui la forma nel
corpo come fa il sigillo nella cera. Altri dissero che queste forme sono ascoste
negli agenti naturali, e che della materia di questi agenti uscivano le forme:
e questa opinione non è ben detta. Altri dissero che la materia è come la terra
del figolo, e che alla materia che lui ha innanzi gli può dare che forma e' vuole.
Altri hanno detto che dalla intelligenza superiore vengono le forme, che le im-
prime nelle cose come le piace. Alcuni dissero che la scienza delle cose è nel-
l'anima nostra innanzi che ella entri nel corpo; ma come ella entra qua, come
in uno oscuro carcere, ch'ella si dimentica ogni cosa ; ma che di poi crescendo
il corpo e purificandosi a poco a poco la si viene ricordando. Aristotile disse,
e bene, che nell' intelletto nostro è un certo lume naturale, che lo chiamano
intelletto agente, che illustra i fantasmi e similitudini poste nella fantasia del-
l'uomo^2) e rimove gli impedimenti che impediscono: e incontanente l'intelletto
resta informato di quello che cerca di sapere. Colui che insegna non dà il lume
naturale al discepolo, ma solo Dio gli ha dato quel lume e la fantasia. Colui
(') V. San Tommaso, Somm. Teol, P. I. qu. 45, a. 8, qu. 65, a. 4, qu. 110, a. 2, etc.
(2) V. San Tommaso, Somma Teol., P. I, qu. 85, a. 1, ad tm.
— 436 —
che insegna fa solo questo clie dispone e ordina le parole sue, le quali per-
venute alla fantasia, mediante il lume suo che lui ha, s' imprimono nell' intel-
letto ;(') e sì come il medico è ministro della natura, così colui che insegna è
ministro ed instrumento che porge alla tua fantasia le cose ordinatamente,
come fa il medico le medicine all'infermo. Noi siamo instrumenti ad inse-
gnare ; e siamo come la sega che è instrumento del prudente segatore a far
l'opera che lui vuol fare. Solo Cristo è quello che dà il lume da vedere e da
intendere le cose ». (Sopra Giobbe, pred. XXXVI.)
A questo riguardo in Fra Girolamo abbiamo delle pagine auree: eccone
una, che può bastare per tutte, tratta dal sermone II nella la di San Giovanni.
Ivi il nostro Frate volendo esporre le parole : Quel che abbiamo udito vi an-
nunciamo, e mostrare 1' efficacia contenuta nella testimonianza che Giovanni
ed egli stesso e gli altri che lessero ne' Profeti rendono del Verbo, si fa obbiet-
tare: — « Ancora io ho letto i Profeti e non ho veduto tal testimonio. — E io
ti dirò, (risponde) quello che Filippo disse all'Eunuco: Pensi tu che tu intendi
quelle cose che leggi? E tu adunque, se sei savio, rispondi con l'Eunuco: E
in che modo lo posso io se alcuno non mi mostrerà ? Dimmi dunque tu, chi è
quello che le lo può mostrare ? Certamente Filippo era uomo, e 1' Eunuco leg-
geva la lettera e non V intendeva. Pensi tu che Filippo aprisse gli occhi del-
l'Eunuco ? Certamente solo quegli aperse gli occhi dell'Eunuco che mandò
Filippo. Sappi, fratello, qualunque tu sei, che il libro è segnato, e niuno lo
può aprire se non Quegli che ha la chiave di David, che apre e niun serra,
serra e niun apre. Questi è l'Agnello del quale è scritto: Ecco ha vinto il lione
della tribù di Giuda, radice di David, acciocché apra il libro, e sciolga i sette
segnacoli suoi. Se adunque non apre Egli il libro, indarno ti affatichi e non
vai rettamente. Se alcuno volesse scavar la terra e non avesse la zappa, o altro
istrumento di ferro, or non si affaticherebbe indarno ? Ovvero se con le mani
volesse cavarla, or potrebbela rompere ? Così chi vuole cavar la terra delle
Scritture per trovar Cristo, o s'affaticherà indarno, se non ha la zappa
dello Spirito Santo, o si romperà nella fede, se andrà col solo intelletto na-
turale. Adunque (conclude il nostro Dottore), fratelli, leggete le Scritture
fedelmente, umilmente e devotamente, se le volete intendere e trovar Cristo. Fe-
delmente, perchè se non credete, non intenderete. Umilmente, acciocché non ti
presumi del tuo ingegno, ma dimandi la intelligenza di Dio, secondo il consiglio
di San Giacomo. Se alcuno di noi (dice San Giacomo) ha bisogno di sapienza la
dimandi a Dio, il quale ne dà a tutti abbondantemente, e non rimprovera. Perchè
ogni sapienza è da Dio, e con quello fu sempre e innanzi al mondo. Corri alla
fonte, cioè al Signore Gesù, il quale è fonte di sapienza come è scritto: Il fonte
di sapienza la parola di Dio negli eccelsi. Devotamente, acciocché tu abbi l'animo
pronto ad operare, come leggi, acciocché provi in te medesimo quelle cose che
leggi; altramente, se leggi e non operi, si aggraverà il cuor tuo, e in te si adem-
(') V. San Tommaao, 1. c., cju. 117, art. 1.
— 437 —
pierà quel detto di Isaia: Udite, audienti, e non volete intendere, e vedete la
visione, e non volete conoscere ». (Gf. la pred. X sopra Amos.)
Se questo è soggettivismo, e soggettivisti non si deve essere, allora, bisogna
senza meno essere scettici e professare il nullismo assoluto in fatto di fede e
di obbedienza ecclesiastica e gettare a terra Cristo, la Chiesa ed ogni magi-
stero divino ed umano; bisogna distruggere semplicemente tutto 1' uomo. Se
l'esposta dottrina è soggettivismo, se è soggettivismo l'affermare che siamo
noi che vediamo quando il comando del superiore o la legge vanno diretta-
mente con Dio o il bene comune o contro, come poteva Fra Girolamo senz'es-
sere soggettivista intendere, per esempio, che Alessandro VI gli comandava di
lasciar la predica? Il comando era impossibile eseguirlo s' egli non lo precono-
sceva. Non è per necessità l' intelletto del Frate che doveva capir questo ? E
non lo doveva esso capire perchè così era significato ne'Brevi chiari ed aperti
che portavano espressa la nota della loro autenticità ? E questo lume che fa-
ceva vedere e intendere al Frate il comando del Papa, non poteva ancora esso
fargli vedere le verità della fede, se il Frate aveva da vederle e crederle? Po-
tremmo noi credere se non fossimo anime razionali? Certo no. Ma che vuol
dire aver l'anima ragionevole se non questo che, le cose che intendiamo e ve-
diamo, le vediamo noi? Senza dubbio il lume della verità è oggettivo, ma per-
chè noi lo vediamo dev'essere a noi presente, segnato sopra il nostro volto,
deve parteciparsi a noi, imprimersi in noi. Ora così proprio, e non altrimenti
intendeva la cosa Fra Girolamo; e perciò egli non poteva essere soggettivista,
ma doveva essere tutto il contrario.
Ditemi un poco: se un superiore ecclesiastico mi dicesse di non credere
all'obbligo dell' obbedienza che ogni fedele ha verso la Chiesa e il Papa, se mi
dicesse di non credere in Cristo, Verbo di Dio, di non credere nella Trinità, nella
remissione de' peccati, nella risurrezione della carne; se mi comandasse di non
credere nella presenza reale di Cristo nell'Eucarestia, di non confessarmi più
mai; se mi comandasse di lasciar la donna che ho in moglie, e pigliarne un'al-
tra, di non soccorrere il mio fratello che, senz' esservi condannato per giusta
pena, muore di fame...; ditemi, se mi comandasse tali cose un mio superiore
fosse anche il Papa, che gli dovrei rispondere io? Così semplicemente: Vanne
indietro, o Satana; non ti obbedisco; chè devo obbedire prima a Dio che a te.
E se egli mi invocasse allora l'autorità e la potestà ecclesiastica che cosa gli
dovrei rispondere io? Così semplicemente: L'autorità, la potestà ecclesiastica ti
è data non a distruzione, ma a edificazione della Chiesa, comandami ciò che è
bene e io ti obbedisco; ma non ti obbedirò mai quando mi comandi ciò che è
male, male evidentemente, perchè contrario agli aperti precetti di Dio.... E così
facendo sarei soggettivista? sarei ussita? Eppure qui chi vede tutte queste
cose sarei io col lume segnato sul mio volto. E così proprio insegna che si ha
da fare Girolamo Savonarola, così proprio, e non altrimenti. (')
(') Vedi la fine del capitolo antecedente.
— 438 —
Del resto se son condannabili le proposizioni su esposte del Frate di San
Marco, condannale anche le seguenti:
« La salute pubblica non è solo legge suprema, ma unica e totale ragione
della pubblica autorità.
« Le leggi non obbligano, se non in quanto sono conformi alla retta ra-
gione, e perciò stesso alla legge eterna di Dio ». (Leone XIII. Enc. sulla Que-
stione Operaia.) (*)
« Vi sono alcuni sommi mali e vi sono alcuni sommi beni. Sommi beni sono:
amare Dio, amare il prossimo, dir la verità, non commetter furto, non dire il
falso testimonio, non fare adulterio, ed altri molti, cui la brevità del discorso
nostro ci vieta numerare. Sommi mali sono le cose a queste contrarie e le si-
mili alle contrarie. I beni comanda Iddio che li facciamo, dai mali c' impone
che ci asteniamo. La santa ed incommutabile autorità di questo precetto non si
può ripudiare in alcun modo perchè è consegnata col carattere di Colui che
dice: Io sono il Signore e non mi muto. Se adunque queir uomo cui Dio im-
pose sopra il capo nostro, vorrà sentire altrimenti e convertendo le tenebre in
luce e la luce in tenebre fino a comandare che noi lasciamo i predetti beni o
assentiamo a' mali predetti, si deve audacemente ripudiare il comando di lui
e dirgli in faccia: E necessario obbedire piuttosto a Dio che agli uomini ». (San
Bernardo, Serm. XLI.)
« Mai per obbedienza non si deve fare il male ». (Gregorio, Morali, Gap. X.)
« Nessuno è tenuto ad obbedire nelle cose illecite ». (San Tommaso, Som-
ma Teol. P. II-II Qu. 104 a. 5 ad. 3m.)
« Quanto a quelle cose che sono di diritto naturale o divino, la giurisdi-
zione o potestà papale non si estende, in modo cioè che le possa mutare o
dar loro forza di obbligare; e la ragione si è perchè l'inferiore non può mu-
tare le leggi del superiore.... Vero è però che in tali cose che sono di diritto
naturale o divino, se v' è qualche dubbio, appartiene al papa 1' autorità di di-
chiararle ». (Sanf Antonino, Somma Teol. Uh. HI, Tit. 22, p. 1188.)
« Poiché non è impossibile che qualche precetto particolare dell'autorità
ecclesiastica sia evidentemente contrario alla legge divina, o si fondi sopra
qualche evidente errore di fatto; in questi due casi ci è lecito di disobbedire,
evitando però in ogni modo lo scandalo ». (Gapecelalro, La Dott. Catt., Lib. HI.
cap. IX.)
« Se alcuno de' superiori avrà fatto, o avrà comandato ad alcuno cose
vietate da Dio; o ne avrà trapassato o comandato di trapassarne qualche
precetto; si deve tirare in campo la sentenza di San Paolo, il quale dice: Se
anche una voce o un angelo in cielo evangelizzerà a voi contro ciò che vi
ho evangelizzato io, sia anatema. Parimente, se alcuno vi proibisce ciò che
(') l'or qucst' Enciclica ci to 1' edizione ruttano dall' Arcivescovo di Genova, Salvatore
Marasco, 1891 ■ Por 1' Enciclica sulla cristiana costituzione de;jli stati, cito l'edizione fattane
dal Cardinale <<• Alimouda, Torino 1885.
— 439 —
da Dio vi fu imposto; o di nuovo vi comanda di fare ciò che Dio vi vieta,
sia costui esecrabile a tutti coloro che amano Dio ». (Sant'Isidoro, Regist. nel
Decret., Part. II, caus. XI, Q. Ili, can. Si is.)
Se son condannabili le proposizioni su esposte del Frate di San Marco,
condannate tutti i cattolici che intendendo trattarono le questione presente!!
XXIX.
( brevi del 21 luglio e degli 8 settembre 1495
e relativa condotta del Frate.
Sommario.
Verità debitamente prorate. — Il nodo della questione. — Nostro timore. — Rispetto agli avversarj. —
Franchezza di cattolici. — Come procederemo. — La politica nella questione presente. — Natura
delle calunnie de' Politici al Pontefice contro il Savonarola. — Che si richiede a provar l'innocenza
del Savonarola. — L'accusa formnlata dal Pastor. — Il Breve pontificio. — Cose a posto. — Il Frate
non oppone ritìnto nè nella forma, nè nella realtà alla chiamata del Papa. — ■ Risposta del Savonarola
ad Alessandro TI. — Il Pastor non esaminò la questione. — Una pagina infelicissima del Perrens. —
Si esaminano le ragioni scritte dal Savonarola al Pontefice e si trovano vere e buone. — La infer-
mità. — Essa è nota al popolo Fiorentino assai prima dell' arrivo del Breve. — È manifesta e giu-
stifica il Frate. — Il pericolo d' esser ucciso. — La sicurezza al tempo del Savonarola. — La cru-
deltà e lo spirito di vendetta, che danno la mano alla scostumatezza. — L'assassinio del duca di
Candia e il Tevere paziente. — Passi chiosati. — Danno che la partenza del Frate poteva cagionare
a Firenze. — Come il Pastor mostra involontariamente che il Savonarola ha ragione. — La riforma
abbozzata. — I buoni cittadini vogliono il Savonarola in Firenze. — Sottoscriviamo la lettera del
Savonarola. — Il Savonarola soddisfa al desiderio del Pontefice. — Una domanda spontanea. — Il si
e il 110 veri entrambi. — Ragioni. — Il Breve pontificio degli 8 settembre 1495. — Alessandro VI
al Beato Sebastiano Staggi. — Sentenze del Pastor. — Espressioni oscure. — Cose dal Frate sapute
— Sentenze che danno scandalo alla brigata. — Il Savonarola non si può affatto chiamare disob-
bediente. — La causa affidata al Beato Sebastiano Maggi. — Fua lettera inedita di Alessandro VI.
— Prove giustamente richieste ai critici del Frate, e come non le possou dare. — L' opera del
P. Maggi in questa faccenda. — Il Savonarola fece da Sauto ciò che doveva. — Esame del Breve
pontificio. — Come sia ornai facile contentare i nostri lettori. — Il Savonarola non predicò eresia
alcuna. — La semplice predicazione delle cose future non è dogma perverso. — Quali profeti sian
da condannare. — Fra Girolamo non fu mosso a predicare il futuro dallo sconvolgimento d'Italia.
— Il Frate di San Marco non si disse assolutamente profeta, uè si valse della profezia a male. —
La missione profetica e i miracoli. — Il Savonarola non è reo della bestemmia appostagli. — Fra
Girolamo, Riccardo da San Vittore e Leone XIII. — Cose inette e scandalose il Frate di San
Marco nè disse, nè fece. — Accuse che esamineremo, ed accuse già esaminate. — Edificio senza
fondamento. — Come Fra Girolamo avrebbe fatto male eseguendo le semplici parole della sen-
tenza pontificia. — Buon zelo mosse il Savonarola a riscrivere al Pontefice. — Ragioni perentorie.
— Conclusione.
Ormai ci pare impossibile che altri voglia o possa tuttavia neppur dubi-
tare sulla cattolicità della teorica savonaroliana per ciò che spetta la gerarchia
ecclesiastica, l'obbedienza de' fedeli a' prelati e di tutto il popolo e clero catto-
lico al Pontefice Romano, le leggi canoniche e la scomunica; ci sembra anzi
che non possano avere più nemmeno 1' apparenza della verità le asserzioni
contrarie.
- 441 —
Ma con tutto ciò ci resta sempre molta via da percorrere, e una gran bat-
taglia da vincere, e una saldissima rocca da conquistare: rimane intatta, o
quasi, la grande questione: — A' retti insegnamenti, si tenne, in pratica, fe-
dele il Savonarola? Qui è veramente tutto il nodo della questione savona-
roliana: e, se dobbiamo confessarlo, noi, pure essendo pieni di fiducia, perchè
ci pare di veder chiarissima la verità, sentiamo tuttavia una specie di timore
quasi sacro ad affrontarla e dare al pubblico, prima del tempo che avevamo
stabilito e per modo diverso da quello che noi abbiamo sempre avuto nell'ani-
mo, la nostra soluzione. Gì' ingegni, gli spiriti eletti, anche amici e ammiratori
del Frate, che a questo punto hanno pronunciato altrimenti da quello che noi
crediamo si debba fare, sono tanti e tali che è impossibile a noi entrare senza
riserva alcuna neh' opposto campo, intieramente vuoto o quasi: nè sarebbe
senza audacia e presunzione e temerità. Il Pastor qui è davvero, almeno nella
sentenza definitiva, con una schiera assai numerosa degna della massima con-
siderazione e riverenza.
Ad ogni modo noi diremo francamente quanto ci apparirà vero, pronti
sempre a cedere, quando altri ci possa mostrare che ci siamo ingannati. Quello
che invochiamo si è solamente il trionfo della verità e della giustizia. Come
da principio, quando abbiamo cominciato a studiare nel Savonarola, così di
presente ci sentiamo tuttavia intieramente liberi e quasi indifferenti al sì ed al
no; e alla lode e al biasimo: e se alcuno ne dimostrerà che il Frate non ha
compiuto il suo dovere, noi lo condanneremo con quell' ardore col quale ora
ci adopriamo ad assolverlo.
A procedere con ordine esamineremo la condotta del Savonarola rispetto
alla chiamata a Roma col Breve de' 21 luglio 1495; (') iispetto al comando di
unirsi nuovamente alla Congregazione Lombarda, e di astenersi dal predicare
secondo il Breve degli S settembre 1495 e dei 16 ottobre dell'anno stesso;
rispetto alla ingiunzione di unire la Congregazione di San Marco con la Ro-
mana secondo il Breve de'7 novembre 1496; e finalmente ci occuperemo della
scomunica lanciatagli contro col Breve del maggio 1497. (2) Va da sè che risolve-
remo le questioni le quali si raggruppano a queste e da queste dipendono, e non
lascieremo di dire della celebrazione in pubblico de' divini misteri e della pre-
dicazione del 1498, e della prova del fuoco; e prima ancor di questa tocche-
remo la questione del preteso appello al Concilio. In ognuno di questi argo-
menti procureremo di pronunciare una parola decisiva; ma, formando essi in
qualche modo un sol tutto, bisogna, chi vuol giudicar debitamente, che si ado-
peri ad una sintesi finale.
In questo capitolo esamineremo la chiamata a Roma e le immediate con-
(') Per le mene degli Arrabbiati già si era tentato di togliere il Savonarola ila Firenze
e mandarlo a Lucca fin dal 1494; cfr. il Villari, pag. 853 e seguenti, e Guasti, lì Savonarola e
i Lucchesi, nuovi documenti, Firenze 1862.
(*) Pel giorno in cui fu pubblicata in Firenze la scomunica del Savonarola, vedi Ghe-
rardi, pag. 397 e segg.
— 442 —
seguenze di quella, esamineremo cioè i Brevi del 21 luglio e degli 8 settembre
1405 e la relativa condotta del Frate; ne' capitoli successivi tratteremo le altre
questioni.
Ma prima di entrare in argomento ci si consenta un'osservazione, che non
crediamo priva d' importanza. Molti scrittori, anche gravissimi e cattolici, come
lo stesso Pastor, nella lotta di Alessandro VI contro il Savonarola fanno pe-
sare assai l'elemento politico; e parecchi non dubitano di scrivere ed affer-
mare (e tien loro dietro il Pastor), che, ove la politica non fosse stata, il Savo-
narola non si sarebbe forse mai trovato in serio conflitto con Alessandro VI
(Pastor, pag. 347). Noi non siamo intieramente persuasi nè convinti che que-
sta sia tutta verità; anzi, almeno in un senso, crediamo che sia l' opposto; e ci
sembra qui di vedere aggravato di troppo il Borgia, il quale in vero, special-
mente dopo la pubblicazione del III volume del Pastor, non ha bisogno per
nulla che lo accagioniamo di colpe non certe. La politica entrò senza alcun dub-
bio nella guerra e nella morte del Frate ; anzi non esitiamo ad affermare che
essa fu cagione principale della ruina di lui, fu il suo vero nemico, il suo in-
giusto tiranno; ma senza troppa colpa di Alessandro VI.
I Tiepidi, gli Arrabbiati, i Palleschi, i principi, e segnatamente il Moro, eran
mossi da fini politici e scandalosi ad allontanar da Firenze e toglier di mezzo il
Savonarola; e perciò attorniarono il Pontefice e gli riempirono le orecchie e 1' ani-
ma di calunnie contro l'ardente flagellatore de' vizj de' potenti e sostegno della
morale e della libertà del popolo; contro colui ch'essi pertinacemente tenevano
qual prima cagione che attraversava i loro disegni e gettava a terra i loro cal-
coli. Ma le calunnie, che indussero Alessandro VI ad usar severe misure eccle-
siastiche, non volgevano intorno a cose estranee all' ufficio di lui quale Ponte-
fice; anzi riguardavano specialmente la salute delle anime, il dogma, la potestà
ecclesiastica, la stessa persona del Pontefice e quella de' cardinali. Insomma io
non sento il bisogno, per difendere il Savonarola, d' infamare Alessandro VI con
farlo procedere contro il povero Frate solo o quasi solo per fini politici. D' al-
tra parte che mi servirebbe l'aver provato anche all'evidenza che Alessan-
dro VI nel combattere il Savonarola era stato mosso da fini politici, e che al-
trimenti non lo avrebbe scomunicato affatto '?( )
(') Il prof. Carlo Cipolla (Archivio Veneto, voi. Vili, 1674, pag. 73) dice : « Lodovico il
Moro nemico di colui che rappresentava l'alleanza con Carlo Vili, intraprese nuove occulte
mene a totale ruina del Frate congiunto agl'interni nemici del Savonarola. Cercavasi di
porre inimicizia tra il Savonarola ed Alessandro. Lodovico sperava di ottenerlo (nè s'in-
gannò) per mezzo di suo fratello il Cardinale Ascanio. Certo è che Papa Alessandro non
poteva esser troppo amico del Frate; ma forse, se lo sue decisioni non gli venivano sugge-
rite, imposte da Milano, sarebbero state diverse ». Questo è vero, e già l'aveva notato tftiche
il Marchese; e il Cipolla, seguendo, lo prova egregiamente; nè è difficile oramai il farlo in
modo da non lasciar luogo a dubbio alcuno : perchè basta leggere i documenti intorno al Frate,
cominciando da quelli pubblicati dal P. Marchese e venendo fino a quelli pubblicati dal Cihe-
rardi. Ivi appai- chiaro di luce meridiana che i Brevi ad Alessandro VI erano fatti scrivere da
uomini politici per tutt' altro line che per zelo di roligione o decoro della sedia Apostolica!
Il Ui eve, per esempio, che chiamava il Savonarola a Roma era opera del Cardinale Ascanio.
Lo mostra la lettera (Del Lungo, Archivio Storico Italiano, nuova serie, tomo XVIII, parte 2 ',
— 443 -
Questo non dimostrebbe ancora che la scomunica è tutta ingiusta e per
ciò irrita e nulla! Al più la dimostrerebbe ingiusta per l'animo di chi la piO'
doc. Vili che il Cardinale stesso scriveva da Roma al suo fratello poco prima che il Breve
uscisse. Merita che la lessiamo intiera: «Illustrissime Princeps et Kxcellentissime Domine,
Domine frater et pater observandissime, Ho facto intendere a Nostro Signore quello mi
scrivo Vostra Excellentia circa al deputare un Vicario generale nell'Ordine di S.to Francesco
de le Zoccole, per il suspecto ha de frate Hieronymo. Lo quale mi ha risposto che, parendo
a la Ex.a Vostra, scriverà uno breve ad esso frate Hieronymo, io quale chiamerà qui, et poi con-
stituirà Vicario chi piacerà a quella; la quale potrà mandare in scriptis quelli li sono confi-
denti.... »
Cosi del pari, da on' altra lettera del Duca al Cardinale in data di Genova 25 rrarzo
1198 (Ivi, Doc. XXXIII), apparisce che questi, notisi l'espressione, « fece scrivere » al Papa
il breve che costrinse la Signoria a proibire la predicazione al Savonarola nella quaresima
dell'anno medesimo 1498. (Cfr. Cipolla, I. e, pag. 74.)
Ancora da un'altra lettera del Somenzi al Moro, pubblicata parimente dal Del Lungo
(ivi doc. XXX), si può argomentare quale sia l'origine della minaccia d'interdetto che Ales-
sandro VI fece alla città di Firenze, e che cagionò tanto male al Frate. Merita anche qui che
si legga intiero il Documento; imperocché la qualità degli alleati del Moro è luce per giu-
dicare quale zelo per 1' onore di Dio e la dignità della Sedia Apostolica doveva accender
l'anima degli avversari del Fiate, di molti di coloro che si scandalizzavano che il Savo-
narola predicasse dottrina eretica, non obbedisse al Papa, e poi non osservasse la scomunica.
« Li adversarii di questi frateschi, che sono li Disperati (cioè li Arrabbiati), me hanno
exortato a volere in nome loro pregare la E. V. che voglia dignarse de essere contenta
prestargli adjuto et favore per la via di Roma, acciò che la Santità de Nostro Signore per-
severi contro del Frate con fare interdire questa ciptà, attento eh' el non vole observare
la scomunica; perché dicono che ogni volta che la interdictione venisse, che levariano il
Frate da questa ciptà, et desti ugeriano tutta la sua parte che è alla devotione de Francia.
La qual cosa dicono cederla anchora a beneficio di Vostra Illustrissima Signoria, perchè
quella poteria poi disponere de questa Repubblica come di cosa sua... »
E anche qui, va senza dirlo, il Moro ottenne l'effetto abbondantemeute ! ! In verità
che non era del tutto falso né troppo esagerato il Malipiero quando scriveva ne' suoi An-
nali che, il Duca de Jlilan si gloriava, cosa spaventosa da dir, d' avere in Alessandro VI
un C'apelan ! ! ! E se ne volessimo altre di queste gioie care e belle, ricorrendo ai Nuovi Do-
cumenti, ne potremmo facilmente rendere i desideri nostri contenti e paghi. Eccone alcune
tratte dal Cappelli (Documenti tratti dall'Archivio estense in Modena relativi a Fra Girolamo
Savonarola ed alla Storia de' suoi tempi con sei lettere inedite di esso Frale, Modena 1869). Nel
Documento 162 leggiamo che l'Oratore milanese con data de' 21 agosto 1495 scriveva al
Moro, annunciandogli in tono di mestizia che i fiorentini avevano pur concluso e capitolato
con il Re di Francia, e notato fra le cause di questo « gli assidui stimoli di questo bene-
detto frate Hieronymo, il quale ha la città a suo modo », segue: «Ed in vero il Papa avria
pur fatto bene a levarlo di qua et averlo tatto andare a Roma... » E già in data de' 13 lu-
glio dell'anno stesso il Manfredi aveva pur da Firenze scritto al suo Signore duca di Fer-
rara, che l'Oratore del Papa, tentato invano di trarre alla lega i fiorentini, « è venuto sino
a ragionamento con essi signori, che fra Hieronynio... è quello che li tiene disposti e volti
in questa sua opinione, mordendoli destramente ch'egli non passa senza carico di una tanta
Repubblica qual' è questa a governarsi per ricordi e sugestione di un Frate.... Il detto ora-
tore pare che gli abbia ben caricato i panni alle spalle presso il l'apa, confortando Sua
Santità a chiamarlo a Homo, conoscendo che a questo popolo non si caverà altro che quel
che per lui sarà consigliato, per il che potrà seguire ch'egli sia chiamato a Roma... » Nè
s'ingannò il buon Manfredi; ma non passarono due settimane ch'egli poteva scrivere al
suo Duca, che il detto ambasciatore del Papa gli aveva mostrato un breve scritto da Sua
Santità al venerabile fra Hieronymo, che gli comandava di trasferirsi a Roma. Non ag-
giungo altro, ma sarebbe la cosa più facile del mondo mostrare, col Moro e gli Arrabbiati,
in congiura ai danni del Savonarola anche Bologna, Venezia, l'Impero... Taccio ili Pieio
de' Medici e del Cardinale fratello di questo e degli altri della sua casa e della sua parte.
Ognuno può da sè immaginare quanto dovesser brigare tutti costoro per rovinare colui cho
— 444 -
nunciava, dimostrerebbe cioè un peccato nel Pontefice, ma non l' innocenza del
Savonarola. A questo fine mi pare che sia rigorosamente richiesta, senza cu-
ritenevano prima cagione di tutto il loro male; e per metter quindi inimicizia e discordia
tra il Papa ed il Frate, tra il popolo Fiorentino e il suo Profeta. Dal momento che il Savo-
narola era creduto l'anima del nuovo governo, e che facesse tutto in Firenze, e che incitasse
e tenesse fermo il popolo a parte francese, politica contraria a quasi tutti i principi d'Italia, è
troppo facile capire che tutti volgesser contro di lui le armi loro e si adoperassero perchè
il Papa gli rivolgesse contro anche le sue. Così s' avverava quello che il Frate aveva già ripe-
tuto tante volte al popolo: che s'avrebbe dovuto combattere contro doppia potenza, tempo-
rale e spirituale.
La politica adunque, o, meglio, le trame de' politici furono la vera radice del male
del Frate: di questo è impossibile dubitare. Le decisioni del Papa.se non gli venivano sugge-
rite, imposte da Milano, sarebbero state diverse. Ma la questione non ista tutta qui. La San-
tità Sua per la salute comune, o per altri fini suoi, poteva benissimo essere contenta
di posporre e dimenticare, come diceva contrastando agli altri della Lega (Del Lungo,
doc. XXIX), le offese che gli eran fatte da un fraticello nella predicazione, e passar sopra
alle altre colpe di questo; poteva benissimo volere che la ragione e il benefizio pubblico
prevalesse all'onore e interesse suo particolare, ove nessuno l'avesse persuaso a fare il
contrario. Per ciò dal semplice fatto che il Papa fu mosso a pigliar le sue decisioni dai
politici, non ne deriva ancora che le decisioni ch'egli prese contro il fraticello non fosser
da questo ben meritate; perchè non è con ciò dimostrato che le offese e le altre colpe
di questo non esistevano. Imperocché non è da credere che il Moro e gli altri nemici
del Savonarola esponessero al Pontefice ragioni meramente politiche, e tanto meno è da
tener per vera l'asserzione gratuita o l'insinuazione di alcuni, che Alessandro VI con-
dannò il Savonarola solo per fini politici, pur sapendo che non si sarebbero potuti trovare
alla severa sentenza altri motivi, lo credo che i Brevi estorti al Papa fosser davvero giu-
stificati con mosti-area Sua Santità che il Savonarola professava teorie pericolose, predicava
un nuovo modo di vita, faceva cose inette, asseriva non doversi obbedire alla potestà ponti-
ficia; ch'egli era mandato da Dio e perciò non soggetto ai superiori ecclesiastici : che diceva
in pubblico male de' Prelati, de' Cardinali, e segnatamente del Papa....; insomma chiedevano
Brevi per ragioni ecclesiastiche, ben sapendo che altrimenti avrebber lavorato indarno. Que-
sto è provato dagli stessi documenti che abbiamo citati. Infatti noi sappiamo che il Moro
andava dicendo che il Frate predicava, contro i canoni, non doversi altrimenti obbedire al
Papa (Villari, voi. I, pag. CXXX V). E il Tancredino scriveva « che il Frate ha detto in pub-
blico, cioè predicando, come questo popolo non debba obbedire alla Santità del Papa.... e che
Sua Santità non era vero Papa ». (Del Lungo, doc. III.) Cosi del pari il cardinale Ascanio di-
ceva ad Alessandro VI che Sua Santità nella predicazione del Frate era detto ferro rotto.
(Ivi, doc. XXIX.) Parimente, nel documento 160 del Cappelli si legge che c l'Oratore del
Papa usa ogni diligenza in significare al Papa stesso i mali modi che tiene questo Frate
nel suo predicare a danno e gravezza di Sua Santità e di tutta Italia. E parimente, nel do-
cumento 162 or ora citato, il Somenzi dolendosi che il Papa non avesse levato di Firenze il
Savonarola, dopo le parole da noi riportate, soggiunge: € E tanto più che pubblicamente e'dice
peggio di lui che non si faria del maggior ribaldo del mondo, e pubblicamente in pul-
pito dice che presto la Chiesa si ha a mutare con la spada ». Perfino gli Arrabbiati nel chie-
dere l'aiuto del Moro per la via di Roma imbeccavano quell'astuto perchè a ottenere l'inter-
detto contro Firenze si facesse al Papa notare, che il Frate non osservava la scomunica:
« attento eh' el non vole observarc la scomunica ». Ne' brevi non sono mai accennate ragioni me-
ramente politiche: e si potrebbe con facilità dimostrare che quelle che vi sono espresse fu-
rono veramente persuase come verità di fatto al Pontefice. Quanto non era pervertita e
maliziosamente interpretata dagli avversarj del Frate la dottrina di Lui!! (Cfr. nel Quetif.
l'Addizione II, pag. 52 e seg.) Gli avversarj del Savonarola e presso i Piagnoni e presso il
Pontefice si eran fatti zolatori della verità, della fede e della morale cristiana, sostenitori
della Sedia Apostolica; ma non diedero semplicemente consigli da volpe ad Alessandro VI,
il quale con tutto questo seppe ognora tenere abbastanza distinta la Repubblica Fiorentina
dal suo Frate, e non si mostrò mai disposto di conculcare le cose pubbliche con le private. (Del
Lungo, doc. XXIX.) Anzi, ancho dopo che la Santità Sua ebbe prestato fede ai calunniatori
del Frate, non si lasciò trarre cosi subito dove essi volevano, nè precipitò punto la cosa: onda
- 445 -
rarci troppo di altri fini che potesser muovere Alessandro VI, la prova che le
cause e i motivi della sentenza sono inesistenti. In caso contrario il Savonarola
sarebbe sempre reo e meritevole della sentenza pronunciatagli contro. (') Noi in-
tendiamo di metterci per questa via, che ci pare 1' unica vera. Non lascieremo
tuttavia da parte intieramente la politica, chè non si può; ma ne trarremo
solo un aiuto indiretto, 1' unico che essa qui ci possa e debba porgere. Ciò po-
sto, veniamo subito all' opera.
L'accusa è dal Pastor, pag. 348, formulata cosi: « Il giorno 25 luglio 14-95 (2)
Alessandro VI scriveva al Savonarola un breve, tutto amorevolezza, nel quale
in virtù di santa obbedienza lo eccitava a portarsi al più presto a Roma a fine
di dar conto delle sue profezie, eh' egli affermava procedere da Dio. Il Savona-
rola rispose già il 31 luglio rifiutando; egli ammetteva bensì che il primo do-
vere del religioso è certamente 1' obbedienza ai superiori; ma l'essere testé
uscito da una gravissima infermità, e le insidie che gli avrebbero leso i suoi
nemici non gli permettevano muoversi senza manifesto pericolo: oltreché la sua
partenza da Firenze tornerebbe a rovina della città ». (3)
E sostenibile quest'accusa? Si deve qui condannare il Frate come disob-
bediente? ha egli qui dimenticata la sua teorica? Vediamolo.
Prima di tutto, affinchè possiamo ben giudicare, ecco il Breve letteral-
mente tradotto: (4)
quelli mostravansene scontenti. (Ctr. Cappelli, doc. 162.) Ma checchessia di ciò, crediamo di esser
nel vero ripetendo che la question nostra sta tutta qui: Dimostrare che il Moro e gli altri
persecutori del Savonarola carpirono ad Alessandro VI i famosi brevi, circonvenendolo con
mere calunnie; e che perciò i brevi si vogliono cassare per l'inesistenza de' motivi per i quali
furono scritti : si vogliono cassare, perchè non esprimono in nessun modo la volontà del
Papa che li ha segnati per false testimonianze.
(') Cfr. Decret. Sec. Part. Caus XI, quest. Ili, can. Episcopus colla glossa.
(s) Il Gherardi, e cosi il Bayonne, fissano la data di questo breve al 21 luglio, e cosi si
deve fare. Questa del Pastor riproduce una svista tipografica del Villari. (Cfr. Villari, I,
pag. 393 o pag. civ.)
(3) Anche qui si poteva forse tradurre in guisa un poco più blanda e meno cruda questo
passo. Invece di rifiutando si pot«va forse trovare in italiano un vocabolo un poco meno spre-
giativo. Ablehnend può rendersi iu uno scusandosi, evitando le cose, non accettando l'invito.
Ma questa è faccenda che il Pastor dovrà vedersela col suo traduttore privilegiato. Noi
giova ripeterlo, esaminiamo la traduzione italiana;, e ad ogni modo la sostanza resta
sempre la stessa, e a rigore non si potrebbe sostenere che non sia reso il giudizio del Pastor
volgendo Ablehnend in rifiutando. E poi più che ribattere le parole del Pastor noi ci siamo
proposti di mostrare la verità delle cose a molti che giudicano tuttavia pur troppo sinistra-
mente 1' ottimo Frate.
f) Togliamo questa traduzione dall'opuscolo più volte citato: II Savonarola e la in-
forma, V. a pag. 52.
I lettori possono veder anche il testo latino pubblicato dal Villari stesso ne' Docu-
menti al voi. I, pag. civ. A proposito adunque di questo breve bisogna fin d'ora rimettere al
posto alcune cose. Oltre al notare la letizia che il Pontefice piglia dello zelo del Frate, e il
lodar Dio del bene che fa questo singolare operaio della vigna del Signore, noi dobbiamo
rilevare ancora che Alessandro VI non chiamava a Roma il Frate in virtù di santa obbedienza a
fine di dar conto delle sue profezie; nè ad se purgandum, ma perchè, avendo egli udito che quello
che il Frate affermava dell'avvenire procedeva da Dio, credeva dovere del suo pastorale mi-
nistero discorrerne con osso lui, acciocché, conoscendo meglio quel che a Dio piace, potesse
poi praticarlo. Teniamo ben ferma questa cosa nella mente, perchè essa non solo mostra
- 446 -
« Diletto Figlio, salute ed apostolica benedizione. Noi udimmo da molti
come, fra tutti coloro che lavorano nella vigna del Signore degli Eserciti, tu ti
adopri con maggiore zelo: di che siamo altamente lieti, e ne innalziamo lodi
all'Onnipotente Iddio, che ha voluto concedere agli uomini tanta grazia. Nè
dubitiamo che tu possa coli' aiuto del divino Spirito, il quale dispensa le grazie
immortali, annunziare la parola di Dio al popolo cristiano e guadagnarne il
centuplo.
« Siccome in questi giorni sentimmo dalle tue lettere che tu eri di questo
intendimento e proposito, cioè che nelle tue predicazioni intendi d' istruire il
popolo su ciò che conosci concernente il servizio di Dio, e poiché ci è stato
riferito aver tu detto eziandio nei pubblici sermoni al popolo che quello che
pronunzi dell'avvenire non procede da te o da sapienza umana, ma da divina
rivelazione, desideriamo, siccome è dovere del nostro pastorale ufficio, discor-
rerne teco, acciò per tuo mezzo, meglio conoscendo quel che a Dio piace, noi
possiamo praticarlo. Così in virtù di santa obbedienza, ti esortiamo e ti co-
mandiamo di venir quanto prima presso di noi, che ti vedremo con paterno
amore e con carità.
« Dato in Roma presso San Pietro sotto l'anello del Pescatore il giorno
21 Luglio 1495, nell'anno quarto del nostro Pontificato ».
Ecco adunque: Alessandro VI esorta e comanda al Savonarola con tutta
amorevolezza di recarsi a Roma, perchè egli vuole conoscer meglio le predi-
zioni del Frate, il volere di Dio e praticarlo. (')
E il Savonarola che cosa fece? Secondo il Pastor rispose rifiutando. E
vero questo nella forma? Recisamente, no. È vero nella sostanza? Di nuovo,
recisamente, no. E per il Pastor avrei già finito; contentandosi egli qui di sem-
che il critico d' Innsbruck qui carica un poco le tinte, ma ci sari necessaria andando in-
nanzi e per questa e per altre questioni abbastanza gravi. E qui non possiamo fai a meno
che meravigliarci altamente del Grisar. dal cui articolo da noi citato togliamo quanto
segue: « Alessandro col Breve del 21 luglio 1495 invita in maniera cortese il Savonarola a
Koma e lo chiama con ragione a scolpami di sconcertare le menti e mettere in pericolo le unirne
con la sua pbbdioaziohe visionaria: propter qua- simplices liomines deviare a via sahttis et obedien-
tice sanclae Homanae Ecclesiae possent >. E trascrive queste parole dal Raynaldua ad à. 14S7S n. 19.
Non poteva il Grisar leggere da sè il llreve? si sarebbe allora accorto che le dette parole in
questo Breve non si trovano.
(') So bene che alcuni vorrebbero vedere qui in Alessandro VI una volpe astuta, e nel
Breve una trappola. Ma quali argomenti adducono che siano davvero convincenti? A me piace
semplicemente di credere ciò che il Breve mi dice, nè ho bisogno d* altro. Il Pontelìce, sen-
tendo che un famoso predicatore annunzia il futuro in nome di Dio e che le predicazioni di
lui riguardano direttamente la Chiesa e che la potente sua parola produeeva un grande mu-
tamento in Firenze e anche fuori, qual cosa più naturale ch'egli desiderasse di conoscere il
tutto con precisione? E ciò si capisci tanto meglio se si pensa che il capo della Chiesa an-
che entrava nelle profezie del che il Frate annunziava; e Alessandro VI non ora del tutto alieno
dall' intraprendere una riforma; perciò io credo che si possa tenere schietto anche il dire
che egli fa in questo Breve di voler praticare quello che conoscerebbe essere il volere di Dio.
Nat uralmente, se il Savonarola a Roma fosse apparso un impostore, non ne sarebbe ripartito
senza punizione; e questo devesi senz'altro intendere anohe se non espresso nel Breve. Ma
da ciò al dire che il Frate era chiamato a render conto, o a purgarsi, come altri espongono,
o come si disse poi anche in altii brevi pontifici', ci corre assai.
— 447 —
plici asserzioni, che può aspettarsi altro se non che gli siano contrapposte
altre asserzioni?
Ma se in tutto il nostro lavoro ci è premuto sempre molto di più, immen-
samente di più, della critica al Pastor, che appaia la verità delle cose, questo è
vero in modo speciale in questa che è la più importante parte dell'opera no-
stra e di tutta la vita del Frate di San Marco. Dunque ci segua il lettore desi-
deroso e vedrà se il Savonarola sia da condannare, o non piuttosto pienamente
da assolvere e commendare.
Girolamo Savonarola rispose al Breve pontificio con una assai lunga let-
tera l'ultimo giorno di luglio 1495: lettera che il Villari dice notevole per dove-
rosa umiltà e per nohile franchezza nello stesso tempo, (*) e addusse le scuse
per le quali non ottemperava subito al comando di Sua Santità. Diamo anche
di questa lettera la traduzione testuale esatta.
« Beatissimo Padre.
« Sebbene io sappia che si deve sempre obbedire ai comandi dei supe-
riori, essendo scritto: Chi ascolta voi ascolta me; so ancora che devesi piut-
tosto badare alla loro intenzione die alle semplici parole.
« Onde nel Capitolo : Si quando extra, De rescriptis, come la Vostra San-
tità conosce, abbiamo un rescritto di Alessandro III, vostro predecessore, al-
l'Arcivescovo di Ravenna, in questi termini: — Dopoché avrai esaminala dili-
gentemente la qualità dell' affare per cui ti scrivo, o adempi umilmente il nostro
comando, o colle tue lettere esponi le cause ragionevoli per le quali non puoi
adempirlo: perchè, se tu non avrai fatto ciò che a noi fu suggerito da prava
insinuazione, sopporteremo con pazienza. — Io pertanto, che già da un pezzo
desidero veder Roma non mai da me vista, per venerare !a soglia degli Apo-
stoli Pietro e Paolo e le reliquie degli altri Santi e la Beatitudine Vostra di
presenza, sono stato infiammato ora di maggior desiderio per l'occasione del
comando di Vostra Santità, che si degna chiamare a sè il suo minimo servo.
Tuttavia, perchè si frappongono molti ostacoli, cercherò di addurre a Voi le
scuse ragionevoli, perchè intendiate che non la mia volontà, ma la necessità
m' impedisce di potere al presente obbedire ai vostri comandi da me molto
volentieri e con riverenza accolti.
« Anzi tutto mi trattiene l' infermità del corpo, ossia la febbre e dissen-
teria che or ora ho patito. Dipoi, a causa delle continue fatiche di mente e di
corpo che ho intraprese specialmente in quest'anno per il bene di questa città,
sono talmente indebolito nello stomaco e negli altri membri vitali da non poter
sopportare più la minima fatica; ed anzi per consiglio dei medici mi è d'uopo
astenermi dalla predicazione e dallo studio stesso, e per comun parere di loro,
e degli altri tutti, se non userò gli opportuni rimedj, in breve mi troverò in
pericolo di morte. Ora poi, avendo il Signore per mezzo mio liberata questa
(') Villari, voi. I, i). 399.
— 448 —
città da non mediocre effusione di sangue e da molti altri mali, e ridottala a
concordia e sante leggi, mi sono diventati nemici, così in città come fuori, degli
uomini scellerati, tanto cittadini quanto forestieri, sitibondi di sangue umano,
i quali desideravano con sommo ardore levarsi in alto e farsi preda di questa
città e metterla in servitù; ma trovatisi delusi, s' irritarono sommamente con-
tro di me, e mi odiarono senza ragione: e spesso ancora hanno col ferro e
col veleno attentato alla mia rovina, talché, senza una buona scorta, non posso
sicuramente metter piede fuori di casa. E per questo, quando mi portai dal Re
di Francia, quantunque fossi munito di saldissima scorta, non tollerarono quei
cittadini che amano la propria Repubblica che io oltrepassassi i limiti della
loro giurisdizione. E sebbene confidi nel Signore, tuttavia, per non parere che
tenti Iddio, giudico espediente prendere le necessarie cautele, stando scritto:
Quando vi perseguiteranno in una città fuggite nelle altre. (4)
« Di più questa nuova riforma della città, che il Signore ha voluto fare,
ancora non ha ferme radici, e se ogni giorno non venisse rinforzata e perfe-
zionata, potrebbe facilmente incorrere detrimento e rovina per il perverso de-
siderio di uomini pessimi. Onde per giudizio di tutti i buoni e savi cittadini la
mia partenza sarebbe di danno grandissimo a questo popolo, mentre riusci-
rebbe costì di poco profitto. Credo che la Santilà Vostra voglia benignamente
tollerare questo indugio, finché sia ridotta a compimento 1' opera intrapresa,
per vantaggio della quale, io ne son certo, fu volere divino che nascessero
questi impedimenti al mio partire. Imperocché non è volontà di Dio che al
presente mi parta di qui.
« Ma spero che presto mi sarà concesso venire a Roma, secondo il desi-
derio di Vostra Santità, e con maggior soddisfazione del vostro apostolato.
Che se la Santità Vostra desidera farsi più certa delle cose da me pubblica-
mente predette intorno all' eccidio dell' Italia e alla rinnovazione della Chiesa,
potrà saperle pienamente dal libretto che or ora ho fatto stampare, e che,
quanto prima sarà compito, manderò a Vostra Santità, e da quello potrà udire
pienissimamente tutto ciò che potrebbe udire da me. Imperocché non mi è
concesso parlar d'altro infuori di quello che li si contiene, perchè esposi
solo quelle cose che mi furono comandate, quelle poi che devono restare nel-
1' arca, a nessun mortale mi è lecito rivelare. Quelle cose poi procurai di pub-
blicare in iscritto, perchè sia palese a tutto il mondo, se non avverranno, eh' io
sono un falso profeta; se poi accadranno come furono predette, si ringrazi
Iddio nostro Salvatore, il quale mostra aver premura della nostra salute, af-
finchè, se è possibile, non permetta che alcuno perisca in eterno.
« Finalmente prego la Vostra Santità ad accettare le mie tanto vere e ma-
nifeste scuse, affinchè siate persuaso che niente io più bramo che obbedirvi e
compiacervi, e non mi aggraviate sopra le mie forze. Io stesso, tolti i ragione-
(') Vangelo di S. Matteo, C'ai>. X, v. 23.
- 449 —
voli ostacoli, sarò a me di sprone quanto prima potrò soddisfare alla V. B.
alla quale umilmente mi raccomando.
« Dal Convento di San Marco di Firenze, 1' ultimo di luglio 1495.
«Della V. B devoto figlio e servo
« Fra Girolamo da Ferraka, dell' Ordine de' Predicatori » (*)
Dove trovate qui che il Frate rispondesse alla chiamata del Pontefice, ri-
fiutando? Avesse almeno il grande critico tentato di mostrare che queste del
Savonarola erano non già vere e manifeste scuse, ma semplici pretesti ! Ma,
s'egli avesse tentato un'impresa simile, era impossibile ch'egli ne uscisse a
buon termine e con l'intento; essendo invece agevolissimo il dimostrare che
il Frate aveva ragione perfetta di scrivere come fece. (2)
(') Togliamo anche questa traduzione dal citato opuscolo: Il Savonarola e la Hi/orma,
pag. 53.
{") II Perrens a questo luogo, si come in molti altri, appare infelicissimo. Dopo di aver
parlato dell'opposizione sorta contro del Frate, e del Breve che lo chiamava a Roma, dopo
di aver dato il sunto della risposta di quello al Papa, segue con una pagina che ha più er.
rori che periodi. Mi par degna cho il lettore la conosca: essa è segnata col numero 156.
« Sans entrer ici dans l'examen des raisons que Savonarole allégue poni ne pas aller à
Rome, on ne peut s'empécher de remarquer que celui qui sut si bien se dispenser d'obéir
est le méme qui recomniandait l'obéissance aveugle à tout religieux. Que devient l'autorité
pontificale, si chacun a le droit de peser l'ovdre avant de s'y soumettre? La raison humaine
serait sans doute ici pour le droit d'examen contro l'autorité; mais il semole que des catho-
liques ne devraient, pas avoir assez de blame pour Savonarole dans cette circonstance. En
vain prétendrait-on qu'il ne s'agit pas d'un refus d'obéir, mais simplement d'un requéte à
l'effet d'obtenir un délai: la suite de cette histoire répond pcremptoirement à une hypotése
si peu fondóe. Savonarole eut, dès le premier moment, l'intention bien arrétée de ne pas
se rendre à Rome, et par conséquent de méconnaitre l'autorité du saint-siége; mais on
peut dire, à sa décharge que les plus révérés docteurs de l'Eglise en avaient fait ou dit tout
autant. Saint Bernard réprimande vertement un certain moine, nommé Adam, parce qu'il
avait obéi à un ordre du pape, qui pouvait ètre la piene de scandale, et il disait que, dans
ce cas, l'obéissance était pire que l'homieide. Saint Thomas écrit, de son coté, qu'il fa ut
taire plus d'état du jngemeut de sa conscience que de l'ordre de son supérieur. Ailleurs, il
refuse au subordonné le droit de juger l'ordre du prélat, mais il lui accorde celui de juger
s'il doit obéir, parce que cela le regarde personnellement, et que tout homme doit agir sai-
vant sa raison. Ces opinions sont fort sensées, et, sur l'autorité de l'Ange de l'écolo, il n'est
pas permis de croire qu'elles ne sont pas catholiques; mais Wicleff n'eut qu'à généraliser et
appliquer à tout les cas ce que les docteurs restreignaient à quelques-uns, pour nier absolu-
ment l'autorité des évéques et la valeur de l'excomumcation, et pour .jeter les fondements
d'une nouvelle hérésie >.
Perchè rifiutarsi d' entrar nell' esame delle ragioni allegate dal Savonarola? Si tratta
forse qui d'una cosa di secondaria importanza per il personaggio di cui volete scriver la
vita? Dove avete poi trovato che il vostro Autore comandasse agli altri religiosi l'obbedienza
cieca nelle cose nelle quali egli credeva potersi o anche doversi disobbediro? Chi vi ha detto
che la teoria savonaroliana dovesse servire proprio solo per lui?! L'autorità pontificia non
si esercita sopra esseri insensati e irragionevoli, onde non esclude, ma richiede, che si conosca
la natura del suo comandamento. Che diverrebbe piuttosto l'autorità pontificia se i soggetti
la dovessero ciecamente obbedire cosi da non aver neppure la facoltà d'usar gli occhi per
vedere, quando l'ordine fosse evidentemente contro l'Evangelo, o la legge di carità, o con-
tenesse un manifesto, intollerabile errore?! È un'asserzione gratuita e senza fondamento
la vostra, quando dite ebe il Savonarola fin dal primo istante era fermamente deciso
di non recarsi a Roma e per conseguenza di misconoscere l'autorità papale; un'asser-
zione gratuita ed un' insinuazione contro la quale il Frate protesterebbe certamente,
29
— 450 —
L' infermità che adduce è talmente provata e vera che non può lasciar
luogo nemmeno all' ombra del più leggiero dubbio. Il Villari scrive che la ma-
lattia fu pel Savonarola una ragione assai legittima. Si trattava di una grave in-
fermità viscerale, (*) che, secondo i medici, ove egli non avesse sospeso lo studio
e le prediche, lo avrebbe potuto condurre alla morte. Già alcuni giorni innanzi
all'arrivo del Breve egli aveva annunziato queste cose al popolo, dicendo che
la sua malattia lo costringeva a interrompere la predicazione. Infatti nella
predica XXIII sopra i Salmi fatta a' dì 24 giugno e quindi più di un mese in-
nanzi 1' arrivo del Breve, egli diceva sul finire : « Io sono venuto qua questa
mattina per soddisfarvi; benché io mi senta pure male: vi prego che preghiate
Iddio per me che, se è meglio, mi levi via questo male ».
E poi nella predica successiva recitata a' dì 5 di luglio, esordendo sulla
necessità che s' aveva di ripetere il verbo di Dio, ripeteva ancora a' suoi Fio-
rentini : « Vedendovi di nuovo declinare al senso, sono tornato questa mattina
in campo. E benché mi fosse meglio il riposarmi per rispetto della infermità
nostra, pure confidandomi in Cristo, nel quale ho posto tutta la mia fiducia,
e con le vostre orazioni pregherete che mi faccia forte.... sono entrato nella
milizia di Cristo.... e sono pure ancora qua.... ». E più innanzi, quasi scusan-
dosi del modo insolito come predicava, dice: « Io mi sforzerò di andare pian
piano.... perchè il medico non mi dia la riprensione ». (XXVI sopra i Salmi.)
E nella predica fatta proprio a' dì 28 di luglio dice fin dal principio : « Io
predico questa mattina non già indotto dalla medicina, ma dalla carità, per-
chè se io guardassi al consiglio de' medici, io non predicherei, ma ho tanta
fede in Dio, e nelle vostre oràzioni, che mi fanno forte che io potrò predicare.
E non vi dirò stamani troppe cose sottili.... » (2) Sul finire poi aggiungeva: « Or-
sù, che vuoi tu fare, o Frate? Io concludo, che io ho tanto predicato, e sommi
tanto affaticato per te, Firenze, eh' io ho abbreviata la vita mia molti anni, e
sono mancato forte. Orsù, che premio vuoi tu? Io non voglio premio alcuno
da te, Firenze; ma te, Signor mio Gesù Cristo, prego, che tu mi dia quel pre-
mio che tu desti alli tuoi santi Apostoli e alli tuoi Profeti e alli tuoi altri santi
martiri. Signore mio, io te prego ogni dì; io sono contento che tu mi dia que-
sto per amore di questa città; sono contento morire per lei, la quale, Signor
mio, io ti raccomando e ti prego che tu 1' aiuti e che tu gli dia le cose che tu gli
hai promesse. Signore mio, io te ne prego per le viscere della misericordia tua,
come lo vedremo protestate contro le simili de' suoi avversari d'allora. Chi vi dice che, ove
le condizioni d' Italia fosser mutate e venute meno le ragioni eh' egli scriveva a Roma al
Papa, non si sarebbe quanto prima messo in viaggio?! Pei cattolici è poi ridicolo il tacciar
d'eretico, o di prossimo all'eresia un insegnamento fondato tutto sopra de' Santi Padri. Che
se non è permesso non dirlo cattolico, qual colpa potrà avere il Savonarola su Wicletl'o od
altri, guastandolo, pretenda di metterlo a fondamento di una nuova eresia e neghi l'autorità
de' Vescovi e del Papa, difesa strenuamente dal Riformatore fiorentino I
(*) Cfr. anche questo scrittore alla pag. 361.
(") E lo zelo lo tenne davvero sul pergamo abbastanza bone si che a mezzo la predica
quasi egli se ne maravigliava, pur sentendo che il malo lo avrebbe ripreso e che quindi avrebbe
dovuto stare un poco a curar la salute, ed esprimendo ora il duhbio di vivere ancora.
— 451 —
per la tua passione, per il tuo prezioso sangue, che per lei spargesti: io te ne
prego per i meriti de' tuoi santi Apostoli e per la tua dolce Madre: e pregoti,
Signore mio Gesù Cristo, che tu gli dia la tua benedizione; ch'ella ti sia sem-
pre raccomandata ». (l)
E quindi cessava affatto di predicare.
Ora, dopo tutte queste dichiarazioni fatte anche prima che gli giungesse
il Breve da Roma, e dopo le esplicite asserzioni non pure nella lettera ad
Alessandro VI, ma in altre e anche nelle prediche sopra l'Esodo, che vedremo
di sotto, chi può dubitar della cosa? Il Villari scrive senza meno che il Frate
portava scritto nel volto il suo esaurimento ed ognuno poteva vedere come a
fatica salisse le scale del pergamo. E cosi stando la cosa, chi poteva dar torto
al Frate s'egli eseguiva il consiglio degli amici e del medico e riteneva di non
poter allora intraprendere un viaggio alla volta di Roma e se ne scusava col
Pontefice che lo aveva colà chiamato? In nome di qual legge potevasi con-
dannarlo?!
La seconda ragione che il Savonarola recava era il pericolo di essere uc-
ciso per la via. Si può dubitare che non dicesse il vero? dobbiamo esaminare
anche questa asserzione ? Facciamolo, ma brevissimamente. Prima di tutto
non dimentichiamoci quali fossero i tempi che allora correvano, perchè questa
dimenticanza ci potrebbe nuocere non meno nel caso presente di quello che
nuocerebbe per le difficoltà materiali e i disagi del viaggio. Del resto il Pastor
a questo proposito, ci fornisce tali prove che ci resta bisogno di ben poco
altro. Già nel primo volume, narrando la Congiura di Stefano Porcari, l' illu-
stre storico d' Innsbruck avrà fatto fremere più d' un cuore nelle pagine
che seguono alla 110 parlando degli umanisti e del tirannicidio! Ora
nel volume che abbiamo per le mani ritorna da capo sopra quel truce argo-
mento. « Una grande rilassatezza del sentimento morale appare altresì dagli
omicidi che si commettevano perfino nelle chiese, taluni de' quali si congiun-
gono assai strettamente col rinascimento dell'antichità: i successori in anima
e corpo dei Bruti e dei Cassii, levati alle stelle dagli umanisti, uscirono in
molti luoghi all' aperto. Infame era pure l'assassinio per ragioni di Stato, uno
spediente cui, sopratutto in Venezia, si ricorreva onde sbrigarsi di nemici, sia
esterni sia interni. Con una disinvoltura sorprendente veniva di queste cose
discusso e deliberato nel gran Consiglio. L' assassinio era ammesso dal Go-
verno come un mezzo politico, talché il Pontano potè dire : « Nulla in Italia è
più a buon mercato che una vita umana ». E a pagina 78 leggonsi parole non
meno orribili. Dopo di aver detto della scostumatezza de' principi di quei tempi
(') Non è forse privo d'importanza il documento 85 del Cappelli: è il Manfredi che
scrive al suo signore e dice : « Questo oratore del Papa mi La fatto vedere questa sera un
breve che ha scritto Sua Santità al nostro venerabile Fra Girolamo, col quale gli comanda
che si trasferisca a Roma a ciò che lo intenda di quel che gli è stato Hcritto di qua, che sua
Paternità ha predicato che tutto quel che dice lo ha da Nostro Signore Iddio e si verifica
intieramente. Non so qual partito egli pigliela, imperocché a me ha detto in questi giorni
ch'ei non era in attitudine di andarvi per molti rispetti e capi ».
— 452 —
cose che fan parer vera la proposizione che queir epoca delle dinastie de'Ba-
stardi non prendesse quasi scandalo dell' origine dei Borgia, soggiunge: « Colla
scostumatezza si davano la mano crudeltà e spirito di vendetta » ; e narra
quindi feroci sanguinarie atrocità da restarne inorriditi anche gli animi più
duri, e che noi amiamo lasciare dove stanno. (*)
Ma non sappiamo tacere ciò che si legge a pagina 3:28. È noto a tutti il
misterioso assassinio del duca di Gandia, figliuolo prediletto di Alessandro VI,
avvenuto in Roma la sera del 14 giugno. Narrando questo fatto, il Pastor rac-
conta come dopo molte ricerche « finalmente il 16 giugno, per mezzo di un
mercante di legna schiavone, di nome Giorgio, solito di notte a far la guardia
al suo deposito di legnami presso 1' ospedale di sua nazione in riva al Tevere,
si venne sulle vere tracce del perduto. Richiesto il mercante su ciò eh' ebbe
ad osservare nella notte dopo il martedì, disse: — Si era verso le due di notte,
allorquando dalla via a sinistra dello spedale sbucarono due uomini, i quali,
spiato intorno con tutta precauzione, diedero poi volta. Di lì a poco nello
stesso luogo comparvero due altri, sbirciarono d'attorno, nè scorgendo anima
viva diedero un segnale. Dopo di che comparve un cavaliere, che seduto sur
un bianco destriere aveva a cavalcioni sulla sella un cadavere, il capo e le
braccia del quale spenzolavano da un lato, le gambe dall' altra, a dritta e a
sinistra sostenuti dai detti uomini. L'orrendo convoglio si portò a quel sito
della ripa del Tevere, dove si gettano nel fiume le spazzature. Quivi giunto,
il cadavere fu di tutta forza scaraventato nelle acque. Alla domanda del
cavaliere: Lo avete voi gettalo dentro bene? Benissimo, signore — , risposero
quei della comitiva. — I cinque individui, due de'quali tenevano guardia, scom-
parvero quindi in un'altra via che mette all'ospedale di San Giacomo ». Fa
correre un sudor freddo per V ossa questa deposizione; e si aspetta natura-
lissima la richiesta al mercante perchè non aveva denunziata la cosa al go-
vernatore: ma terribile oltre ogni dire è la risposta che quegli diede, e a
ragione il Pastor la dice « caratteristica per le condizioni nella Roma dei Bor-
gia: — Nella mia vita ho visto in quel luogo buttar nel fiume ben cento dei cada-
veri, senza che alcuno mai se ne curasse. — Dopo ciò nessuno credo vorrà dire
esagerato il Platina, se, parlando della Roma di quei tempi, scrive: « Nè la
notte, nè il dì, s'andava fuori della città sicuro »; nessuno avrà bisogno che
gli si narri l' aggressione avvenuta in Roma nella residenza medesima del-
l' ambasciatore fiorentino, perchè si creda senz' altro che il Savonarola non
esagerava quando scriveva al Pontefice che mettendosi in viaggio per Roma
correva egli troppo serio pericolo; egli che dagli avversar]' suoi (z) era cercato
a morte, nè poteva girar sicuro nella stessa città di Firenze, dove l* accom-
(') In vero che il Savonarola aveva ragione quando gridava ai principi d'Italia di far
penitenza, se volevano (uggire l'ira di Dio.
(2) Non mi soffermo a narrare e mostrare quali e quanti fossero gli avversar.]' e i nemici
del Savonarola, credo sia noto a tutti ed è troppo facile raccoglierlo anche dal complesso di
questo scritto, liei resto basta leggere un biografo qualunquo del Fiate o uno storico del
tempo per esser subito edotto assai bene della cosa. Noi ne diremo più oltre.
- 453 —
pagnava continuamente una scorta di armati suoi ammiratori ed amici. E
chi pensa che il Savonarola era accusato d' essere stato la cagione di tutto
il male de' Medici, e d'incitare il popolo a star con la Francia contro la Lega,
non si meraviglierà punto di leggere nel processo medesimo di ser Ceccone :
« Circa al non andare a Roma dico procede per non essere morto per la via,
o a Roma come era da Piero de' Medici, o dalla Lega, per essere io contra
al proposito loro ». (Villari, Voi. II, pag. clxij.)
Per le cose dette riescono chiosati, e d'una chiarezza che non chiede altra
luce, alcuni passi delle prediche del Savonarola. Il martedì dopo la quarta do-
menica di quaresima 1496, esponendo il Vangelo del giorno, giunto alle parole
che la turba rispose a Cristo quando gli disse : Tui hai il demonio addosso :
chi è che cerca d' ucciderti ? (*) .... dopo brevi osservazioni sopra la parola turba,
segue: « Voi, donne, non sapete voi come fanno costoro quando vogliono di-
fendere la verità? che quando non possono più difendersi cominciano a ve-
nire alle villanie: sicché questa turba cominciò a parlare con villania e dire
a Cristo: Tu hai il diavolo addosso; chi cerca di ammazzarti f Quasi che non
si sapesse, e si sapeva in pubblico, che cercavano ammazzare Cristo. Credi
tu che se fosse andato solo (parlando dico per via umana) che 1' avessino
giunto presto? Credi che 1' avrebbero ammazzato molto più presto; ma eglino
avevano paura del popolo che accompagnava Cristo. Cosi voi cercate di am-
mazzare: voi cercate, dico, di ammazzare il predicatore: eccene qua nessuno?
Tu dirai: oh! son fuori di Firenze. Io ti dico che son dentro e di fuora. Tu
dirai: oh! chi son eglino? No: e' non si va più in là, questo non bisogna ma-
nifestare. Vedi che il Salvatore quando gli scribi e i farisei gli dissero: chi è
quel che ti cerca ammazzare? poteva rispondere: sei tu: ma egli non lo volle
fare, perchè il popolo non gli andasse addosso ».
E poco più innanzi quasi ricalca le già gravi e recise asserzioni. Espo-
nendo il versetto 15°, coloro, dice, i quali erano della città di Gerusalemme
sapevano bene il secreto degli scribi e farisei, che volevano uccider Cristo,
perchè stando nella città sapevano le iniquità de' farisei ; ma quelli che veni-
vano di fuori della città alla festa non sapevano cosi le cose: onde, avendo
visto Cristo e uditolo predicare, si maravigliavano come si fosse sparsa la voce
che gli scribi e i farisei lo volessero uccidere, mentre ora non lo facevano: e
pensavano che fosser convertiti, perchè stavano cheti contro Cristo. Ma no,
soggiunge il Frate, costoro non lo sapevano bene; gli scribi e i farisei stavano
cheti per paura del popolo; ma il proposito di uccider Cristo l'avevano sem-
pre ». « Così, segue, ti dico io, che eglino stanno a pensare i modi come
possano fare, benché stieno cheti; ma essi hanno il cocomero in corpo, che
hanno paura del popolo.... »
E ancora più esplicito è nel sermone seguente, il XXIX sopra Amos e
Zaccaria: « Fatti inanzi, cattivo, che io ti voglio dire quella parola che io t1 ho
promessa, poiché tu non hai autorità da te, tu vai procurando che venga o sco-
{*} Vangelo di San Giovanni, c. VII, v. 20, e c. Vili, v. 48.
— 454 —
munica, o interdetto. Io il voglio dire: io 1' ho scritto a Roma, se a posta dei
cattivi s' ha a lasciare 1' onor di Dio. Tu procuri pur che venga perchè tu non
hai autorità da te a far quello che vorresti; perchè tu non hai fatto in modo
che tu debba averla. Che credi tu che facessero questi tiepidi, se venisse un
interdetto? Dicono: E' non sarebbe nulla se costui fosse levato di qua. Io vi
dico: Guai a voi se non fosse questa predicazione: non dico di me, ma dico se
non fosse altri che io in questa predicazione: guai a voi che procurate, che se
non fosse questo non sareste oggi in questo mondo. Guai a tutti voi altri del
popolo che se non fosse questa predicazione stareste ora peggio che tutti gli
altri popoli: procura adunque quanto tu vuoi e non credere che io mi ridica,
anzi ti dico che io sono parato a rimetterci insino alla vita. Or fatti in qua,
cattivo: io ti dico che l'Onnipotente Iddio cerca di farti misericordia: notabene
le mie parole: se tu non le vorrai accettare, guai a te e alla tua famiglia e ai
tuoi seguaci. Io ti dissi ieri in sull' Evangelo: vos quozritis me interfìcere: così ti
ridico: tu hai fatto congiura di ammazzarmi; io non 1' ho da uomo nessuno
questo, ma è così vero come te lo dico e ne sono certo: ma tu sei più obbli-
gato, prima dico a Dio, poi a questo instrumento, che a tuo padre e a tua ma-
dre. Notami bene; se tu non vorrai far fine alla tua congiura, guarda come ti
parlo, e ascolta le mie paiole: Dio m'ha dato questa licenza che io scriva i
tuoi peccati, e cosa che si vedrà che non si può sapere per via umana e che io
scriva la congiura e il modo che tu hai tenuto per ammazzarmi, e quello che
tu hai fatto contro alla tua patria. E che io faccia parecchie polizze suggellate
e le dia a certi buoni uomini e religiosi, non so già quante; ma io lo saprò,
le quali si abbiano a scoprire poi, quando tu avrai fatto qualche male, perchè
Iddio vuole poi che tu sia punito tu e tutti li tuoi seguaci e dicoti che io
n' ho già parlato con uno che credo sia qui alla predica; sì che io ho già co-
minciato a parlarne, e così seguiterò. Io t' ho detto altre volte che le pietre ti
manifesteranno e così ti ridico, se tu non desisti: io ti avviso per misericordia,
se tu non ti emendi a questa, guai alla barba tua. A me, se tu m' ammazzi, fa-
rai una gran grazia. Nani mihi vivere Christus est et mori lucrum: fa pure:
et quod facis, fac citius. Voi buoni, non abbiate paura nessuna, chè l'Onnipo-
tente Iddio ha deliberato che 1' opera sua vada innanzi ; e quando io fossi ben
morto, ne susciterà poi in un tratto più di sette maggiori di me; credete che
io sono un vile istru mento. Est potens est Deus suscitare de lapidibus istis fi-
lios Abrae: sicché non vi turbate di niente; e tu, cattivo, se io t'avviso che tu
capiterai poi male in questo mondo, io t'avrò poi a giudicare nell'altro. Io
ho pregato e prego per te, perchè ti voglio bene, e così pre-o voi che pre-
ghiate Iddio per questi cattivi e per noi che ci dia la sua grazia in questo
mondo e Dell' altro la gloria ».
Sottoscriviamo quindi già ora con doppia mano alla scusa verace che il
Savonarola faceva ad Alessandro VI: egli non solo esercitò un diritto, ma
compì anche semplicemente un dovere da buon cristiano.
Le ragioni esposte fin qui mi paiono così decisive e perentorie che quasi
crederei inutile l'aggiungerne altre. Pure, dacché Fra Girolamo aggiungeva
— 455 —
ancora fra i motivi di scusa il danno che ne sarebbe venuto a Firenze, però
non sarà inutile che esaminiamo con la maggiore brevità possibile anche que-
sta ragione.
Anche qui però ci viene in aiuto il giudice stesso del Savonarola. Questi,
forse involontariamente, ci reca la prova (se è vero ciò che scriveva a pag. 142),
che il Savonarola aveva tutte le ragioni di riscrivere come fece ad Alessan-
dro VI: anzi esse riescono una novella conferma dello zelo che lo animava per
il bene di Firenze: Ecco che cosa dice il Pastor: « 11 Savonarola aveva un vi-
vente sperimento che l'efficacia della sua predicazione sui fiorentini non era
guari profonda. Tosto che ei taceva, il vizio e la incredulità tornavano a galla. (!)
Ora proprio nelle prediche recitate poco prima dell' arrivo del Breve, Fra
Girolamo cominciava a compiacersi che la Riforma di Firenze fosse almeno
abbozzata, e insisteva perchè la si perfezionasse, e avvalorasse. (2)
« Io ho ritrovato, che la città di Firenze ora ha fatto ogni cosa sostan-
ziale, cioè rinnovata in tutto quanto alla parte sostanziale: e però vogliamo
fare nuove predicazioni. Tu sai che io ti dissi già che noi stavamo neh' Arca.
— Ben, credi tu, Padre, che la nostra Arca stia bene? — Si, io la veggo levare
più su alta ora ». Così nel sermone XXIV sopra i Saìmi, e nel XXV giunse
fino a chiamare beata Firenze che ha mutato governo e vivere, acciocché
piaccia a Dio. Ma aggiunge sempre che e quel governo e quel nuovo vi-
vere erano come un bambino cui bisogna assistere e allevare, e render forte,
aggiungendogli le cose che gli mancano. Ora essendo la sua parola, 1' opera
sua, lo strumento principale di cui si era valso Iddio per questa riforma, era
giusto e lodevole, era lecito eh' egli si allontanasse da quel popolo e lo la-
sciasse nelle mani di ribaldi, che volevano guastare ogni cosa? Se tosto che il
Savonarola taceva, il vizio e V incredulità tornavano a galla, che sarebbe suc-
ceduto s' egli si fosse allontanato da quella città? Per farlo bisognava adun-
que eh' egli venisse meno al più sacro e santo de' doveri non pure del predi-
catore cristiano, che aveva in Firenze operalo tanto prodigiosamente, ma an-
che del più inutile fra gli uomini, il dovere di curar la salute della anima sua
e del prossimo e di zelare la gloria di Dio. Si capiscono adunque le sollecitu-
dini de' buoni cittadini di Firenze, di quelli che amavano la Repubblica e la
nuova vita introdottavi, perchè il Savonarola non fosse allontanato da quella,
e si capisce assai bene che il Nardi diceva cosa tutta verità allorché scriveva
che « del partire del Frate per la maggior parte degli uomini si prese grande
alterazione, perciò che e da' magistrati tutti e dagli uomini di buona mente si
giudicava che le sue prediche fossero molto utili alla correzione dei costumi,
e necessarie a pacificare insieme gli animi discordanti de' mal disposti citta-
dini nel principio di quel nuovo governo. Per la qual considerazione, per opera
e procaccio di molti suoi devoti, massimamente dei Dieci di libertà e di pace,
(') Purtroppo insieme con la voce del Savonarola rovinarono molte delle usauze ch'egli
era riuscito a mettere in Firenze! Vedi sopra a pag. 151.
(s) Vedi sopra pag. 113 e seg.
— 456 —
fu procurato che il Papa rivocasse il sopradetto Breve, e così fu facilmente
ottenuto ». (')
E ognuno si aspetta come troppo naturali e spontanee le parole che Fra
Girolamo scriveva ad un religioso del suo ordine a Roma: « La Riforma della
città è ancor nuova, come quella della nostra Congregazione; ond' io son
certo, e tutti lo confessano, e così giudicano prudenti e giusti uomini, che la mia
partenza sarebbe causa di ruina della città e dei nostri conventi; onde costoro
credono eh' io non mi potrei partire con coscienza sicura ».
E questo è perfettamente conforme alla teorica del Frate: « Avendo noi
tutti comandamento da Dio della carità fraterna che ciascheduno abbia cura
della salute del suo prossimo; dicendo il savio nell'Ecclesiastico: Comandò
a ciascuno di aver pensiero del prossimo suo; quando io vedessi espres-
samente che il mio partire d' una città fosse ruina spirituale o corporale del
popolo, non obbedirò a uomo vivente, che mi comandasse che io mi partissi.
Sì perchè il suo comandamento saria contrario al comandamento divino, sì
perchè io presumerla che quella non fosse la intenzione del mio superiore;
sapendo che è piuttosto da obbedire alla intenzione della legge, che alle parole ».
La sua partenza adunque poteva esser cagione della ruina della città;
onde egli faceva semplicemente il suo dovere scusandosi presso il Pontefice, e
avrebbe mancato con fare altrimenti e servendo alle mene de' tristi. (*) Sotto-
scriviamo adunque anche qui con due mani alla lettera del Frate al Papa :
nè ci sia uomo ragionevole il quale osi oppugnarla e non chiamarsene contento.
Del resto crediamo non superfluo il fare ancora un' osservazione. Alessan-
dro VI non chiamava già semplicemente a Roma il Savonarola, ma gli diceva
ancora il fine per il quale lo chiamava: udire da lui stesso i vaticinj di lui,
de' quali eragli stato riferito fin qui da altri. Ora il Frate appaga completa-
mente questo desiderio del Pontefice ; imperocché, come gli dice nella stessa
lettera di scusa, gli manderà quanto prima il Compendio di Rivelazioni ch'era
proprio allora per far uscire con le stampe, nel quale si conteneva tutto quanto
il Savonarola stesso potesse dire a viva voce. Adunque, se il volere del
Papa era sol quello che è espresso nel Breve: udire e mettere in pratica ciò
che era piaciuto a Dio rivelare al suo servo; questo non richiedeva ora altri-
menti il pericoloso viaggio del Frate, e perciò, anche considerata la cosa sotto
questo riguardo, il Savonarola si governava prudentemente rescrivendo al Pon-
tefice, e nessuno lo può condannare come disobbedienle. La domanda del
Pontefice era in qualche modo soddisfatta. Se avesse questi voluto altre spie-
gazioni, potrebbe chiederle in appresso; ma intanto il Frate gli dava quanto era
in lui il dargli. E perciò poteva quietarsi nella speranza d'averlo soddisfatto.
(') Villari, nota I, pag. 355.
(z) Queste avevano por autori i principi d'Italia o segnatamente il Moro; e il Savonarola
non lo ignorava punto, come non no ignorava gli ultimi intonti. K cosa che non ci stanche-
remo di ripetere, perchè non dove uscire mai dalla mente dol lettore, se vuol poter giudi-
care rettamente.
— 457 —
E non pure il Savonarola, ma anche noi dobbiamo, pare a me, credere pia-
mente che l' intenzione del Pontefice fosse eseguita. Infatti da tutto quanto
abbiamo esposto si può credere che Alessandro VI volesse davvero, quando
gli fosser note le cose, che il Savonarola lasciasse Firenze? Il buon Frale non
la pensava cosi, e noi siamo d' accordo con lui e crediamo di essere perfet-
tamente dal Iato della ragione, come diremo per esteso ne' capitoli che se-
guono.
Ma già sorge spontanea in qualche lettore la domanda: — Che fece Ales-
sandro VI delle scuse del Savonarola? Le menò buone, o non ne tenne conto? —
Ecco: Alcuni dicono che il Pontefice accettò le scuse del Frate; altri invece lo
negano. Chi ha ragione? Forse hanno ragione gli uni e gli altri, ma prima gli ul-
timi, e poi i primi. Il caso è singolare, ma è anche vero. Io non ho difficoltà di
ritenere che il Pontefice non seppe nulla di queste ragioni del Savonarola; e
invece della lettera di scusa, si vide giungere semplicemente il Compendio di
Rivelazioni, o gli fu detto almeno ch'esso era divulgato per le stampe. In vero
che, ove così non si dovesse pensare, riuscirebbe assolutamente inesplicabile
il Breve degli 8 settembre 1495 indirizzato ai Frali di Santa Croce, poco amici
di quelli di San Marco, nel quale si dicono cose gravissime del Savonarola, e
si prendono e si minacciano misure anche più gravi contro di lui e de' suoi
Conventi.
Un cambiamento così repentino non è concepibile in un uomo della fred-
dezza e prudenza di Alessandro VI, nè anche se attorniato e pressato da tutti
i nemici del Frate. La sua longanimità qui rovinerebbe subito per intiero, e il
Breve presente sarebbe poco meno di un enigma, sia che lo paragoniamo al-
l'antecedente o a quello che gli venne dopo riguardo al Frate. Del resto noi cre-
diamo di avere anche qualche prova di questa nostra asserzione, mentre la contra-
ria forse è una semplice ipotesi, o meglio un frutto di confusione. 11 Savonarola,
rispondenda a questo ultimo Breve, là ove il Pontefice afferma che avendolo
chiamato a Roma, non gli volle obbedire, dichiarato esser ciò falso, scrive let-
teralmente: « Senza dubbio la Santità Vostra mi ha invitato a Roma con un
Breve, ma io mi son dato premura di esporle, secondo la regola canonica: Si
quando, de rescriptis, i giusti motivi che mi rendevano questo viaggio impossi-
bile.... Io mi meraviglio che la Santità Vostra non abbia ricevuto la mia risposta.
Onde ho avuto cura d'inserirne copia nel piego della lettera che il Convento
ha inviato ieri a Vostra Beatitudine, perchè veda Ella stessa che le hanno
detto il falso coloro che hanno sostenuto eh' io aveva ricusato di obbedire ».
E più sotto soggiunge ancora, che « uomini tristi hanno abilmente suggerito il
falso a Vostra Santità; e non Le hanno consegnato la mia lettera ». (')
Ora a me pare qui più che evidente non solo che Fra Girolamo non aveva
avuto risposta diretta da Roma prima del Breve degli 8 settembre; ma non
(') Questa lettera del Savonarola ad Alessandro VI è pubblicata dal Qnétif, Addizioni,
pag. 136, ma con la data erronea del 27 ottobre 1J97. La vera data ó il 29 settembre 1895. Cfr. Vii-
lari, voi. I, pag. 405, nota.
— 458 —
aveva nè anche in alcun modo avuto notizia della sua lettera, nè dell' effetto
che quella avesse prodotto sull'anima del Papa; e nessuno doveva avergli per-
ciò detto che questi aveva accolto le sue scuse e menate per buone le sue ra-
gioni. Imperocché in tal caso il Frate non avrebbe dovuto dire al Papa che
avevagli scritto, e maravigliarsi e lagnarsi che la lettera non fosse pervenuta a
quello, ma rammentargli la risposta ottenutane, e le assicurazioni avute, donde
che sia le avesse avute. Questo mi pare un argomento non vincibile, il quale
mi lascia almeno spiegare il Breve agro e forte seguito al Breve tutto lode e
carezze.
Forse alcuno mi obbietterà con le parole stesse del Savonorola, il quale
nella predica recitata a' 18 febbraio 1498, parlando della risposta al primo
Breve dice: « Egli (il Papa) accettò la escusazione molto bene ». Ma queste pa-
role non ci danno la minima noia. Infatti basta osservare che il Savonarola
(rispondendo al Breve degli 8 settembre) rinnova le sue ragioni, ed è sufficiente
alla verità delle parole dette al popolo nel 1498 nel fare la storia de'brevi, che
il Papa, come avvenne infatti, accogliesse V escusazione molto bene, allorché
conobbe tale escusazione. Così mi paiono conciliate le due opposte opinioni, e
di più chiarito in qualche modo uno de' punti più oscuri nella storia de' Brevi,
punto che ha spinto molti a veder nella condotta di Alessandro VI nuli' altro
che politica, anche là dove il Frate, come si vede dalla stessa lettera al Pon-
tefice, v' ammira lo zelo per la religione e per la fede.
Ma 1' argomento oramai chiede uno svolgimento maggiore, e che si vada
oltre, e che pigliamo in esame il secondo documento pontificio. In questo Breve
è scritto fra l'altro: « Noi abbiamo appreso che un certo Girolamo Savonarola
da Ferrara si è lasciato sedurre dalla novità di un dogma perverso ed è venuto
per queste commutazioni delle cose d'Italia in tanta insania da far credere al
popolo eh' ei sia mandato da Dio, e parli con Dio, senza alcuna attestazione
canonica, anzi contro le canoniche sanzioni. In vero non basta che altri affermi
solamente d' esser mandato da Dio, potendolo ciò fare ogni eretico, ma è
necessario eh' ei provi quell'invisibile missione con miracolo o con speciale te-
stimonianza della Scrittura. Inoltre egli osa proferire che Gesù Cristo Croci-
fisso mentisce s'egli mentisce; orrendo certo ed esecrabile genere di giura-
mento. Aggiunge ancora esser fuori dello slato di salute chi non creda alle
vane asserzioni di lui. E sappiamo di più eh' egli fa e dice e scrive cose inet-
te, le quali se passassero impunite, non vi sarebbe nulla che non potesse osare
la temerità de' falsi religiosi; e nel corpo della Chiesa, ciò che è sommamente
da temere, s' infiltrerebbero i vizj sotto l'apparenza di virtù. Noi abbiamo spe-
rato che la lunga nostra pazienza gli avrebbe fatto conoscere la follia della sua
professione di profeta, sì ohe volgendo egli un'altra volta il passo alla via della
salda verità, ritrattasse completamente e fedelmente le parole che a turbar la
Chiesa aveva temerariamente e iniquamente proferite. Credevamo che non do-
vesse esser lontano il giorno nel quale egli cangerebbe in allegrezza il dolore
profondo che ci ha fin qui recato la scandalosa separazione della Congrega-
zione Lombarda, che alcuni Frati con ingannevoli arti avevano da noi estorta.
— 459 —
Ma per contrario, non conlento di disobbedirci quando noi l'abbiamo chiamato
presso di noi, perchè potessimo intendere dalla sua stessa bocca la verità, ha
osato di pubblicare per iscritto le cose che aveva avuto la temerità di predi-
care ». (')
Questo dice quel Breve, e già cominciando il Pontefice aveva detto ch'egli
per 1' ufficio che gli era commesso doveva con ogni studio cacciar dalla Chiesa
la novità de' dogmi che sotto il velame di falsa semplicità sogliono spesso ge-
nerare nel popolo cristiano e nel clero scismi, eresie e sovversione di dogmi.
In conseguenza il Pontefice dichiarava il Savonarola sospeso dall'insegnamento
e dalla predicazione, mentre che la sua causa s' inslruirebbe davanti al Padre
Sebastiano Maggi vicario generale della Congregazione Lombarda, alla quale
venivano un' altra volta incorporati i due conventi di San Marco e di Fiesole,
ingiungendo a Fra Domenico, Fra Silvestro e Fra Tommaso Busini di recarsi
entro nove giorni a Bologna. Va da sè che quanto s' ingiungeva a Fra Girolamo
ed agli altri frati s'ingiungeva sotto pena della scomunica latae sententiae. Quindi
era condannata del Frate di San Marco ogni cosa e nulla più restava in piedi
del suo edificio.
Con questi ordini pontificj che cosa doveva fare il Savonarola? e che cosa
fece? « Con questi ordini pontificj » secondo il Pastor « era venuto pel Savo-
narola il punto decisivo di mutar condotta. Come prete e religioso era per giu-
ramento tenuto all' obbedienza verso il supremo capo della Chiesa, in qualun-
que modo come persona egli si comportasse e se anche fini politici agissero
sopra di lui. Il Pontefice del resto aveva secondo le leggi canoniche senza dub-
bio il diritto di prendere le disposizioni nel suddetto breve contenute » (p. 349).
Questo avrebbe dovuto adunque fare il Savonarola secondo il Pastor: obbedire
e non pensar ad altro. Ma nell'involuto e indeterminato parlare dello storico
d' Innsbruck bisogna distinguere e chiarire molte cose; e sopra tutto negare
un falso supposto. Alcune espressioni non si capiscono bene: che vuol dire
(') In Appendice a questo nostro lavoro pubblichiamo questo Breve seoondo la lezione
della copia favoritaci dal M. K. P. Giacinto Leca dei Predicatori. Di questo Breve il Ponte-
fice spedì un esemplare al Vicario Generale della Congregazione Lombarda ch'era allora
Sebastiano Maggi, servendogli anche contemporaneamente una lettera. Questa è inedita, e
sia per il suo contenuto, sia per le eccezionali qualità della persona a cui è indirizzata e sia
anche perchè, se ve ne fosse ancor bisogno, ribadisce la data che il Gherardi assegna al
Breve Quia divini C'onsilii, noi pubblichiamo anche questa in Appendice.
Alessandro VI non poteva scegliere un giudice migliore del Beato Sebastiano. Noi
anche da questa scelta argomentiamo che Alessandro VI non era mosso nè da odio personale
contro il Frate di San Marco, nè solo da ragioni politiche, poiché il Beato Maggi non poteva
essere uno de'molti i quali sotto la direzione del Moro tendevano trame all' ardente Riforma-
tore. Da tutto ciò si capisce che il Savonarola riscrivendo al Pontefice anche riguardo ai giu-
dici a cui affidava la causa, non intendeva di fare una questione meramente personale, si bene
una questione giuridica. Il Frate Ferrarese contava anzi fra quelli di Lombardia amici ed
ammiratori non pochi; e nel Compendio di Rivelazioni rispondendo al Tentatore che gli op-
poneva di aver egli procurato la famosa separazione per averne oariche e onori, nega che
ciò sia vero, e soggiunge a prova- « I miei fratelli Lombardi sanno che non mi sarebbe
mancato in quella Congregazione copia di onori e di quiete». Perciò è troppo chiaro ch'essi
non potevano volergli male e crederlo senz'altro un tristo.
— 4G0 —
per esempio, quando si afferma che era venuto per il Savonarola il punto de-
cisivo di mutar condotta? E verissimo che egli come prete e religioso era per
giuramento tenuto all'obbedienza verso il supremo capo della Chiesa; né que-
sto ha aspettato ad impararlo da noi, ma lo insegnava egli molto chiaramente, (*)
nè è men vero che non lo dispensava dall'obbedienza la vita del Pontefice, nè
anche se fini politici agissero sopra di lui.
Che il Pontefice possa chiamare a sè un religioso e togliergli la predica-
zione e pigliare le altre disposizioni contenute in questo breve, è cosa che
a nessun cattolico verrà mai in pensiero di negare, come mai fu negata dal
Savonarola stesso. Ma qui si tratta di venire al particolare: bisogna vedere se
le proposizioni generali vere, sian vere nel caso di cui si parla: (2j bisogna
vedere se proprio davvero il Savonarola abbia disobbedito, e non altro.
Potrebbe il Paslor od altri provarci vera questa proposizione, che il nostro
Frate disobbedisse? Io credo di no; e sono intimamente persuaso che il Frate
di San Marco questa volta non abbia davvero peccato nemmeno venialmente ;
ma che abbia operato da santo con zelo straordinario e con straordinaria pru-
denza e saviezza.
Prima di tutto io vorrei fare una semplicissima domanda ai critici del Sa-
vonarola: Che cosa per questo Breve pontificio degli 8 settembre 1495, do-
(') Infatti negli Scritti Inediti, chiosando iL XVII di Ezechiele dice reciso reciso che «i
prelati, i quali cercano l'appoggio de' principi secolari per non essere ripresi, corretti da'su-
periori e dal Papa, saranno dal diavolo tratti in inferno, e senza difficoltà vi saranno tratti,
perchè essi hanno infranto il patto e il giuramento secondo cui si strinsero al Papa al quale
devono render conto delle anime loro affidate >.
(2j Pur troppo alla causa del Savonarola nocque assai questo pronunciare semplice-
mente proposizioni universali e assolute: e già facevano questo gli avversari suoi men-
tr'egli viveva e predicava. Ma il Savonarola nella XXIX sopra Amos e Zaccaria paragonava
costoro agli scribi e farisei, i quali, non potendo negare il miracolo che Cristo aveva fatto
sanando il cieco di cui parla San Giovanni nel cap. IX del suo Vangelo, e pur non volendosi
piegale e convertirsi a Lui, ma durando nel proposito di perseguitarlo e ucciderlo, gli mos-
se!' l'accusa che non rispettasse il sabato: c Jvon e costui uomo mandato da Dio, che non guarda
la festa ». « Cosi fanno» soggiungeva il Savonarola, « questi tiepidi, e cattivi, che proferiscono
certe proposizioni universali, che sono in se vere; ma danno scandalo alla brigata, perche non
vengono al particolare, se le son vere in quel modo di che si parla ; come è a dire: Aon può
essere buono uomo chi danna le cerimonie ordinate da' santi padri antichi. Similmente dicono:
Non è uomo da Dio chi non obbedisce al Papa.
- Ma e' non vengono al particolare nel caso di che se ne parla; e vanno con queste propo-
sizioni universali ragunando gente, e fanno cene. Raguna quanto tu vuoi, chè l'onnipotente
Dio ha ordinato la sua verità in modo che vi sarà sempre qualcho uno che la difenda... » Ma
lostrano per il Savonarola si era che il cieco dovesse dare la sentenza egli. « — Che ne di' tu,
cieco, di costui che t'ha aperto gli occhi? — Che egli è il profeta ». (Ivi, verso 17.) Questo modo di
accusare il Frate tra cosi universale ed insistente, in ispecie nell'ultimo periodo della sua
vita, che riuscirono a persuadere anche la Curia di Roma che Fra Girolamo fosso un ribelle.
Infatti nel Breve di Alessandro VI alla Signoria con la data dogli 8 marzo 1493, pubblicato
dal Gherardi, pag. 191, si accusa appunto il Frate coinè se egli si volesse sottrarre sempli-
cemente alla potestà pontificia a cui tutti per voler di Cristo soggiacciono, e dicesse in ma-
niera assoluta di non poter egli venir legato da alcun vincolo pontificio; come se il Savona-
rola non conoscesse e predicasse molto apertamente che ohi nega alla Chiesa la facoltà di
legare e sciogliere si diparte totalmente da Cristo. Invero l'efficacia delle frasi e sentenze
generali a volte è terribile, anche so ingiusta!!
- 461 —
veva canonicamente fare e non fece Girolamo Savonarola? Il dispositivo delle
Lettere Pontificie si riduce tutto a costituire il Padre Sebastiano Maggi Vi-
cario Generale della Congregazione Lombarda a giudice di Fra Girolamo e
degli altri della Congregazione di San Marco, e ad ingiungere a questi V ob-
bligo d' obbedire a tale giudice con pronta e sincera obbedienza. Che
doveva dunque fare il Savonarola? Pigliar forse parte attiva nell' incorpora-
zione e nell' unione de' suoi conventi alla Congregazione Lombarda ? Sarebbe
questa una supposizione affatto illegale; anzi, avuto riguardo alla natura degli
ordini religiosi, e segnatamente del Domenicano, oserei di chiamarla anche
ridicola. Potrà dirsi che il Savonarola poteva, ove gli fosse piaciuto, insistere
umilmente presso i suoi superiori e presso il suo giudice perchè volesser deci-
dere presto la causa e toglier lui e i Frati suoi da quello stato in cui l'avevano
messo i calunniatori e i politici, presso il Pontefice; ma non era nemmeno a ciò
legalmente obbligato; ma in nessun modo si saprebbe dire che cosa potesse o
dovesse far egli per incorporare i suoi Conventi con la Congregazione, onde
erano stati da' Brevi Pontificj poco anzi separati. L'iniziativa, e per il Breve
Quia divini consilii, e per quello indirizzato al Padre Sebastiano Maggi, da noi
qui per la prima volta pubblicato, spettava assolutamente a questo Vicario della
Congregazione Lombarda. « A te » dice Alessandro nel Breve al Padre Maggi,
« a te affidiamo e comandiamo che, appena avrai ricevute le presenti lettere,
in virtù di santa obbedienza e sotto pena di scomunica, per la nostra e l'apo-
stolica autorità, tu citi il detto Girolamo e lo ammonisca che comparisca per-
sonalmente innanzi a te dentro un termine competente che tu stabilirai ». Il
Beato Sebastiano adunque doveva citare P accusato dove credeva, egli cono-
scer questa causa, egli pronunciar sentenza e dire che cosa avesse da fare
Girolamo Savonarola e gli altri Frati di San Marco e di Fiesole. Questi ultimi
si sarebbero qui potuti dire disobbedienti, contumaci e protervi solo quando
non avessero prontamente e sinceramente obbedito al loro superiore e al loro
giudice, al giudice inappellabile dato loro dal Pontefice, a colui al quale il
Pontefice ingiungeva ch'essi obbedissero; finché il Savonarola e i suoi Frati
non si fosser opposti alle decisioni di questo giudice, non si potevano in niun
conto avere come disobbedienti. Questo mi par chiaro di luce meridiana; e mi
pare di aver favorevoli tutte le leggi divine e umane e naturali e positive, ec-
clesiastiche e civili, e sopra tutto il buon senso. Ora, saprebbero coloro che
(') Ecco il testo dispositivo del Breve: « Ea piopter, quando nos reddendae universae
Italia; pacis, grandi ac laborioso opere detineamur, liane ipsam causam Fratri Sebastiano de
iladiis de Briria, Congregationis Lombaidiae Ordinis Praedicatorum generali Vicario de-
cemendam, judici.ndam, puniendamque secunduin vestii ordinis statuta commisimus per
literas nostras in forma Brevis, llieronijmo Savonarolae praedicto, in virtute sanctae obedien-
tiae, sub exeomunicationis latae sententiae poemi stricte praecipiendo, mandantes, ut Vica-
rium praedictum ad cognoscendam huiusmodi causam a nobis judicem deputatum prompta
et sincera obedientià recognoscat, illius mandatis ubilibet gentium se citaverit, omni cuncta-
tione et appellatone postposità, pariturus ». Cfr. anche nell' Appendice, la Lettera pontificia
al Beato Sebastiano Maggi, dove è detta anche più chiaramente la stessa cosa; cioè che il
Pontefice affida intieramente a questo religioso la causa del Savonarola.
— 462 —
condannano il nostro Frate dirci che cosa decidesse il Padre Maggi che non
sia stato eseguito dal Savonarola? Finché non ci abbian detto come il Beato
Sebastiano Maggi abbia esercitato il nuovo ufficio che il Pontefice gì' impose,
e mostrato che il Savonarola si ribellò alle decisioni di lui, la loro condanna
sarà sempre senza fondamento e campata in aria, o, alla men triste, ipote-
tica; e quindi ingiusta e non meritata dall'accusato, se è vero che nel dubbio
vogliono restringersi gli odj e allargarsi i favori, e deve tenersi prosciolto
ogni reo.
Ma sebbene la storia non narri (forse non piaceva ai nemici del Savo-
narola, che si narrasse) (*) come il Padre Maggi adempisse 1' ufficio suo di
giudice, tuttavia un indizio che egli eseguisse gli ordini pontificj credo si possa
avere, e credo anche di poter argomentare che la sentenza riuscisse piuttosto
favorevole che avversa al Frate di San Marco. Infatti il Becchi, nella famosa
lettera ai Dieci con la data de' 26 marzo 1496, nella quale parla tanto delle
mene degli avversarj del Frate per riuscire in Roma a farlo condannare e a
fargli togliere la predicazione, dice tra l'altro: « Secondo intendo, hanno man-
dato e fanno diligenza trovare certi processi che furono fatti a Bologna contro
a Fra Girolamo: e in tutto ha deliberato Sua Santità punirlo e castigarlo; e
qui dal Generale di San Domenico e molti altri religiosi dottissimi e di buona
vita e santimonia sono ragguagliati della intenzione e fondam ento di Fra Giro-
lamo ». (*) Potevano esser questi processi che si cercavano altri da quelli del
Maggi? E se si fosser trovati contrarj al Savonarola, si può credere ch'egli ne
andasse impunito, e che più nessuno ne parlasse? Ma noi abbiamo ne' docu-
menti che immediatamente seguono a questo, che non solo il Pontefice non
condannò e non punì il Savonarola, ma che restò assai bene soddisfatto circa
alle cose di Fra Girolamo; (3) il che a me pare possa aver in parte la sua
ragione appunto ne' processi di Bologna, che dovevano almeno essere stati ini-
ziati dal Beato Maggi. Certo, se questi processi fossero stati chiusi con la con-
danna del Frate, riuscirebbe difficile il capire come poi Alessando VI e gli
altri, li avesser messi in tacere per sempre.
E un altro indizio ho che il Padre Sebastiano dovette esser favorevole
al Savonarola col lasciarlo finalmente in pace nella Nuova Congregazione,
nell' aver il Pontefice rinunciato appunto all'idea di quest'unione. Il Pastor
(pag. 354) dice che vi rinunziò per le ostilità che regnavano fra le due Con-
gregazioni ; e non ha forse tutti i torti parlando così in genere: la lettera del
Torriani de' 15 novembre 1493 con cui sotto pena della scomunica impone
ai frati della Congregazione Lombarda di non molestare e infamare, come
facevano, quelli di San Marco, dimostra pur troppo che anche a questo riguardo
(') A Bologna vi era il Tancredino e più altri nemici del Frate i quali.se la sentenza del
Padre Maggi fosse stata contraria al Savonarola, certo non l'aviebber lasciata passare cosi
liscia. Ma invece non ricordo che ne abbìau mai fatto caso uè motto contro del nostro.
(*) Gherardi, pag. 141. 142.
(') Lettera del Becchi a' Dieci con la data dei 88 aprile 1496. Gherardi. pag. 143.
— 463 -
il Savonarola scriveva il vero al Pontefice. Ma questa medesima ragione avrebbe
militato assai più fortemente, come vedremo poi, per l'unione con la Congre-
gazione Romana. (l) Quindi noi non siamo alieni dall' opinare che a desistere
dal primo proposito il Pontefice fosse persuaso, come dalle ragioni del Savo-
narola, così anche da quelle del Maggi.
11 Maggi, che conosceva assai bene il Savonarola, avendolo avuto per
anni in quella Congregazione, come dovette rimanere quando si vide giun-
gere il terribile Breve pontificio! Chi può immaginare ch'egli lasciasse così
facilmente persisterà, per quanto era da sè, la grave e falsa accusa d' eresia
d'un superiore di conventi dell'Ordine suo, nemico sempre d' ogni eresia? E
soprattutto, chi riesce a capire che il Padre Maggi, degno veramente della con-
siderazione, della stima e della fiducia che il Papa riponeva in lui, uomo ve-
ramente, come il Vicario di Cristo lo diceva, probo, religioso e temente Dio, sì
che poi fu innalzato all'onore degli altari, non iscrivesse a Roma come stavano
le cose? In verità che non mi pare troppo ardita 1' induzione che a calmare il
Pontefice e a persuaderlo eh' eran calunnie le molte e varie cose della novità
del dogma e delle scandalose predicazioni di Fra Girolamo che gli erano state
riferite e che tanto 1' avevano commosso, dovette cooperare assai l' opera di
questo Santo Religioso. La scelta di un tanto giudice io penso che abbia di-
sturbato non poco le fila della trama che gli avversar)' del ben vivere e del
bene comune in Firenze tendevano al Savonarola, e mi penso che la rela-
zione del Maggi ad Alessandro VI non sia 1' ultima delle ragioni per le quali
quegli dettò, come vedremo, il breve de' 16 ottobre, che sospendeva il dispo-
sitivo di quello degli 8 settembre. Ci voleva proprio un Maggi a calmare l'animo
agitato di Alessandro VI.
Se ancora avessi un dubbio che 1' opinione da noi espressa che il Padre
Sebastiano Maggi finisse per dar ragione a Fra Girolamo, questo mi verrebbe
dissipato dalla predica XIX sopra Amos recitala la domenica terza di Quadra-
gesima dell'anno 1496. Infatti ivi, parlando il nostro Frate degli errori che
gli venivano apposti, e quasi sfidando i suoi avversar)' a venire, se volevano, a
discussione con lui e con i suoi, eh' egli era pronto a difendere la verità pre-
dicata per qualunque via piacesse e contro a tutto il mondo, coni' era pronto
a ridirsi ove gli fosse indicato un qualche errore, soggiunge: «Loro non hanno
però ancora trovato cosa nessuna falsa, che io abbia detta o scritta. Tu sai,
che tu hai scritto lettere: tu sai quel che tu hai fatto venire da Bologna; e poi
hai veduto in fine, che elle son tutte cose sciocche, e non hai potuto riprovarmi che
io abbia però nessuna falsità: credimi, se io non avessi detto la verità, che
avendo durato già tanto tempo, questa cosa saria ora andata per terra ».
Chi può mai esser altri o altro che si fece venire da Bologna se non il
Padre Maggi o il giudizio di lui intorno al Savonarola? E il dire che non si è
potuto riprovarlo e che non s' è trovalo eh' egli avesse falsità, che può voler
(') Gherardi, rag. 56-57. 11 Savonarola nell' Apologia scrive tra l'altro che la Congrega-
zione di Lombardia *longe mei i or est Itac Thusca conventuum reformandorum •.
— 464 —
dire altro se non che il Padre Maggi nel suo giudizio fu favorevole al Savona-
rola ? E forse questa opinione riceve altro conforto dalla lettera che il Savonarola
scriveva nel giorno della Natività di Nostro Signore, nel 1496, o si ritenga eh' essa
fosse indirizzata, come crede il Bayonne, a tutti gli eletti che dimorano a Bolo-
gna, o a quei Frati in particolare, come parve al Marchese che primo la pubblicò.
Certo è naturale il tono come di trionfo che in mezzo alle tribulazioni ha que-
sto scritto, come è naturale il ringraziare che il Savonarola fa coloro che, lon-
tani dal prender parte a coloro che lo perseguitavano, ne difesero, illuminati
dal vero lume, la sua dottrina in mezzo alla nazione degli uomini pravi. (')
Chi sa che il Padre Maggi, ben vedendo che Fra Girolamo non poteva
senza correr pericolo della vita recarsi a Bologna non andasse, ricevuta la let-
tera pontificia, egli stesso a Firenze; e veduto come stavan le cose, non con-
fortasse a persistere nella buona via colui nel quale, avendolo confessato più di
cento volte, come disse poi, non aveva trovato mai un solo peccato mortale? (2)
Comunque sia, dal detto sin qui ci par chiaro che i critici del Savonarola
non potrebbero in nessuna guisa dirci neppure una cosa di minima importanza
che per le lettere pontificie Fra Girolamo dovesse fare e non facesse; e quindi
in nessun modo lo possono ragionevolmente condannare. Ricerchino perbene
negli Archivj, e vedano di trovare che il santo giudice, deputato dal Papa, con-
dannasse il Savonarola e gli comandasse, come giudice cosa eh' egli non facesse
e lo condanneremo anche noi alla nostra volta; ma senza di questo nella que-
stione presente non si può, se non si voglia correr troppo rischio di commet-
tere una grave ingiustizia, condannarlo in nessun modo.
Vedo un'obiezione che mi si potrebbe fare: — Dalla lettera che Fra Giro-
lamo scrisse al Pontefice si potrebbe argomentare che egli non era pronto ad
obbedire al suo giudice, cioè al Maggi. — Ma anche questa obiezione sarebbe
gratuita e fatta per induzione illegittima e non secondo il diritto. Leggendo con
attenzione questo importantissimo scritto del nostro Frate e anche aguzzan-
dovi dentro la vista, non riuscirete a vedervi un molto che possa davvero
indicarvi che il Savonarola fosse assolutamente per disobbedire ai comandi
del Vicario Generale della Congregazione Lombarda ove il Pontefice avesse
persistito a volerlo giudicato da quello secondo i canoni e le costituzioni del-
l' Ordine e le altre buone leggi.
Il fatto poi di avere scritto al Pontefice, come fece, a me pare uno dei più
lodevoli e santi della Vita del Frate. Un uomo caparbio, conoscendo le origini
(') Vedi questa lettera nell'Archivio Storico, Appendice Vili, pag. 152-134, o nel Bayonne
Oeuvre* spirituelles cìioisies de Jerome Savonarole, Paris, 1880; voi. Ili, pag. 233-211.
(2) Cfr. Burlatuacchi, Vita di Fra Girolamo, Ed. cit., pag. 20, Année Vomenicaine, Lyon, 1891,
uiois de Mai, pag. r>96. Forse si potrebbe anche argomentare elle il Maggi difese il Savona-
rola da ciò che, morto quel santo, la guerra contro costui si fece più aspra. Il Pastor, il
Bohrbaohei e i piccoli Bollandisti (pag. 60) pongono la morte del Maggi nell'anno 1494; ma
errano certamente: il Papa non gli avrebbe più scritto nel 1496. Il Mento Sebastiano mori
ai 16 decembre dell'anno 1496, come si ricava dal processo esistente nell'Archivio del Gene-
rale dell' Ordine Domenicano X, 578. Anche il P. Bayonne la pone verso la line del 96. (Vedi
Elude, pag. 75). Ora sappiamo tutti come volgesse per il Savonarola l'anno 1497!
— 465 —
delle disposizioni pontificie e leggendo i motivi di queste, sarebbe stato fa-
cilmente preso da sdegno e avrebbe disprezzato gli ordini superiori e i superiori
stessi; ma il Savonarola per contrario, pieno l'animo di zelo per la vita e
la pace cristiana, pieno di riverenza per il Vicario di Cristo, scrive umilmente,
proprio come avrebbe fatto, mi pare, un gran santo, un santo di straordi-
naria costanza e virtù. Scrive umile, ma franco; ben sapendo che « colui il
quale non pronuncia liberamente la verità che bisogna liberamente pronun-
ciare, o non difende la verità che conviene difendere liberamente, costui è
traditore della verità ». (') « Non sono da udire coloro, siano uomini santi o
femmine, i quali, allorché è stata ripresa in qualche cosa la loro negligenza,
sì che eglino cadono in brutto sospetto, da cui pur sanno che la lor vita è
ben lontana, dicono basterà ad essi la coscienza presso Dio, e dispregiano la
stima presso gli uomini; essi agiscono non solo da imprudenti, ma anche da
crudeli, imperocché uccidono I' anima del prossimo, il quale o bestemmia la
via di Dio, perché secondo il sospetto loro, disapprova, come se fosse turpe, la
vita casta de' santi, o li imita scostandosi col loro esempio, non in ciò che
vedono, ma in ciò che stimano vero. Per questo ognuno che guarda la sua
vita dalle azioni brutte e delittuose, fa bene a sé: ognuno poi che guarda anche
la sua fama, è misericordioso verso gli altri. Imperocché la nostra vita è ne-
cessaria a noi, la fama nostra agli altri ». (2)
Del resto copia del Breve pontificio era giunta anche, per mezzo de'Frati
di Santa Croce, (3) al Savonarola; e perciò egli, scrivendo ad Alessandro VI,
compieva anche il dovere d' umile figliuolo di avvisare di ciò il Papa stesso:
era come un dar ricevuta del documento, e ciò facendo, anche per lo zelo che
animava l'animo suo di religioso verso la dignità del Pontefice, che vedeva ma-
lignamente circonvenuto, non poteva e non doveva astenersi dal dipingergli
bene le cose, come esse erano veramente e rispetto a sé e ai suoi Frati, e
alla Congregazione di Lombardia. Ove avesse ciò tralasciato, sarebbesi fatto
complice col suo silenzio delle ingiustizie dei nemici della verità e di Dio, e
dell' ingiusta sentenza che la Sede Apostolica avrebbe dovuto dare.
Non biasimo adunque si ha fin qui da attribuire al nostro Frate, ma lode,
e lode grande; imperocché egli di fronte al terribile Breve degli 8 settembre
si governò e obbedì come solo i santi sanno governarsi e obbedire.
Ma dopo tutto, anche se gli avversarj del Frate non volessero menarci
(') Decret. Part. II, Caus. XI, Quest. III. can. Xolite.
(•) Ivi, cari. Nonsunt. Cf. San Tommaso Somma Jeol., II-II, q. LXXIII, a. 2 e 3.
(3) Non teniam conto del fatto che il Breve non era indirizzato al conveuto di San Marco,
ma a (iuello di Santa Croce col quale il Savonarola non aveva nulla che fare. Noi crediamo
un poco cavilloso trarre quindi argomento che il Savonarola poteva non farne caso. Ci
piace piuttosto di creder ciò effetto di un semplice sbaglio di penna. Forse, chi sa? puteva
anche esser un modo per assicurarsi che davvero il breve sarebbe stato consegnato al col-
pito. I Frati di Santa Croce, avversarj di Fra Girolamo, non mancherebbero certo di conse-
gnarglielo e testimoniare della consegna. Comunque sia, il Savonarola lo ebbe; e sebbene
nella predica II sopra l'Esodo noti questo sbaglio, non pensò mai che il Breve nella volontà
del Papa dovesse andare altrove che a San Marco.
30
— 466 —
buone le ragioni fin qui esposte, che a noi paiono perentorie, come si senti-
rebbero essi di sostenere la verità de' motivi della sentenza pontificia, o l'as-
soluta volontà del Papa, anche senza di tali motivi, nel dispositivo della sen-
tenza medesima ? Imperocché dopo tutto, proprio questo, secondo ogni legge,
è rigorosamente richiesto per dichiarare il Savonarola disobbediente.
Dunque, prima di giudicar la condotta del Savonarola, si esamini al lume
della teoria da noi sopra esposta, il Breve pontificio e si procuri di conoscere
qual fosse veramente la volontà di Alessandro VI. Il rispetto della suprema
autorità lo consente;^) e la libertà de' cattolici invita a farlo con animo franco.
E il farlo riesce anche, per chi vuol conoscere il Savonarola, di una utilità assai
grande.
Questo Breve ha per la vita e la predicazione del Frate un' importanza
massima; i capi d'accusa ch'esso contiene già i nemici e persecutori di lui
glieli avevano lanciati contro, prima che quello fosse redatto, e non cessarono di
lanciarglieli dopo. Onde e nelle prediche e nelle altre opere egli fa le sue di-
fese continuamente, ampiamente. Si potrebbe dire che nella predicazione so-
pra Amos e anche in quella sopra 1' Esodo il Savonarola abbia per non ultimo
fine appunto questo, di mostrare al popolo eh' egli non è reo di tali enormi
accuse. (z) Perciò chi volesse qui tenergli dietro si dilungherebbe davvero as-
sai, e troppo più che non sia necessario al caso presente. Ma lasciando le
altre Opere del Frate e tenendo pur l' occhio volto alla lettera di giustifica-
zione in risposta al Pontefice e al Compendio di Rivelazioni, si potrà averne
luce che appaghi e quieti la mente in un retto giudizio. (3y
Ma chi potrebbe fra quelli che ci hanno letto fin qui dubitare che la Sem-
plicità della Vita Cristiana del Savonarola è tutta conforme alla morale del Van-
gelo, allo spirito de' Padri, e dei Dottori, de' migliori ascetici nostri, allo spirito
della Chiesa Cattolica? E del pari, chi, in qualsivoglia modo, può nutrire ancora
(lJ Vedi sopra il capitolo XXVIII in fine.
(') Né di tanto vorranno far le meraviglie o pigliare scandalo i buoni; pensino che i
politici con a capo il Moro con queste accuse volevano staccare dal Frate il Popolo Fioren-
tino e rovinare la riforma operata in Firenze, e capiranno subito che il Predicatore difen-
dendo se stesso difendeva la morale e il governo di Cristo. Piuttosto ammiriamo il grande
cattolico il quale nella difficile difesa, non se la piglia mai contro la persona investita della
potestà delle somme chiavi.
C) In questo Compendio i capi d'accusa che il Breve porta contro il Savonarola sono
esaminati tutti; e poiché quest' Operetta fu scritta prima del Breve, è già per sè una prova
evidentissima che i nemici del Frate già avevano divulgate le accuse, ed è anche una
prova, che non solo ad Alessandro VI non venne consegnata la prima lettera del reo, come
provammo a p. 457, ma ancora che questo Compendio fu messo in luce assai cattiva, e molto
diversa da quella che meritava. Imperocché, siccome Alessandro VI accettò poi le scuse del
Frate, cosi, so le avesse viste e lette, le avrebbe, è presumibile, accettate anche allora, e
non avrebbe in ogni caso segnato il Breve che segnò e con quella forma cosi aspra e sde-
gnosa, per fargliene seguire un altro abbastanza mite, pur non avendo nessuna ragione ve-
ramente nuova. Xon è forse inutile il notare chi-, sebbene paia elio il Pontefice condanni il
Frate per l'audacia che ebbe di divulgar perle stampe le cose che aveva predicate al popolo,
e per le quali era stato citato a Roma, tuttavia questo Compendio di Hicelasioni, quantunque
esaminato colle altre opere, non fu mai posto all' Indice.
— 467 -
il minimo dubbio intorno alla piena ortodossia della dottrina del Frate di San
Marco? La verità della fede cattolica: ecco tutto l'insegnamento del Savo-
narola. La verità della fede cattolica come sta nelle Scritture Sacre, ne' Pa-
dri, ne' dottori, nella tradizione, nella spiegazione della Chiesa di Roma; non
un iota di più, non un iota di meno. Dunque bisogna cassare questo motivo
di accusa e dir senza meno che a questo riguardo i tristi avevano davvero
riferito il falso ad Alessandro VI e calunniato diabolicamente I' Asceta dome-
nicano ! « Hanno suggerito », scriveva il Savonarola « a Vostra Santità eh' io
mi son lasciato sedurre dalla novità di un dogma perverso. Falsità evidente! Im-
perocché è di notorietà pubblica che io non accetto nè predico alcun dogma
perverso, ma unicamente la Santa Scrittura e i Santi Dottori, e che io ho
ripetuto molte volte dall'alto del pergamo, e l'ho dichiarato in iscritto, ch'io
sottometto la mia persona e tutto quello che mi concerne alla Santa Chiesa
Romana ».
Si dirà forse che era un nuovo dogma, un dogma perverso, il predicare
le cose future?! Il Savonarola risponderebbe negando. « Questa predicazione
ha esistito sempre nella Chiesa di Dio; nè è punto di nocumento alla religione
cristiana, solo ch'essa non offenda la fede, nè i buoni costumi e la ragion natu-
rale; e non fu mai vietata, nè si potrebbe vietare per una legge assoluta. Sa-
rebbe un porre la legge a Dio, il quale ha detto per bocca di Amos al
capo III: Il Signore non realizzerà il suo disegno, se non dopo avere rivelato il
suo segreto a' profeti suoi servitori ».
Solo adunque perchè il Savonarola predicava, insieme colla semplicità
della Vita Cristiana e la verità della fede cattolica, anche il futuro flagello e la
riforma consecutiva della Chiesa, non si meritava condanna alcuna. Per con-
dannarlo bisognava eh' egli parlasse di suo capo, che fosse un falso profeta, e
le cose da lui predette in modo assoluto non si fossero verificate nel tempo da
lui medesimo determinato. Ma chi potrebbe asserire o anche semplicemente
sospettare che qui si era proprio nel caso?
« Del resto, se le cose che Dio rivela a'suoi servi si dovessero ognora tenere
nel secreto dell' animo nostro, ne seguirebbe » dice il Frate nel suo Compendio,
« che Mosè, Isaia, Geremia e gli altri profeti sì del Vecchio e sì del Nuovo Te-
stamento avrebber fatto male a predicare al popolo le loro rivelazioni e a la-
sciarcele in iscritto. Inoltre avrebber fatto male del pari molti eremiti, e così
anche il beato Benedetto, il beato Vincenzo dell' Ordine de' Predicatori, la
beata Caterina da Siena, Santa Brigida, ed altri innumerevoli santi le profezie
e le divine rivelazioni de' quali si leggono in molti libri, avrebber fatto male
ugualmente a manifestarle. Hassi adunque da confessare che siffatte cose non
si vogliono propalare se o da Dio stesso non ci sia comandato, o la carità dei
prossimi, con del pari l'avviso di Dio, non ci costringa a farlo; per la qual cosa
tutto il popolo di Firenze sa eh' io non parlo di queste visioni se non in pub-
blico, nè più di quanto mi è permesso o comandato; ma in privato o non mai
o raramente comunico tali cose, salvo qualche volta sotto il sigillo della fede
ad alcuno de'miei famigliari. Finalmente credi a me che io ritengo molti parti-
— 468 —
colari riposti nel mio cuore, i quali non li ho mai traiti fuori, nè son per trar-
li, se Iddio non m' inspirerà altrimenti ». (')
Ma egli nel breve, è soggiunto, era venuto a una simile demenza di spirito-
per le grandi mutazioni che avevano messo sottosopra l' Italia. (2)
(') Qui può avere la sua risposta anche il Grisar, il quale, nell'Articolo citato, scrivé-
clie il Savonarola «si servì alla follia del dono profetico ».
(2) Quest'accusa, se si sta alla forma, è una di quelle che hanno almeno grande appa-
renza di verità; ma non, regge punto, se si bada alla sostanza delle cose e alla realtà; e
può in ogni modo dimostrarsi storicamente falsa. Studiandola un poco, si capisce del
pari che il Savonarola non se la meritava. Nel Compendio dove, come già abbiamo notato a,
pag. 19, si legge un po' di storia della predicazione del Frate, il Savonarola con riguardo
speciale alle profezìe, ci dice che già nel Calen d' agosto 1489 cominciò nella Chiesa di
San Marco ad interpretare pubblicamente l'Apocalissi; e predicando per tutto quell'anno
al popolo Fiorentino propose incessantemente tre cose: Primo, che doveva di questi tempi
farsi la rinnovazione della Chiesa; secondo, che Dio manderebbe un grande flagello a tutta*
Italia prima di tale rinnovazione; terzo, che queste due cose sarebbero presto. Ma queste tre
conclusioni si sforzava di provarle e persuaderle altrui con argomenti tratti dalla ragione e
dalle Scritture e con similitudini e parabole, dissimulando ch'egli n'aveva ricevuto cogni-
zione da Dio anche per altro modo; perchè gli pareva che gli animi allora non fosser ben
disposti a ricever l'arcano. Poi, negli anni successivi, scorgendo le menti meglio preparate
a credere, disse di tratto in tratto alcuna visione: ma senza però aprirsi intorno alla na-
tura profetica di quelle; ma recitandole semplicemente per modo di parabola. Finalmente,
vedendosi contradetto e deriso da uomini d'ogni condizione, deliberava di cessare affatto
da queste cose, e propose fermamente di predicare diversamente. Ma non poteva, come
egli dice. E nell'anno 1490, predicando nella Chiesa di Santa Separata, fermò il propo-
sito di sopprimere la predica già composta per la seconda domenica di quadragesima,
ch'era sopra alle sue visioni, e di tacere per sempre sopra di esse; ma pure affaticandosi
tutto il giorno del sabato antecedente e vegliando tutta la notte prossima sino alla luce,
non potè affatto riuscire a mettere insieme niente altro; anzi dice esplicitamente che gli
era sottratta ogni dottrina fuori che questa delle visioni, nè si potè affatto volgere ad
altro. Sul far del giorno finalmente, mentr' egli, stanco della lunga veglia, pregava, udì
una voce che gli disse : Sciocco che tu se', e non vedi tu che Dio vuole che tu enunci in
tal modo queste cose? Perciò egli fece quella mattina stessa una terribile predica. Fin qui
adunque il Savonarola non appoggiava le predizioni che faceva se non con argomenti tratti
dalla Scrittura, o con ragioni o con parabole; e ciò, dice, per l'indisposizione del popolo. Ma
nella primavera successiva cominciò a mostrare ch'egli aveva queste cose future per altro
lume che non per sola intelligenza della Scrittura; e finalmente, messosi ad asserire anche
più chiaro la cosa, pronuncia letteralmente le parole come a lui divinamente inspirate. Da
tutto questo è assai facile il capire che i nemici del Frate avessero bel giuoco a presentarlo
ad Alessandro VI come esaltato per gli avvenimenti che avevano turbata l'Italia, ed è più
facile ancora il comprendere il motivo del Breve. Imperocché, notatelo bene, il Savonarola
non è qui condannato per le cose predette, ma perchè, dopo il turbamento d' Italia, aveva
osato d'affermare ch'egli era mandato da Dio e parlava con Dio. Ora tutta la questione, se
vogliamo dar ragione in realtà a Fra Girolamo, sta qui: Vedere se egli avesse, prima delia-
venuta dei Francesi, non solo predetto la rinnovazione della Chiesa e il flagello e le altre
cose che si leggono nel Compendio, del che non si può dubitare, ma se avesse in qualche modo
coscienza ch'esse erano da Dio, e lo avesse detto ad altri. Il solo Compendio di Rivelazioni e
le altre opere posteriori non hanno a questo riguardo valore se non per chi vuol credere al
Frate e potrebbero non bastare per i protervi.
Ora, che si deve qui affermare ? — Che la testimonianza anteriore 1' abbiamo, e abba-
stanza esplicita, non solo nei biografi del Frate, ma anche nelle Opere di lui, per esempio
nella lettera a Domenico da l'escia con la data de' 10 marzo 1490. Questa lettera mostra aper-
tamente, se non lo sapessimo per troppe altre prove, che Fra Domenico da Pescia era uno
de' famigliari a cui il Savonarola confidava lo sue visioni. Anzi è un testimone chiarissimo
che già il Savonarola aveva come da Dio tutto il suo programma profetico, oche per volere
<ii Dio lo manifestava. Fra l'altro, parlando appunto delle sue predicazioni scrive: « Spero nel
— 469 —
Ma, ecco soggiungeva il Frate, un' altra falsità: « Ognuno conosce che son
^già più di cinque anni ch'io ho predetto queste cose; e forse già son più di
•dieci anni che ne parlo. Onde io non venni a tale in conseguenza de' rivolgi-
menti che or ora successero in Italia ».
E questo è davvero tanto noto, che anche il Pastor non dubita di scrivere
che già « nella quaresima del 1485-1486 recitata nella piccola terra di San
Gemignano posta sui monti di Siena, osò egli la prima volta manifestare il suo
programma profetico, il suo grido di guerra nelle tre celebri parole: 1° La
Chiesa sarà flagellata; 2° E poi rinnovata; 3° E ciò sarà presto ». (Pag. 124.)
E il Frate ripeterà cento volte almeno al popolo di Firenze quanto si legge nel
Compendio, « ch'egli aveva cominciato a predir le cose quando non era ancora
alcun sospetto di guerra o di simil cose, e però molti allora lo credevano uomo
grosso e ingannato per troppa semplicità; dopo, vedendo che a poco a poco
le cose si verificavano, lo dicevano astuto ». (')
Insomma qui non abbiamo affatto bisogno di dilungarci per mostrare, an-
che a chi non lo vuol vedere, che il Pontefice era stato circonvenuto e male
informato dai nemici del Savonarola, e che perciò il suo Breve supponeva quello
■che non era in nessun modo la verità. Del pari, non è esatto che il Savona-
rola si dicesse semplicemente mandato da Dio e profeta. « Tutti i miei uditori, >
scriveva egli « sanno che io non ho mai detto una cosa simile; io ho dichiarato
ne' miei scritti, de' quali ognuno può prender conoscenza, ch'io, come ogni al-
tro de' predicatori, ero mandato da' miei superiori; nè ho mai preteso d'essere
mandato solo da Dio, come possonlo certificare più migliaia di testimonj. (8)
Così non un uomo al mondo ha mai inteso che mi fuggisse di bocca quest'ar-
rogante parola: io sono profeta; ma per contrario molte migliaia di uomini pos-
sono attestare, eh' io ho dichiarato spesse volte di non essere nè profeta, nè figlio
di profeta » .
Ma del resto, anche se Fra Girolamo avesse detto ch'egli era profeta, qual
pena per ciò solo poteva egli meritarsi? qual pena si merita colui che dichiara
di pronunciar le cose avvenire per ispirazione divina? Nessuna, se egli non se
ne faccia un manto per eccitare il popolo al male, all' eresia, o a commettere
gli altri delitti di cui si parla nel capitolo VII del Deuteronomio. Ma al Savona-
rola è manifesto che non si può rimproverare nulla di simile. Dunque, se non
si vuole bandire dalla Chiesa di Dio il dono della profezia, il nostro Frate non
merita assolutamente pena alcuna. Egli non s'era servito mai del nome di pro-
feta per mettere il disordine e la guerra nelle città e turbar il popolo, ma faceva
Signore che per la bocca nostra farà gran frutto; perchè egli ogni giorno mi consola; e
quando ho poco animo mi conforta per le voci de' suoi spiriti i quali spesso mi dicono: Non
temere: dì sicuramente ciò che Dio t'ispira, perchè il Signore S ceco: gli scribi ed i farisei con-
dro a te combattono ; ma non vinceranno •.
Quindi si fa manifesto che il Savonarola aveva ragione di riscrivere come dicemmo
.nel testo, e che anche qui il suo pensiero era falsato da' suoi persecutori.
(1) Vedi anche la Lettera ad un suo famigliare del 1496 pubblicata dal Quétif, pag. 197.
(2) E questo era scritto anche nel Compendio, come vedremo or ora.
— 470 —
anzi il contrario, come abbiamo lungamente e apertamente veduto di sopra.
Sicché con tutta verità poteva scrivere ad Alessandro VI: «Senza dubbio è di
notorietà pubblica non solamente qui, ma ancora in molte altre città d' Italia
che la mia parola ha stabilita la pace in Firenze, che senza questa pace il di-
sordine avrebbe regnato nell' Italia intiera. In vero che, se l' Italia m' avesse
creduto, non sarebbe agitata così com' ella è pur troppo di presente ». E nel
Compendio di Rivelazioni queste cose erano scritte con molta evidenza, come
già abbiamo notato nel capitolo XVII, e come può vedere da sè facilmente
ognuno a cui piaccia.
Ma il breve pontificio pare che rimproveri il Frate di chiamarsi profeta e
affermare d'aver colloquj con Dio senza alcuna testimonianza canonica : «Non
basta che altri dica semplicemente d' esser mandato da Dio, potendo ciò fare
tutti gli eretici; ma è necessario che provi quella visibile missione con qualche
miracolo e speciale testimonianza». Questo al Savonarola era incessantemente
rinfacciato da' suoi nemici, ed io mi penso che abbia prodetto delle conse-
guenze gravissime, e che sia la prima origine della prova del fuoco. Non v' è
dubbio che il Pontefice diceva giustissimo ; ma queste sue proposizioni (es-
sendo assurdo e gratuito il solo pensare che il Pontefice credesse semplicemente
che all'essenza della vera profezia si richieda il miracolo) avevano il falso sup-
posto che Fra Girolamo pretendesse che gli altri dessero alle sue predizioni
piena fede, e condannasse coloro che non vi credevano.
Ma noi già sappiamo che il Savonarola non ritiene assolutamente nessuno
obbligato a credere alle sue profezie, se non se stesso. (') Quindi, mancando del
fondamento, ciò che era riferito al Pontefice cade senza meno. Vero è tuttavia
che il Frate nostro ha spesso procurato di rispondere anche a questo punto,
e già, prima che il Pontefice emanasse il Breve, lo aveva fatto egregiamente
nello stesso Compendio di Rivelazioni. « Chi annuncia il futuro » gli dice ivi il
Tentatore, « se vuole essere creduto, deve confermare con miracoli le sue pre-
dizioni, altrimenti anche gli eretici potrebbero senz' altro arrogarsi anch' essi
questo miracolo. Perciò contro di te si allega il capitolo Cum ex injunclo,
Extra, de haereticis, il quale par che richieda che colui che predica siffatte cose
debba provarle con qualche prodigio o miracolo; e poiché tu questo noi fai, da
alcuni sei accusato di procedere secondo il costume degli eretici, e sei da co-
storo per eretico ritenuto ». Ma egli risponde: « Cotesti uomini o sono igno-
ranti o sono maligni; poiché o non intendono o non esaminano con diligenza
i Sacri Canoni, o malignamente li pervertono. Imperocché ciò eh' essi dicono
non si trova scritto in nessun luogo; anzi di pochi profeti si legge che siano
stati chiari per miracoli. Onde contradicendo Anania a Geremia (come si
vede nel capitolo XXVIII di Geremia stesso), il Profeta non provò con mira-
colo il suo parlare; ma disse: Ascolla tu questa parola, che io fo intendere
alle tue orecchie, e alle orecchie di tutto il popolo : i profeti, che furon prima
di me, e prima di te, fin da principio, profetizzarono anch' essi a molti paesi
f1) Vedi sopra il cap. XVIT, pag. ."11 1-312.
— 471 —
ed a' regni grandi guerre, tribolazioni e fame. Un profeta, che predice la
pace, avverata che siasi la sua parola, sarà riconosciuto per profeta mandato
veracemente dal Signore. (') Nello stesso modo Giona, predicando la distru-
zione di Ninive, non fece a quel popolo alcun miracolo : finalmente di quelli
che profetarono al tempo de' Re di pochissimi si legge che abbiano provato
con miracoli le loro profezie. Ma che andiamo noi cercando di altri, se quel
grandissimo profeta che fu San Giovanni Battista non fece miracolo alcuno,
come è scritto nel Vangelo di Giovanni, cap. X, v. 41, 42? — E andavano molti
a Gesù e dicevano: In quanto a Giovanni, ei non fece nessun miracolo. E tutto
quello, che di costui disse Giovanni era la verità. E molti credettero in lui. — Il
testo poi del Decreto allegato di sopra contro di me, non fa a proposito; im-
perocché esso è contro quelli che senza l'autorizzazione o il mandato de'pre-
lati, si arrogano l'ufficio della predicazione, dicendo che è loro ingiunto invisi-
bilmente da Dio. (,2) Perciò dice il testo predetto esser necessario che costoro
provino la loro missione con miracoli, come Mosè, o con la testimonianza
della Sacra Scrittura, come San Giovanni Battista, che dice : Io sono la voce
di colui che grida nel deserto, come dice Isaia profeta. Ma inteso nel modo che
fanno essi il testo predetto ripugnerebbe alla Sacra Scrittura, come abbiam
dimostrato, e perciò con ragione li abbiamo detti ignoranti, o maligni o per-
vertitori de' Canoni, imperocché non è necessario eh' io provi la mia missione
con miracolo o colle Scritture. Perchè consta a tutti che quest' ufficio del
predicare a me viene da' miei superiori; né io mi son mai detto mandato so-
lamente da Dio. Né mi posson dire giustamente eretico; imperocché eretico
è colui che si propone di seguire pertinacemente qualche dogma contrario alla
Sacra Scrittura o alla disciplina della Santa Romana Chiesa. Ma io non so di
aver detto né scritto alcuna cosa dissonante dalla dottrina di Cristo, e dalla
Chiesa; e tuttavolta assoggetto alla Romana Chiesa ogni mio detto ed ogni
scritto, e son pronto sempre a stare alla correzione di quella ».
Ma come si potrà purgare il Frate dall' accusa di bestemmia e d' intolle-
rabile arroganza? E vero, o no, il fatto eh' egli dicesse dal pulpito che s' ei
mentiva, mentiva ancora Cristo?
« Io » scriveva l' accusato al Pontefice, « non ho già detto ciò in modo
assoluto, come se io mi volessi uguagliare a Dio ; ma ho parlato ipotetica-
mente, come chi dicesse: S'io mentisco, Cristo mente anche Lui. Or sarebbe
questo un sacramento esecrabile? Ah no ! Io non avrei difficoltà, dopo d'aver
enunciata una verità insegnata da Cristo, d'aggiungere alcuna volta: S'io
mento, mente lo stesso Cristo ». E cosi intesa, come si ha veramente da in-
tendere, la cosa, dacché il Savonarola non predicava altra dottrina se non
quella di Cristo, chi potrà condannare il Frate? In questo triste caso non si
condannerebbe il Frate solamente, ma tutta la fede cattolica, e in modo
(•) Cap. XXVIII, v. 8-9.
(-) Di costoro ve ne dovevan esser parecchi all' epoca del Rinascimento. Ct'r. il Pastor,
pag. 144 e seguenti.
— 472 —
speciale Riccardo da San Vittore, (1j il quale, proprio nel senso che faceva il
Savonarola, e disse e scrisse: « Domine, si error est, a te decepti sumus ». E
con Riccardo da San Vittore bisognerà anche condannare Leone XIII, il quale
trascrisse nella sua Enciclica sulla unità della Chiesa (2) quest' aurea sentenza. (3)
Ci resta da dire della separazione de' conventi di San Marco e di Fie-
sole dalla Congregazione Lombarda; la quale secondo questo Rreve sarebbe
stata carpita « dall' astuzia di pochi religiosi ». (4)
Non è qui certo il luogo di fare la storia del convento di San Marco in Fi-
renze. Chi abbia desiderio di vederla si rechi nelle mani gli ScrittiVarii del Padre
Marchese e ne sarà soddisfatto. Anche di ciò che qui ci riguarda più da presso,
la separazione di San Marco dalla Congregazione Lombarda, è detto a sufficienza
dagli storici del Savonarola, e dal Villari particolarmente nel capitolo IX del
libro primo dell' opera più volte citata. E nel Gherardi si leggono al caso pre-
ziosi documenti. Rimandiamo adunque a questi scrittori per ora, e ci conten-
teremo qui di osservare ciò che il Savonarola stesso scriveva nel suo Compen-
dio di Rivelazioni e poi ad Alessandro VI a' 14 settembre 1495: Che, secondo
le costituzioni de' Frati Domenicani, la provincia della Toscana è separata da
quella di Lombardia; e una Congregazione naturalmente non è superiore al-
l' altra. Ma per una pestilenza essendosi diminuito d' assai il numero de' reli-
giosi di San Marco e non potendosi più regger da sè, fu il convento di San Marco
esso raccomandato alla Congregazione di Lombardia. Più tardi, all' insaputa
de'religiosi, un Priore ottenne un breve che univa, per autorità apostolica, a tale
Congregazione questo stesso Convento con quel di Fiesole e di San Gemignano.(5)
Fra Girolamo, ben conoscendo tutto ciò e vedendo cresciuto d' assai e
fatto di nuovo grande il numero de' religiosi, sì che potevano reggersi per se
medesimi, credette non inconveniente che la Congregazione di San Marco tor-
nasse allo stato suo naturale, massime che i modi del vivere dei Lombardi
eran diversi dai modi dei Toscani. Volendo adunque effettuare le riforme con-
cepite nell'animo, s' adoprò in tutti i modi per ottenere l'antica indipendenza
(') Richardus de Sancto Victore, De Trinìtate, 1. I, c. 3.
(J) Per quest' Enciclica cito i quaderni della Civiltà Cattolica del 18 luglio e 1 agosto 1896.
(3) Quest'accusa, incessantemente ripetuta da' persecutori del Savonarola doveva dar-
gli non poca noia, imperocché molto sovente nelle sue prediche si fa a ribatterla. Anche
nella V sopra l' Esodo dice, parlando appunto di chi aveva trovata questa malizia: « Voi
siete bene sciocchi! Venite un poco qua: Se io dico una cosa di Cristo, e io dico, che se lui
mente, mento ancora io, che orrore è questo?! Perchè impossibile è che Lui mentisca; però
non mentisco ancora io in quella cosa di Cristo. Non dico ohe per questo io non possa diro
bugie e mentire in molte cose, come può ognuno, perchè io sono uomo come gli altri; ma
questo parlare si fa dicendo le cose di Dio, per affermarle più essere vere; e non è a disonoro
di Dio questo parlare, come tu malignamonte lo intendi, ma è tutto a sua laudo ».
{') Le asserzioni del Breve pontificio sono una prova evidente che aveva ragione il Sa-
vonarola quando diceva ohe in queste sentenze il Pontefice può errare o per malizia o per
cattive informazioni. (V. la predica II sopra 1' Esodo.) Coloro che da queste ossorvazioni hanno
tratto argomento per sostenero che il Erate di San Marco negava l' infallibilità pontificia,
non capiscono quello che dicono. Cfr. Cappelli, doc. 132.
(s) Tutto questo è letteralmente ripetuto nel breve di Aless. VI del 22 Maggio 1493. V.
BuUartum Ord. Prad., voi. IV. pag. 100.
— 473 —
del suo Convento. Si mise all'opera e dopo molla fatica riusci nell'intento per
un Breve segnato da Alessandro VI a dì 22 maggio 1493.
Il Savonarola, come scrisse nel Compendio di Rivelazioni e ad Alessan-
dro VI, così ripetè poi le mille volte che ciò si volle per ridursi a vita più
severa e stretta, e l'effetto seguito parrebbe dimostrare che egli diceva il vero.
Ma ora il Breve del Papa chiama scandolosa questa separazione dalla Con-
gregazione Lombarda, e afferma che alcuni frati perversi 1' avevano da lui
estorta con ingannevoli arti e con frode. E vera quest'accusa? e ricade, se
mai, sul capo del Savonarola? Per il Savonarola già la qualifica di fraudolenti
e astuti data a' religiosi di San Marco, che, lontani dall'essere intaccati d' in-
famia, godevano in tutta la città di un' eccellente riputazione, è prova evidente
die l'accusa non potè venir suggerita se non dai cattivi alla Santità del Papa; e
soggiunge, che, se Alessandro VI si fosse degnato di mandare in Firenze uno
de' suoi ministri fedeli per interrogare i cittadini e il popolo sulla riputazione
de' religiosi di San Marco e di Fiesole, avrebbe egli riconosciuto meglio ancora
che i cattivi avevano commesso una flagrante menzogna.
Del resto si può forse spiegare l'asserto del Papa circa l'estorsione del Breve,
col racconto della biografia latina, del Burlamacchi e degli Annali del Convento
di San Marco: — Il 22 maggio del 1493 ogni speranza di buon successo sem-
brava perduta: il Papa svogliato licenziava il Concistoro, dicendo di non vo-
ler per quel giorno firmare alcun Breve. Pestava solamente incardinale di
Napoli, con cui egli si tratteneva abbandonandosi a discorsi piacevoli e faceti....
Al Cardinale parve allora essere venuto il momento opportuno e destramente
cavatosi di tasca il Breve che già era stato disteso, pregava il Santo Padre di
firmarlo. Questi sorridendo negava, e quegli sorridendo, cavatogli dal dito
l'anello, poneva il bollo. — Ammettiamo pure la verità di questo aneddoto, que-
sto fatto inferma forse la legittimità dell' origine del Breve? Dov' è qui la frode
e l'astuzia de' frati? Poi la testimonianza non la dobbiamo spezzare, dobbiamo
sentirla intiera.
Segue il racconto, che non s'aveva appena finito ed arrivarono messi
pressantissimi dei Lombardi con nuove e assai valide raccomandazioni. Ma il
Papa non volle più udir parola di quest'affare e licenziò questi messi dicendo:
« Se foste venuti prima, sareste stati esauditi, ma oramai quello che è fatto è
fatto». Dunque, se mai v'era qualche vizio nel principio, fu sanato liberamente
e senza pressione e senza frode o astuzia d' alcuno e tanto meno de' Frati di
San Marco. Ad ogni modo in tuttociò che ci avrebbe da vedere il Savonarola
e che ci avrebbero da vedere i Frati di San Marco? Nulla affatto!
E non solo per questo, ma per altro ancora il Savonarola poteva affer-
mare inesatto e falso che la separazione fosse stala sollecitata solo da alcuni
scaltri religiosi. Imperocché essa era stata chiesta da tutti e con atto pubblico:
con alto che ora, in grazia della diligenza del Gherardi, leggiamo tra' Nuovi Do-
cumenti. (Pag. 42 e seg.) Nè gioverebbe 1' apporre che la separazione non di-
pese da questa adesione, essendo già firmato il Breve da giorni; imperocché in
Firenze pare che allora nulla si sapesse di ciò, e il cronista del convento, Fra
- 474 —
Roberto Ubaldini, scrisse a questo proposito che il Papa, avuto per un istru-
mento pubblico il consenso di tutti i frati professi che allora si trovavano nel
convento, il consenso libero e 1' ardente desiderio di tutti, esaminata la cosa
segretamente per mezzo di notai chiamati a posta, inteso con somma diligenza
ogni particolare, segnò il Breve di separazione. (Ivi, pag. 41.) Alla più triste
l' istrumento resta sempre testimonianza irrefragabile che tutti i frati professi
di San Marco, neppur uno escluso, desideravano la separazione e che perciò
non si deve, non è possibile ritenere che alcuni soli con frode e con astuzia la
volessero! E il Savonarola poteva francamente scrivere al Papa, come già
aveva scritto nel Compendio di Rivelazioni, che « la separazione doveva tenersi
conforme alle loro costituzioni; e che non era stata ottenuta fraudolentemente;
ma dopo una discussione prolungata, e in maturo esame ; testimonio il reve-
rendissimo Oliviero Caraffa, cardinale della Sanla Chiesa Romana arcivescovo
di Napoli, e protettore dell'Ordine dei Predicatori, che ne l'ha ottenuta colla
sua saggezza e colla sua prudenza »!
Quanto all'accusa d'aver il Savonarola detto o fatto inezie, non saprem-
mo davvero che pensare; e credo ci basterà il notare che il Frate poteva scri-
vere a Roma che tutto il popolo gli era testimonio eh' egli non aveva nè detto,
nè fatto cose inette o scandalose; che al contrario le sue parole e le sue azioni
apparivano di grande potenza e molto necessarie; e producevano frutti nume-
rosi e provvedevano allasalule delle anime, alla pace della città e alla riforma
de' costumi. E di queste sue asserzioni era pronto a recare la testimonianza
di due mila, di tre mila, e anche, se piacesse, di diecimila cittadini. E noi già
sopra abbiamo visto tanto da non aver bisogno ornai che altri ce le mostri
vere. Onde possiamo col Frate affermare senza meno eh' egli non aveva mai
fatto nulla di simile a quanto i tristi avevano inventato contro di Ini.
Non ripigliamo in esame 1' accusa di essersi Fra Girolamo rifiutato di
aderire all' invito del Papa di recarsi a Roma; questa appare già evidentemente
falsa da quanto abbiamo ragionalo in principio; nè può aver qui altra sor-
gente che la raffinata e diabolica malizia de' nemici del Frate, che non ave-
vano lasciato pervenire la giustificazione di lui ad Alessandro VI.
Questo è, in compendio, quanto il Savonarola diceva a sua discolpa al Pon-
tefice in risposta al Breve degli 8 di settembre. Dopo un tal documento che al
Savonarola apponeva colpe non commesse e che evidentemente era stato pro-
vocato da false e maligne suggestioni dei nemici di lui, come doveva egli re-
golarsi ? Essendo vero e noto a tutti che quanto si suggeriva al Pontefice era
semplice calunnia di nemici non pure del Frate, ma del bene che il Frale
aveva fatto nella città e nella chiesa di Firenze, poteva il Savonarola lasciare
il Pontefice in queste false persuasioni, tacersi senz' altro ed aspettare che si
eseguissero le disposizioni del Breve senza fare le sue giustificazioni al Pon-
tefice? Poteva nella sua qualità di religioso e superiore di una comunità
esemplarissima e stimatissima, nella sua qualità di predicatore da cui tutti fino
allora, per confessione dello stesso Alessandro VI, avevan ricevuta sana dottrina,
permettere che i suoi religiosi rimanessero infamati, e che venisse debilitata
— 475 —
non solo, ma fatla credere eretica quella dottrina che non era altro che la
dottrina della Chiesa e che fosse dagli avversarii impunemente conculcata? No
certamente; chè oltre lo scandalo che avrebbe dato nel lasciarsi credere reo
delle colpe e de' reati che gli venivano apposti, si sarebbe fatto colpevole dav-
vero contro il volere del Pontefice : Certum est, quod is committit in legem, qui
legis verba complectens, contro, legis nititur voluntatem.
Fra Girolamo era tanto persuaso di questa verità che nella lettera ad un
religioso del suo Ordine, lodata anche dal Pastor, scriveva: « Io ho appreso
che anche i Farisei han fatto concilio cogli Erodiani, vo' dire che alcuni reli-
giosi si sono intesi con alcuni cittadini di Firenze, i quali non possono udire il
nome della pace, e convennero di riferire contro di me molte cose false al
Pontefice, e di provocarlo contro di me; e questi, sopra i rapporti di siffatta
gente, spedì a me e a tutto il convento mio un Breve che quasi ogni motivo
contiene aperte menzogne. Se il Pontefice fosse ben informato, io tengo per
certo che annullerebbe senza meno questo Breve, e punirebbe severamente i
miei calunniatori. Imperocché è notorio in Firenze ch'io non mi son reso
colpevole nè delle parole, nè degli atti che mi sono imputati.... Certo, se la
Santità del Nostro Signore fosse qui e vedesse come stanno le cose, non mi
avrebbe chiamato a sè. Ora, poiché si ha da obbedire meglio all'intenzione
del legislatore che non alle parole, io pensai esser bene in questa faccenda
di soprassedere, come dicono i dottori.... »
Ci vuole oramai poco per vedere che prop rio il Savonarola qui si tro-
vava nel caso del figlio calunniato, e degli altri buoni personaggi presso il padre
delle parabole scritte di sopra o che scriveremo poi di sotto, e che perciò, se
voleva fare la volontà del Papa e compiere 1' ufficio suo con zelo, aveva da
restare al proprio posto e non fuggir la battaglia, e non cooperare alle mene
de' tristi nemici suoi e del bene comune de' Conventi, della Chiesa e della
città di Firenze. E dico a consiglio bene comune, imperocché, ove si fosse trat-
tato solamente di sè e della sua persona, il Savonarola, come scrive al religioso
del suo Ordine in Roma ('), per conto suo, quando fosse stato solo, avrebbe
(') Le cose scritte al Pontefice e a questo religioso, Fra Girolamo le ha ripetute sovente
al popolo: ecco tra i molti che potrei citare un passo caratteristico: « Quelli che sono male
contenti e che non fanno bene, dico a voi, che vi date tutto il di a scrivere qua e là lettere,
e dite: noi non abbiamo parte in questo governo e calunniate ognuno che fa bene e dite che
lui è ipocrita; tu sei ipocrita, però ti chiamo. Dimmi che ne sai tu? tu ti lasci vincere
dalla passione; tu di' che non hai parte in questo governo; fa' bene. Non sai tu che questo
Consiglio è fatto per levar via gli sciocchi e i viziosi e gli ambiziosi ? Anzi tu ti hai a fare
coscienza, se tu dai le fave nere a questi tali mentre che durassero nella loro malizia. Sai
tu quello che hanno fatto costoro? eglino hanno fatto concilio; io le so per tanti modi
queste tue cose, che ti maraviglieresti se io tei dicessi. Hanno fatto Consilio cogli Erodiani ;
hanno fatto Consilio con i tuoi nemici e hanno detto in questo loro Consilio come dissero
i Farisei di Cristo, quando gli proposero se era lecito dare il censo a Cesare o no; e dis
sero : noi piglieremo questa volpe. Ma Cristo colla sua sapienza rispose in modo che non
disse nè contro Cesare, nè contro sè. Cosi costoro hanno detto : Noi diremo tanto male di co-
stui al Santo Padre che lo faremo sbucare di qua, e se non volesse ire, lo accuseremo di inobbe-
dienza, ed a questo modo è nostro prigione in ogni modo. Questi tali non credere cho si curino
che io vada a Roma; ma mi vorrebbero insino a mi zzo il cammino, basterebbe loro le-
— 476 —
riso delle insidie che gli tendevano; nè avrebbe altrimenti curato di scolparsi
e difendersi, ma, certo che si procedeva contro di lui senza causa, che anzi lo
lapidavano per aver ben fatto, avrebbe sostenuto ogni cosa per amore di Cri-
sto, nè avrebbe temuto i calunniatori e la spada loro. Imperocché gli bastava
la grazia di Dio e la coscienza pura; e sapeva con Gelasio Papa che, venendo
pei tristi colpito da un' ingiusta sentenza, non ne restava legato nè presso la
■Chiesa, nè presso Dio, e non aveva bisogno di brigare perchè l'assolvessero;
e sapeva ancora con Agostino che 1' ignoranza degli uomini non gli avrebbe
fatto nulla, ove noi cancellasse dal libro de' viventi l' iniqua coscienza. Ma egli
-vaimi da Firenze; e dicono: se egli obbedisce, avremo giunta la volpe, se non obbedisce,
faremo con la scomunica, e sarà scandalizzato il popolo e perderà il credito. Ben sai che noi
obbediremo al Santo Padre, e io e gli altri frati miei vorremo prima morire che fare peccato:
io soddisfarò all'una e all'altra parte e apriremo tutte due le buche: io non dico per que-
sto che sia tratta scomunica nessuna, ma la cercano. Dimmi un poco: tu hai un figliuolo
che sta alla tua vigna a conciarla: vengono alcuni ribaldi e te io accusano che ei giuoca
o fa qualche altro male; tu gli scrivi, ed egli torna, e loro che te lo hanno accusato stanno
là e guastano ]a vigna. Dimmi, quando il padre sa poi il vero e che il figliuolo non faceva
male alcuno, non credi tu che e' gli dica: pazzo che tu se', tu non dovevi venire?
c Dice San Tommaso che si deve obbedire alla mente de'superiori, non alle parole; e
dice: che se il campo dei nemici fosse ad una città e fosse fatta una legge che non si apra
la porta, e venisse per caso che un cittadino, fuggendo dinanzi a' nemici, venisse alla porta,
dice che gli si deve aprire, perchè non s'attende le parole della legge, ma la mente: cosi
dico a te, che noi obbediremo alla mente. Inoltre, non sai tu che la clausola si ita est
s'intende ne' rescritti sempre e nelle bolle? Hassi dunque a riscrivere al Santo Padre e
dirgli che è male informato. Vuoilo tu vedere perchè? In quel loro rescritto è dieci bugie
manifestissime, e fra l'altre cose dicono che io mi diletto di nuovi modi di eresie. Io l'ho
detto qua più volte che io non so di avere errato in dire cosa alcuna contro alla Fede, nè
contro alla Chiesa; ma se pur fosse, sono contento sempre esserne corretto dalla Chiesa e dal
Papa, e non solo dalla Sedia Apostolica, ma da ciascuno di voi. Secondariamente dicono
che io mi sono fatto eguale a Dio, che io ho detto che se io mento mente ancora Dio. Tu
sai che queste parole, che se Dio mente, mento ancora io, io l'ho dette solo quando ti ho
detto qualche cosa da parte di Dio, e questo non è inconveniente. Terzo, hanno detto che
10 ho detto male del Papa. Popolo, tu mi sei testimonio, haimi udito se io ho mai detto
simile cosa, o nominato il Papa in male nessuno? — Oh! tu hai detto de' cardinali e de' pre-
lati! — Dimmi, hai tu udito nominarmene nessuno? Io ho parlato sempre universalmente;
e non puoi intendere che io abbia notato in particolare nessuno, e l'ho detto massimamente
acciocché non facciate i vostri figliuoli prelati e acciocché non andiate a casa dol diavolo
con loro.
« Un'altra volta già, predicando io a Bologna, fu detto che io avevo nominato il Papa ; e
pure non era vero: insomma sappi che noi siamo parati ad obbedire alla Santa Chiesa, e quando
11 Papa sarà bene informato e ci comandi, andremo dove lui dirà. Venite qua: che volete voi
fare? chiamarmi di qua con una scomunica, è vero? Si, sciocchi che voi siete: o voi credete che
Dio mi abbia fatto dir questo che io ho detto, o no. Se voi credete che da Dio io l'abbia detto,
voi siete bene nel profondo di ogni malizia perseguitando le cose di Dio; e se il mondo mi
maledirà, dice Agostino, Iddio mi darà la sua benedizione : sicché, se tu credi che le siano da
Dio, tu sei ben sciocco a non credere ancora che Iddio mi darà il modo di uscirmene senza scan-
dalo. Se tu non credi che le siano dn Dio, egli è necessario che voi crediate che io sia un
cattivo uomo, operò siete stolti; perchè se io non temo Iddio, non temerò nò anche la scomu-
nica. — No, tu lo fai per vergogna, acciocché il popolo non sia scandalizzato. — Vienqua, so io
ho avuto tanta forza con la mia malizia, poiché tu credi che io vada con malizia, a voltai''
questo popolo a molte cose; credi che ancora mi sarà più facile mostrargli che la scomunica
non vale: ti bisognerà, credimi, usare altre armi a farti dello stato, perchè questo non ti
varrà nulla ». (Soprai Salmi, pred. XXVIII. Cfr. sopra Amos o Zaccaria, prod. XXIX, e sopra
VKsodo, pred. V.)
— 477 —
conosceva la radice di UUte queste insidie procedere da' perversi cittadini
che aspiravano alla tirannide, aiutati da alcuni potentati d'Italia. Tutti costoro
desideravano di ucciderlo per toglierlo dalla città, credendo eh' egli fosse loro
d' impedimento alle effettuazioni de' loro tristi disegni. Quindi egli non poteva
starsi muto, ma gli era fatto obbligo di vigilare perchè 1' opera di Dio non ne
patisse, e animato da santo zelo intraprese strenuamente la sua e V altrui di-
fesa. (*)
Ma il lettore oramai si mostrerà desideroso di conoscere qual cosa facesse
il Pontefice del rescritto del Frate. Il desiderio è facile soddisfarlo, e mi è
gralissimo poter dir subilo che Alessandro VI accettò molto bene le scuse del
Savonarola, le accettò come buone e vere. « Alessandro VI comprovò qui
luminosamente » dice il Pastor « la sua prudenza e moderazione, sospen-
dendo con altro Breve del 16 ottobre la decretata unione di San Marco colla
provincia lombarda » (pag. 350). E oltre a questo si deve aggiungere che il
Pontefice si mostrò soddisfatto anche delle ragioni addotte dal Frate per il
primo Breve, per ottenere una dilazione ad eseguire l'invito di recarsi a
Poma. E il Frate seppe abbastanza presto che il Papa era rimasto soddisfatto
della lettera inviatagli; imperocché il giorno 28 ottobre 14-95 già egli aveva
detto questo al Manfredi per sicuro, e mostrava di crederla impresa che non
aveva bisogno d' altro aiuto, come il Manfredi stesso trasmetteva al duca di
Ferrara.
Adunque, per non andare maggiormente alla lunga, chè abbiamo detto-
abbastanza, concludiamo che nessun cattolico può muover rimprovero al Sa-
vonarola fino a questo punto di non aver obbedito al Papa, o di essersi come
che sia reso colpevole verso 1' autorità delle somme chiavi. Fu calunniato, si
giustificò, e le sue ragioni furono accettate per buone e vere dal Pontefice.
Onde canonicamente egli è fin qui prosciolto da ogni pena; e nessuno può
riguardarlo come si riguardano i ribelli e i capai bj ; ma ognuno deve
ritenerlo come buon tìglio della Chiesa. I Brevi pontificj de' 21 luglio e degli
8 settembre non lo toccano per nulla, ed egli, fino a questo punto, si governo-
rispetto ad essi come a' cattolici e ai religiosi si conviene, e non altrimenti.
( ) Vedi sopra il Cap. XXVII e specialmente la pag. 421.
XXX.
Del Breve pontificio de' 16 ottobre 1495
e relativa condotta del Frate.
Sommario.
Ragioni del Breve 16 ottobre 1495. — Che cosa fra Girolamo domandasse al Pontefice. — Dispositivo
della Sentenza Pontificia. — Le concioni dell'ottobre 1405. — Un'accusa nuova promossa dal Pa-
stor. — Apparenza di verità. — Ragioni che la distruggono. — Non occorreva la diretta permissione
del Papa perchè Fra Girolamo potesse predicare. — La causa in discussione. — Il reo che si
tiene ragionevolmente prosciolto. — Discussione legittima. — La credenza universale e la esplicita
testimonianza del Parenti. — Cose date o non concesse. — Non misfatto, ma azione altamente
lodevole. — La patria in pericolo per cagione di Piero De' Medici. — La propria e l'altrui difesa
giustifica il Frate. — Ancora una proposizione vera che scandalizza il popolo. — Ragione j?ie, pur
sembrando sofistica, non è tuttavia priva di importanza. — Il Savonarola non pecca per sciocca
semplicità. — Comando al Frate di astenersi da ogni sermone. — Giudizj gratuiti ed ingiusti.
— Troppa voglia di condannare il calunniato Domenicano. — Una insinuazione gravissima.
— Il Savonarola accusato un' altra volta di disobbedienza dal Pastor e dal Grisar. — La coscienza
guasta. — Ignoranza imperdonabile. — Si ripiglia la questione che credevamo decisa. — Pensieri
che agitano l'animo del Frate e del Governo Fiorentino. — Prudenza di Fra Girolamo. — Il Sa-
vonarola a Fra Antonio D' Olanda. — La licenza impetrata. — L' attestano i biografi del Frate.
— Prove tratte dai Nuovi Documenti. — Una lettera del Somenzi. — Il Tancrediuo che afferma
quanto vorrebbe negare. — Un colloquio del Becchi oratore fiorentino con il cardinale di Pe-
rugia. — Riflessioni. — Altro principio di prova. — Colloquio di Niccolò Pandolfini con Ales-
sandro VI. — Inutile tentativo del Cosci. — Una obbiezione che ha pronta la risposta. — Un vero
giudizio di Isidoro Del Lungo. — Dichiarazione del Savonarola. — Una inesattezza. — Condi-
zione a cui fu ridonata la licenza del predicare. — Cose riferite al Papa snl conto di Fra Giro-
lamo. — Autorità dei delatori. — Carattere delle prediche sopra Amos e Zaccaria. — Difficoltà
del Becchi nel difendere il Savonarola. — Tolleranza di Alessandro VI. — Si previene una obie-
zione. — Uguale storia di due Brevi. — Una nostra domanda. — L'ordinanza della Signoria ine-
splicabile senza l'ottenuta facoltà di predicare. • — Risposta alle domande altrui. — Singolarità
del Cosci. — Giudici del Savonarola meno tolleranti e più severi di Alessandro VI.
Ma è oramai tempo che procediamo. Abbiam detto che il Pontefice col
Breve de' 1G ottobre mostrò di menar per buone le scuse del Savonarola e
sospese i due Brevi antecedenti. Ma non bisogna però credere che si ponesse
senz'altro la cosa in tacere e tutto si decidesse senza meno in favore del Sa-
vonarola. Per quanlo persuasive fosser le ragioni del Frate e grande 1' auto-
— 479 —
rità di coloro che testimoniavano a favore di Lui, per quanto potesse essersi
adoperato in favore di lui il P. Maggi, ciò avrebbe potuto sembrar tuttavia im-
prudenza e precipitazione, o avrebbe per lo meno potuto generare il sospetto
che prima si fosse precipitato di troppo. D'altra parte sarebbe ingenuità il cre-
dere che i nemici del Frate cessassero qui di calunniarlo presso il Papa, e che
questi calunniatori fossero tutti di piccola autorità e potenza.
Di più, il Savonarola non chiedeva nemmeno che il Pontefice dichiarasse
nulli senz'altro i Brevi, ma dopo di aver esposte le sue ragioni, finiva dicendo che
« non gli sarebbe stato difficile, ove ne fosse uopo, di provare che le cose che
egli scriveva eran vere; la Santità Sua mandasse un suo ministro giusto e non
sospetto e potrebbe esserne certificata chiaramente da tutto il popolo fioren-
tino; egli, dal canto suo, era pronto ad emendarsi in quanto avesse errato; anzi
a revocare alla presenza di tutto il popolo tutti gli errori che gli venissero in-
dicati. Si degnasse la Santità Sua di mostrargli qual cosa, fra quelle che aveva
scritte o dette, fosse da revocare, ed ei l'avrebbe fatto con tutta l'anima, im-
perocché, come sempre aveva sottomesso, così allora sottometteva alla corre-
zione della Chiesa Romana e di Sua Santità e sè e tutte le cose sue ».(4)
E il Pontefice accoglieva questa proposta del Frate; e gli scriveva so-
spendendo fin d'allora tutti i Brevi antecedenti e le cose in essi contenute
e le clausole, affinchè quegli potesse nella quiete della sua coscienza provve-
dere alla sua spirituale salute; e perchè non sembrasse che e' non tenesse in
cura di sorta alcuna le cose che per nessun modo vogliono lasciarsi in non
cale, gli comandava in virtù di santa obbedienza di astenersi da ogni sermone
non solo in pubblico, ma anche in privato, affinchè non lo si potesse accusare
che, cessando dal predicare in pubblico, tenesse conventicole. E questo modo
Sua Santità voleva che il Frate dovesse tenere, finché senza pericolo, e con quel
decoro che si conviene ad un religioso, gli fosse possibile di recarsi alla sua
presenza (chè l'avrebbe veduto con animo lieto e pietoso), o insino a quando
più maturamente avrebbe Ella deliberato qual modo dovesse tenere per l'av-
venire, o destinato a questo una persona idonea e proba. Questo il dispositivo
del detto Breve il quale fu segnato a dì 16 ottobre 1495, ma per un ritardo,
che il Pastor (p. 351) dice non ancora spiegato, non giunse in Firenze se non
a dì 26 del mese stesso.
E ora sorgono subito molte questioni che bisogna sciogliere. Ma prima
bisogna risolverne una che si lega ai Brevi antecedenti più che a questo.
Non era ancor giunto in Firenze, e neppure segnato, il Breve di risposta
alle lettere del Savonarola, quando questi risaliva un' altra volta il pulpito e
vi recitava una fortissima conclone il giorno 11 ottobre 1495; e lo stesso poi
(') Anche questo è riportato nella citata Lettera ad un amico : « Alcuni dicono che io
sono eretico, e parlano con pooa prudenza e considerazione, avendo io pubblicamente molte
volte detto e scritto, che io mi sottometto alla correzione della Santa Romana Chiesa in
tutto quello che io avessi errato, e chiesto al Sommo Pontefice e a tutta la Corte Romana
che mi sia scritto o avvisato in qual parte io erro contro alla fede, offerendo di ridirmi
pubblicamente in presenza di tutto il popolo ».
- 480 —
faceva i giorni 18 e 25 del mese stesso. (/) 11 Pastor condanna qui un'altra
volta il Savonarola, e scrive, non senza un poco d'ironia, che, dopo questi
sermoni, il Frate « doveva dire a se stesso che aveva rotta la obbedienza
promessa il 15 settembre contro l'ordine del suo superiore supremo, dal
quale solo doveva partire la missione apostolica della predicazione ». E questa
è un' accusa nuova, se ben mi ricordo, che gravita sul capo del Frate, e vi
gravita, per opera del critico d'innsbruck, pesantissima. Ma lo vogliam condan-
nare? L'accusa ha tutta l'apparenza dell'esser giusta; infatti col Breve degli
8 settembre Fra Girolamo era sospeso da ogni maniera di predicazione od in-
segnamento in pubblico e in privato; il Breve de' 16 ottobre non era comparso
ancora ; e anche se fosse già arrivato, esso confermava tale sospensione: era
dunque obbligo del Frate di continuare a tenersi sottomesso agli ordini pon-
tifici e non precipitar le cose, ma attendere che la sua causa fosse decisa e a
lui fosse debitamente notificata la decisione. Queste le ragioni che danno ap-
parenza di vero all'accusa, e che sembrano quindi giustificar la condanna; ma,
chi ben guarda, può veder subito che, fuori dell' apparenza di giustizia, non vi
si trova altro. Qui, oltre ad una asserzione gratuita e ad un falso supposto, ab-
biamo un nuovo caso in cui le proposizioni universali scandalizzano il popolo;
perchè quantunque vere in sè, tali proposizioni, non sono poi vere, e non
hanno luogo nel caso particolare di cui si tratta.
Il Pastor suppone adunque che per risalire il pulpito Fra Girolamo avesse
a rigore bisogno di ottenerne il permesso direttamente dal Papa, là dove, se
si guarda al Breve Quia divini consilii e alla lettera pontificia indirizzata al
Maggi, si vede subito che a Fra Girolamo questo non occorreva. Alessan-
dro VI tutto occupato nel ridonar pace all' intiera Italia delegava la causa
del Savonarola al Padre Sebastiano Maggi, conferendogli i pieni ed assoluti
poteri a riconoscerla e deciderla secondo gli statuti dell' Ordine : e comanda
altresì al Savonarola in virtù di santa obbedienza e sotto pena di scomunica
latae sententiae, che riconosca nel Vicario di Lombardia il suo giudice legittimo
e che frattanto, finché la causa presso il detto Vicario si discute, egli rimanga
sospeso da ogni predicazione e lezione pubblica. Chi vuol dunque condannare
il Frate di San Marco in questo punto deve prima dimostrarci che a dì 11 ot-
tobre 1495 il Beato Sebastiano stava ancor discutendo la causa. Ma chi pro-
verà questo ? Nel breve che noi per la prima volta pubblichiamo, il Pontefice
a dì 9 settembre comandava al Padre Maggi che subito, appena ricevuta quella
lettera, citasse il Savonarola, ne istituisse processo e tutto riferisse alla Sede
Apostolica. E il processo fu fatto, come vedemmo, senza che al Savonarola
fosse data ingiunzione di muoversi da Firenze; (2) e, come nessuno polrà mai
I1; Per la data dei giorni in cui furono recitate queste prediche vedi sopra a pag. IH.
yui dobbiamo aggiungere che il Pastor non isbagiia solo facendo predicare il Prato a di lfv
invece che ai 18 di ottobre; ma anche (o questo potrebbe essere sbaglio più grave) a' 2t>
giorno dell'arrivo del Breve, anziché ai 'J5 vera data dell' ultima sua predica di quell'anno.
(:) V. nel Villari, voi. I, p. li, la bellissima lettera della Signoria di Firenze
scritta il 17 settembre al Sommo Pontefice, nella quale Alessandro VI è pregato a noiv
— 481 —
provarci che 1' esito dei processi fosse in disfavore al Savonarola, così nessuno
ci potrà far credere che agli 1 1 d' ottobre, quarantadue giorni dopo la data del
Breve, il processo fosse ancor sospeso e dopo tanta premurosa raccomanda-
zione del Pontefice, non si fosse nulla conchiuso. Finche questo non sarà di-
mostrato, (e nessuno, credo, ci si proverà) la condanna mancherà di verace fon-
damento e non potrà considerarsi legittima. Questa a noi pare un' altra volta
una ragione perentoria nella causa che ci occupa; una ragione non vincibile
da nessun argomento. E quindi già per questo motivo crediamo di dover di-
chiarar prosciolto il Frate dalla nuova accusa.
Ma se questa ragione non tornasse persuasiva a tutti, e ad alcuno pia-
cesse di considerar Fra Girolamo unicamente di fronte al Pontefice, noi
crediamo d' aver qualche altro motivo ragionevole per mandarlo ugualmente
prosciolto.
Ecco infatti che cosa scriveva il Savonarola al Pontefice a dì 29 settembre
in risposta al Breve del di 8: « La Vostra Santità non vorrà sdegnare di ac-
cogliere con benevolenza questa mia difesa e di chiamarmi piuttosto prudente
che disobbediente; ed io frattanto soprassederò, finché non avrò avuto dalla
Vostra Santità una benigna risposta e una libera assoluzione da tutte queste ac-
cuse. Questa dottrina io ho appreso dai Predecessori della Vostra Santità e dai
dottori, cioè dai Teologi e Canonisti ». E già aveva scritto nella lettera del 15 set-
tembre a un religioso del suo Ordine in Roma: « Desidero di sapere da voi
che cosa pensiate che io debba fare secondo Iddio.... E se io non posso sal-
vare altrimenti la mia coscienza se non obbedendo a quel Breve, obbedirò cer-
tamente quando anche ne seguisse la rovina del mondo intero, perchè in que-
sto io non voglio in alcun modo peccare, neppur venialmente; solo io ho pensato
che sia meglio soprassedere, come dicono i dottori ». E insieme lo pregava a far
premure presso il Cardinale Protettore, affinchè si interponesse presso il Pon-
tefice e mandava a lui e a mons. Felino copia della sua giustificazione presso
il Pontefice stesso.
Non troviamo espressamente che il Pontefice desse al Savonarola quella
libera assoluzione che questi gli chiedeva, ma troviamo per altro che il Savo-
narola stesso conobbe che il Pontefice aveva accettato le sue scuse. (') Infatti
il giorno 26 ottobre, prima che arrivasse il nuovo Breve pontificio in Firenze,
il Manfredi scriveva al suo signore che egli « avendo Fra Girolamo predicato
ad ogni modo di festa a questi giorni passati, non stimava che fosse stato in-
terdetto, come invero non lo è, siccome questa mattina mi ha chiarito Sua
rimuovere il Savonarola da Firenze e a conservare i conventi di San Marco e di San Dome-
nico di Fiesole (che vivevano in un' incredibile integrità di vita e santità di religione) nel loro
stato, separati dalla Congregazione Lombarda. Questa lettera dimostra che ai 17 settembre
già in Firenze si conosceva il contenuto del Breve. Vedi la stessa lettera nell'Archivio gene-
rale dell' Ordine Domenicano. GGG., fol. 609.
(') Il Villari dice: « Il Papa non diede a questa lettera (del 29 settembre) alouna rispo-
sta, ma persuaso che era vano adesso l'insistere, lece espressamente sapere al Savonarola
che accettava le scuse » (p. 4C1).
31
— 482 —
Paternità; anzi mi disse: « che lo aspettava in dies di avere un Breve del Papa
della sospensione che aveva fatta Sua Santità, che non si proceda contro lui come
si era principiato per le informazioni sinistre che erano state porte a Sua Bea-
titudine de' fatti suoi; il quale, per essersi giustificato molto bene con quella, si
stima (per gli avvisi che lui ha avuti da amici suoi di Roma) che s'imporrà si-
lenzio al tutto. Egli mi ha detto Sua Reverenza, che quando pur la cosa fosse
ita più avanti contro lui, e che il Papa fosse continuato in non volere ammet-
tere le giustificazioni sue, come buone e vere, che lo aveva designato di ricer-
care il favore e l'aiuto della Eccellenza Vostra, come di quella nella quale con-
fida molto che la non gli saria mancato di prestarglielo caldo e buono nelle
cose oneste come questa sua presso alla Santità del Papa ». (1)
Per dir queste cose il Frate doveva certo aver buono in mano per credere
che il Papa aveva senza meno riconosciuta l'innocenza sua; ed è troppo legit-
tima la deduzione che gli amici del Frate gli avessero scritto da Roma eh' egli
s' era ben giustificato, e che la Santità Sua aveva ammesso la giustificazione
come buona e vera. (2) Come pensare altrimenti s'egli dice che ornai in questa
faccenda non aveva altrimenti bisogno d'aiuto nessuno? E così stando la
faccenda, perchè non poteva egli in buona coscienza tenersi senz' altro pro-
sciolto da ogni vincolo, che lo avesse, anche ingiustamente, potuto legare?
Del resto quelle parole nella predica del 18 febbraio 1498 ove il Frate fece la
storia di lutti i Brevi venutigli da Roma e delle giustificazioni sue : « Ed egli
(il Papa) accettò la escusazione molto bene », a quale escusazione si riferiscono?
Non a quella del 31 luglio del 95, perche il papa non la ricevè, come vedemmo
a pag. 457. E lo stesso Savonarola si lamentò che non gli fosse slata conse-
gnata. Non può intendersi dunque d' altra escusazione se non di quella del
29 settembre, ove il Frate ripeteva il contenuto della prima e aggiungeva le
giustificazioni contro le nuove accuse ed ove inseriva altra copia della rispo-
sta sua all' invito di recarsi a Roma (vedi sopra a pag. 457). Ad altra escusa-
zione del Savonarola non possono applicarsi quelle parole che riguardano ap-
punto la chiamata a Roma. Il Savonarola adunque ebbe notizia che il Papa
aveva accettalo molto bene le sue scuse, e questa notizia egli l'ebbe dopo la let-
tera del 29 settembre ed è molto verosimile che 1' avesse dagli amici suoi di
Roma.
Che poi il Savonarola predicando questa volta non contravenisse al di-
vieto pontifìcio era opinione unanime allora, ed è chiaramente affermato e detto
da parecchi storici del tempo.
Il Violi nella giornata terza scrive:
« Il Frale fermò il suo predicare per qualche mese, e rescrisse al Papa,
e moslrogli che Sua Santità era male informata; e infatti usò tutti quei termini
(') Cappelli, doc. 92.
(-) Forse non sarebbe troppo avventato il credere ebe fra questi amici vi fosse anebe
Don Felino, l'eminente auditore di S. S. a cui il Savonarola, come abbiam notato, aveva
pare scritto una lettera esponendogli le sue ragioni, come si raccoglie da quella spedita al
Pontefice e da quolla ad un religioso del suo Ordine.
— 483 —
che pongono i savi e dotti teologi quando il superiore è male informato a giu-
stificarsi con lui, per non incorrere poi in censure alcune ». E il Parenti ag-
giunge-nel volume I delle sue Historie, a pagina 154: « Il Pontefice rappacifica'
tosi con Fra Girolamo, il fattogli comandamento sospese e licenza che a sua volta
predicasse gli concesse ». (*)
Per tutte queste ragioni noi, abbandonando il giudizio del Pastor, ce ne
stiamo cogli altri che scrissero fin qui del Savonarola, i quali per questa pre-
dicazione non gli mossero mai rimprovero alcuno, come non trovasi che alcun
rimprovero gli' movesse il Pontefice, nè altri.
Ma ancorché non si tenesse verun conto di queste ragioni, che pur tutte
insieme ci sembrano buone e decisive, pure abbiamo dei forti motivi per as-
serire che, predicando, anche senza espressa licenza, nel momento storico che
predicò, predicando come fece e per l'intento che fece, non solo il Frate non
avrebbe commesso alcun fallo, ma compito invece un'azione altamente doverosa
e molto lodevole, o per lo meno permessagli da tutte le leggi divine ed umane,
naturali e positive. Di questa mia gravissima asserzione credo poter far persuaso
ognuno che non ritenga le leggi canoniche e morali esser fatte per rimanersi me-
ramente teoriche e niente pratiche, ognuno che ritenga esistere un diritto, cui
forza umana non può impunemente violare e tutti devono riconoscere.
In quali condizioni si trovava allora Firenze? Lo dice anche il Pastor a
pagina 350: — Incalzavano i pericoli da parte di Piero de' Medici. — Brevi pa-
role invero, ma gravide di molto significato, che lo storico d'Innsbruck non deve
avere scritte inconsciamente. E noto a tutti: Piero de' Medici da Roma s'appres-
sava alla città di Firenze per ridurla un'altra volta nelle sue mani; per lui
l'Orsini radunava i suoi antichi soldati; e mentre Piero e l'Orsini si sarebbero
avanzati a Firenze, Giovanni Bentivoglio al soldo de' Veneziani e del Moro do-
veva anch'egli irrompere dai confini bolognesi contro la Repubblica , e Caterina
Sforza signora d'Imola e di Forlì mandava anche da un altro lato le sue genti;
i Sanesi e i Perugini facevano sperare larghi aiuti. (2) Firenze dunque era in
grave pericolo, e, com'è facile a capire, lo sgomento s'impossessava degli animi
e certo non del tutto a torto; imperocché ogni cosa pareva far presagire che
la fortuna dovesse volgere prospera al tentativo del caduto tiranno ! E allora
che sarebbe avvenuto? Quali vendette non avrebbe potuto prendere la Lega so-
pra quella città? quali vittime non avrebbe fatto Piero?! Credo che sia perfin
difficile immaginarcelo. E del Frate che se ne sarebbe fatto?!
In verilà che qui lasciar riuscire l'impresa di Piero voleva dire non solo
far tirannia; ma anche tagliare il capo a questi e a quelli e a quelli altri, torre le
possessioni agli uni, mandare in bando gli altri, e gli altri in carcere. La sorte
del Frate era certamente decisa. Egli ch'era creduto la cagione di tutto il mal dei
Medici, egli odiato e cercato a morte da' Palleschi, dagli Arrabbiati, dai sicari
del Moro, che poteva aspettarsi se non un'atrocissima fine?!
(') Aquarone, op. cit., lib.II, pag. 293, 309, testo e note.
'-) Cfr. Villari, p. 385.
— 484 —
E de' suoi Conventi, e segnatamente de' Frati a lui più famigliari e fìdiT
che ne sarebbe avvenuto?! E così stando le cose, si scandalizzerà alcuno se
l'ardente Riformatore risalì il pergamo e con la sua parola potente potè
ottenere che l'impresa di Piero de' Medici andasse fallita?! Io confesso franca-
mente che questo scrupolo non lo sento : il diritto di legittima difesa e per sè
e per la città non solo davano facoltà al Savonarola di mettere in bando ogni
riguardo; ma forse gl'imponevano anche l'obbligo di fare come ha fatto; e se
le tre concioni recitate non avessero ottenuto l'effetto che ottennero, e i Fio-
rentini non si fossero uniti e armati tutti, per le parole del lor Profeta, alla di-
fesa della patria, votando le severe leggi che votarono, io dubito forte se il
Savonarola dovesse tacere anche dopo giunto in Firenze il giorno 26 il Breve
che portava la data de' 16. Canoni che impongano di lasciar rovinare la pa-
tria ed offrire il proprio corpo e quello degli amici a' tiranni, perchè ne facciano
scempio, non n' esistono, e a imporre tanto invero non s' estende l'autorità pon-
tificia, e sarebbe un'ingiuria imperdonabile l'accusar Alessandro VI d'aver voluto
cosa simile! (/) Onde noi, quantunque ammettiamo in tutta la sua forza la verità
della proposizione universale, che il Pastor pronunciò, che solo dal Papa deve
partire la missione apostolica al ministero della predicazione, crediamo che essa
nel caso nostro, non abbia affatto luogo; onde torniamo a dire che noi riteniamo
piuttosto la prima spiegazione, cioè che il Savonarola non abbia per nulla rotta
qui la obbedienza altre volte promessa al suo superiore; e stimiamo che la
spiegaziouc contraria non sia sostenibile da nessun lato. E quindi riteniamo che
si vuole dichiarare il Frate di San Marco prosciolto anche da quest'accusa.
Ma andiamo oltre, chè la via è lunga. Bisogna che veniamo al Breve de' 16
ottobre J495. Lasciamo per ora la motivazione di esso; ne riparleremo al-
trove, (2) e stiamo all'essenziale del dispositivo. Questo consiste nel comando
(') Può parer sofistica, ma non è priva d'importanza la dichiarazione che il Savonarola
faceva, ripetutamente nel recitare queste concioni, ciò sono venuto questa mattina per par-
lare un poco con voi, non proprio per predicare ; ma non sapevo come parlarvi, se non con-
vocarvi qui». Cosi a di 11 ottobre; o cosi del pari ai 18; e a di 25 ripeteva ancora le medesime
cose: « Or su che faremo? Io non son venuto a predicare, come vi ho detto già due domeni-
che passate, ma a ragionare. Che cosa è predicare? K esporre le Scritture: vedete che non
v'espongo Scrittura nessuna ». Queste parole possono in ogni caso essere un segno della
delicatezza di coscienza del Frate, e mostrano del resto assai bene l'intento di queste con-
cioni tutte rivolte ad unire i Fiorentini contro il tiranno, intento felicemente ottenuto. Ora
se anche il Savonarola non fosse stato religioso, e non avesse mai avuto la missione del
predicare, egli avrebbe potuto recitarlo egualmente, in ispide se pensiamo che allora la
Chiesa non i ra davvero il luogo dove solo il popolo si adunasse per atti di culto divino e non
ancora per molte faccende civili e politiche. Ci sembra poi assolutamente ingiusto e anche
leggiero il rimproverare al Frate d'aver in queste prediche richiesto che si stabilissero le
pone di morte per chi voleva farsi tiranno o rovinare la patria. Oh! che doveva far decre-
tare loro un premio od una statua?! od astenersi dal consigliar lo leggi che potevano es-
sere la salvezza della libertà e del popolo?!! Da qualunque lato si considerino qui le accuse
contro il Frate, esse appaiono sempre infondate e ingiuste e anche leggiere!
(2) Qui noteremo una cosa sola che non ci vorrà fatto di toccare altrove, e che non
abbiamo ancoi toccato di sopra. Il Pontefice dice che si era persuaso che il Savonarola nel-
l' annunziare il futuro avesse errato piuttosto per soverchia semplicità, che per animo cat-
tivo. È il giudizio che pronunciavano gli emuli e gli avversari del Savonarola quand'egli
- 485 -
de) Papa fatto al Frate di astenersi da ogni sermone, non solo pubblico, ma anche
privato. (') E da vedere che cosa facesse questa volta il Savonarola e come
cominciò a predicare le sue visioni, e ripeterono poi, segnatamente i gran maestri, prima che
gli desser doli' astuto e del malizioso, come fecero dopo la calata di Carlo Vili. Il Frate ha
risposto ad esso molte volte e risponderà anche più forte d'ora innanzi nelle prediche
sopra Amos, sopra Ruth e Michea e sopra 1' Esodo. Alessandro VI avrebbe già potuto leg-
ger le risposte nel Compendio di lliveìazioni. Imperocché ivi dico tante cose da costringere
il Tentatore a confessare d'esser persuaso ch'egli non peccava, né per ignoranza, nè per
sciocca semplicità: perchè aveva saputo risolvergli per modo le obiezioni che gli aveva
fatte da dimostrare ch'egli non s'era mosso leggermente ad annunciare il futuro....; e
comò gli aveva risolto le obiezioni fattegli, cosi capiva il Tentatore che avrebbe risolto quelle
che potrebbe ancor fargli a questo rispetto. Quindi ritornava all'accusa di malizia. E cosi
fecero veramente i contradittori. Noi, come già abbiamo più volte ripetuto, speriamo che la
Chiesa avrà un giorno occasione di pronunciare essa, che sola è competente, come sta la
cosa intorno allo spirito profetico o alle predizioni del Frate; e alla futura decisione
pienamente ci sottomettiamo fin d' ora.
(') A questo punto il Pastor dice cose che ci paiono degne di nota. Prima di tutto
scrive: « Che quell'uomo esaltato non si fosse attesa tanta moderazione, il mostra un fatto
il quale getta una luce assai sinistra sul carattere di lui. In tutta segretezza, per mezzo del-
l'ambasciatore di Ferrara, aveva egli appicato pratiche con quel principe; e pel caso che il
Papa non gli menasse buona la sua scusa e volesse da vantaggio procedere contro di lui,
ne aveva invocato l'aiuto > (pag. 351). Prima di tutto l'asserzione che il Frate non si aspet-
tasse tanta moderazione, è meramente gratuita e contraria alla verità... Il Savonarola
nella sua coscienza dignitosa e pura aveva il diritto di aspettarsi, e si aspettava intiera,
specialmente ancora per ragione del giudice costituito sopra di lui, il Beato Sebastiano, la
moderazione con la quale Alessandro VI gli rispose; anzi s'aspettava anche di più, come ap-
pare da quanto abbiamo or ora detto, e come giustamente afferma anche il Bayonne. Ma
assai più grave di quest'asserzione, è l'altra cte abbiam letto nel Pastor, che qui ha nn socio
nell'accusa, il Grisar, il quale nell'articolo sopra citato scrive: « Si sa che il Savonarola, tut-
tora nell'incertezza, se il Papa avrebbe condisceso ai passi da Ini fatti per togliere quel
divieto di predicare, si rivolge al duca di Ferrara per averne appoggio nel caso si continui
a perseguitarlo. Non ne aveva dunque abbastanza della zelante sollecitudine con cui egli a
Firenze cercava di convincere il popolo che la scomunica lanciata contro di lui non era va-
lida? » Lasciando altre riflessioni che potrebbero farsi, dico che quest'accusa genera un
senso di pona anche per la forma, non seria come la gravità della cosa importerebbe. Nel
fatto poi essa riesce inesplicabile, e dimostra che gli autori non hanno letto bene la fonte
che citano. Dove hanno mai trovato questi due critici che il Savonarola si rivolgesse al
duca di Ferrara e per mezzo del suo ambasciatore appiccasse segrete pratiche per averne
l'appoggio nel caso si volesse da vantaggio perseguitarlo?! Citano l'uno e l'altro il doc. 92
del Cappelli, (pag. 68-69) che è un dispaccio del Manfredi de' 26 ottobre 1495. Ma questo non
dice affatto ciò che gli fanno dire. Il giorno innanzi il duca di Ferrara aveva scritto al Man-
fredi: <* Egli ci è stato scritto che il Pontefice ha inibito a Frate Hieronymo Savonarola il
predicare, e che esso Frate Hieronymo si trova in qualche pericolo. E perchè noi insino qui
non avemmo avviso alcuno da voi, ci è parso di significarvi quanto abbiamo inteso, e avremo
caro che subito ne avvisiate, se è vero quanto abbiamo detto di sopra o se pure la è una cian-
cia, per modo che intendiamo la verità ».Ora il sollecito oratore risponde al signor suo, scu-
sandosi di non aver prima scritto di questa cosa, poi, dopo di avergli significato che il Sa-
vonarola credeva di aver vinta la causa e che si imporrà silenzio a tutto, segue: < Mi ha
detto sua Reverenza che, quando pur la cosa fosse ita più avanti contro lui, e che il Papa
fosse continuato in non volerò ammettere le giustificazioni sue come buone e vere, che lo
aveva designato di ricercare il favore e l'aiuto dell'Ea Va come di quella nella quale con-
fida molto che non saria mancato di prestarglielo caldo e buono nelle cose oneste, come
questa sua, presso alla Santità del Papa. Ed a ciò che quella sia informata delle giustifica-
zioni sue, gli è parso di mandargli la copia della risposta che fece a nostro Signore sopra
ciò, la quale sarà allegata con questa mia ».
Ora qui dove trovate che il Savonarola si fosse rivolto per aiuto al duca di Ferrara?!
che avesse con lui per mezzo del suo ambasciatore appiccato pratiche segrete? Noto anzitutto
- 486 —
si governase rispetto all'ordine pontificio. Il Pastor, dopo di aver detto che ii
Governo di Firenze per ottenere la revoca del divieto pontificio, era ricorso in
ispecie al Cardinale Caraffa protettore dell'Ordine di San Domenico, segue:
« Questo porporato, così annunziavano le relazioni fiorentine da Roma, in un
colloquio ha persuaso il papa a permettere di nuovo la predicazione al Savo-
narola, ove questi si tenga sul campo religioso. Che un tale permesso venisse
dato in realtà, non l'osò sostenere !o stesso Savonarola. Dal contegno della Si-
gnoria di Firenze resulta chiaro, che non fu data licenza nè anche solo vocale
e che un Breve in proposito non esisteva. Infatti il giorno 11 febbraio 1496 la
Signoria fece la provvisione di intimare al Savonarola, sotto pena d'incorrere
il suo sdegno, che riprendesse le sue prediche nel duomo. Il religioso, il quale
aveva avute infinite difficoltà per rispettare gli ordini de'suoi supremi superiori ec-
clesiastici, corrispose immantinente all'ingiunzione dell'autorità civile » (p. 351).
Il Savonarola adunque, secondo il Pastor, avrebbe, risalendo il pulpito il
giorno 17 febbraio 14C6, rotto il divieto pontifìcio, avrebbe disobbedito.... E
questo, inteso così senza attenuante, è cosa già assai grave. Ma il Grisar
l' aggrava anche di più, imperocché secondo lui, il Frate doveva aver sentito
nell' animo la forza del divieto papale, ma ciò nullameno risalì il pergamo; e
allora con terribili accenti di collera inveiva contro il Papa al solo scopo psi-
cologico di aumentare il proprio ardire e acquietare i rimproveri della co-
scienza.... E noto a colui che legge negli animi se gli riuscisse facile questa vit-
toria s'ull' interna lotta.... (/)
ohe qualora lo avesse fatto, il carattere di lui non riceverebbe per questo luce sinistra. Non é
forse lecito cercare qualche avvocato perchè ci difenda presso un'autorità, sia pur la somma, al-
lorché per opera de' tristi si prendessero misure che sentiamo di non meritare? Il Savonarola
insegna che anche quando il Cielo ci dà avviso che alcuna cosa deve o no succedere, pure
vuole che si tentino i debiti mezzi secondo la condizione de' tempi, altrimenti sarebbe un
tentare Iddio. Chi può dargli torto?
Inoltre il Pastor suppone che per predicare il Savonarola avesse proprio bisogno del
permesso del Papa. Ora questo, come abbiamo detto nel testo, crediamo che non sia esatto.
Per predicare al Savonarola non occorreva un permesso esplicito dui Papa, il quale, e vuol
notarsi, non si lagnò mai di questa predicazione, sebbene certo ne avesse avuto notizia e
avrebbe potuto già condannarla col Breve segnato il 16 ottobre e giunto in Firenze soltanto
ai 26, quando già il Frate aveva fino dagli 11 cominciato a ripredicare.
Ma non abbiamo finito. 11 Pastor, nella stessa pagina che abbiamo ora citata, fa un'in-
sinuazione gravissima. Egli scrive: « Di sottomettersi stabilmento e lealmente egli, il Sa-
vonarola, certo non pensava, si anzi mise in opera ogni mezzo onde ottenere la revocazione
del divieto di predicare. Il governo fiorentino si adoperava instancabile in tutte guise nel-
l'intento medesimo.... »
Queste proposizioni importano, come presupposto indiscutibile, che la sentenza pontificia
fosBe senz'altro da osservare tacendo. Ma è vero questo supposto? Lo vedromo fra non molto.
Ma quali argomenti ha il Pastor per dimostrare che il Savonarola certo non pensava di sot-
tomettersi stabilmente e lealmente f — Il mettere in opera, ch'ei foce ogni mezzo per ottenere la
revocazione del divieto di predicare... l'adoperarsi ohe pur fece, il governo fiorentino instan-
cabile in tutte le guise nell'intento medesimo... — Io pur contrario ritengo che ciò dimostra che
il Savonarola da buon cattolico rispettava il divieto pontificio, sebbene carpito al Papa dai
nemici del ben comune e del governo di Firenze, e che in ogni oaso non voleva assoluta-
mente meritar oensura alcuna.
(') Se volessimo notare le inesattezze in cui cade il Grisar nel passo donde abbiamo
tolto questo giudizio, dovi emmo dilungarci troppo più ohe il lavoro presente non domandi.
— 487 —
Così il Savonarola avrebbe non pur disobbedìto, ma si sarebbe anche
guasta la coscienza, e, al più con una coscienza fittizia di poterlo fare, avrebbe
recitate le famose prediche sopra Amos e Zaccaria e compiuti non pochi altri
atti d'importanza anche maggiore! Noi credevamo, per il molto che si è scritto
a questo riguardo dal Villari, dal Guasti, dal Gherardi, dal Padre Ferretti e
dal cardinale Gapecelatro e da una schiera numerosissima di eletti ingegni,
i quali tutti s'accordano nel ritenere che Fra Girolamo risalendo il giorno 17
febbraio 1497 il pergamo di Santa Maria del Fiore non disobbedì, credevamo
che la questione fosse decisa. Ma per contro non pare ancora. E durano anche
fra i cattolici i critici del Savonarola che si credono in diritto e in dovere di
condannarlo tuttavia. Ripigliamo adunque la questione.
Giunto in Firenze il Breve Pontificio de' 16 ottobre, il Frate, se per un lato
ne fu lieto, perchè il Papa riconosceva per buone le scuse che gli aveva scritto,
per altro lato doveva certo impensierirsi per la ingiunzione di tacere finché
egli potesse comodamente recarsi in Roma, o il Pontefice avesse più matura-
tamente deliberato il modo che egli avesse da tenere per il futuro.
Quando sarebbe adunque definita la cosa? fino a quando avrebbe egli do-
vuto tacere? e in questo tempo che non farebbero i nemici suoi e di Firenze?
i nemici del ben vivere? che non farebbero i principi in alleanza cogli Arrabbiati,
radice della stessa sentenza pontificia? E i buoni che avevano ascoltato la potente
voce del Frate, mancando la parola di Dio, starebbero saldi nella buona vita?
E la libertà popolare non ne patirebbe nulla da questa punizione del suo più
forte sostenitore? Ed è tollerabile questo nero delitto, che i tristi osino così
efficacemente riempiere l'animo di falsità al Vicario di Cristo contro a chi non
fa altro che predicar la verità della fede cattolica, la semplicità della vita cri-
Ci sembra troppa la confusione che vi si fa de' Brevi pontificj e delle predicazioni dell'illu-
stre Domenicano! Di più ci sembra di leggervi troppe frasi a sensazione, e che esse anti-
cipino e preoccupino di troppo il giudizio del lettore. Noi crediamo che questo metodo non
sia retto né anche quando si ha per le mani la più chiara causa, e si è animati dalle mi-
gliori intenzioni, e mossi dai migliori fini del mondo. Nella storia bisogna prima esporre
integralmente i fatti e provarli ; poi, se si vuole, si potrà, sebbene non sia sempre neces-
sario, dire anche una parola all' affetto. Ma parlar prima al cuore che alla mente, l'adoperar
frasi che fanno senso, senza aver illuminato l'intelletto, non ci pare conforme al grave uf-
ficio di storico e di critico, ma piuttosto da retore, che sostiene una causa infelice. Ora, se
il Grisar avesse avuto la cura di precisare i fatti e provarne la verità prima di sentenziare,
come avrebbe potuto scrivere oltre alle proposizioni da noi citato nel testo, le proposizioni
seguenti? « .... Risalì (il Savonarola) il pulpito il 17 febbraio 1496. Allora sfuggirono dalla
sua bocca i già noti e terribili accenti di collera contro il Papa Alessandro VI, cosi egli
diceva, non è un Pastore e non rappresenta la Chiesa Romana; ed egli stesso obbediva a
Dio e non agli uomini... »
A chi son noti questi, davvero terribili accenti?! E chi ha detto al Grisar che essi
sfuggissero di bocca al Savonarola dal pulpito nella quaresima del 1496?! Io nelle quarantotto
prediche sopra Amos e Zaccaria non ricordo d'averli trovati mai. Se il Grisar me li provasse
veri nel fatto, condannerei anch' io inesorabilmente il Frate di San Marco. Ma come si fa a
dimostrarli veri? L'unica via sarebbe quella di ripetere le calunnie del Somenzi. (Del Lungo,
docum. Ili); o delle famose lettere ai principi; ripeter queste calunnie, e unirle insieme
senza aver nemmeno riguardo al tempo in cui furono inventate. Ma il Grisar sa benissimo
che le calunnie non sono prove in nessuna guisa, ma son delitti.
I
— 488 —
stiana, la rinnovazione della Chiesa cui Dio gì' inspira, e tutti i buoni deside-
rano e invocano '? contro chi predica incessantemente per lo Stato la santità
delle leggi informate alla filosofia del Vangelo? !
Questa e più altre questioni dovevano allora agitare assai forte 1' animo
del Frate; e poiché si sapeva che la sentenza, non dico nel Pontefice, ma nei
tristi che l'avevano fatta emettere, non mirava tanto a colpire il Frate quanto
la Repubblica di Firenze, quella impensieriva il governo non meno del Savo-
narola. Con tutto ciò egli si sottomise e tacque. E fece bene, e fu prudente; im-
perocché, per quanto imperiose queste questioni, non doveva semplicemente
farsene giudice egli stesso, dacché il pericolo della patria pareva scongiurato,
e nulla avrebbe giustificato la sua immediata ribellione. Tacque adunque, ma,
come era suo obbligo, se non voleva esser complice o almeno assenziente e
consenziente nel grave delitto, si adoperò con tutte le forze affine di ottener la
revoca dell' inibizione.
Il Savonarola, com' è noto ad ognuno, aveva in costume di predicare ogni
festa innanzi l'Avvento, e spesso anche nell'Avvento medesimo; né lasciava
mai passare il Carnevale senza raccogliere i Fiorentini ad ascoltare la parola
di Dio ; ma come egli tacque dopo la venuta dell'ultimo Breve Pontificio, così,
non essendosi ottenuta la desiderata licenza, tacque anche le feste e l' Av-
vento e il Carnevale, né la Signoria gli comandò punto di predicare. Anzi era così
fermo nel non risalire il pulpito senza licenza, che, essendogli chiesto dal priore
del convento di Prato per la Quaresima del 1496 Fra Domenico da Pescia, egli
rispondeva che pregassero affinchè s' impetrasse dal Sommo Pontefice per lui
licenza di predicare, chè allora avrebbe mandato colà Fra Domenico; altrimenti
no; imperocché avrebbe questi predicato in Firenze. (4) E questa lettera ha la
data del giorno della Purificazione di Maria Vergine, cioè fu scritta meno di due
settimane prima che il Savonarola risalisse il pulpito; in questo tempo adun-
que egli era sempre fermo a non predicare se il Papa non glie ne dava licenza,
né si ha notizia che la Signoria pensasse punto di imporglielo. Avvenimenti
straordinarj da giustificare il cambiamento di proposito non ve ne sono. — Che
dobbiamo adunque dire? — Che le preghiere de' buoni e le pratiche della Si-
gnoria ottennero il buon effetto desiderato, e nient' altro. — Vi sono prove di
ciò? Ve ne sono tante da togliere ogni dubbio ragionevole a chi le vuol sentire.
(') Merita di esser conosciuta questa lettera la quale dimostra quanto il Frate pre-
gasso c facesse pregare per questa causa nella speranza di ottenerla per le buone pre-
ghiere: c Si impetrabitur licentia praedicandi prò me a Summo Pontifica, dabo vobis in
predicatorem Fratrem Dominicum de Pisoia. Excitate ergo Fratres et alios devotos ad
orandum prò hac eausa, quia res habet difficultatera ; et si non impetrabitur, nescio qualiter
vobis possim sufficienter providere de praedicatore. Ordinabo bio ut Fratres post otfìoium
in mane cantent — Alma Redomptoris Matereto. ; — post vesperas et post oompletorium con-
suetas orationes videlicet : — Ave Regina — et Recordare. — Faciant etiàm dicere post oom-
pletorium septem psalmos prò hac causa. Ita ergo et vos facite, si vultis habere praedicato-
rem talem. Credo quod si (ervonter oravorimus, impctrabiinus a Domino gratias et iiet
magnum (sic) animai uni fructus ». Abbiamo trascritto direttamente questa lettera dal ms.
n° 2058 della Ricoardiana a c. 27, tergo. È stampata anche dal Villari, voi. I, p. cxiv.
— 489 —
Questo fatto « ben conosciuto dai contemporanei », come nota il Padre Fer-
retti (4), è attestato da molti biografi del Frate.
L' Aquarorie, per citarne uno, narrate le pratiche a tale scopo, dice: « 11
Pontefice non poteva, ostinandosi, diniegare più a lungo la permissione del
predicare al Fiate, richiedendonelo la stessa Signoria di Firenze. Accondiscese
pertanto; e Fra Hieronjmo riprese la predicazione. (Lib. II., pag. 355.) (*,)
Ma lasciando le autorità, noi crediamo che bastino a provar 1' esistenza
della permissione i Nuovi Documenti intorno al Frate; e non sappiamo come
abbian potuto dubitarne il Perrens e il Cosci. Il Somenzi da Firenze, prima che
il Savonarola risalisse in pulpito, con la data de' 16 febbraio, scriveva al Moro:
« Il Frate ha pubblicato volere predicare tutta questa quadragesima, perchè
dice avere avuto licenza del Sommo Pontefice ». (Del Lungo, doc. V.)
Ora, se la licenza non fosse venula, chi spiegherebbe tanta audacia? Non
sarebbe essa cosa sciocca assai? non avrebbe finito per far passare il Frate
per menzognero? E non sarebbe sorto proprio nessuno, nè a Roma, nè a Fi-
renze a contestare la verità di tanta impudenza? (3)
Ma vi sono altre prove: L'Oratore della Repubblica Fiorentina presso il
Papa, Ricciardo Becchi, scriveva a' dieci di Balia, a dì 3 marzo, informandoli di
un colloquio ch'egli aveva avuto col cardinal di Perugia, (*) e diceva che questi
« infine si dolse assai che contra alla volontà e proibizione del Papa, Fra Giro-
lamo predicasse; e che voi non facciate bene a permetterglielo e conceder-
glielo; e che pure sentendo il Papa seguitasse, ne farebbe dimostrazione...: ma
che nelle altre cose vostre s' ingegnerebbe disporre la Santità di N. S.... » Ri-
ferito ciò, il buon Oratore seguita mesto mesto sì che appare quanto gli sia
grande dolore che torni vana per le mene de' nemici l'opera sua presso Ales-
(') n Rosario — Memorie Domenicane. — Anno XIII, fase. 4, pag. 98.
(J) Anche il Cosci riconosce che gli storici sono d'accordo nell' affermare che il Papa
restituì al Savonarola la facoltà di predicare. Pag. 430, Archivio Storico Italiano. Quarta
serie, tom. IV.
C) So bene che alcuni citano la lettera che il Tranchedino scriveva da Bologna al Moro
stesso, con la data de' 20 febbraio. (Del Lungo, doc. VI); ma che dice essa? Ecco: « Ho comu-
nicato con i magnifici messer Giovanni e messer Antonio Vinciguerra le lettere della presente
cavalcata da Firenze, quali si hanno riso non poco dell'opera e versuzia di frate Girolamo in
sapere accattar grazia appresso di quel popolo fiorentino. Accerto ben la Eccellenza Vostra
che non è vero che l'abbia avuta licenza dal Pontefice di poter predicare, come pare l'abbia
avuto a dire; ma se la toglie da sè, dove li è permesso che non li sia devetata... » Qui sor-
gono spontanee alcune dimando? Onde attingeva quest'oratore a Bologna la certezza che
voleva trasmettere nel Moro? Perchè non un cenno di questa fonte, e dei motivi di quella?
E le parole: dove li è permesso che non li sia devetata... che vogliono dire? Esse o non hanno
senso o valgono appunto a confermare che la licenza era venuta nella forma che sosteniamo,
cioè che il Pontefice l'aveva data vivae vocis oraculo, con promessa, che il Breve relativo si
spedirebbe poi; e il cardinal Caraffa e il Becchi l'avevano con loro lettere cosi trasmessa
alla Signoria di Firenze. Quindi là stesso dove l'astuto e maligno nemico del Frate vuole
negargli la licenza, gliela testimonia. In vero che ad ogni modo quest'asserzione non vale
a distrugger le altre che asseverano la cosa, ma piuttosto a confermarle.
(■•) V. Gherardi, pag. 134-135. « Giovanni Lopez, nativo di Valenza in Spagna, datario
di Alessandro VI, eletto vescovo di Perugia il 29 dicembre 1492, fatto Cardinale dallo stesso
Pontefice, col titolo di S. Maria in Trastevere. Nel 1498 passò a reggere la chiesa di Capua ».
Così il Padre V. Marchese, Archivio Storico, Appendice, voi. VIII, pag. 148.
— 490 —
Sandro VI, e dice, che « Dio gli era testimonio di quello ch'egli aveva fatto
per ottenere dal Papa questa grazia di Fra Girolamo per soddisfare alla Si-
gnoria che glielo comandava, per soddisfazione e devozione del popolo, e per
fare il suo debito e per altri rispetti.... » E soggiunge: « Dissi al Cardinale di Pe-
rugia che Fra Girolamo predicava per la relazione del cardinale di Napoli e mia,
avevamo fatto costì, della promissione del Papa, (*) e che, avendo cominciato,
sarebbe gran disturbo e ammirazione al popolo avesse a lasciare, e provvedersi
d'un altro: che assai gli satisfè e che ne direbbe col Papa. Ed imposemi eziandio
ne scrivessi a V. S. ed esortassi quelle a non lasciare scorrere più le cose ». (*)
Ora qui abbiamo un Cardinale che quasi scandalizzato si duole che il
Frate predichi e la Signoria glielo permetta contro il divieto e la volontà
del Papa, e che protesta, ove si seguiti, dimostrazioni e minacce; ma l'Ora-
tore, che è da tutti ritenuto per uomo onestissimo, gli asserisce non esser vero
quanto Sua Eminenza suppone; ed afferma in contrario che il Frate predica
con la permissione del Papa e dietro relazione del cardinal di Napoli e sua.
Chi potrebbe anche qui spiegare un'audacia simile, se la relazione non si fosse
mandata, ed essa non avesse contenuta la desiderata permissione ? Ma v' ha
anche di più: il Cardinale alle ragioni dell'Oratore resta soddisfatto e cono-
scendo certamente le brighe contro il Savonarola, esorta quello a scrivere
alla Signoria di rion lasciar correre più le cose, prevedendo senza dubbio che
in caso contrario i calunniatori le porterebbero a tal punto che non si potreb-
bero più districare, e promette che ne direbbe egli stesso al Papa. — Ne disse? —
Sì certo. Difatti, con la data del giorno 11, e poi de' 20 marzo, (3) l'Oratore ri-
ferisce altri colloquj avuti col medesimo Cardinale intorno a Fra Girolamo, ma
ivi, sebbene il Cardinale continui a consigliare l'oratore a persuadere la Signoria
a staccarsi dalla Lega, e affermi che non è possibile trarre dall'animo del Pon-
tefice le false suggestioni, fattegli dagl'invidi e detrattori contro a Fra Girolamo,
non appare più nè poco nè punto che il Frate, abbia cominciato a predicare,
o predichi contro \& proibizione del Papa. Non è adunque assolutamente strano
il pensare che questo Cardinale compiesse la promessa fatta il giorno 3 marzo,
e parlasse ad Alessandro VI del Savonarola, e gli dicesse davvero, come il
Frate credeva di essere in regola predicando, e che il Pontefice non negasse
punto ciò che non poteva negare. Sta il fatto che il cardinal di Perugia non
ripetè più all'Oratore il rimprovero che prima lo scandalizzava: dunque si
dovè confermare nella persuasione che la facoltà di predicare fosse davvero
stata concessa.
(') Questa promissione si riferisce ad una revoca formalo e in iscritto che non fu mai
fatta, ma include al temiio stesso una licenza a voce. Il Papa aveva dato licenza a viva
voce che il Frate predicasse, e promesso che poi spedirebbe il Breve relativo. Alt rimenti come
poteva il Becchi credere abbastanza giustificato il Savonarola se predicava dopo una sem-
plice promessa, mentre si sa che egli stesso era risoluto di non risalire il pergamo senza
licenza?
(*) Gherardi, pag. 184-135.
(3) Gherardi, pag. 136.
I
— 491 —
E nella consulta de' 10 marzo troviamo un altro principio di prova che
davvero il cardinale Caraffa aveva scritto che il Pontefice lascerebbe predi-
care, e che non negherebbe la licenza domandata. Infatti vi si leggono le se-
guenti parole: « Del caso di Fra Girolamo, s' egli ha predicato è per la gran
fede che ha nella Santità Sua e massime per le lettere del Cardinale Neapo-
litano...., e non per voler venire contro la volontà di Sua Santità ». (') In vero,
o queste parole sono sciocche, o il permesso che si lasciasse predicare, il
Papa l'aveva dato e il Cardinale trasmesso.
Nè meno decisiva, anzi più, di queste attestazioni che si leggono ne'Docu-
menti pubblicati dal Gherardi (pag. J 34-136), ci par quella che si raccoglie dal
documento III de' pubblicati dal Marchese. E una lettera di monsignore Nicolò
Pandolfini a' Dieci di Libertà e di Balìa, in cui narra di un colloquio avuto con
Alessandro VI, intorno al Savonarola e alla condizione della Repubblica, con
la data de' 23 marzo. Anche qui si lagna Alessandro VI che la Repubblica
di Firenze sopporti che, contro la sua volontà, Fra Girolamo predichi, e di più
altre cose rispetto alla Francia ed alla Lega. Pandolfini gli risponde quanto
al resto, e poi « di Fra Girolamo », gli dice, « avere inteso essergli stata ini-
bita la predica da Sua Beatitudine, e poi permessa per relazione d' un Cardi-
nale: e che per questo non credevano essere ribelli della Sua Santità, e mas-
sime che delle prediche sue non s'intendeva che bene ». E segue: « A che
Sua Santità rispose: — Ben, di Fra Hyeronimo non parliamo al presente: tempo
verrà che ne parleremo meglio: di queste altre cose voi non dite che parole,
e nulla si trae da voi: ma volete stare a vedere, e tenere il piè in due staffe ».
Ora è possibile dare a questo passo un'interpretazione che non significhi
che il Papa non negava, ma lasciava credere che il permesso l'aveva dato in
realtà? Lo ha tentato il Cosci, ma ci pare senza effetto. No, il Papa non ri-
spose qui come uomo che vuol mutar discorso, ma anzi stette nel discorso
molto saldo, e concedendo quanto non poteva negare, ribattè il resto con
molta forza. Si legga bene tutto il documento e si vedrà che il Papa per ciò
che riguarda il Savonarola rimase soddisfatto o almeno convinto; mentre per
il resto disse senza un pelo sulla lingua: « Di quest'altre cose voi non dite che
parole ». 0 perchè tener questo modo di rispondere, se anche del Frate non
si dicevano che parole? Non era molto più spiccio il dir senz'altro: Voi non
dite che parole ! senz'altra distinzione? Imperocché, notiamolo bene, in tutti questi
discorsi il Papa si lagna non già di Fra Girolamo, come tale, o perchè predichi,
ma della Signoria che lo lascia predicare e gli permette di vilipendere i Cardinali
e Lui che siede sopra il trono di Pietro. Dunque se avesse potuto negare d'aver
data la licenza che gli s'affermava, sarebbe davvero stato un argomento di più
per dire che i Fiorentini non camminavano retti; e il Pontefice se ne sarebbe
certamente servito, tanto più che, così facendo, sarebbe riuscito grato alla
Lega, la quale era veramente quella non voleva che il Frate predicasse. Qui
ci vuol poco a vedere che non si troverebbe nessuna risposta soddisfacente da
(') V. Gherardi, pag. 136.
— 492 —
dare a chi ci domandasse, perchè mai e per quale utile, quando la facoltà non
fosse stala riconcessa, il Pontefice lasciava credere ciò che non era e lo lasciava
credere non solo a monsignor Pandolfini, ma a tutti coloro che gli parlavan
della cosa.
Ma si obietta: « Se il Savonarola fosse stato ben sicuro del fatto suo, cioè
di risalire sul pergamo col consenso del Papa, egli poteva cominciare il suo
quaresimale del 1496, quando il 17 di febbraio comparve di nuovo dinanzi al
popolo fiorentino, che lo aspettava accalcato in Santa Maria del Fiore pieno di
un'aspettazione convulsa, col dichiarar francamente, che il Papa gli aveva re-
stituita la facoltà di esporre il verbo divino. Al contrario non solo egli non fece
una dichiarazione tanto semplice, e che avrebbe troncate tutte le dicerie, ma,
dopo avere scolaslicizzalo un pezzo sui fini e i modi della creazione, si faceva
a dichiarare, che egli ritornava — in campo — per congregare intorno a sè i
buoni e per assicurarli che non era venuta nessuna scomunica e che, quando
la fosse venuta, — non varrebbe nulla — come aveva ripetuto altre volle» (£)
La risposta è pronta: Questa dichiarazione non occorreva. Il Savonarola non
aveva aspettato a far sapere che predicava con la licenza quand'egli già era
sul pulpito; ma lo aveva fatto pubblicare già prima, come si raccoglie dal do-
cumento V pubblicato dal Del Lungo: (2) e cosi doveva fare, e non altrimenti,
imperocché l'invitare a predica il popolo, il quale sapeva che questa era stata
vietata, senza dimostrargli prima che il divieto non valeva e senza persuaderlo
prima che già il divieto era revocato, sarebbe già slato almeno un disporlo e
un incitarlo a trapassare gli ordini pontificj. In Chiesa, a sentire il Savonarola,
quando fossero stati prima certi che il predicare gli era inibito e non assicu-
rati poi che gli era venuta nuova facoltà, o che la inibizione era nulla, da
buoni cristiani non dovevano andare: anche non condannandoli rigorosamente
i canoni, poteva essere un vero caso di scandalo. Il Savonarola adunque avvertì
prima il popolo che la sospensione era tolta; e come dice il Somenzi pubblicò
che avrebbe predicato tutta la quaresima, perche aveva avuto licenza del Sommo
Pontefice. Fatta tale dichiarazione al popolo, che bisogno v'era che nella prima
predica dichiarasse francamente che il Papa gli aveva restituita quella facoltà ?
Ma è poi proprio vero che il Frate nella prima predica, e anche nelle altre,
non accennasse in modo che, chi ne avesse avuto bisogno, capisse com'erano
passate le cose? A noi parrebbe di no, ma che invece nelle prediche di questo
quaresimale vi sia argomento da avvalorare la voce dell'ottenuta licenza. « — Che
vuol dire, Frate, che tu sei stato tanto a riposare, e non sei venuto in campo
ad aiutare i tuoi soldati? — Figliuoli miei, io non mi sono stato a riposare,
(') Cosci, pag. 431; Pastor, pag. ;i51 ; Grisar, art. citato.
(2) Il Cosci a pag. 482 nota che questi documenti confermerebbero che il Savonarola
non riebbe da Roma la faooltà di predicare. Noi crediamo sia vero l'opposto. Molto più
nel vero del Cosci trovavasi il Del Lungo quando scriveva (pagina 6) « elio in queste lettere
milanesi si può seguire la tenebrosa e vile opera de' congiurati contro le libertà italiane ;
piacerà trarne luce a spiegare la dolorosa fine d'un uomo, de' cui nobili intendimenti pos-
sono forse anch'oggi giovarsi, e forse oggi più ne abbisognano, l'Italia e la Chiesa ».
— 493 —
anzi io vengo di campo, e sono stalo a difendere una ròcca, che se la fosse an-
data per terra, forse che anche voi eravate rotti; ma ora per grazia di Dio, me-
diante le vostre orazioni, l'abbiamo salvata ». Ora che è questo campo e questa
difesa da cui torna il Frate, se non l'adoperarsi di lui e de' suoi per la revoca
della proibizione? che è la ròcca se non il Frate e la predica, mancando la
quale il popolo si dissiperebbe? E il dir salva questa ròcca, l'essere questa
ròcca salva, che può essere altro se non la concessione, ottenuta per le pre-
ghiere dei frati e del popolo? — E nella predica XXXV della stessa quare-
sima, per istruire i buoni contro ai tiepidi, che andavano dicendo ogni male,
e che egli era scomunicato, e che non si doveva andare alla predica, diceva:
« Rispondiamo, prima, che non ci è nulla di scomuniche, che dicono. . . ., e tu
che dici che chi viene alla predica è scomunicato, non hai studiato bene: vai,
leggi, lo rispondo per voi audienti. Prima dico che non ci è nulla di scomunica;
secondo, quando io pur fossi scomunicato non s'intende che sia scomunicato
chi va alla predica, se non è denunziato prima colui che è scomunicato. Va',
leggi nel Concilio di Costanza di Papa Martino, dove e' dice, che se uno è sco-
municato, e non sia denunciato, che ognuno può stare con lui, eccetto s'egli
avesse battutto il clero manifestamente ».E ancora nella predica ultima, avendo
detto che « è dannato chi non obbedirà alla Santa Romana Chiesa », si fa obiet-
tare : « Tu dirai: — Oh ! come! Frate, tu hai predicato contro al comandamento
del Papa! » e risponde: « Io ti dico, che non ho comandamento nessuno ». (*)
Ma come si spiega adunque che « appena si seppe a Roma che il Savona-
rola aveva ricominciato a predicare, fu un gridare allo scandalo e dal Papa e
da tutta la Coi te Pontificia contro la Repubblica Fiorentina che aveva permesso
tanto al Frate? » (*)
Ecco un'altra inesattezza. Dove si raccoglie che, appena si seppe a Roma
che il Savonarola aveva ricomincialo a predicare, il Papa e tutta la Corte Ponti-
ficia gridassero allo scandalo? I Nuovi Documenti ne fanno invece conoscere che
il Frate potè cominciare e seguire a predicare un paio di settimane senza che
nessuno nella Corte Pontificia se ne chiamasse scontento; infatti il documento,
nel quale appaiono le prime disapprovazioni, porta la data de' 3 marzo. Dunque
il Savonarola avendo cominciato a predicare il 1 7 febbraio, aveva già fatto
14 prediche senza che nessuno pensasse a scandalizzarsi. Di più, noi non tro-
viamo che il Papa si lagnasse dell'aver il Frate trasgredito il comando dei 16 ot-
tobre e ricominciato a predicare, nè dell'aver ciò permesso la Signoria; ma
solo che questa lo lasciasse continuare, mentre, contro alle assicurazioni che
gli aveva dato il cardinal di Napoli, quegli osava dir male di Sua Santità e della
Corte Romana e, occupandosi di politica, tenea i Fiorentini saldi alla parte
francese, e non lasciava loro pigliar le deliberazioni che altrimenti avrebber
prese accostandosi alla Lega e mostrandosi veri italiani. (3)
( ) Cfr. anche il passo citato sopra n p. 433, tratto dalla predica XXVII, sopra Amos.
(2) Cosci, pa<?. 430.
(3) Non ricordo d'aver letto un documento dal quale si rilevi in modo indubbio che il
Pontefice abbia disapprovato semplicemente il fatto stesso del predicare del 1496; ma per
- 494 —
Dal complesso de' Nuovi Documenti è facile raccogliere che Alessandro VI
aveva conceduto, sia pure, se vi piace, a mezza voce e per le continue insi-
stenze della Signoria e del cardinale di Napoli, che il Savonarola predicasse
e di revocare il Breve de' 16 ottobre con un nuovo Breve, dietro promessa e
condizione che il Frate non dicesse male di Sua Santità, e non s' impacciasse
delle cose di Roma nè della Lega. (') Questo anzi ci pare detto in modo espli-
cito nella lettera che il Becchi scriveva a' Dieci con la data de' 18 marzo, nella
quale si 'leggono queste testuali parole: « Sua Beatitudine molto si duole di Fra
Jeronimo, per intendere quel dice; e che da Monsignore Reverendissimo di Na-
poli e molti altri gli era stato promesso non s' impaccerebbe delle cose di qua,
come dicono non essere suo ufficio nè appartenersi a lui ; e che V. S. fareb-
bero bene a esortamelo.... » (?)
E le cose eh' eran riferite a Sua Santità sul conto del Predicatore sap-
piamo anche quali sono, e le possiamo ieggere nella lettera del Becchi a'Dieci
con la data de' 25 marzo; cioè, che egli < dica apertamente e pubblicamente
male di Sua Santità, de' Cardinali e tutta questa Corte, come s' appartenesse
particolarmente a Sua Paternità; che lui scriva, dica, predichi e affermi esser
profeta, parlare con Dio, Nostra Donna e Santi e predica le cose future con
tanta asseveranza, che, per dare ardire al popolo e a' fanciulli, toglie la li-
bertà del deliberare e discernere e giudicare a chi s' appartiene..., che questa
contrario egli si lagnò sempre che la Signoria lasciasse predicare il Frate, sebbene questi
(come al Pontefice si faceva credere) non si tenesse nel puro campo religioso e ripetesse
cose degne di condanna. Questo appare anche da ciò che diciamo immediatamente nel testo;
ma il lettore veda intieri i documenti dai quali abbiamo estratto i passi di sopra riferiti, e
si persuaderà subito da se stesso che diciamo il vero.
(') Ci pare assai notevole anche il passo seguente di una lettera che il Becchi scrive
ai Dieci con la data de' 5 aprile 1196, pubblicata dal P. Marchese, doe.IV.
c Havendo io più giorni inteso questa materia, et informato il Cardinale di Perugia et
Segobricense, el Vescovo di Capaccio, et molti altri dovessimo confortare nostro Signore a
soprasedere et pensare bene questa cosa, monstrando ne potrebbe uscire qualche grande
scandolo per molte evidente ragione; in modo che, parlandone Sua Beatitudine col Vescovo
di Capaccio, et quello gli pareva da fare, confortò Sua Santità come l'avevo persuaso, in
modo lo placò et dispose a volere soprasedere, et impose a detto Capaccio, el quale è più
affectionato alla ciptà et natione nostra che hnomo che io cognoscha, dovessi dirmi, che io
facessi intendere a V. S., che sua Paternità dovessi modestamente parlare di Sua Beatitu-
dine, de' Reverendissimi Cardinali et degli altri prelati, et non volessi excedere el modo
degli altri eccellenti et optimi predicatori, et porre boccha a quelle cose non si apparte-
nevano a lui, né era suo offitio, et cosi non volessi impacciarsi de cose secolare et de'facti
distato. Cosi ne prego V. S., alle quali mi rimecto, ne dichino lo suo parere come paro a
quelle, che in verità non è podio Sua Beatitudine l'abbia sopportato insino qui, essendo
riferito a Sua Beatitudine tante novelle da vostri et di costi et di qui. Rachomandomi a
V. S. » Questa raccomandazione come si spiegherebbe?
E un'altra ragiono abbiamo ancora, la quale ci pare che abbia un valore gravissimo
a favore del Frate ; ed è che il Generale dei Domenicani il 26 di giugno dell'anno 1196 au-
torizzava il Savonarola a dare il velo alle religiose del Monastero di Santa Lucia di Firenze,
monastero che rifioriva appunto per le cure e lo zelo di Fra Girolamo. Se il Frate avesse
disobbedito per il fatto del predicare e perciò fosse incorso nella censura annessa a quel
precetto, come avrebbe potuto il Generale far ciò e scrivergli la lettera che si legge
De' Nuovi Documenti del Gherardi a pag. 63-69 ?
(*) V. Gberardi, pag. 137.
— 495 —
cosa di Fra Jeronimo e di questi fanciulli abbia a esser principio e causa di
qualche scandalo e ruina della città». (Ivi, pag. 141.) (') Nè queste cose eran rife-
rite solo da persone a cui la Corte Romana dovesse tener sospette, ma erano
scritte da Firenze, come dice ancor ivi il Becchi stesso, « per molti e non
di poca autorità, e riferite qui da' nostri, e al Papa, a' Cardinali e tutta que-
sta Corte. E qui « soggiunge poi » dal Generale di San Domenico e molti
altri religiosi dottissimi e di buona vita e santimonia, sono ragguagliati della
intenzione e fondamenti di Fra Jeronimo ». (2) Intenzione e fondamenti che
Dio sa quali eran creduli! Del resto i nemici e gli emuli del Frate avevano
qui, forse meglio che altra volta, buon giuoco alle calunnie, perchè sebbene
nessuna delle accuse onde riempivano Roma, fosse vera e giusta, tuttavia è
noto che alcune delle prediche del 1496 sono arditissime e fiere più ch'altre
mai, nè seconde in riprender i vizj del clero e di Roma e nelle minacce ai
nemici del governo Fiorentino, se non forse a quelle sopra l'Esodo; e già
quando la Curia e il Pontefice cominciarono a muovere lagnanze doveva es-
sere stata detta la XII, nella quale si fa di Roma quel sozzissimo quadro, che
per quanto vero, non è certo da lasciarsi leggere ora senza chiosa ad
ognuno. Si capisce adunque, se si pensa alle arti degli avversar) del Savona-
rola, come cosa del tutto naturale che il povero Becchi a ogni ora ne fosse
alle mani con quei signori Cardinali, e che trovasse difficile a voler contra-
dire e difendere; e si capisce del pari che il Papa ricusasse di segnar quel
Breve che aveva promesso, prima della quaresima, che segnerebbe. Anzi se
v' ha cosa da far maraviglia, questa si è, che Alessandro VI, credendo veri tutti
quei falsi ragguagli, sopportasse come faceva le prediche del Frate contro sua
voglia. (3) Francamente, io non avrei avuto tanta pazienza, nè tanta longa-
(') Queste erano appunto le cose che il Papa aveva imposto di lasciare. A nessuno,
credo, vorrà risorgere in mente il dubbio che il Savonarola disobbedisse non per il fatto
del predicare, ma per l'argomento scelto ad oggetto delle prediche. Questo dubbio, se mai,
trattando della predicazione del 1196, darebbe alla questione un aspetto nuovo : e noi lo ri-
solveremmo, anche con molto piacere, in un capitolo speciale, se già non ciedissimo di aver
detto più che a sufficienza perchè ognuno possa averne piena risposta. Si rileggano special,
mente, se mai, i capitoli X, XIII, XIV, XVI, XVIII, XIX, XX, XXI, e si vedrà che il Frate
non venne meno al suo dovere neancbe per le cose predicate. Del resto la migliore solu-
zione del dubbio è il quaresimale stesso raccolto dalla viva voce del predicatore: leggetelo
e poi vedrete se vi resterà nulla a desiderare.
(-) Gherardi, pag. 141.
(3) Non credo inutile prevenire un'obiezione, che, sebbene nessuno fin qui l'abbia fatta,
potrebbe sorgere nell'animo di alcuno de' nostri lettori. Dato e concesso che il Savonarola
cominciasse a predicare colla licenza del Papa, perchè non sospese la predica quando seppe
che la volontà del Papa s'era mutata? La risposta è facile. Al Savonarola, nè il Papa, nè
alcuno de' Cardinali, per quanto ne sappiamo, hanno mai fatto saper nulla di questa mala
voglia. Anzi nella predica XXVII dice chiaro che ordine ch'egli non predichi non ve n' è
alcuno, e in nessuno de' Documenti, come già abbiamo notato, si lagnano del Frate come
tale, ma solo e sempre della Signoria, la quale certo deve essersi preso ben guardia d'in-
vitarlo a tacere. D'altra parte il Frate sapeva molto bene che le ragioni per le quali il
Papa si chiamava scontento non esistevano punto, come sapeva benissimo che in realtà chi
non voleva che ei predicasse non eia già il Papa, ma la Lega : per tutto ciò, nemmeno
quella specie di obbligo morale doveva legare il nostro Frate, nè meritargli alcun rimpro-
vero. (Vedi le citate prediche XXVII e XLVIII sopra Amos e Zaccaria).
— 496 —
nimità. (4) In conclusione si capisce e spiega adunque benissimo nel Papa la
promessa di lasciar predicare Fra Girolamo, con le lagnanze che egli e la sua
corte ne fecer poi.
Resterebbe ancora un' obiezione che parrebbe di qualche valore e a cui
anzi il Pastor ha dato un valore decisivo, motteggiando anche un poco in-
torno al Frate. (*) « Se il Papa aveva veramente acconsentito, fosse pure
a voce, che il Savonarola ricominciasse a predicare, c' era egli bisogno di un
decreto della Signoria? E, quando mai, perchè nel decreto non accennare in
nessun modo alla nuova concessione papale? » — Noi, rispondendo, vorremmo
fare anche noi una domanda : Come mai, se il Papa non aveva consentito,
almeno a viva voce, che il Savonarola ricominciasse a predicare, si spieghe-
rebbe l'insolita deliberazione della Signoria? — In nessun modo. Non c'era
davvero bisogno che la Signoria insistesse tanto per aver il permesso desi-
derato, se poi era risoluta d' imporre al Frate di predicare ad ogni modo.
Sarebbe davvero inesplicabile un tale atto; e non si capirebbe ch'esso fosse
rimasto inosservato nella Curia Romana, finché non furono sentite più forte
del solito le accuse contro il Frate. E parrebbe strano davvero che, con-
tinuando la Signoria a coprirsi del manto del cardinale di Napoli e del suo
Oratore presso il Papa, questi due personaggi tacessero assolutamente come
se fosse cosa indifferente e nessuno movesse loro il minimo rimprovero di
aver male interpretato o palesato il volere del papa. Il cenno poi della conces-
(') Alcuni, e con questi il Cosci, pag. 430, si fanno anche le meraviglie come mai, avendo
il Papa permesso al Frate di predicare, ricusava poi, perchè questi predicava, perfino di con-
cedere al popolo fiorentino alcune grazie spirituali di cui lo aveva piegato caldamente
l'ambasciatore della Hepubblica; cioè di segnare i Brevi, che già aveva promesso che se-
gnerebbe, della indulgenza plenaria di Santa Reparata. Ma costoro, a mio giudizio, non
guardano ben la cosa. Esaminando i Nuovi Documenti, si può vedere che questo Breve delle
indulgenze e quello che doveva riguardare la predicazione del Savonarola hanno la mede-
sima storia. E come il Papa aveva senza alcun dubbio promesso innanzi quadragesima che
concederebbe quello, così aveva anche promesso che avrebbe spedito questo. Ma poi ebbe
a dire apertamente che «la Lega non voleva che concedessi che Fra Girolamo predicasse: e
quei Signori non avranno nulla da noi, se non entrano nella Lega ». (Gherardi pag. 134). E
questo riuscirà anche più chiaro, se pensiamo che il Moro ed i suoi oratori, dopo aver
tentato di trarre a sé il Frate, si erano ora completamente persuasi della vanità de'loro sforzi,
e però raddoppiavano l'impegno e l'ira nelle maligne e nebulose loro arti contro di lui.
(2) « Il religioso il quale aveva avute infinite difficoltà per rispettare gli ordini de'suoi
superiori ecclesiastici, corrispose immantinente alla ingiunzione dell'Jantoiità civile ». (Pa-
stor, pag. 352.) — Ecco una frase d'effetto, ma contraria alla verità storica. Il Savonarola
ha detto ripetutamente ch'egli non era soggetto al foro secolare; e qui ha ripetuto anche
più volte che non si moveva a predicare per alcuna autorità terrena, e tanto meno per il
solo ordine della Signoria. Se predicava, si era perchè egli conosceva di poterlo tare, es-
sendo puro dalle colpe che gli erano state apposte e da altro che lo rendessero meritevole
delle misure già prese contro di lui. Se questo non avesse egli sentito nella sua coscienza,
non si sarebbe mosso nemmeno col permesso del Papa; sapendo bene ohe il tatto solo del-
l'assoluzione, sia pure del Papa, non libera chi merita di star legato. In questo senso si può
dire veramente che il religioso risali il pergamo, non per le ingiunzioni della Signoria, ma
per ordine di Dio, da cui proviene la luce della verità chiaramente veduta. Con questa
c hiave si potrà aprire un passo del II Sermono sopra l'Esodo, e più altri del Frate, e lo stesso
dooumento 100 ilei Cappelli, tanto frainteso da alcuni calunniatori del Savonarola.
— 497 -
sione pontifìcia nella deliberazione della Signoria non era affatto necessario,
essendo quella già ben nota al Savonarola a cui la deliberazione si indirizzava.
Afa ben si spiega la deliberazione stessa. Prima dì tutto chi aveva chiesto al
Pontefice per il Savonarola la sospensione del divieto? La Signoria. A chi ave-
vano comunicato il Becchi e il cardinale di Napoli la licenza del Papa?
Certo alla Signoria. E la Signoria poi, corri' è naturale, la comunicò al Savo-
narola. Ora, vi parrebbe forse strano il pensare che la forma del permesso e
la condizione annessa, al Frate non tornasse del tutto gradita? 11 Savonarola
nella sua coscienza delicata poteva desiderare qualche altra cosa secondo j
canoni, e forse la condizione che limitava la sua libertà non gli piaceva. Quindi,
esitando egli, i Signori credettero opportuno di comandargli, come fecero, di
predicare e non rimaner duro, dacché la licenza c'era; e che ci fosse pubbli-
cavasi a tutto il popolo. (*)
E così ai 17 febbraio il Savonarola risalì il pergamo e la Signoria poteva
a di 9 marzo scrivere al suo oratore Becchi: « Noi abbiamo chiaramente co-
nosciuto con quanta cura, amore e fede vi siete operato e con la Santità di
Nostro Signore, e con molti reverendissimi Cardinali che frate Hieronimo babbi
licenza di perseverare nelle sue predicazioni, la qual cosa a noi e a tutto il
popolo è mollo piaciuta ». (2)
Dopo tutto ciò, a me pare che per sostener tuttavia che Fra Girolamo
a dì 17 febbraio risalendo il pergamo di Santa Maria del Fiore, disobbedì,
si richieda davvero molto desiderio e molta voglia di condannarlo; e che chi
10 fa si mostri assai più rigoroso di quello che non si mostrasse Alessandro VI,
11 quale nello stesso Breve di scomunica scriveva d' aver sopportato che il
Frate predicasse, e anzi nel finire della Quaresima stessa del 1496 riusciva
a quietarsi e restare assai bene soddisfatto circa alle cose di Fra Girolamo, come
è detto esplicitamente nel documento che il Gherardi pubblica a pag. !43,
benché molti cercavano guastare tutto. Ma, pur troppo, come ivi stesso è detto,
sempre furono degli emuli!!
( ) Singolare è del resto il Cosci, il quale, pure sforzandosi di attenuare, e magari di-
struggere le ragioni che fanno inclinare ad ammettere la licenza, scrive poi non solo che la
voce che il Savonarola avesse riavuta la facoltà di predicare per relazione di un Cardinale
corse di certo, uè Alessandro VI, se non confermò quanto gli rispose il vescovo Pandolfìni,
non ardi nemmeno di contradirlo : ma aggiunge di più: < Jla io non sarei alit-no dal coneludere
che Alessandro VI. stanco alla line delle sollecitazioni che gli facevano da più parti, si la-
sciasse scappare a mezza voce parlando col Cardinale di Napoli che a lui poco importava
che Fra Girolamo predicasse purché non parlasse male del Papa e della Corte di Roma».
In vero che si richiede poco altro perchè siamo coli' acuto critico perfettamente d'accordo.
Le sue ragioni valgono solo per chi pretendesse che Alessandro VI ridesse la chiesta licenza
con un altro Breve; ma questo chi lo sostiene?
(?) Marchese, doc. II. Altra copia nell'Archivio Generale dell'Ordine Dom.. voi. OGG.,
tel. 60*.
62
XXXI
L' unione dei Conventi.
Sommario.
Fra Wu'olauio vittomso. — Autoriti e venerazione accresciute. — Ira e zelo diabolico degli avversali
— Il Taucredino al il oro. — Gravi avvenimenti che tulliano i principi della Lega. — Massimi-
liauo e i Fiorentini a Livorno. — I nuovi l'atti e la persona del Savonarola. — Prediche famose. —
L'istituzione della congregazione Tosco-Komana. — Contenuto del Breve. — Fine apparente. —
Fine reale. — Giudizi del Pellegrini. — Il Pastor ultima eco della voce degli avversari del Frate.
— Alessandro VI palesa il recondito fine della Polla Pontificia. — Esso è noto a Fra Girolamo.
— Una domanda. — Le parabole narrate e Fra Girolamo. — Una nuova parabola e sua dichiara-
zione. — Il Savonarola non doveva partirsi da Firenze. — Il Somenzi al Moro. — Il Frate, ob-
bedì alla buona intenzione del comando Pontificio. — La questione sotto l'aspetto canonico. —
Una distinzione necessaria. — (Inai persuasione avessero i frati di San Marco. — Un po' di storia. —
Che facesse Fra Girolamo di fronte al Breve Pontificio. — I Padri profossi a i Padri de' novizj ri-
pugnanti spontanei all' unione. — Prove irrefragabili. — Una giusta sentenza del Pico. - Una que-
stione di diritto e una di fatto. — Fra Girolamo secondo le costituzioni dell'Ordine non doveva
lasciare i conventi di San Marco. — Il Savonarola vuol essere dichiarato prosciolto dall' ac-
cusi. — La questione dal lato morale. — Le ragioni de' Frati di San Marco, il Pastor e il Pico.
— La disciplina ne' conventi dell'Unione e severo giudizio del Pastor e del Savonarola. — Giusta
sentenza del Pico. — Un'obiezione. — Odio a San Marco de' frati deformati. — Il Savonarola e
i Sanesie i Pisani. — Un documento espressivo. — Conclusione.
Dopo quanto era fin qui avvenuto, Fra Girolamo poteva cosiderarsi vitto-
rioso nella difficile e nuova lite: onde egli scriveva ad un amico: « La Santità
di Nostro Signore, avendo inteso le mie ragioni, come sapiente, è rimasto al
tutto soddisfatto. E benché molti uomini maligni di diversi stati e condizioni
si sieno sforzati di avertirlo dalla verità, niente di meno la sua prudenza è
stata tanta, che non si è mosso alle cose ingiuste per le forze delle lingue
dei detraenti, ai quali mancando ogni argomento, si sono sforzali finalmente
di persuadergli che io ho detto male particolarmente della Sua Santità e di al-
cuno dei suoi Revendissimi Cardinali. E questo non ha ancora loro giovato:
perchè, come si dice in proverbio, le bu^ie hanno corte gambe, e massime
quando le sono contro la verità manifesta a molte migliaia di persone, come
— 499 —
è la nostra: perchè io non predico nei cantoni, nè fo conventicole per le case,
come fanno i nostri nemici, i tiepidi, ma predico nelle chiese, dove può con-
venire tutto il popolo ». (*)
In conseguenza di tutto ciò egli non solo non aveva perduto presso il
popolo di Firenze quell'autorità e quella venerazione che già godeva, e cui vo-
levan togliergli, o scemargli almeno, i suoi avversarj ; ma aveva cresciuto e
quella e questa, portandole al colmo; onde con verità si poteva qui ripetere:
« Era il Frate in quel tempo in una tanta stima e devozione in Firenze, che
ci era molti uomini e donne, che se gli avesse detto loro: Entrate nel fuoco,
l'avrebbero ubbidito ili fatto ». (f)
Ma appunto per tutto questo gli avversarj suoi raddoppiarono il loro
zelo diabolico contro di lui. Il Tancredino doveva sempre più essersi confer-
mato nel suo giudizio, che il Frate non si sarebbe mutato di proposito per
nulla, e più che mai aveva ragione di scrivere al suo Signore: « Ben dico da
sincero suo servitore, che se quella desidera si riuscisca ad onore di questa
impresa di Toscana, per ridurre le cose a beneficio della Serenissima Lega,
credami che non bisogna più andar con lusinghe nè dolcezza con quelli
che hanno il pelo asinino. I quali quanto più sono tollerati, tanto più indu-
rano e diventano più pertinaci ; e si ridono e fanno poi beffe di chi non si
accorge delle loro versuzie ». (3)
E più ancora aveva il medesimo emissario ragione di scrivere al suo
Signore stesso di credere che il Frale non si sarebbe mutato affatto di propo-
sito, e perciò essere inutili i mezzi adoperali fin qui per combatterlo e vincerlo,
ma, se si voleva oltener 1' intento, si ricorresse ad altri. E in verità non aveva
torto questo segretario di riferire al Moro che, se si voleva Firenze alle voglie
della Lega, questa doveva stringer quella e romperne i disegni. Ma come riu-
scire a ciò, data « la industria e la malizia » del Frate, il quale voleva « edifi-
care maggiormente quel popolo nella solita sua ostinazione »? (*,)
E facile quindi argomentare quanto tutti gli avversarj del Frate dovessero
brigare ed in Roma ed altrove per trovar finalmente la via di raggiungere il loro
intento; e tanto più se si pensa ai gravi avvenimenti che ora succedevano in
Italia, ed agli altri anche più gravi che questi parevano dover produrre: Carlo Vili
che non deponeva il pensiero di ripassare le Alpi, (*) appiccava pratiche col
Duca di Ferrara e col Marchese di Mantova, col signor di Bologna, ed anche
co' Fiorentini; e riempiva così di timore tutti gli altri principi d'Italia, e sopra
ogni altro il Duca di Milano ed il Papa, il quale, oltreché per il temporale, aveva
(lj Questa lettera si legge nel Quétif, tomo II, pag. 197 e seg.
{-) Landucci, Diario, pag. 10S. Vedi anche le pag. 136-137 per la crescerne udienza del Frate
ed il progresso dulia Riforma in ispecie dei fanciulli.
(*) Doc. XVII dei pubbl. da I. Del Lungo.
(4) Ivi, Doc. XVIII.
(3) Et si avoit son coeur toujours de fer ou accomplir le 1 etour en Italie. — Cornine»,
Mémoircs, lib. Vili, cap. XVIII. Cfr. Pellegrini, Arcìi. deliri Società Romana di Storia patria.
pag. 713-155, e il Doc. XIX dei pubbl. da l. Del Lungo.
— 500 —
ragione di temer anche per lo spirituale. Scendeva, è vero, Massimiliano a fa-
vore della Lega, ma non perciò questa si faceva senza meno sicura; si rodeva
in ispecie vedendo che Firenze pur durava salda nell' amicizia con la Francia:
ed il pensiero dei suoi principi divenne più grave allorché si seppe che, dopo di
aver l'imperatore minacciato da Pisa che taglierebbe i Fiorentini a pezzi se non
entrassero nella Lega, andate le sue navi a Livorno come per eseguir la mi-,
naccia, ebbero un grande insuccesso, e, sbattute da furiosa tempesta, dovettero,
come poterono, ripartirsi non senza grave danno; mentre i Fiorentini riceve-
vano miracolosamente insperati soccorsi di armi e di grano; cosa che, come
aumentava la bile al Tancredino, così doveva generar ira nel Moro e negli altri
che con lui avrebbero veduto volentieri la Repubblica alle ultime strette e for-
zata a fare per necessità quello a cui non si piegava spontaneamente.
E questi varj fatti pigliavano agli occhi dei nemici del Frate una impor-
tanza tutta speciale; imperocché il 20 di agosto, quando la Lega già concepiva
speranza che i Fiorentini volessero piegare verso i Medici favorevoli a quella, la
Signoria chiamò appunto il Savonarola a predicare nella sala del Consiglio
Maggiore per dissipare ogni debolezza; e due mesi dopo lo faceva predicare
un' altra volta al popolo atterrito dal pericolo di Livorno. Ed egli, ritenendo
che il popolo Fiorentino, perdendo il governo popolare e rifacendosi tirannia,
perderebbe Cristo ed il buon vivere, predicava in modo mirabile entrambe le
volte. Nè è da tacere la predica singolare che il Frate recitò poi « immedia-
tamente dopo la partita dell'imperatore da Livorno e la ritornata sua verso
Milano », nella quale ben si può dire che egli, col popolo suo, canta in viso ai
nemici l'inno della vittoria e del trionfo. (*)
Tuttociò, coli' ira dell' insuccesso, aumentava 1' odio dei politici e dei Palle-
schi contro il Frate, il quale agli occhi loro era sempre la principal cagione della
condotta dei Fiorentini. Affinarono adunque l'arte e la malizia presso il Pontefice;
e dacché il modo fin qui tenuto non era stato sufficiente a muovere da Firenze
il Savonarola, come non lo avevan fatto scender dal pulpito nè screditato la
lettera a Carlo Vili, la Riforma dei fanciulli, la perduranza dei Fiorentini nel-
1' amicizia francese, nè lo avevan condannato la dottrina e la morale che egli
insegnava, nè le invettive contro i vizj del Clero, ricorsero quelli ad un altro
espediente: e questo fu la costituzione della nuova Congregazione Tosco-
Romana.
Questo, crediamo noi, è il colpo più terribile che abbia percosso Fra Gi-
rolamo, sia per la cosa in sé, e sia anche per la forma di essa. Certo per que-
sto Breve si riuscì ad alienare dal Savonarola anche gli animi di molti di co-
(') Le due prediche recitato al popolo, cui s'accenna nel testo, si possono leggere tra
quelle, sopra Ruth e Michea: l'ima è la XXVI e l'altra la XXIX. A proposito di quest'ultima
abbiamo già notato & p. 848 la falsa e calunniosa interpretazione elio il Somenzi ne trasmet-
teva al Moro il giorno stesso in cui fu latta (28 ottobre 1496), scrivendogli che il Frate « esortò
soprat otto il popolo a voler star saldo alla fede del Re di Francia ». Questo risulta dal no-
cumento XVI tra i pubblicati ila I. Del Lungo, e qui bisogna tenerlo fermo nella mente.
— 501 —
loro che gli si erano mostrali fin qui affezionati ed avevano dato favore a lui
ed alle sue riforme. Ed anche noi siamo rimasti qualche tempo sospesi e dubbj
qual sentenza, stando puramente ai Canoni, si avesse a dare.
Che cosa voleva questo Breve? Ecco: Questo Breve, che fu segnato addì 7
novembre 1496, istituiva una nuova Congregazione che si chiamava Tosco-Bo-
mana, componendola di diversi conventi della Provincia Romana e di alcuni
dislaccati dalla provincia Lombarda e di quelli della Congregazione di San Marco.
Tulli i Religiosi appartenenti a cotesti luoghi dovevano entrare immediatamente
in questa nuova Congregazione e riconoscere per superiore il Vicario Generale
designato, per il primo biennio, dal cardinale Caraffa protettore dell' Ordine.
Convento principale e privilegiato della provincia costituì vasi quello d; Santa
Maria sopra Minerva in Boma.
Il fine? — Il fine che si diceva, se fosse stalo possibile a raggiungersi, era
legittimo e lodevole; e l'Oratore fiorentino, come si raccoglie da una sua lettera
a' Dieci, trasmetteva che l'unione era stala procurata da Sua Santità col Cardi-
nale di Napoli, insieme con altri Cardinali e prelati, con matura consultazione,
e che era veramente opera di Dio molto laudabile. Anzi dice che lo stesso
cardinale di Napoli consigliava che i Signori Dieci « esortassero la Paternità di
Fra Jeronimo ad obbedire ed acquiescere ed aiutare questa opera di Dio e
mandarla innanzi e non si persuadere in modo alcuno la Santità di Nostro Si-
gnore e sua Bevendissima Signoria si sieno mossi a fare questa opera per
mala suggestione o relazione d' alcuno emulo od avversario di Sua Paternità
o per alcuna spezialità, ma solo p^r l'onore di Dio ».(') E lo stesso Breve
Pontificio, nota il Villari, diceva che così si dava opportunità di allargare la
nuova riforma a tutta Toscana ed allo Stato romano. (z)
Ma era vero tutto ciò? Il Villari dice che queste non erano altro che lu-
stre; ed ì biografi del Savonarola e gli storici del tempo ed i nuovi documenti
sono concordi nell' affermare che la principale ragione è ognora la stessa:
quella di togliere da Firenze il Savonarola creduto il principal sostegno ed il
presidio della nuova Bepubblica cui i Medici volevano assolutamente abbat-
tere, o almeno di togliere al Savonarola il prestigio e la stima che gli veniva
da una così mirabile riforma ottenuta in San Marco in mezzo all' universale
corruzione specialmente del clero. La Congregazione nuova, come notano i
biografi, era stata fatta coli' approvazione di Alessandro VI, ma resistendo i
principi d' Italia, e, come dice la cronaca del Convento di Perugia, ripugnando
quasi tutti gli altri potentati d' Italia. (3) L'idea del Savonarola di estendere la
(') Gherardi, Xuovi doc, gag. 155.
(2) Voi. I, p. 492. Il breve pontificio ò pubblicato in appeudice a p. cxlij dal Villari, ohe
lo trasse dalla Biccardiana, cod. 2053. Però il breve trovavasi già edito nel Ballar ium Ord.
Praed., T. IV, p. 124. La lezione del Bullaiio suddetto tu tratta dall' esemplare autentico che
trovavasi nell'archivio di San Marco ed è correttissima, montre la lezione del Villari è in
molti Inoghi assai scorretta.
(*) V. a questo proposito nell' Archivio Storico Italiano, disp. la del 1897 (serie V, tomo XIX)
le tre lettere del Savonarola etnia di Fra Domenico da Peseta sull'unione dei conventi di San Do-
— 502 —
riforma già cominciata nei chiostri, nel modo conveniente, alla città intiera,
all' Italia, alla Chiesa tutta, non poteva essere ignota; e nei principi corrotti e
corruttori non poteva che trovare una forte opposizione. Di qui l'odio dei po-
tentati contro di lui e de' suoi che quest' idea rappresentavano, e il desiderio di
vederli distrutti. Si era riusciti pertanto un'altra volta a far breccia sull'animo
del Papa ed a persuaderlo che Fra Girolamo in Firenze guastava ogni cosa, ( ) e
sparlava di Sua Santità e dei Cardinali peggio che non avesse fatto mai, conti-
nuava a disseminare i suoi errori nei frati e nel popolo e, per farla una volta finita,
gli consigliarono e ne ottennero questo Breve (2J redatto in guisa da evitare le
Menico di Fiesole e di Santa Caterina di Pisa con quello di San Marco, pubblicate da Ginevra
Niccolini che opportunamente osserva che Lodovico, Venezia, Genova, Ferrara. Bologna ed an-
che il Re di Nàpoli strenuamente si opposero alla separazione. Le paiole da noi riportate dalla
cronaca di Perugia si leggono nel Masetti, Monumenta et antiquitates veteris disciplinae Ord.
l'roed., voi. I, pag. 390 e segg. Ivi si hanno ancora convineentissime prove, se ne facesse biso-
gno, della santità di vita che menavano i religiosi della nuova Congregazione. E dice l'au-
tore essere stata cosa provvidenziale e grande benefizio di Dio. che, nella fiue del secolo XVI,
sorgessero tali religiosi esemplari per salvare l'onore e il decoro dell'Ordine in Italia.
(') Che in Firenze e fuori i nemici del Savonarola si adoperassero più che mai a get-
tarlo a terra ed a toglierlo di mezzo è detto apertamente da un parzialissimo scrittore
a lui fieramente avverso, dal Vaglienti. Accennato come i Compagnacci non sapevan tolle-
rare che il Frate predicasse l'anno 1496, dice : « Accostandosi al Carnasciale, ed essendo pure
istato conosciuto pel popolo la malizia di costui, terminarono non predicassi e ordinossi in
Firenze una certa compagnia di giovani, la quale vocavano la compagnia de' Compagnacci,
i quali feciono una cena tutti d'accordo in casa il patriarca per lo carnasciale; e quivi mi
stimo facessino proposito di levare questo frate da questo barone (sic) e di condurre le cose al buoi»
vivere ». Questo il glorioso proposito de' Compagnacci il quale mostra ancor una volta quanta
ragione avesse il Frate allorché ciò diceva al popolo nelle sue prediche. Né desistettero per
questo che non riuscisser ad aver subito una Signoria tutta favorevole: ma, aggiunge il cro-
nista, clic veduto il Frate montare in pergamo ad ogni modo, « s'accordarono insieme detta
compagnia de' Compagnacci col popolo a volere spuntare la setta di detto Frate Geronimo».
Come poi costoro e gli Arrabbiati cercassero e ottenessero facilmente l'alleanza e l'aiuto del
Moro, e quauto servisse a siffatte mene il Cardinale Ascanio, già l'abbiamo accennato e ap-
pare manifesto dai documenti pubblicati dal Del Lungo nell'Archivio storico italiano e dal
Villari nell'appendice al voi. II pag. 1 e seguenti, né occorre ripeterlo; ma bisogna tuttavia
che il lettore lo tenga ben fisso in mente.
(=) Non so qual valore possano avere a questo proposito le supposizioni del Pellegrini
(luogo cit. pag. 717), cioè che il Cardinal Caraffa o non aveva scorto il fine riposto del Pon-
tefice o più probabilmente che egli ed il Generale dell'Ordino non ne erano stati scontenti, ma
era anzi parso loro un buon modo a togliere il Savonarola da un luogo dove rimanendo,
andava incontro a certa rovina, nella quale avrebbe potuto travolgere poi anche la Con-
grogazione di lui. A noi pare anche possibile che a questo Cardinale ed al Generale dell'Or-
dine, come nota il Bayonne, potesse davvero far illusione il pensiero di estender la Riforma
del Savonarola agli altri conventi della nuova Provincia e che perciò patrocinassero la causa
in tutta buona fede. Certo il Generale, quando avesse voluto togliere il Savonarola da Fi-
renze, non aveva bisogno di ricorrere al Breve Pontificio. Sottoscriviamo poi molto di buon
grado a ciò che ivi (nota 2) osserva il Pellegrini stesso: — « E un fatto, che non troviamo
cosa che possa parer mossa da animosità contro il S. nei documenti che il Gberardi pubblica
(6 Vili, I, 2) intorno all'istituzione della nuova Congregazione; che anzi, il nominar coa-
diutore del procuratore della nuova provincia il P. Giacomo di Sicilia al S. alfo/.ionatissimo
(doc. I; p. 144) poteva addolcire per questo l'amarezza del nuovo provvedimento e della no-
mina a procuratore del P. Pianeesco Mei; e l'altra ordinanza del 14 gennaio 1497 (doc. 2,
p. 146; per la quale il P. Giacomo di Sicilia doveva deputar dei suoi frati a certi conventi,
« et reliquoH fratres ibidem moram trahentes. frati-i Hieronymo non gratos, licontiabit », la-
Huiava apparire verso di lui una certa affettuosa deferenza. Quanto ai favori dati dal Tor-
— 503 -
giuste obiezioni mosse fin qui dal Savonarola stesso contro gli altri Brevi
ponlificj.
Questo è riconosciuto ed ammesso chiaramente anche dal Pastor, nel
quale risuona l'ultima eco delle voci che allora emisero gli avversar)' del Frate:
« Nella città dell'Arno gli animi si accaloravano ogni dì più, e le prediche del
Savonarola erano in sommo grado acconce a metter nuova legna sul fuoco.
Si riferiva di là che egli trattava il Papa più malamente che se fosse un Turco
ed i principi italiani peggio ciie eretici. Le prediche contumeliose del Frate pas-
sarono presto anche le Alpi. Il Savonarola disse più volte che egli aveva rice-
vuto degli incoraggiamenti eziandio dalla Germania; viene perfino asserito che
il gran Sultano per leggere quelle prediche le facesse tradurre in Turco.... Il
Savonarola ed i suoi seguaci facevan mostra di un terrorismo ogni giorno più
intollerando: Chi non mi crede, predicava il fanatico Profeta, non può essere
buon Cristiano. In termini vieppiù forti ripeteva la stessa cosa il suo fervoroso
devoto Fra Domenico da Pescia : — Terra, mare e cielo prima passeranno che
la dottrina del Savonarola venga abbattuta: i Cherubini e Serafini, la Vergine
Maria e Cristo stesso prima periranno. — » (')
« 11 nuovo Breve del 7 Novembre 1496, continua il critico d'Innsbruck,
mirava a togliere questi disordini e ad allontanare da Firenze il Frate di San
Marco, l'anima della fazione francese.... »
« Lasciato il pensiero di riunire San Marco con la congregazione Lombarda
ad esso ostile, Alessandro VI ne istituì piuttosto una nuova di tutti i conventi
Domenicani di Toscana e di Roma, con un vicario suo proprio da eleggersi,
conforme agli statuti dell'ordine, ogni biennio da' vari Priori ». (pag. 354.) (2j
riano, dopo morto il S., alla congregazione Toscana dei domenicani riformati, vedi il § 9
dello studio del Guasti, che è il § 4 di quest'opera (pp. 9S-101) », cioè del Gherardi.
(') Per questo terrorismo preghiamo il lettore a non dimenticare ciò che abbiamo scritto
di sopra, specialmente nel cap. XIV. Non ci curiamo di ricercare se Fra Domenico pronun-
ciasse, come suonano, le espressioni attribuitegli; ma, anche dando il fatto per verissimo,
crediamo che nessun cattolico possa trovar nulla a ridire: la dottrina del Savonarola, anche
secondo il suo fervoroso devoto, era la dottrina di Cristo e della Chiesa Cattolica. Per la
dottrina propria del Savonarola come tale, Fra Domenico non si sarebbe certo mostrato
pronto a morire; ma come il suo maestro ripeteva le mille volte che la sua dottrina non
era sua, ma di Cristo (ed ognuno vedeva eh' ei diceva la verità', cosi faceva il fervoroso di-
scepolo: di qui, se mai, le espressioni attribuitegli. A questo Frate appartiene il discorso XXYII
Sopra i Salmi, da noi citato a pagina 193, scambiandolo nel XXVTII, che è del Savonarola.
È inesatto il Pastor dicendo: Tutti i conventi Domenicani di Toscana e di Roma. Trat-
tasi qui invece di togliere 5 conventi dalla congregazione Lombarda e 11 daUa Provincia
Romana e unirli tutti in una Congregazione nuova che si direbbe Tosco-Romana. Del resto
oltre i 16 conventi di cui si occupava il breve, ve n' erano altri molti nella Toscana e nello
stato Romano come" Santa Maria Novella in Firenze, San Domenico di Siena, San Domeuico
d'Orvieto, San Domenico d'Arezzo, San Giacomo di San Miniato, Santa Maria di Civita-
vecchia e altri. Segue poi il Pastor, e dine ;pag. 3Ò4J che all'ufficio di Vicario di questa con-
gregazione < per i due primi anni il Papa stesso nominò il cardinale Caraffa.... » E
un' altra inesattezza. Il Vicario fu, come si può vedere da' Xuovi Documenti del Gherardi,
pag. 114, il Padre Giacomo di Sicilia che nell' opera da intraprendersi per la riforma dei
conventi dovtva al tempo stesso esser coadiutore del P. Francesco Mei Procuratore ge-
nerale dell'ordine.... La bolla Pontificia dice semplicemente che il Vicario per i due primi
— 504 —
Se avessimo ancora un dubbio che il vero fine del Breve Pontifìcio fosse
questo, ce lo leverebbe affatto un'autorità indiscutibile, Alessandro VI. E ce lo
leverebbe con la stessa sentenza con la quale fu colpito di scomunica Fra Gi-
rolamo. Infatti nel Breve di scomunica si dice aperto che il Breve del 7 no-
vembre fu segnato perchè co' brevi antecedenti il Pontefice non aveva ottenuto
dal Frale ciò che sperava. Questo dunque era il fine principale per cui veniva
istituita la congregazione Toscano-Bomana e si voleva che ne facesse parte
il convento di San Marco. E non solo nella sentenza di scomunica dice questo
Alessandro VI, ma lo ripete non men chiaro nel Breve alla Bepubblica Fioren-
tina con la data de' 26 febbraio 1498. (*)
Non si può adunque dubitare che questo famoso Breve avesse in coloro
che lo procurarono questo fine recondito (2), di ferire Girolamo Savonarola
e trarlo o più presto o più tardi da Firenze, e impedirgli così di continuare la
predicazione della sua riforma, o di quelli che si chiamavano, e li chiama
ancora il Pastor, disordini. (3)
E Fra Girolamo seppe ciò molto per tempo; e lo disse e lo pubblicò poi,
quando il tenerlo nascosto era inutile e dannoso, e già 1' avevano manifestato
i suoi avversarj.
Nel Sermone V sopra l'Esodo, dopo aver toccato de' modi tentati invano
anni per cardinalem Ntapolitanum cu/m Consilio,... generalis magistri ordinis... deputetur. E la
cronaca del convento di Santa Caterina in Pisa, a pag 611, dice: « Novae hujus Congrega-
tionis vicarius generalis primus a Papa creatus erat venerabilis Pater Frater Jacobus Si-
culus ». V. nel Gherardi il doc. I a p. 144.
(') V. questo breve nel Villari, voi. II, pag. lxvj.
(2) Con tutto ciò noi crediamo che questo non l'osse il line unico e nemmeno il princi-
pale del Pontefice, allorché spedì il Breve. Anzi ci piace credere che se ad Alessandro VI aves-
sero apertamente proposto una cosa simile, egli si sarebbe ricusato di firmare un tal Breve.
11 fine principale proposto al Papa e inteso da lui, come forse da qualche buon religioso,
doveva essere, come dice il Breve stesso, la riforma e l'aumento della sacra religione
ne' conventi a cui esso Breve s'indirizzava, e che il Papa per il suo officio era tenuto a
favorire.
(3) Fra le asserzioni da noi trascritte dalla pag. 354 del Pastor, vi si legge anche la se-
guente: « Non occorreva punto la istigazione da parte della Lega e dui Cardinale Sforza per
far determinare ad un atto decisivo Alessandro VI». Questa espressione ùsofisticain quanto
suppone la verità delle calunnie che si disseminavano contro il Frate; ma ha pure un senso
verissimo; ed è questo, che le calunnie onde si era riempito l'animo del Pontefice di sdegno
contro il Savonarola erano di tale natura e tante che davvero non occorreva altra istiga-
zione perchè Alessandro VI dovesse passare alle censuro. Anche qui possiamo anzi ammi-
rare la longanimità e la prudenza del Borgia, che accettava una proposta conciliativa e
quasi un mezzo termine, anziché trascorrer subito agli estremi rlmedj, oomo avrebbe potuto
fare. Ma coloro che volevano porre discordia fra lui e il Savonarola, avevano solamente bi-
sogno di opprimerei Frateschi, e credevano che ora tanto bastasse. Onde, dopo d'aver acceso
l'animo del Pontefice, potevano anche consigliarlo ad esser mite. Facendo il contrario era
un tirar veramente troppo la corda, la quale poteva anche spezzarsi. Chi sa che il Frate non
si movesse a dar volta alla chiavetta, a gridare che Lazzaro venisse fuora; a scoprirò le trame
de' suoi avversarj e a manifestarne particolarmente le magagne al popolo! E so il Pontefice
veniva a conoscer egli come si passavano veramente le cose?! Il giuoco era davvero peri-
coloso; e noi opiniamo eho anche per questo siasi voluto processare ed uccidere il Frate in
Firenze. No; se fosse potuto giungere ad Alessandro VI, non avrebbe finito sul rogo. Del
resto alla mina dol Frate, vedremo ora che i suoi nomici procedono a passo a passo.
— 505 —
dai suoi nemici per opprimerlo, afferma che « non reggendo queste vie, ne tro-
varono un'altra e dissero: questa è dessa: e vogliono che la nostra congrega-
zione sia unita ed incorporata con un'altra ». E segue: « E tutto facevano per
cattivo fine, per levarci di qua; e poter guastare questo ben vivere e questo go-
verno ». E nella famosa lettera a tutti i Cristiani e Diletti in Dio ha pure as-
serzioni molto recise: « Questi che persuadevano questa unione al Papa, non
10 facevano per zelo di religione, ma per perseguitare me solo, e per questa
via trovare occasione di procedere contro di me, credendo che io non con-
sentirei a tale cosa malefatta: perchè pure la conscienzia gli diceva, che, es-
sendo cosa perniciosa, non la farò ».
Questo passo del nostro Frate è gravissimo e preghiamo il lettore a non
passarlo inosservato. Certo il Savonarola non s'ingannava nello scrutare così
l'intenzione de'suoi nemici, nè occorreva molto senno per leggere in loro que-
sto pensiero ch'essi medesimi fecero palese in troppe guise; ma qual co-
scienza dovevano aver costoro se, per far cadere dentro la rete quel giusto, si
abusavano di ciò eh' egli aveva di più caro, del fermo proposito di non fare
una cosa perversa, specie in danno de' cari novizj, che soleva chiamare gli
angeli suoi? Ma che vale parlar di coscienza quando si ha che fare con uo-
mini quali erano gli avversarj del Savonarola? Piuttosto ne piace invitare il
lettore ad osservar sin d' ora che, se Fra Girolamo non acconsentì all' unione,
fu solo perchè la sua coscienza gli diceva ch'essa era cosa malfatta e perni-
ciosa; e che quindi nessuno deve condannarlo, senza aver prima dimostrato
eh' egli s' ingannava ed aveva una coscienza vincibilmente erronea.
Giunti a questo punto e fermate queste verità, che cioè i procuratori
del Breve miravano direttamente a togliere il Savonarola da Firenze e ad
oppressare i Frateschi, e che il Savonarola questo sapeva molto bene, che
possiamo dire? Che doveva far egli in questa faccenda? Si governò bene ?
A pronunciare un retto giudizio noi crediamo che ci possa aiutare il richia-
mare alla mente le parabole che abbiamo trascritte di sopra. (') Sentite però
anche la seguente, che non sarà a sproposito. « E' fu un padre di famiglia,
11 quale aveva ottanta figliuoli. Questo padre di famiglia aveva una bella vi-
gna; chiamò tutti i suoi figliuoli e diede loro due comandamenti: l'uno uni-
versale a tutti, che governassero e coltivassero bene la vigna; l'altro par-
ticolare, che obbedissero al maggiore intanto che ciascuno fosse sottoposto di
mano in mano al più vecchio e tutti obbedissero al primo. Era questa vigna
ben piantata e acconcia bene con legni e con pali. Lavorarono adunque co-
storo un tempo questa vigna ; poi cominciarono a lasciarla incoltivata e a darsi
buon tempo con meretrici e con lussuriosi, intanto che la vigna era deserta,
e convertissi in lambnischi.
« E non avendo questi fratelli legna da ardere, cominciarono a tagliare le
viti e arderle. Il minore fratello di tutti, gli pareva pur male che la vigna si
( ) Vedi il cap. XXV, e specialmente la pag. 396.
— 506 —
guastasse, e vedendo che la andava in ruina, cominciò a dire tra se medesimo:
— Per certo nostro padre ci disse a tutti, e fece comandamento a ciascheduno
che dovesse aver cura di questa vigna e governarla bene, e che ciascuno la
coltivasse. — Donde costui chiamò dieci di quei minori fratelli e con seco co-
minciarono a racconciar la vigna, cioè quella parte che poterono. Gli altri fra-
telli, che vedevano che questi dieci minori molto si affaticavano, e sudavano
tutto il dì per racconciar questa vigna, se ne ridevano. Gli altri superiori a
questi infino a venti cominciarono a dire: Costoro guastano questa vigna!
E' pare che la vogliano acconciare, tuttavia e' la guastano. La gente che passava
per la via allato alla vigna, e vedevano costoro lavorare e sudare, cominciarono
a lodarli e dicevano: Guarda, questi poveri uomini tutto di si affaticano e su-
dano per acconciar questa vigna, e quelli altri fratelli la guastano. La qualcosa
udendo gli altri fratelli che prima si ridevano di costoro, cominciarono non so-
lamente a farsi beffe, ma a averne in odio la lode che loro era data; e crebbe
la invidia tanto che andarono agli altri loro fratelli maggiori e dissero: Questi
nostri fratelli minori guastano questa vigna, e ne è cagione l'ultimo nostro fra-
tello minore, perchè e' non lavorano per far frutto, ma per ipocrisia, cioè per
parere di esser quelli che vogliono osservare il comandamento del nostro padre
di lavorarla. E tanto crebbe questa questione che andò insino al primo mag-
gior fratello, il quale credendo alle false persuasioni de' minori, fè comanda-
mento che non si lavorasse nè acconciasse la vigna da quest'ultimo fratello e
dagli altri che lo seguitavano. Per la qual cosa questo fratello minore cominciò
a dire: Il nostro padre ci fe' pure due comandamenti, l'uno che noi acconcias-
simo la vigna, l'altro che noi obbedissimo al maggior fratello. Ma questo co-
mandamento secondo si deve intendere che non sia contrario al primo; cioè
che non sia contro l'utilità della vigna: ma s'intende aver a obbedire il mag-
gior fratello in quelle cose che sieno a cultura della vigna. E però questo ul-
timo scrisse al primo fratello, e dissegli: Benché io abbia comandamento dal
padre nostro di obbedirli, nondimanco io ho anche il comandamento di colti-
vare la vigna, e non s'intende che tu possa comandarmi in quelle cose che
sieno contro l'utilità della vigna; ma in quello che sia a coltura della vigna li
voglio obbedire. Il padre di tutti questi fratelli intese questa questione e disse
ai fratelli minori: Seguitale pure il mio comandamento di coltivare la vigna,
perchè io verrò presto e stirperò e punirò coloro che han guasta la vigna, e
non vogliono che la si racconci; e a voi meriterò e darovvi roba assai, e anche
la corona.... ». (')
(') Crediamo inutile di ripetere qui ciò che si è detto di sopra sulla teorica dell'obbe-
dienza. Raccomandiamo però al lettore di non dimenticare neppure una delle cose elio ab-
biamo ragionato nei capitoli XXI1-XXVIII; perchè in caso diverso eeli correrebbe rischio
di fraintendere tutto, e pronunciare qui un giudizio assai falso, sia assolvendo, sia condan-
nando il Frate. L'obbligo dell'obbedienza al Papa in genere, non vien meno semplicemente
perché noi si ritenga eh' egli abbia torto; ma a ciò è necessario che ci troviamo in uno dei
c»si altrove esposti. Cosisi vogliono intendere queste espressioni del Savonarola, come ap-
pare evidente dal ragionato fin qui e dal contesto medesimo della predica XXVII sopra
Amos, da cui son tolte; predica non censurata punto dalla Chiesa, nemmeno sotto Paolo IV.
- 507 —
Pensando a tutte queste parabole, e tenendo presente ogni circostanza, vi
sarà facile vedere nel nostro Frate veramente il figliuolo che coltiva la vigna a
dovere, cui i ladroncelli volevan guastare, e perciò calunniavan quello presso il
padre, persuadendogli di richiamarlo ; vi sarà facile veder il Savonarola nel gar-
zone che ben governava la ragion vostra a Bruges, e cuii vostri nemici vi mos-
sero con lettere malediche a ritorgliere il mandato; vi sarà facile vedere il Sa-
vonarola nel servo, che mandato dal re sotto la condotta di un barone ad un'im-
presa, contro il volere di questo male informato, riporta la vittoria desiderata
da quello. E come quelli colà fecero, così vedrete che qui doveva fare il Savo-
narola; e come là vedeste che il figliuolo, il garzone, il servo non disobbedirono,
ma piuttosto fecero il volere del loro superiore, imperocché non dovevano guar-
dare alle parole, ma all'intenzione del comando, così vedrete che qui fece Gi-
rolamo Savonarola; e non pur lo assolverete, malo dovrete anche lodare; poi-
ché nella sua apparente ribellione e reale obbedienza diè prova d' un' eroica
fortezza d' animo e non dubitò di esporsi a grave pericolo e di mettervi la vita.
E la parabola ora citata ci sembra non men chiara delle altre e non meno
espressiva; ed il Frate del resto ce la espose anche egli stesso: sentite l'espo-
sizione, e poi giudicate se essa non quadri perfettamente.
« Il padre di famiglia è Dio. Gli ottanta figliuoli sono tutti i cristiani. I fra-
telli significano che siamo tutti uguali in natura, e ancora uguali in grazia ; non
che tutti gli uomini sieno in grazia, ma perchè ognuno che nasce è atto alla
grazia, e chi più si adopera più avrà grazia: perchè appo Dio non v'è maschio
nè femmina, e Dio non è accettatore d; persone, come dice S. Paolo; ma è bene
distinzione tra gli uomini quanto alla dignità, come son i prelati, che sono supe-
riori agli altri. Il padre adunque, Dio, ha posta la vigna, che è la Chiesa, la
quale ha piantata colla passione del suo Figliuolo, col sangue dei martiri, con le
predicazioni degli Apostoli; l'ha fortificata di legni e di pali, cioè della dottrina
de' Dottori; l'ha potata da'peccati e vizj e l'ha data a' figliuoli, cioè ai cristiani,
ed ha fatto loro due comandamenti, il primo, che ognuno sia obbligato a colti-
vare la vigna, cioè l'anima sua prima, e poi similmente quella del suo prossimo,
il secondo che ognuno obbedisca, in questo a' suoi maggiori, e tutti i cristiani al
maggior fratello, che è il Papa. Quanto al primo, tu sei obbligato secondo tutti i
Dottori e l'opinione di San Tommaso, di Santo Agostino e di tutti gli altri a
metter la vita per la salute dell'anima del tuo fratello Sicché si
deve coltivare la vigna in sé, cioè nell'anima sua, e nel suo fratello ; e se tu vedi
che la vigna va male, tu sei obbligato a racconciarla, se puoi.
« Pertanto il minor fratello cominciò già parecchi anni sono, a voler raccon-
ciar la vigna, e cominciossi a illuminare il cieco; mai suoi fratelli sene fecero
beffe. Poi pur cominciarono a dire: Io voglio fare ancora io. L'invidia degli altri
fratelli cominciò, ed è tanto cresciuta che è andata questa questione insino al mag-
gior fratello, al quale è stato detto per invidia, che questa vigna è mal coltivata
dal minor fratello, e che ei la guasta. E si è risposto che ogni comandamento fatto
contro la carità non è legge, nè comandamento, ma dissipamento, e che non
crediamo che sia intenzione del maggior fratello; onde non dobbiamo obbedire,
— 508 —
perchè bisogna risguardare alla intenzione e non alle parole. Dunque, perchè il
primo comandamento è di coltivare la vigna e mantenerla, ognuno deve avere
zelo dell'onore di Dio. Ma perchè i superiori non vogliono avere questo zelo,
però Dio ha deliberato suscitare i pescatori un'altra volta e i poverelli, i quali
difendano questa vigna. Vedi il pescatore Pietro che non volle obbedire a' sa-
cerdoti che facevano comandamento contro la vigna! Si che Dio susciterà i pe-
scatori un'altra volta e i semplici. Vedi che ha cominciato a suscitare i fanciulli
i quali hanno zelo dell'onor di Dio più che avete voi, e loro avranno a colti-
vare questa vigna! Sicché quando il comandamento non è a coltura della vigna,
ma contro l'utilità della vigna, non si deve obbedire! Così dice S. Bernardo e
gli altri Dottori: Va, leggi bene. Dice adunque il padre al figliuolo minore: Va
pur, coltiva la vigna; seguila a racconciarla, perchè io verrò presto, e vedrai
poi quello che farò a chi è stato contro la vigna.... ». (Sopra Amos, pred. XXVII.)
E così doveva veramente aspettarsi il Frate che il Pontefice facesse, se
non aveva a pronunziare del Vicario di Cristo un troppo tristo giudizio. Certo,
se il Savonarola fosse potuto giungere sicuramente ad Alessandro VI ed avesse
potuto esporgli lo stato vero delle cose, questi avrebbe cessalo dal persegui-
tarlo. Ogni volta che Alessandro VI potè sentire le ragioni del Savonarola cessò
sempre di recargli molestia. Onde, se il Frate fosse potuto giungere a Roma e
parlargli con agio, opiniamo che ne sarebbe ripartito colla benedizione del
Papa; il quale, per quante gli se ne possa dire, io non trovo che abbia mai
perseguitato in nessuno nè la pietà, nè la fede, nè la buona vita. Ora, quand'egli
avesse potuto persuadersi che Fra Girolamo non predicava falsi e pestiferi
dogmi, non diceva male particolarmente di Sua Santità nè de' Cardinali, non
teneva il popolo fiorentino dallo entrar nella Lega, ma solo gli predicava il
timore di Dio e il ben vivere, chi può pensare che volesse tuttavia servire alle
trame del Moro e de'Compagnacci? Forse per questo i nemici del Savonarola,
pur avendo suggerito al Pontefice di chiamare a sè il Frate, quando videro che
quegli si disponeva a provvederlo di scorta per guisa che non avesse a patir
male veruno nel viaggio, (l) cambiarono tattica, nè procederono oltre per que-
sto campo; e anche quando 1' ebber nelle loro mani e potevan condurlo essi al
Papa, che pur lo reclamava, ricusaron di farlo, nè furon contenti se non quando
lo vider morto in Firenze. (")
Ma Fra Girolamo ora, come già nel 1495, vedeva bene che la sua par-
tita da Firenze sarebbe riuscita di grave danno e alla città e a' suoi conventi,
e perciò, sapendo che chi lo voleva quindi togliere erano i tristi, che miravano
appunto a uccider lui e guastar quel governo e quel ben vivere da lui intro-
dotto, e che per questo fine avevan con arte diabolica circonvenuto il Papa e
suggeritogli il pernicioso Breve, stimava quindi suo obbligo fare quanto era in
sè, perchè i costoro empi disegni fossero dispersi, e il Breve pontificio non
(') Gherardi, pag. 219.
(-) Vodi per questo i documenti pubblicati da 0. Lupi e segnati coi muri. VIII-IX e spe-
cialmente il XIII, e ne troverai ila saziarti.
— 509 —
si mutasse per lui e pe' suoi frati in comando di lasciar la diletta città, dichia-
rando al Pontefice il vero stato delle cose, e supplicandolo della revoca, e giu-
stificando in ogni caso la sua condotta.
S' ingannava forse il Frate? Io non oserei ciò dire nè poco nò punto ; e ad
ogni modo non era solo opinione sua e de' suoi, che la città venisse a rovinare
quando egli fosse tolto da Firenze: questo lo pensavano e credevano anche i
suoi avversarj. Paolo Somenzi, allorché il Savonarola fu preso, scriveva al Moro:
« La V. Ecc. e tutto il resto dei potentati d'Italia avranno ora ad esser certi
che questa Repubblica non cercherà di tirare Francesi in Italia, perchè oggi si
è cavato lo stalo dalle mani di quei cattivi cittadini che seguitavano quel ri-
baldo Frate.... Ora si può dire la cosa essere ridotta al fine desiderato, e si
tiene per certo che il popolo non farà altra novità da poi che si è preso questi
ribaldi Frati, e morto Francesco Valori.... V. III. ma Signoria ha ad essere certa
che la governerà questa Città a suo modo.... perchè ora si sono levati gli
ostacoli, ed i nemici di V. Ecc. sono andati al basso, e stati sbattuti per ma-
niera che non sono per levare il capo fino a un pezzo; anzi faranno assai a
potere stare in la città: e si crede che molti ne saranno puniti.... Non posso
andare per la Città che da ogni canto non mi sia fatto carezze, e dettomi: Vo-
glia pregare il tuo Ill.mo Signore che voglia aiutare questo popolo, il quale
porta tanta affezione a Sua Eccellenza, che, bisognando, metteremo la robba e
persone proprie in beneficio di quella.... Ora la Eccellenza vostra non ha più
ostacolo a potere disporre di questa città come vorrà, perchè quelli che ora
hanno il governo dello Stato sono tutti devotissimi alla Ecc. Vostra, e disposti
a volersi governare secondo i prudentissimi ricordi di quella ». (*)
Si pensi un momento chi era Lodovico il Moro, e poi si vedrà subito quale
gravissimo peso abbiano le espressioni trascritte ; e si vedrà anche meglio che
qui nessun cattolico potrà mai condannar giustamente il Frate: o la teorica
esposta e dimostrata cattolica ne' capitoli antecedenti si deve cassare e ritener
teorica astratta e vana, o bisogna aver anche il coraggio di assolvere il Savona-
rola, trovandosi egli, come è evidente dal ragionato fin qui, nel caso che questa
teoria contempla. Fra Girolamo, non ebbe vero comando di partirsi da Firenze,
ma quando lo avesse avuto, dovendo nel caso, per eseguirlo, lasciare che i tri-
sti e ribaldi guastassero la vigna di Dio che il Papa voleva coltivata come egli
la coltivava, doveva rescrivere e soprassedere. Sarebbe incorso nella giusta indi-
gnazione del Pontefice e di Cristo, se partiva; e ne secondava il giusto volere
restando.
Ma tutto questo non riguarda a rigore la questione dal lato canonico,
nè considera direttamente il Savonarola in semplice rapporto con Alessan-
dro VI. Facciamo adunque un altro passo, entrando meglio nel campo giu-
ridico, e vediamo, pigliando meglio in esame il Breve pontificio che ci oc-
cupa e la condotta de' Frati di San Marco, se ci sia aperta un'altra via alla
difesa del Nostro.
(') Vinari, II, pag. icvij, xoviij, xcix.
— 510 -
Ha il Pontefice il diritto di emanare Brevi della natura di quello clie
porta la data dei 7 novembre 1496? Considerando il quesito in modo asso-
luto, bisogna rispondere affermativamente. La materia che tratta questo Breve
è cosa esterna e di diritto positivo, e perciò cade nella potestà del Pontefice,
il quale può disporne come gli paia meglio. Sarebbe strano davvero se fra
i cattolici si levasse alcuno a contendere, parlando in modo semplice ed as-
soluto, il diritto al Papa di insti luire una Congregazione come quella che in-
stituiva Alessandro VI; e stranissimo sarebbe poi se chi lo fa fosse un reli-
gioso che ha giurato in modo solenne obbedienza al Papa stesso capo e mo-
deratore supremo di ogni Ordine.
Ma Alessandro VI aveva questo diritto anche nel caso speciale di cui si
tratta, considerata ogni circostanza? Qui forse potrebbesi fare qualche que-
stione abbastanza elegante e bella, che potrebbe dar pensiero anche a va-
lenti canonisti; ma ci condurrebbe un poco per le lunghe: noi la lasciamo, e
diamo anche qui come vero il diritto richiesto, se altri lo voglia. Potrà forse
non apparire onesto e lecito l' esercizio di simile diritto, ma a rigore non si
potrebbe chiamare un'ingiustizia di eccesso; e ad ogni modo Alessandro VI
avrebbe dovuto renderne conto a Dio, ma non agli uomini. La disciplina ec-
clesiastica forse non soccorrerebbe troppo sollecita a colui che volesse inse-
gnare il contrario e praticarlo. Non poche sono o possono essere le sentenze
ingiuste da parte del giudice a cui è tuttavia bene che il colpito si conformi.
Or dunque quale doveva essere la condotta de' Frati di San Marco com-
presi fra quelli a cui il Breve era indirizzato? A me pare che si debba fare
una distinzione: o essi erano persuasi e convinti che Alessandro VI cono-
sceva perfettamente ciò che importava il Breve, e lo voleva ad ogni modo ese-
guito; o essi erano persuasi del contrario.
Nel primo caso a me pare che ai singoli Frati non restasse via migliore
che quella di eseguire esternamente il Breve. Lo so, qui possono farsi delle
obiezioni assai forti; ma lo spirito religioso può non badarvi, e non ragionar
troppo.
Voleva Alessandro VI distruggere ad ogni modo la nuova Congrega-
zione di San Marco? Dio che permetteva nel capo della sua Chiesa un tale
arbitrio, avrebbe trovalo modo egli di provvedervi ; ai nostri Frati, dopo che
avessero tentato ogni mezzo per rimuovere da tale proposito la volontà pon-
tifìcia, altro non restava che porre la loro fiducia nella divina provvidenza,
e raccogliersi rassegnati in quelle celle che sarebbero state loro destinate e
pregare il cielo che si compiacesse di abbreviar loro i giorni di prova. E ol-
tre al dolore che già provavano, non avrebbero essi dovuto sentir rimorso
se mai non fosse più stalo loro possibile di vivere in comunità così ristretta
come quella di San Marco, perchè nell'ordine pontificio potevano vedere al-
meno implicita la dispensa a ciò necessaria. Cosi facendo, avrebbero messo
in pratica una virtù eroica; e Dio e San Domenico non potevano venir loro
meno: essi non avrebbero cercato il pencolo, non si sarebbero messi da sè
in quello, ma per una forza superiore, a cui non giovava il resistere: duri-
— 511 —
que non sarebbero ad essi mancati gli aiuti necessarj. Non saprei mutare
questo giudizio nemmeno al pensiero che de' duecentocinquanta religiosi di
San Marco neppure un quinto forse aveva più di quattro o cinque anni di
vita religiosa. (*) Dio non permette che alcuno sia tentato sopra le sue forze.
Pericolerebbero di più i novizj? Essi potevano anche ritirarsi nelle case loro
e attendervi giorni migliori, o passare ad altre religioni, od anche all'eremo,
come alcuni dicevano appunto che avrebbero fatto: questo nessuna legge nè
civile nè canonica lo impediva.
Queste mie vedute forse alcuno potrebbe ritenerle come effetto, almeno
in parte, del maggior bisogno che v' è ora di disciplina nel clero per le at-
tuali condizioni dei capi ecclesiastici, ben diverse da quelle del secolo XV, e
del pericolo molto maggiore di scisma che produrrebbe ora una qualunque
resistenza all' autorità pontificia; ma ad ogni modo io non so pensare che 1
religiosi cresciuti all' ombra di Fra Girolamo avesser potuto vedere una via
migliore di questa. Non nego che forse a tutto rigore, e considerata ogni cir-
costanza, avrebbero anche potuto fare altrimenti; ma questa condotta mi sa-
rebbe pur sempre apparsa la migliore, la più generosa, la più cattolica per
ognuno di loro personalmente. Anzi io son certo che nel caso questa virtù
eroica l'avrebbero praticata quei religiosi, imperocché piuttosto che disobbe-
dire al Pontefice, essi ripetevano di voler morire, e non cessavano dal dire
che, quando il Pontefice stesso fosse bene informato e comandasse, sarebbero
andati dove a lui piaceva.
Ma si trovarono essi nel caso? o poterono almeno esser convinti e per-
suasi che vi si trovavano? che proprio Alessandro VI come gli altri potentati
d' Italia, volesse disperdere i buoni frutti prodotti in Firenze dall' esempio e
dalla parola di Fra Girolamo? che proprio volesse arrestare l'incominciata ri-
forma? distruggere la rifiorente Gongregazione ? Recisamente, no. (2) Quando
Alessandro VI avesse conosciuto la verità de' fatti, e visto a che cosa condu-
ceva il suo Breve, non 1' avrebbe segnato.
Questo pensarono sempre quei buoni religiosi di San Marco, i quali, soli
forse in quella empia età, in mezzo a tanti bruiti avvenimenti, non pronuncia-
rono mai un giudizio che potesse offendere la rettitudine di Alessandro VI;
(') Questo si può provare ad evidenza dai libri delle vestizioni che ancora si conservano
e dai documenti del Gherardi; ed è detto esplicitamente da Fra Girolamo nell'Apologia.
(2) Questo poterono poi pensare gli scrittori delle cronache di Santa Caterina di Pisa e
di S. Spirito di Siena che usano al proposito frasi molto severe, le quali indicano come
fosse poi giudicata la decisione di Alessandro VI: Horresco referens impiissimum facinui quod
Sttpremus custos in vinta Domini Sabaoth in Domini sui nervo.? admisit • . Cosi la cronaca di S. Spi-
rito di Siena ; e quella di Pisa : « Alexander VI qui inilium conareijationi dederut, a malo (ut pu-
tamus) actus datinone, in ejus primordio Ulani ni.sus est suffocare ». (pag. b'2^;). Ila i frati di
San Marco non proferiron mai di Alessandro VI simil giudizio. Ad essi, come al Savonarola,
dovevano esser note le trame degli avversar), che ora noi in parte conosciamo peri nuovi
Documenti; mentre i cronisti e molti che vennero di poi, riversarono immeritamente sul
capo di Alessandro VI la responsabilità del fatto. La cronaca del Convento di Pisa fu scritta
verso il 1Ò50.
— 512 —
soli forse rispettarono nel Borgia la grande potestà ond' egli era investito: non
penetrò mai nell'animo loro che Alessandro VI volesse una cosa malfatta e
perniciosa; o per lo meno ciò non mostrarono di fuori mai nella lotta che eb-
bero a sostenere; tanto che, studiando noi questa lotta specialmente nelle
Opere del loro Vicario, la figura di Alessandro VI ci apparve assai più onesta
e bella, che non c' era apparsa generalmente negli storici cattolici.
E allora quale doveva essere la condotta di questi Frali? Quale fu e non
altra: essi in questa dolorosissima occasione si mostrarono degni della buona
reputazione che godevano; veri religiosi di San Domenico ; e non compierono
atto alcuno che non fosse perfettamente retto.
I Frati di San Marco, col Vicario loro, rescrissero come dovevano e non
lasciarono nulla, come è detto nel principio dell' Apologia (*), per far conoscere la
loro innocenza, la quale d'altra parte era notissima a Dio e a tutta la città: e
per dimostrare la impossibilità di quest' unione e il danno che ne sarebbe loro
venuto. E questo era riuscito loro sì bene, ch'essi speravano, anche per la di-
gnità della Sede Apostolica, com'è detto ivi stesso, che il Pontefice medesimo,
conosciuta la verità, abbraccerebbe la parte loro. Anzi il Savonarola soggiunge
che gli avversarj, pur volendo far la risposta, non poterono fargliela: perchè,
come scrive nella lettera a tutti i Cristiani e diletti di Dio, esse ragioni « con-
cludono e convincono ogni intelletto ». E importante a questo riguardo un passo
del Sermone V sopra l'Esodo: detto ivi che i nemici della verità e del ben vi-
vere, vedendo che non reggevano le accuse e le vie tenute fino ad allora per
toglierlo da Firenze e guastare il bene comune ed il buon Governo, volevano
che la Congregazione fosse unita ed incorporata con un'altra, soggiunge: E
fugli fatto le risposte ed allegate molte ragioni, e mostrogli apertamente che
quel loro comandamento non era cosa ragionevole. Ed alcuni vollero fare la ri-
sposta, e non poterono rispondere alle nostre ragioni, onde vennero in tanta ira
che stracciarono le carte ».
Ecco adunque come passarono le cose. Avendo i Frati di San Marco ri-
cevuto un Breve di quelli nella spedizione de' quali Benedetto XIV (*) avrebbe
poi detto essere molto facile che i Pontefici siano ingannati, o perchè loro
venga narrato il falso, o sia tenuta occulta qualche verità, che, conosciuta, li
avrebbe ritenuti dallo spedirli, crederono che ne potesse riuscir perniciosa
l'esecuzione, e che esso non esprimesse la volontà del Pontefice; e pensa-
rono che Alessandro VJ, quando venisse bene informato, ritirerebbe il comando
e abrogherebbe assai di buona voglia il Breve surrettizio; uè poterono quindi
credere eh' egli in alcun modo avrebbe avuto per male la sospensione del-
l' esecuzione ; e perciò rescrissero ed esposero le ragioni della loro condotta,
e mostrarono il danno che loro accadrebbe, quando si persistesse neh' ordine
(') Apojogettcwm Fratrum Congrnyatiouis S. Marci de Fiorentlli; nel QaètiF, Addizioni
citato, pag. 77.
(* De BynOdo Diocesana, lib. IX, cap. Vili, pag. 48ii, ediz. di Ferrara, 177">. E assiti im-
portante tutto il capitolo.
— 513 -
dato, e chiesero di esserne dispensati. Fin qui che potete trovar d' illegale
nella condotta di questi religiosi? Anzi, chi non vede che altro non fecero se
non compiere il proprio dovere? Quale responsabilità sarebbe stata la loro,
quando non avessero rescritto, e procurato d' illuminare il superiore sì mala-
mente circonvenuto? Fin qui adunque la condotta di questi religiosi non si
può per nessun modo disapprovare. Ma compiuto questo ricorso, che altro do-
vevano far essi? Attendere umilmente la risposta; e finché questa non fosse
venuta, scegliere quella parte che stimavano migliore e continuare nella loro
santa vita e nell' osservanza delle loro costituzioni. Finché il Pontefice non
avesse risposto o il Vicario generale della nuova Congregazione non avesse
fatto pervenire ad essi a nome del Papa ordini in contrario, essi potevano
secondo ogni regola tener sospesa 1' esecuzione del Breve. Or saprebbero dirci
gli avversar) de' Frati che il Pontefice respingesse quella domanda? rispon-
desse negativamente al loro ricorso? Non conosco la lettera che i Frati di
San Marco scrissero al Pontefice; ma certo una lettera la scrissero a questo
proposito, e il contenuto di essa non doveva esser molto diverso àa\Y Apologia;
ma quale prova o indizio abbiamo che Alessandro VI, o i superiori dell'Or-
dine, non curando le ragioni dei Frati di San Marco, facessero i passi neces-
sarii per effettuare quell'unione? Il primo di tali passi era che il nuovo Vica-
rio si presentasse ai suoi nuovi sudditi come legittimo superiore; ed allora il
Savonarola decaduto dalla dignità di vicario avrebbe dovuto prestare a lui ob-
bedienza insieme cogli altri religiosi. Ma ove leggiamo che si facesse questo?
Finché non si proverà che i religiosi ricusarono l' obbedienza al nuovo Vicario,
non si possono ritenere come rei. E questo è pur necessario per chi vuole
pronunciare una sentenza di condanna. Ora ciò che diciamo di tutti in gene-
rale si deve dire (è troppo chiaro) anche in particolare del Savonarola; non
essendo nemmeno concepibile eh' egli si mettesse in disparte, allorché i suoi
duecentocinquanta frati scrissero il loro reclamo al Papa. (4) Basterebbe adun-
que questa considerazione, perchè si potesse al tribunale ecclesiastico chiedere
e ottenere 1' assoluzione di Fra Girolamo. Se mai, concederemo che si riapra
il processo quando i suoi avversarj abbiano trovato un documento, una testi-
(') Il Villari a pag. 493 dice a questo proposito: « .... Il Savonarola prese nuovamente
in mano la penna, o scrisse la sua Apologia della Congregazione di S'an, Marco, nella quale,
non più rispondendo al Papa, ma indirizzandosi invece al pubblico, assumeva un linguaggio
assai franco ed ardito ». Questo è vero, ma noi non crediamo che l' illustre storico voglia
escludere con ciò che Fra Girolamo avesse, prima di scrivere 1' Apologia, scritto anche al
Papa e agli altri che potevano aiutaro la cosa. L' Apologia fu scritta quando già era venuta
la scomunica, e al pubblico Fra Girolamo si è rivolto quando le cose non potevano più in
nessun modo tenersi nascoste; e il silenzio sarebbe tornato in pregiudizio della verità, come
dice nel Proemio dell' Apologia stessa; ma prima dissimulò e copri quanto potè; giustifi-
cando semplicemente, come dice nel sermone II sopra l'Esodo e ripete altrove, ciò che gli
era stato apposto; per far palese, « quanta fosse 1' audacia degli avversari che non si vergo-
gnavano suggerire manifeste bugie al Papa », e dimostrare « questa unione essere contraria
all' onore di Dio e alla salute delle anime ». (Lettera a tutti i Cristiani e diletti a Dio, cfr. an-
che il sermone V sopra 1' Esodo e raccoglierai, anche da quello, che Fra Girolamo rispose ve-
ramente non solo al pubblico, ma anche a chi aveva fatto il comando).
33
— 514 —
monianza, una prova qualsivoglia per sostener l' accusa. Ora bisogna dire
almeno che non consta eh' egli sia reo, e che s' andrebbe contro ad ogni ma-
niera di giusta procedura condannandolo.
Ma noi crediamo per contrario, di aver già tanto nelle mani da poter
almeno opinare che le nuove prove non si troveranno mai. Infatti dal Masetti (4)
e da una bella autorità che egli cita del Bottonio, si raccoglie assai chiara-
mente che alla effettuazione della Bolla di Alessandro VI riguardante l'unione
non si è pensato se non dopo la morte del Savonarola; e nemmeno allora non
si potè e non si volle eseguirla per intiero. Prima il Masetti ci fa cono-
scere chiaramente, che le due congregazioni, la Marciana cioè e la Ro-
mana, si lasciarono disgiunte. Il Bottonio narra la cosa candidamente e senza
fuoco nel modo che segue: « Era in questo tempo (1498) fatta un poco di ri-
forma in alcuni Conventi di Toscana benché debole, e mal fondata. Morto
adunque il P. Fr. Girolamo Savonarola, il Generale con l'autorità datagli dal
Papa unì la congregazione di San Marco con tutti i suoi membri alla Congre-
gazione di Toscana nuovamente formata, della quale fece Vicario generale
Fr. Jacopo da Sicilia padre santissimo e prudentissimo, la quale unione fu umil-
mente accettata ».
Mi parrebbe già sufficiente questo fatto a mostrare la correttezza dei
Frati di San Marco e come essi stettero perfettamente al posto loro sino alla
morte del Savonarola. Ma nella citata pagina del Masetti troviamo anche al-
cune altre cose le quali mi pare che non siano da tacere. La prima si è che,
quantunque dovessero far parte della nuova congregazione tutti i conventi no-
minati nella Bolla di Alessandro VI, tuttavia non si trovarono insieme uniti se
non XI conventi, cioè San Marco, San Romano di Lucca, Santo Spirito di
Siena, San Domenico di Pistoia, La Madonna della Quercia, L'Annunciata di
San Gemignano, Santa Agnese di Montepulciano, San Domenico di Prato,
San Domenico di Fiesole, la Madonna del Sasso, e San Domenico di Cortona.
Quindi ne rimasero fuori conventi importantissimi: Santa Maria sopra Minerva
che doveva esserne il capo; San Domenico di Perugia, e Santa Maria a Gradi
presso Viterbo.
Nè basta ancora. Sebbene ne' conventi di Toscana si fosse fatta un po' di
riforma, e si fosser quindi trasferiti e licenziati dal P. Giacomo da Sicilia
varj Frati a libito del Savonarola, (2) tuttavia non si acquietarono nemmeno
ora semplicemente a tale unione quei di San Marco. Ecco come segue il Bot-
tonio: « Ma perchè i Frati di San Marco, e sua congregazione erano circa 300,
la maggior parte nobili, ed allevati in santissimi costumi e stretta osservanza,
e quasi lutti giovani o fanciulli, dove che quelli altri erano meno di 60, e ri-
formati più in nome che in fatto, fu avvertito di non confonderli insieme. Onde
furono aggiunti due conventi solamente ai nostri di San Marco, cioè Lucca e
(') Monumenta et antiquitates veleria disciplinne ordini* prat&iOatOTVM. Roniae ,
voi. I, pug. 392.
(5) Gheiarrfi, ]>ag. 146.
— 515 —
San Gemignano, olire Prato, Fiesole, e il Sasso, e stando soggetti al Vicario
generale, i priori eran fatti da loro medesimi, ohe fu prudentissima considera-
zione, perchè fu causa, che si mantenesse quella così stretta osservanza.... ».
Narrato questo ed altro, il Masetti continua notando come crescesse a poco a
poco la congregazione di San Marco e assorbisse la congregazione Romana
ossia Tosca. Ma non però venner mai a far parte di tale unione i tre con-
venti sopra nominati, cioè di Santa Maria sopra Minerva, di San Domenico di
Perugia, e di Santa Maria a Gradi presso Viterbo, e questo perchè, nota il Masetti,
tali conventi, sebbene compresi nella Bolla di Alessandro VI, nullatenus se se
subdiderunt, provando cosi ancora una volta che avevan perfetta ragione i
Marciani quando dicevano che non era possibile ad essi eseguire il comando
del Pontefice, perchè anche gli altri Frati vi ripugnavano.
Da tutto V insieme delle cose apparirebbe adunque che, non potendo ri-
spondere alle forti ragioni de' Frati di San Marco e del Savonarola in risposta
al Breve d'Alessandro VI, che creava la nuova congregazione Tosco-Romana, e
tuttavia non volendo che cadesse intieramente il disegno di riforma a cui pure, in
mezzo alla malizia de'politici, alcuni miravano davvero, si epurarono per mezzo
del P. G. da Sicilia alcuni conventi, si fece, anche coli' aiuto o consiglio del Sa-
vonarola un poco di riforma, e così nettati alla meglio questi luoghi e ridot-
tine i religiosi a picciol numero, si pensò allora alla nuova congregazione ; ma
pure in modo essenzialmente differente da quello che in principio si voleva,
tenendo sempre conto delle istanze de' figli di Fra Girolamo, e finendo anche
qui per dar loro tutta la ragione; anzi ben può dirsi che ad essi non venne
chiesto se non che riprendessero l'antica impresa di riformare al modo loro
i conventi di Toscana, impresa da cui già per la tristezza dei tempi avevan
dovuto, lor malgrado, desistere, come vedremo or ora.
Ma noi, se piace, vogliamo lasciar questa via di difesa non solo di Fra Gi-
rolamo, ma di tutta la congregazione sua: non teniamo conto di queste ra-
gioni, che sono pur perentorie, per chiedere l'assolutoria del nostro Frate;
e ci sentiam tuttavia la forza di giungere alla meta per altro calle, e difen-
dere Fra Girolamo con quello che già tutti conoscono.
In sostanza, possiamo ancor domandare: Che cosa voleva il Breve Pon-
tificio e come c'entra in esso Girolamo Savonarola e che impose questo Breve
a lui particolarmente, e che fu a lui particolarmente comandato, ch'egli, po-
tendo, non abbia fatto? Ecco: nel Breve il Savonarola non è iieppur nominato.
11 Breve veniva indirizzato a tutti i Conventi e Priori e Frati che dovevano com-
porre la nuova congregazione; ma al Savonarolr. non si comandava nulla in
particolare. Si trovava egli tutto al più nella condizione in cui venivano a tro-
varsi tutti i priori dei conventi medesimi, nè più, nè meno. Posto ciò, che do-
veva fare Girolamo Savonarola, e che fece? Qui sta tutta la forma della que-
stione, il lato giuridico e canonico della stessa, il lato che bisogna studiare
prima di decidere, se non vogliamo correr pericolo di costruir ragionamenti e
far discussioni sopra falsi supposti, o sbagliar la strada e camminar fuor
del diritto sentiero.
— 516 —
A noi pare che il Savonarola facesse qui quello che già aveva fatto per i
Brevi antecedenti: si governò come doveva uno zelante figlio della Chiesa e
dell' Ordine Domenicano. Canonicamente fece quanto era suo dovere e non
mancò in nulla. Egli, quantunque gli fosse noto il recondito e immediato fine
de' procuratori del Breve, seppe conceder quanto si poteva alla buona inten-
zione del Papa in quello espressa, e lo considerò senz'altro dal lato giuridico,
canonico e morale, prendendolo come esso suonava, finché l'infelice Breve di
scomunica (così piacque a Dio), e più ancora V opera di quelli che lo avevano
ottenuto, non fecero note solennemente a tutti e manifeste le cose.
Appena ricevuto il Breve, radunò tutti i Frali Professi, che erano un duecen-
tocinquanta, e siccome il Breve era diretto a tutti, ne espose loro il contenuto.
Questo era ufficio suo, dacché egli era superiore della Congregazione; e se non
lo avesse compiuto, avrebbe, anche di fronte ai canoni e alle costituzioni del-
l'Ordine, meritato censura e pena. Di più, avendo egli molti novizj, figli anche
delle primarie famiglie di Firenze, che si eran rifugiati sotto 1' ombra di lui,
egli credè cosa onesta convocarne i padri, e manifestar anche a loro la di-
sposizione Pontificia. Che avvenne? I frati professi risposero tutti negativa-
mente e scrissero al Pontefice le loro ragioni, come abbiamo or ora veduto,
ed i padri de' novizj moslraronsi repugnanti anch' essi, e dissero che avrebbero,
nel caso che si persistesse a volere ad ogni modo essa unione, ritirati dal chio-
stro i proprj figlioli. Ed anche un centinaio di altri che già avevano fatto istanza
di essere accolti nella Congregazione, ritiravano, quando si fosse eseguito il
Breve, le loro domande. (')
E qui è bene notare subito che in realtà i frati della Congregazione di
San Marco e i cittadini di Firenze facevano una tal dichiarazione non per il
Savonarola, ma da sé, e senza di lui. Questo è provato all'evidenza dal fatto,
ch'essi persistettero nel loro proposito anche dopo che il Savonarola fu carce-
rato e processato dalla Signoria. A questo riguardo si hanno prove irrefraga-
bili. Nel documento CXLVIII del Cappelli, una lettera del Manfredi al duca di
Ferrara con la data del 5 maggio 1498, è detto: « Li suoi Frati (del Savona-
(') Questo è detto noli' Apologia e nella lettera più volte citata n tutti i cristiani e. diletti
di Dio. Potrà qualcuno non approvare questa chiamata dei padri dei giovani come una inoppor-
tuna pubblicità data al Breve pontificio. Ma oltre ad osservare come un Breve indirizzato a
sedici conventi, era cosa per sé ste ssa già molto pubblica, e che la sua esecuzione doveva im-
portare unaserie di fatti pubblici, ci piace ancora di invitare il lettore a riflettere che cosa
sarebbe seguito, se il Savonarola non avesse usato verso i padri questo delicato riguardo col
far loro conoscere il dispositivo del Breve. Era cosa naturale che alla notizia del detto Breve
sorgesse in molti di loro un malcontento (cf'r. Bayonne, p. 95, nota 1), tanto più che molti
avevano consegnato al Savonarola i loro tenori figli, colla persuasione che sotto la guida
sapiente di lui sarebbero rimasti in quel convento di San Marco, ove mirabilmente fioriva
la disciplina regolare ed eran coltivati gli ottimi stud.j, o almeno sarebbero rimasti negli
altri luoghi soggetti al dominio fiorentino. E tanto è vero che molti, saputo il dispositivo del
Breve, come abbiamo detto nel testo, si mostrarono risoluti a togliergli piuttosto da San Marco
e ritirarli nelle loro famiglie che lasciarli nel pericolo d' esser mandati in luoghi lontani e
presso religiosi di almeno dubbia moralità. Del resto, dopo tutto, l' atto compiuto dal Savo-
narola era completamente legalo e ancho doveroso.
— 517 —
rola) usano ogni diligenzia per conservarsi nelli loro monasterii con le sue pre-
rogative, et fanno ciò che possono per non si unire con la congregazione di
Lombardia, (*) vivendo cattolicamente e con gran devozione, secondo il con-
sueto loro ».
E i Frati medesimi a' dì 21 aprile 1498, pur rinnegando quel Savonarola
empio e fallace che vedevano ne' bugiardi processi, scrivevano a Sua Santità:
« .... Non ci resta altro che palesare il desiderio di una vita retta e 1' eserci-
zio inviolabile della nostra santissima professione, dalla quale moltissimi fu-
rono allettati, ragguardevoli per senno, per dottrina e per nobiltà, (2) i quali
a nessun patto sarebbero entrati in questa religione col pensiero di do-
ver poi separarsi e mescolarsi con altri, nè penserebbero ora a rimanervi, se
fossero costretti ad uscire o a vivere in comunità con altri. Inoltre parecchi
non ancor professi tornerebbero senza dubbio alle proprie case. Non sopporti
adunque, Beatissimo Padre, la Santità Vostra, che trecento religiosi quasi tutti
illustri per nobiltà e splendor di casato, sian rimossi ed allontanati da sì santo
proposito, ma ci permetta di restare immediatamente soggetti al Reverendis-
simo Protettore ed al Generale, come fummo sinora, e ci dia facoltà di
eleggere un vicario fra i nostri, confermato giuridicamente dalla Santità Vo-
stra, o dal Reverendissimo Protettore e Generale nostro, e dotato di quella
autorità e prerogativa che è conveniente, affinchè possiamo attendere con più
facilità alla contemplazione ed alla salute delle anime. E poiché già da più di
un anno alcuni Frati della congregazione di Lombardia, senza licenza dei pro-
pri superiori, si recarono fra noi per desiderio di una vita più austera, e tut-
tora vi stanno; chiediamo che possano, nonostante qualunque censura, rima-
ner presso di noi sicuri e tranquilli. Sappia la Vostra Santità, che il capo ed
il fomite di tutto lo sbaglio, è Fra Girolamo. Egli ne paghi la pena, se pur si
può trovar pena degna di tanta scelleraggine. Noi pertanto, pecore erranti, ci
rifugiamo presso il vero Pastore, cioè presso la Santità Vostra, la quale suppli-
chiamo per le viscere della misericordia di Gesù Cristo nostro Dio, a voler
prendere buoni e saggi provvedimenti per noi suoi figli e per la conservazione
di questa nostra santissima unione, siccome confidiamo per la Benignità Vo-
stra, alla quale con ogni affetto ci raccomandiamo ».
Basterebbero questi documenti a decider la quistione; ma se alcuno non
fosse ancor contento e pago, e volesse altre prove, lo potremmo soddisfare a
pieno, avendone anche delle più decisive. E una si desume dal Documento
(') Qui il Manfredi, come si vede chiaramente dal documento, chiama congregazione
di Lombardia la nuova congregazione Tosco-Romana.
(J) Dal volume Liber vestii ionum che per cortesia dei PP. Domenicani abbiamo potuto
consultare, ricaviamo che 117 novizj furon vestiti dal Savonarola e fra questi moltissimi
appartenevano a nobili famiglie come Davanzali, Pitti, Vespucci, Salviati, Mazzei, Laudi.
Mazzinghi, Rucellai, Acciajoli, Gondi. Cinozzi, Corsi, Canigiani. Troviamo parimente regi-
strata la vestizione dei 5 fratelli figli di Lorenzo Strozzi, Fra Filippo (vestito 28 nov. 1494),
Fra Niccolò (-5 maggio 149i>), Fra Roberto (24 sett. 1496), Fra Lattanzio (4 febb. 1498), Fra
Tommaso (18 marzo 1493) e un tìglio di Pietro Strozzi vestito dal Savonarola col nome di
Fra Alessandro il 23 febbraio 1496.
— 518 —
XXXIV de' pubblicati dal Marchese: è la Signoria che scrive al Pontefice con
la data de' 21 aprile 1498, quella Signoria che dopo d'aver con arte più che
diabolica spinte le cose del Frate agli estremi, ora metteva lui alla tortura, e stra-
ziandone il corpo e alterandone le deposizioni, ne preparava la sentenza di
morte. Ringraziando il Pontefice che le dava facoltà di martoriare queir in-
nocente, e trasmettendo a Sua Santità già allora un primo cumulo di falsifica-
zioni, pur finiva con raccomandare a Lui la Congregazione di San Marco, e
scriveva, con la data del 21 aprile 1498, testualmente così: « Ed ora non ci
resta altro che supplicare la Vostra Santità per quel gregge innocente che fa-
cilmente è stato tratto in errore dagli inganni di quell'astutissimo uomo, affin-
chè Ella non permetta che sian dissipati quelli che non peccarono. Sono figli
nostri, della più alta nobiltà quelli che egli aveva raccolto per aver nella città
a sè favorevoli i loro padri, e per mezzo anche di loro egli aveva munito le sue
frodi. Ve ne pregano i loro padri e si prostrano ai piedi della Vostra Santità, vi
pregano e vi scongiurano che siano mantenuti intieri i diritti della loro Con-
gregazione e quei privilegi già concessi dalla Vostra Santità. E così Ella farà
cosa gratissima a noi e degna di un tanto Pontefice, a cui ci raccoman-
diamo ». (l)
Nè si stava contenta a tanto la Signoria, ma con la data de'2i dello
stesso mese ed anno ritorna sopra l'argomento e scrive un'altra volta al suo
Oratore presso la Santa Sede, affinchè aiuti quanto può questa pratica. (?)
(') « Nec reliquum nobis alimi modo est, nisi ut supplicemus Sanctitati Vestrae pio in-
nocente eo grege qui tacile deceptus est astu callidissimi hominis, ne patiatur dissipari eos,
qui nihil pecoarunt. Filii sunt nostri ex prima nobilitate, quos ille elegerat, ut desiderio fi-
liorum patres sibi obnoxios in civitate haberet; hisque etiam suas fraudes munierat. Precan-
tur eorum parentes; advolvunt se genibus Sanctitatis Vestrae; rogant, orant, ut integra sibi
serventur iura omnia Congregationis suae, et quae quondam privilegia illis concessa sunt a
Sanctitate Vestra. In quo fecerit rem gratissimam nobis et dignam tanto Pontifico, cui com-
mendamus nos ».
(s> Non sarà di troppo se leggeremo per intiero anche questo documento, che è il XXXV
fra la raccolta ora citata; da esso raccogliamo anche una notizia preziosa, cioè clie i Frati
della Congregazione di San Marco per ottenere l' intento mandarono due di loro a supplicare a
nome di lutti Alessandro VI: < Domino Dominico Bonsio. — Magnifico orator. Di poi vi seri verno
a di 21 ultimamente, (v. d. XXXIII della stessa raccolta) in commendazione de'lrati di S. Marco
pe' quali volevamo non lasciassi a fare cosa alcuna possibile a voi, in raccomandarli, favo-
rirli et excusarli, ad ciò potessino mantenersi nella loro Congregazione : di nuovo ci è parso
advisarvi come si trasferiranno costà due de' loro fiati in nome di tutta la Congregazione;
dove, prostrati dinanzi ai piedi della Santità del Papa, vogliono umiliarsi a Sua Beatitudine,
e chiedere venia della inobedientia e contumacia in che sono stati tanto tempo, persuasi da
Fra Girolamo; et supplicare a quella, die, sanza loro errore, non li siano levati o alterati
e' privilegi concessi loro dai sommi pontefici. Boro vengono informati et instrneti a pieno
d'ogni loro ragione, le quali comunicheranno ancora con voi; sperano per la innocentia, in-
tegrità et buono proposito di che sono conscii a loro medesimi, che Dio non habbi abbando-
nare la causa loro, et potere trovare misericordia et venia dal Pontefice nelli loro errati,
ne' quali sono cascati, arbitrante» se »ic obsequinm prestare Dea: et per la examina di Fra Gie-
ronimo si conosce benissimo con quanta simulatione et fraudo e' sieno stati indocti a tanta
inobedientia. Voi di nuovo li udirete gratamente, et intromettereteli al Papa, et in nome no-
stro li favorirete, et a presso la Sua Santità et Protettore et Generale loro, et demum con
tutti quelli che fusai necessario. Sapete per chi voi avete ad intercedere et supplicare, pe' no-
stri cittadini; e' quali ci sarebbe grave udire o vedere fussino perseguitati animosamente,
— 519 -
Prenderemo altrove in esame le parole in cui si dà carico al Savonarola
in questi documenti. Ora, tenendo sol conto dei passi che riguardano V argo-
mento presente, e veduta, anche dopo la morte del Savonarola, tutta questa
contrarietà tanto nei religiosi, quanto nell'intera cittadinanza, possiamo giusta-
mente domandare col Pico: (') « Qual buon diritto v'era adunque, qual v'era
retta cagione di riversare tutta sopra Girolamo Savonarola questa comune
ripugnanza »?
Del resto potrebbero dirci i giudici del Savonarola che il Pontefice ab-
bia mai imposto a Fra Girolamo di esercitar di fatto I1 autorità e 1' efficacia
sua per muovere i frati di San Marco ad aderire all'imposta unione? No
certo ; imperocché il Pontefice, o credesse o no (e ci piace lasciar la que-
stione insoluta) di avere il diritto di ciò fare autorevolmente, non l'ha fatto
mai e tanto meno con la minaccia, in caso di rifiuto, di scomunica. È ben
vero che la sentenza di scomunica dice che il Pontefice aveva coman-
dato, col Breve de' 7 novembre 1496, al Savonarola che obbedisse nel-
1' unire il convento di San Marco di Firenze alla nuova Congregazione; ma,
già 1' abbiamo notato, la verità è che nel detto Breve Fra Girolamo non è
nemmeno nominato; e nessuno ha d' altra parte fatto mai ricordo nè sospet-
tato pure dell'esistenza di un Breve speciale a lui diretto in tale occasione e
con tale comando. Anzi, che questo comandamento non venisse fatto, almeno
prima della Feria terza dopo la quinta domenica di Quaresima del 1497, si
raccoglie dalla citala XL1I predica sopra Ezechiele, nella quale, detto appunto
che se a lui venisse fatto un comandamento di unire i suoi Frati con gente
che non vivessero bene, e fare una nuova congregazione, era obbligato, come
già vedemmo, a non obbedirgli, agg'cnge: « Non dico che sia nulla; ma per
mostrarvi, che può intervenire.... Se io vedessi che per partirmi di questa poca
vigna di Firenze, la andasse in ruina, non mi partirei, anche se mi fosse co-
mandalo non ci pensare. Io non dico, che ci sia niente di comandamento; ma
perchè siamo stamani sulla vigna, abbiamo detto questo ». (2)
Per conto suo poi, anche se non avesse ripugnato egli a questa unione,
ma avesse zelato con tutte le sue forze perchè si eseguisse, non avrebbe in
nessun modo potuto fare altrimenti da quel che fece; imperocché i superiori
gli conservarono la dignità di Vicario, nè gli diedero mai ordine di passare,
come in simili casi suole accadere. Crediamo questo sia assai a ricordarvi il desiderio no-
stro. Voi procurerete tutto con diligenza e prestezza, come siete uso di fare >. Non aggiungo
parole, che mi pare che qui non occorra proprio commento alcuno: la gravità di questi docu-
menti è per sè palese, e non avrebbe dovuto sfuggire agli storici del Savonarola e tanto
meno al critico d' Innsbruck. Non isfugga ora dalla mente del lettore, e se ne avrà luce as-
sai opportuna andando innanzi. Qui aggiungeremo solo che i Frati di San Marco e i citta-
dini di Firenze, tentarono poi sempre che la Congregazione restasse autonoma, si che difatti
e in realtà, come abbiamo veduto e rivedremo andando innanzi, l'unione voluta da quel
breve non si potè fare veramente mai. Cfr. anche il Breve pontificio di risposta alla lettera
de" Frati (Perrens pag. 397) e i documenti che si leggono nel Gherardi a pagg. 257, 2o8.
(') Apologia, lib. II, cap. IV.
(*) Questa predica non fu mai proibita nè sospesa.
— 520 —
divenuto Frate semplice, da' conventi della Congregazione di San Marco ad
altro convento; mentre invece ad altri religiosi trovansi dati in quell'occorrenza
comandi particolari come risulta dal Gherardi, pag. 144-146. Onde, così stando
le cose, a lui, se si guarda alle costituzioni dell' Ordine, non era lecito muo-
versi da Firenze.
Dopo tutto, ci pare che avesse adunque ragione Fra Girolamo, allorché
scriveva nel proemio dell' Apologia e ripeteva altrove, che questa faccenda
poco lo toccava, perchè non era in suo arbitrio, ma in quello di circa due-
cento e cinquanta Frati: de' quali molti patrizj venerabili per religione, pru-
denza e dottrina, mentre egli forestiero stavasi con loro non per comandare,
ma per servire con umile affetto di carità. S' aggiunga che il Savonarola non
ha mai detto eh' egli per parte sua e per proprio conto, per quanto riguar-
dava solamente la sua persona, non fosse pronto e disposto a quest' unione ;
ma solo che i Frati di San Marco tutti insieme ad una voce ritenevano tale
unione contraria al voto della loro professione e perciò non vi volevano pre-
stare 1' assenso. (4) Posto tutto ciò e considerandolo bene con mente sana,
come si fa a pronunciar sentenza di condanna contro di lui per questo fatto?
Canonicamente egli non è in nessun modo condannabile, e poteva anche
dopo questo scrivere ridentemente a tutti i cristiani: * Sappiate ch'io non fui
mai disobbediente alla Chiesa Romana, riè al Papa, nè ad alcuno mio su-
periore ».
Non ci resterebbe adunque se non un Iato della questione : Vedere se
Fra Girolamo, quantunque giuridicamente non vi fosse astretto, moralmente
si potesse tuttavia dire obbligato a consigliare almeno i suoi Frati a questa
unione. Per decider questo bisogna entrare nel merito dei motivi che i Frati
di San Marco e di Fiesole adducevano a giustificare la loro condotta. Que-
sti motivi sono dodici, e sono quelli che il Savonarola, a nome de' Frati me-
desimi, espone neh' Apologia loro.
Il Pastor, non aven Ioli esaminati, ma giudicandoli dai cenni che ne dà
il Villari, li chiama singolari. Ma il Pico ragionando fondato sopra di essi osò
scrivere un capitolo, il VI del libro II dell'opera citata, intitolato: Che il
precetto del Pontefice non si doveva eseguire — Quod mandatum Pontificia
exequendum non erat. — A nostro giudizio essi meritano una attenta consi-
derazione. A provar ciò mi sembra più che sufficiente il fatto che i superiori,
come già dicemmo, ne dovettero tener conto. Ma perchè ognuno giudica bene
(') Nella stessa Apologia Fra Girolamo non intende di esporre ragioni proprie e di pro-
vare egli che l'anione era impossibile, irragionevole e dannosa, ma intende solo di proporre,
come dice nel Proemio, le ragioni che a ciò adducevano i Frati: < liationes itaque quas ipsi
(Fratres) attulerunt hic subiungemus— Jam ergo Fratrum nostrorum rationes accipiantiir ». Insi-
stiamo sopra questo punto, perchè noi crediamo che, se si l'osse trattato solo di sè, il Savona-
rola, animo temperato alla lotta contro la corruzione, nutrito di buoni studi, d' autorità, si
ohe non aveva da temere per il cattivo esempio, come i suoi giovani Irati, sarebbe andato
dove lo volessero davvero, solo che gli fosse stato possibile. Ad ogni modo sta sempre il fatto
che il Savonarola non ha mai detto: Io per parto mia non obbedisco ; e d'altra parte, non
obbedendo gli altri, egli non poteva far nulla di più di quanto fece.
— 521 —
ciò che bene conosce, come ivi dice il Savonarola, e noi per la brevità che
ci è imposta non potremmo qui offrirli in disteso, raccomandiamo al lettore
di vederli neh' Apologia stessa come li ha esposti Fra Girolamo, entrando
garanti ch'egli vedrà ch'essi convincono e legano davvero l'intelletto.
Sommamente utile, del resto, ci sarebbe qui, oltre un buon criterio per
giudicare delle cose spirituali, una cognizione particolare e completa di tutti e
singoli i Conventi della dovuta Unione e poi di quello di San Marco. Ciò asseriva
anche Fra Girolamo e l' asserivano i suoi Frati. Del Convento di San Marco
qualche cosa già sappiamo: degli altri conventi dell' unione possiamo dire che
in generale erano in condizioni tristi pur troppo ; e basterebbe a provarlo il
fatto che si voleva appunto riformarli. Molti di questi Conventi erano di quelli
de' quali il Pastor parla con le gravi parole che già conosciamo: « Indicibil-
mente tristi erano le condizioni in molti conventi; in tanti di questi i tre voti
essenziali, castità, povertà ed obbedienza non erano punto osservali. Il
guaio principale era che troppi senza vocazione entravano ne' conventi e
vi trovavano troppo facile accettazione ». (*)
I documenti pubblicati dal Guasti, (2) dal Del Lungo (3) basterebbero
anche da soli a confermar le nostre asserzioni. Ma più di tutto son testi-
moni che noi diciamo il vero alcune pagine dell' Apologia del nostro Rifor-
matore. Questo libricciuolo colla freddezza de' suoi filati sillogismi in la-
tino scolastico ti genera neh' animo, per il quadro che, stretto da necessità, li
mette innanzi delle condizioni di quei luoghi, una tristezza che non sapresti
esprimere. Eppure, s' egli avesse detto un non nulla più del vero, non v' è
dubbio, gli sarebbe stato rimproverato; ma per contrario nessuno, come già
abbiamo visto, gli ha potuto far rijposta di nessuna sorta. (4) Come potevano
adunque i Frali di San Marco, che avevano pregato tanto e tanto insistito per
(') Con ciò non intendiamo di affermare che proprio tutti fosser tristi. Crediamo giu-
stissima l'asserzione del Pastor a pag. 118; che accanto agli elementi guasti e schivi da ogni
riforma ve ne abbia eziandio di buoni, anzi di ottimi e perfino nei monasteri più diffamati».
Ma noi parliamo in generale; e le condizioni generali erano tristi assai, anche nel maggior
numero di questi conventi della Nuova Congregazione.
(2) H Savonarola e i Pratesi, ristampato a pag. 69-107 dal Gherardi.
(3) II Savonarola e i Senesi, Siena, 1895 ed i citati dell' Archivio storico Italiano.
(4) Chi dubitasse dello stato miserando dei Conventi di cui parliamo, potrebbe leggere
nel Bollario dell' ordine Domenicano la bolla di Giulio II del i marzo 1504, ove si dà al Vi-
cario Generale della Congregazione lombarda la cura di riformare il convento di Gradi presso
Viterbo perchè aveva inteso tal convento a regularibus institutis, morumque observantia valde
defecisse e il decreto di Leone X dei 21 giugno 1511 contro i religiosi vaganti: per laicorum
hospitia et seculares circulos vaji palantes tota die discurrunt et lnijusmodi licentia freti ea
committere non verentur quae in divinae cedunt majestatis offensam, eorum animarum exitium,
Religionis opprobium, perniciosum quoque exemplum et scandalum plurimorum..,. et per impuni-
tatis aucìaciam evadunt quodidie nequiores. Vedi anche la Cronaca del convento di Santa Caterina
dell'Ordine de' Predicatori, Firenze Carnesecchi, pag. 608 e 611, e le parole anche più acerbe
del Breve del 6 aprile 1517 contro gli stessi religiosi che laxatis habenis extra ordinem et
obedientiam suorum prxlatorum et per saeculum variare presumunt cum animarum suanim perni-
eie, religionis vituperio, Dei contemptu et populorum scandalo, con altre cose che ó bello tacere.
Nè è da credere che questi fossero mali recenti.
— 522 —
esser congregazione a sè, per riformarsi, e che s' erano riformati ed avevano ri-
stretto la loro regola, riducendola veramente all' antica domenicana, come
potevano esser costretti a deliberare di unirsi co' difformati ? Nessun canone
troverete che obblighi alcuno a ciò, come nessun comando può obbligarci ad
allargar la vita, se noi 1' abbiamo ridotta in qualche ragionevole strettezza. E
come poteva quindi Girolamo Savonarola, senza che ciò gli fosse particolar-
mente comandato, confortare i suoi figliuoli, che tutti sapevano di santa vita
e di strettissima osservanza, ad unirsi in comunion di vita con questi altri
che di osservanza non ne volevan sapere? E con qual cuore poteva egli sopra
tutto confortare a tale passo i padri di quei giovanetti novizj ch'egli soleva
chiamare i suoi angeli, e che s' eran riparati sotto l'ombra sua per viver bene?
Se un poco di fermento corrompe tutta una massa, che avverrà quando il fer-
mento è assai?! 0 che proprio non si doveva calcolar per nulla il pericolo
ch'essi avrebber corso nella conversazione con uomini perversi, che i tre voti
non osservano affatto ?(*)
Nè meno di quelle de' Frati di San Marco sono terribili le parole del Pico.
« Io udii » scrive quest'uomo egregio, « narrare la corruzione de' Frati defor-
mati da coloro stessi che mostravan di volere quest'unione: essi dicevan
così grande la corruzione da affermare eh' erano mossi a procurare che tale
negozio andasse innanzi, perchè i monasterj da loro abitati, eh' erano oramai
divenuti spelonche di ladroni, non fossero intieramente distrutti. Ora — conti-
nua sempre il Pico — indurre coloro che si studiano di vivere secondo i de-
creti de' santi Padri e le sanzioni approvate dalle Chiesa Cattolica, perchè
vogliano vivere nelle spelonche de' ladroni, e mescolarsi con uomini defor-
mati e corrotti è impossibile a farsi. » (2) Ed io aggiungerei: È assolutamente
illecito.
Ma è pur un'opera buona quella di cooperare alla riforma di tanti con-
venti. — Ecco un'altra proposizione generale indubitatamente vera e che facil-
mente commove gli animi che la sentono; ma che non aveva punto luogo
nel caso speciale, come osservavano opportunamente i Frati di San Marco.
È indubitatamente cosa buona aiutare chi vuol far ritorno a Dio, essendone
dilungato, e specialmente se chi erra è religioso; e soprattutto se non uno,
ma dieci, venti, cento sono essi. Allora, si sa, è necessario, se si possono sal-
(') Che questa ragione valesse davvero, so non fosse per sè evidente e non 1' avessimo
chiaramente dimostrata nel capitolo XXV, lo potremmo anche dedurre dal fatto che la pre-
dica XXII sopra Ezechiele che la portò con molto calore, non venne sospesa da Paolo IV.
Meriterebbe di esser qui riportata tutta l'ultima parte di questa predica; ma staremo paghi
di poche proposizioni, c ... Ecco, dice Fra Girolamo, se io vedessi che uno volesse mescolare i
miei Frati con gente che non vivessero bene, e fare una nuova congregazione, non sono obbligato a
mettergli la vita?! Si. — ... Perchè tu sei obbligato a pascere colui cho muore di fame? — Oh!
e' me lo ha comandato Iddio : egli è il comandamento della carità, tutti i Dottori lo dicono. —
Tu perchè se' obbligato a rimediare a quella fanciulla? — Oh! lo dicono i Dottori nell'Evan-
gelio della correzione fraterna! — A me chi ha comandato, che io non lasci mescolare le mie pe-
corelle? Dio, perche è comandamento di carità, che io guardi le mie pecorelle ».
(*) Opera e luogo citato, capit. IV.
— 523 —
vare, rimettervi anche la vita. Ma qui era il caso ? Volevano davvero la ri-
forma i frati corrotti? E, se mai, l'avrebbero accettata da quelli di San Marco?
Ecco le questioni particolari ctie bisogna risolvere, perchè abbia un valore la
proposizione universale. Ora i Frati di San Marco negavano recisamente queste
proposizioni particolari, ed essi non si sentivan da tanto; e ad ogni modo
avevano sì grande da fare nella Congregazione loro da non restar ad essi
gran tempo per altro, nè potevano soprattutto lasciar andare a male questa
che con 1' aiuto divino ben rifioriva, per le altre, divenute, bisogna ripeterlo,
spelonche di ladroni; le quali in verità, se volevano riformarsi, potevan farlo
da sè, senza bisogno di recar disturbo altrui. Ma in realtà questa riforma (e
i Frati di San Marco lo sapevan benissimo) quei che ne avevano più bisogno,
non la volevano affatto; e parlando umanamente, cioè secondo quel che suole
avvenire d'ordinario, si riteneva impossibile. Anzi alcuni volonterosi avevano
lasciato cotesti luoghi, appunto perchè non vi potevano osservar la regola e
s' erano, per osservarla, rifugiati dal Savonarola, mentre nessuno di quei del
Savonarola, pur essendo tutti liberi, come egli dice ripetutamente, nessuno
si era partito o si voleva partire. (')
Ma il fatto sta poi che i religiosi dei conventi deformati non volevano essere
veri figli di San Domenico, nè divenire riformati ; e alcuni di essi in nessun modo
avrebber comportato a riformatori i Frati di San Marco ; nè questi avrebber
potuto far niente in tai luoghi. Sentiamo i Frati: « Tutto il bene dell'ordine e
di ciascuna congregazione dipende dal reggimento. Perciò non si devono unire
quei conventi ne' quali non si può conservare il buon reggimento. Ma in questa
nuova unione il buon reggimento per gli odj d'alcuni popoli, non si potrebbe
conservare affatto. Imperocché i Senesi de' Fiorentini non vogliono udire neanche
il nome: così altri, e massime i Pisani. (2) Converrebbe adunque scegliere frati
accetti a tali popoli e deputarli ai conventi di tali città. E queste cose noi le diciamo
non senza esperienza. Infatti, volendo noi riformare il convento di Pisa e di
Siena, chiamitivi dalla città medesima, non ci fu tampoco possibile colà ri-
manere per operar la riforma. Anzi con ingiuria e contumelia e pericolo della
vita fummo per forza da queste due città cacciati. Lo stesso ci sarebbe forse
avvenuto anche altrove, se, edotti dall' esperienza di questi luoghi, non aves-
simo imparato a non andar oltre e a non porre a cimento la nostra vita,
(') Ecco un passo della lettera che il Savonarola aveva scritta al Pontefice in risposta al
Breve degli 8 settembre 1495 da noi esaminato nel capitolo antecedente. « Testis est civitas
tota, quod magna est differentia inter vitam Fratrum Nostrorum his temporibus-, et eorum
vitam quando erant uniti congregationi Lornbardiae : omnes enim fatentur Fratres nostros
ad strictionem vitam transiisse. Hujus rei etiam signum est, quod cum Congregatio Lombar-
diae obtinuerit excomunicationem specialem, contra eos qui sine licentia ab ea recedunt, sit
vero nostra sic e contrario libera congregatio ut qui volunt ab ea recedere libere possint; tamen
vix potest retinere suos bonos Fratres, ut ad nos non transeant, et iam aliquot ex iis probati
viri ad nos transierunt. De nostris autem, qui sunt liberi, nullus ad eos probatus adhuc transivit
nec transire vult ». Eppure la Congregazione Lombarda, dice il Savonarola, era molto mi-
gliore che la Toscana; eppure aveva nel suo seno de' santi !
(*) Allorché i Frati cosi parlavano, Pisa non era più nelle mani dei Fiorentini....
- 524 —
senz' alcun frutto delle anime. Chi adunque per questa ragione non vedrà
apertamente che tutto il reggimento dell'Ordine n'andrebbe confuso? Impe-
rocché molti verrebbero associati con quelli co' quali non s'avrebbero ad asso-
ciare; o verrebbero divisi da quelli dai quali non è espediente che siano di-
visi. Non si potrebbero dar lettori utili a' discepoli, ne' discepoli convenienti
ai lettori, nè tampoco fare i priori a quei conventi opportuni; nè si potrebbero,
quando fosse necessario, rimoverneli; e ne seguirebbero poi innumerevoli altri
inconvenienti, che sogliono di solito avvenire, come sanno e confessano aperto
coloro che hanno qualche esperienza ». Nè qui i Frati esagerano punto; anzi
parlano davvero con molta carità e delicatezza e sapienza. Ciò è provato da
un Documento assai espressivo pubblicato da I. Del Lungo: Il Savonarola e i
Senesi, Siena, 1895. E una lettera di Alessandro Bracci, cancelliere mediceo,
il quale da Siena stessa dove stava per la Repubblica ne scriveva a Piero dei
Medici. — Val la pena di sentirla intiera: « Senis, die XXIII junij 1494. Magnifice
vir, major observandissime. Non posso fare che io non prorompa in qualche
stomaco ed indignazione de'modi di queste gran bestie sanese, che a compor-
tarle bisogna una singolare pazienza e prudenza. Hanno fatto venire quel po-
vero religioso di Frate Hieronimo, con circa xx frati di San Marco, ed è stato,
si può dire, trattato come un cristiano tra giudei, vilipeso, ributtato e minac-
ciato da tutto questo popolo. E credo veramente che se non si fosse partito,
lo avrebbero lapidato. Hanno di poi tratto fuori una voce, che sendo questo
convento di Santo Spirito in sulle mura di Siena, noi ci mandavamo questi
frati da Firenze per torre loro Siena. Ieri, andando frate Hieronimo per par-
lare al capitano del popolo, tre de' Signori se gli fecero incontro, minaccian-
dolo acerbissimamente, ed il medesimo fecero più cittadini ; ed insino alle
donne lo mordevano e gli dicevano mille improperii. Ed oggi per tutta Siena
non si dice altro, se non che noi siamo traditori, e che facciamo e diciamo.
Non entro in altri particolari di questa cosa, perchè avrei che scrivere pur
troppo, e anche perchè stimo che da' frati medesimi la M.V. intenderà tutta que-
sta minuta ». Vedi la Cronaca del Convento di Santa Caterina in Pisa, pag. 611
e seg., e vedrai che a Pisa non si voleva tampoco accogliere il Padre Giacomo
da Sicilia mandatovi dai superiori quale Vicario della Nuova Congregazione.
È un argomento molto efficace in prova che davvero i Frati di San Marco
non s'ingannavano, è l'effetto seguito quando si volle ad ogni modo effettuare
l'unione: « Alessandro VI propose a questa nuova Congregazione il venerabile
P. Giacomo da Sicilia; il quale, dopo la morte di Girolamo, venne a Firenze e
volle piuttosto esser superiore di questa congregazione che non distruggerla o
unirla ad altra. Invero, essendo egli uomo buono e vedendo il bene elio ivi si
faceva, que' suoi, osservanti solo di nome, abbandonò, e con questi di San
Marco visse e morì. E quella Congregazione si dissipò e disperse; (') questa,
col divino aiuto e volere, si confortò e crebbe. » (2)
t1) Altrove il cronista dice che questa nuova congregazione : ut fumus ccanuit, pag. Oli.
(*) Cronaca citata del Convonto di Santa Caterina, yag. 662.
— 525 —
E Fra Girolamo che conosceva appunto appunto le condizioni de' varj
conventi di cui si parlava, ed era tanto esperto nel governo loro, poteva non
tener conto di questa opinione de' suoi Frati? poteva far ciò e, senza averne espli-
cito comando, adoperarsi per muovere la volontà loro a far quello che avrebbe
potuto originar tanto male?! Possiamo concludere anche qui adunque a fa-
vore del nostro Riformatore, nè è il caso che ci dilunghiamo di più. Girolamo
Savonarola non era tenuto canonicamente a far nulla oltre quello che fece
per l'esecuzione del Breve del 7 novembre 1496: nè moralmente era obbli-
gato, non avendone esplicito comando, a consigliare, anche se avesse sperato
di farlo con buon effetto, i suoi Frati ad acconsentire alla decretata unione;
anzi, ove lo avesse fatto, sarebbe di leggieri andato contro alla legge di carità,
e avrebbe davvero tradito i giovani affidati alla sua custodia. Fin qui nessun
cattolico lo può condannare per nulla.
XXXII.
La Scomunica
Sommario.
l'atto doloroso a dirsi. — Il Brave di scomunica come si legge nel Pastor. — Empietà di coloro che
1' hanno procurata. — L' intiero nostro scritto dimostra la nullità della grave sentenza. — Un
lavoro che sarebbe utile. — Si riepilogano con le parole del Frate le cose fin qui dette. — Un po-
destà di lirescia. — Ad Alessandro VI spiace la pubblicazione della sentenza. — È conosciuta
da molti la nullità della scomunica. — Il Papa riconosce l' innocenza del Condannato. — Dottrina
e vita del Savonarola lodate da Alessandro VI. — Il Papa desideroso di revocare la scomunica.
— Prove. — Un'altra scena. — I motivi della scomunica riconosciuti inesistenti da Alessandro
VI. — Interpretazione delle parole falsa et penti/era dominata. — Se Fra Girolamo potesse chie-
dere 1' assoluzione. — La benedizione papale. — La dignitosa coscienza del Frate ha compito
il proprio dovere. — Una domanda al Pastor. — Obbligo della difesa. — I tristi che trionfano e
imperversauo, e nessuno li frena. — I buoni che dimandano pane e nessuno lo spezza loro. —
Il Frate giustificato del riprender la predica e la celebrazione dei misteri divini. — Gli effetti
manifestano ohe il Savonarola diceva la verità. — La testimonianza del Landucci. — L' uomo
di poca virtù e V uomo acceso di sauto zelo. — Non siamo nel caso. — Un pensiero difficile a
significarsi. — Grandezza di Fra Girolamo.
Fino a questo punto, come abbiam visto, nessun cattolico può a rigore con-
dannare il Savonarola. Eppure, com'è doloroso il doverlo dire ! a' 12 di mag-
gio dell'anno 1497 si osò proporre ad Alessandro VI di sottoscrivere il Breve
di scomunica! Questo era indirizzato a'varj conventi della città e, come si legge
nel Pastor (pagg. 357-358), suona così: « Da più persone degne di fede abbiamo
inteso, come un certo Fra Girolamo Savonarola, al presente, per quanto si dice,
Vicario di San Marco in Firenze, abbia seminato perniciosa dottrina con scandalo
e iattura delle anime semplici. Noi gli comandammo, in virtù di santa obbe-
dienza, die sospendesse le prediche e venisse a noi, onde scusarsi dei suoi errori,
ma egli non volle obbedire, e ci addusse, invece, alcune scuse che noi con troppa
benignità accettammo, sperando che la nostra clemenza dovesse convertirlo. Ma
volle persistere sempre nella sua ostinazione ; onde con un secondo breve (7 no-
vembre 14!)6) gli comandammo, sotto pena di scomunica, che unisse il convento
di San Marco alla Congregazione Tosco-Komana, nuovamente da noi creata.
— 527 —
Anche allora restò fermo nella sua pertinacia, incorrendo così ipso facto nella
censura. E però noi ora vi comandiamo che nei di festivi alla presenza del
popolo dichiariate esso Fra Girolamo scomunicato, e come tale doversi te-
nere da ognuno, perchè alle apostoliche monizioni nostre e comandamenti
non ha obbedito. E, sotto simile pena, venga impedito ad ognuno d'aiutarlo,
frequentarlo o lodarlo; sia nei detti, sia nei fatti, siccome scomunicato e sospetto
di eresia ».
Che dobbiamo dire o fare dinanzi a sì fatto documento ? Vi è pur uno
de' nostri lettori che abbia tuttavia bisogno d' una parola o d'un fatto per es-
sere persuaso che questo Breve è un'ingiuria a Fra Girolamo? che neppur
uno dei motivi ai quali s'appoggia regge comecchessia?! E in caso, che do-
vremmo noi fare altro, se non ripetere ciò che abbiamo scritto e narrato fin
qui, come prova evidente che la verità è tutta contraria a' supposti della
lettera pontificia? (') Un grave peso di tristezza pare ci voglia opprimer l'anima
a pensare quanto sia slata grande la malizia di quegli scellerati che osarono
consigliare al Vicario di Cristo di apporre la sua firma ad un documento di
questa fatta ! Certo a costoro la dignità della Sede Apostolica non doveva im-
portare affatto, se osarono compiere un delitto così mostruoso. Pare legge di
provvidenza che in questo mondo ia malizia degli uomini calchi ognora i buoni,
e sollevi i pravi; ma qui ci troviamo di fronte ad un eccesso così grande che
si pena a capire come abbia potuto compiersi! Fra le infamie che si narra-
rono degli ultimi anni del secolo XV, io non so se ve ne sia alcuna più carat-
teristica e più grave della presente, nella quale mi sembra di veder trionfare
(') Il prendere in esame questo Breve in un lavoro speciale, intitolato: Delia scomu-
nica contro Fra Girolamo Savonarola, potrebbe riuscire tuttavia di grande utilità. Biso-
gnerebbe far la storia degli antecedenti e veder bene come il Pontefice sia stato tratto ad
un passo cosi grave. I nuovi documenti ci darebbero qui un aiuto incalcolabile; ma non
bisognerebbe lasciar da parte nè le predicazioni del Frate, né quelle de'suoi emuli, nè to-
glier l'occhio dagli avvenimenti politici esteri e nostrani. Apparirebbero allora manifeste
per una parte le brutte trame tese al nostro dall'utilità, dall'empietà, dalla fraudolenza e
dal mal costume; e per l'altra parte ci si mostrerebbe in nuova luce lo zelo del Frate per
la verità, per il bene di Firenze, per la Chiesa di Cristo.
Poi bisognerebbe passare ad esporre l'operato del Savonarola dopo giunta la scomu-
nica; e apparirebbe allora luminosa la reverenza di lui verso le somme chiavi pur iu un
tempo ch'erano indegnamente profanate e volte spesso a fine ben diverso da quello por il
quale furono consegnate a Pietro. E si vedrebbe che il nostro Frate nè come cattolico, nè
come religioso, poteva governarsi meglio: in mezzo aduna turba di gente venduta, malfa
intenzionata, traditora che, senza aver fede alcuna, ricorre per combattere il Frate ed oppri-
merlo, alla dignità della Santa Sede, si vedrebbe lui splendere per lealtà generosa verso
gli stessi nemici, e vivissima fede in Dio e nella Chiesa.
E questo un lavoro che ha certo molta attrattiva, e quasi ci duole che la natura e i
limiti dello scritto presente non consentano a noi di farlo qui coli' ampiezza che vorremmo.
Per ora ci limiteremo a dirne tanto che basti per mostrare inesatta l'asserzione ripetuta
dal Pastor fpag. 143), che c il Savonarola non fe' alcun caso della scomunica di Alessan-
dro VI»; e, peggio ancora che inesatta, calunniosa l'accusa, pur tante volte ripetuta e da
tanti, ch'egli sprezzasse le censure pontificie: mentre il Frate anche in questo dolorosissimo
periodo della sua vita, in questa acutissima fase della sua lotta, si mantenne fedelissimo ai
canoni e allo spirito della Chiesa. Questo è sufficiente al nostro fine presente e speriamo
che il lettore se ne contenti.
- 528 —
la turpe calunnia, la frode, l'empietà, il disprezzo d' ogni più sacra cosa, e so-
pratutto della dignità del Vicario e della Chiesa di Cristo. Quando penso che
colla ipocrisia, colla calunnia, colla frode, si potè finalmente riuscire a persua-
dere Alessandro VI esser utile alla fede e alla vita cristiana il sottoscrivere un
Breve di tal fatta, non ho più bisogno di altro a creder vere le scellerag^rini che
il Pastor e altri mi narrano dell' epoca del Rinascimento ; e più che mai mi rie-
sce facile il capire come una simile età potesse generare le dottrine del Macchia-
velli nella peggiore loro parte. Piuttosto potrebbe alcuno meravigliarsi che non
cadesse intieramente la fede, ed io mi persuado sempre meglio che è divina
l'istituzione della Chiesa e la potenza e dignità impersonale del Papato: e in-
tendo più chiaramente che mai, perchè Cristo Dio non abbia permesso che nel
dogma e nella morale cristiana 1' opera degli uomini la potesse in alcun modo
sopra il suo Vicario.
È impossibile dar torto a Fra Girolamo, per quanto le sue parole sieno
agre e forti, allorché esamina questa scomunica: sentiamolo, e sieno i suoi
detti come un riepilogo delle cose da noi vedute fin qui, e come l'ultimo colpo
che segna del marchio d'infamia i brutti calunniatori del Frate, i circonvenlori
del Papa. Anciie noi però premettiamo collo stesso Fra Girolamo che quanto
diciamo ed abbiamo detto, tutto lo sottomettiamo al giudizio della Chiesa Ro-
mana, all'obbedienza della quale vogliamo stare ognora e nella quale speriamo
di morire: anzi, ancora con Fra Girolamo, ne piace pensare anche qui, che la
mente di Alessandro VI sia stata buona, e che egli non abbia errato per ma-
lizia, ma che sia stato piuttosto ingannato.
« Che il papa in questo nostro caso sia stato circumvento per false per-
suasioni, io te lo dimostro nella bolla della scomunica che dice, che io ho pre-
dicato cose eretiche e falsa religione; e questo è manifestamente falso, perchè i
nostri scritti e il libro che abbiamo mandato fuora, hanno notificato a tutto il
mondo, e il popolo lo sa, che io non ho mai predicalo se non cose buone :
adunque, tu vedi che il Papa è stato circumvento da false persuasioni. Pa-
rimente, dice in quella bolla che avendomi citato a Roma a purgare i miei
errori, io non sono voluto comparire : questo ancora è falsissimo, perchè io
non sono mai stato citato, nè ho avuto simile Breve. Cerchino bene i registri,
non troveranno che io abbia mai avuto questo Breve; egli è ben vero, ac-
ciocché tu intenda ogni cosa, che egli mi mandò un breve, già sono due anni
e più, con molte laudi; non dico già questo per dire le laudi mie: Cristo sa
bene lui, e, se il sarà vero, mi retribuirà; ma lo dico per narrarti la cosa come
è: diceva dunque il Breve : Diletto figlio, Noi abbiamo inteso che tu, tra gli altri
operatori della vigna di Cristo, hai fatto non poco frutto, e dette molte cose nuove
da parte di Dio: del che ti laudiamo grandemente e desidereremmo parlar teco;
e così ti comandiamo in virtù di santa obbedienza che tu venga insino qua. Io ri-
sposi alla Sua Santità che ero contento all' obbedienza e paratissimo, madie
per allora non potevo farla, per trovarmi a essere infermo, e così era vero,
domandane il medico. Secondo, gli dissi non poter andare allora per gli av-
versari e inimici che avevo, per rispetto di questa predica, di quelli dello
- 529 —
stato ; e che per la via porterei pericolo della morte: e tutti i testi dicono che
quatido è imminente il pericolo della vita, non è l'uomo tenuto ad alcuna ob-
bedienza. Terzo, risposi non potere allora andare, perchè la città si trovava
in grande alterazione; e fu allora quando ci erano tra li cittadini molte dis-
senzioni, ed io predicava la pace, e però dissi non potere andare, ma essere
necessaria la stanza mia qui per tenere salda e ferma la unione. Egli accettò
la escusazione molto iene. Sì che vedi adunque che il Breve è falso e fatto
per false persuasioni, perchè dice che io sono stato citato e richiesto a Roma
a scusarmi dei miei errori e non sono voluto andare, nè comparire. Vedesi
adunque manifestamente che il Papa è stato circonvento, perchè non è da
credere che lui dicesse una tanta bugia: e però vedi che questo Breve è stato
fatto sotto il banco : io ho bene questo Breve meco, e possolo mostrare. E
poi, passati alcuni giorni, cioè uno mese e circa mezzo di uno altro, perchè
il Breve predetto fu fatto circa il fine di Luglio, venne un altro Breve, fatto
addì 8 di settembre o circa, pieno di vituperj, nel quale non erano più che di-
ciotto errori ; ed il primo era che il Breve era inscritto al Monasterio di Santa
Croce; e cosi andava il Breve a Santa Croce, che volevano che andasse a
San Marco; di poi, diceva in quel Breve: un certo Jeronimo Savonarola, come
se non mi conoscesse ; e non era ancora quasi un mese e mezzo che mi
aveva scritto così amorevolmente. Di poi vi era molte altre bagattelle, che
per onore non voglio dire qua.... Di poi venne un altro Breve, dicendo che io
aveva seminato dottrina da mettere zizzania in ogni popolo pacifico e molte
altre cose false, e però mi sospendeva dalla predica, e tutto il mondo sa che
io ho predicato e, con la grazia di Dio, posta la pace in questa città. Or
vedi che questo Breve non viene dal Papa, o, se viene, è stato circon-
vento
« Di poi venne un Breve, che tutti i conventi di Toscana si congiungessero
e facessero una congregazione, nella quale dovesse entrare San Marco con gli
altri suoi conventi, e prima nell'altro Breve voleva che entrassimo nella con-
gregazione di Lombardia, dalla quale prima ci aveva separati; e ora vogliono
che noi entriamo in quella di Toscana, e ora qua e ora là: questo mi pare il
giuoco degli scacchi, nella difesa del Re, che quando è rinchiuso, si leva d'uno
scacco e poi torna a quel medesimo. Sì che sono manifeste le circonvenzioni
dei maligni. Parimente venne poi l'altro Breve con la escomimica: per non
esser entrato nella congregazione di Toscana. E perchè il dubbio della falsa
dottrina e quello di non essere andato a Roma sono soluti, constando ad
ognuno il primo essere falso, e al secondo non essere obbligato, e massime
avendo il Papa accettata la nostra vera escusazione, resta la disputa in
su questi due punti soli: cioè circa il mio predicare e circa la unione
delli nostri frati a quelli di Toscana ; i quali ti voglio solvere ad ogni
modo. E quanto ad entrare nella congregazione, questo non sta a me:
egli sta anche ai frati, se essi vi vogliono entrare: e i miei frati hanno
ben risposto, e non vogliono entrare, e non vogliono a questo obbedire, e
fanno bene; io non glielo comanderò già io, che eglino obbediscano, e che
34
- 530 -
eglino allarghino la vita loro, perchè è contro alla carità. (*) Sicché tu vedi che
il primo presupposto è vero; cioè che il papa è stato circonvento e ingannato;
il secondo è che i circonventori volevano con queste scomuniche fare di molto
male; e questo è noto a chi non è cieco. Dimmi un poco, per levare via la
predica e volerci mettere in un'altra congregazione, che volevano eglino fare?
Qui bisogna scoprire il vero. Che intenzione era la loro? Non volevano eglino
guastare il ben pubblico di questa città? Xon bisogna ascondersi qua: eglino
volevano fare tirannia qua! Che credi tu che eglino attendano là a Roma? Xon
si attende a cercare il ben vivere: ma attendono a stato, dico io: e dicono pure:
— E frate attende a stato. — Il frate siete voi. cittadini; non cercano di dare a me,
ma a voi, e si coprono sotto il mantello del frate. Orsù questa battaglia si ha
a fare a ferri puliti. Il terzo presupposto è che io ho giustificato ogni cosa, che
mi è stata opposta; e questo è noto per gli scritti e per lettere nostre: io ho
tutte le mie carte in ordine e tutte le mie arme: di pure che scrivano, che gli
sarà risposto ad ogni cosa, se abbiamo, dico, a combattere a ferri puliti, e vin-
ceremo ad ogni modo: ma guardate, che se gli scatta un punto, faremo stupire
tutto il mondo.
< Ragioniamo un poco: pare a te questo uno di quei Rrevi falsi, o no? E di-
cono poi che la scomunica vale: va ai vaienti uomini, e vedrai che non dicono
come te. Un altro, che è il quarto, presupposto ci bisogna fare, della dot-
trina; ma non guardare a me, chè io non ti parlo di me, nè di mia dottrina,
perchè io ti ho detto più volte, che la dottrina mia non è mia. Ognuno che mi
conosceva già dieci anni passati lo sa che io non avevo nè voce, nè petto, nè
modo di predicare, anzi era in fastidio ad ogni uomo il mio predicare; ma
poiché il Signore mi ha dato questo dono, io lo accetto volentieri per suo amore:
ma egli ci è un gran peso insieme con questo dono; e ha detto: Ti mostrerò
quanto ti sia necessario patire per amor mio. (') Orsù parleremo adunque della
dottrina; ed eccoti un altro principio che io ti voglio presupporre: cioè che la
continuazione di questa dottrina è utile non solo a Firenze, ma ancora a
tutta la Chiesa, e dannoso sarebbe se ella si levasse: e ne seguiterebbero di
molti mali. Io presuppongo questo: perchè è manifesto come sono manifesti
i primi principj delle scienze. Prima, per il lume naturale: quella dottrina che
è conforme alla filosofia e alla sacra Scrittura e a tutte le altre scienze è
utile: questa è conforme al lume naturale e soprannaturale e a tutte le vere
scienze, come t'abbiamo continuamente dimostrato nel predicare nostro e negli
nostri scritti; adunque è utile a tutta la Chiesa. E così al contrario sarebbe
di molto danno a dissiparla; perchè questo non sarebbe altro che dissipare la
{') Chi avesse tuttavia, anche dopo quanto abbiamo detto ed esposto nel capitolo pas-
sato, qualche esitanza ad ammettere come giusta nel caso questa dottrina, veda il Sermone II
sopra l'Esodo, da cui ora trascriviamo, al foglio 12 e seg. edizione Veneziana del 1520, e più
nitri sermoni del medesimo quaresimale, e oltre all'ammirare la buona fede del Savonarola
finirà anche di persuadersi ch'egli aveva ragione anche qui.
O Atti degli Apostoli. Cap. IX, v. 16.
— 531 —
fede e le Scritture sante e l'altre scienze, essendo una cosa medesima con
quelle. Secondo, lo provo per esperienza. Questa dottrina, tu hai veduto che
ella t' ha provato la fede con tante ragioni e ha introdotto il ben vivere nella
tua città? Non è vero questo, o popolo, che prima qua in Firenze, non sono
molti anni, era un paganesimo, senza lume alcuno di ben vivere ? Questa inol-
tre t' ha mantenuto la pace in Firenze ; tu sei obbligato più a questa dot-
trina che a tuo padre che ti generò. E la esperienza ancora dimostra che il
suo cessare o mancare è causa di molti mali. E prima questo si prova, per-
chè è perseguitata dai cattivi uomini e dai diavoli. Guarda pure che uomini
furono quelli che si sforzarono di farla cessare ; guarda le cose che furono
fatte in su questo pergamo, parti egli che fosse Dio o il diavolo ? Inoltre
questa dottrina faceva torre via i sassi, (*) il che tu non potesti mai levare
della tua città, questa toglieva via i balli, le taverne e giuochi; ma guaida, poi
che fu fatta cessare questa dottrina, sono ritornati i giuochi, aperte le taverne
e il Frascato (2J a tuo modo. Questa portava via le carte e dadi ; da poi eh' ella è
cessata, si sono rifatte le forme delle carte, giuocasi in pubblico. Questa rifor-
mava i fanciulli, ma da poi eh' ella è cessata, molti sono ritornati alle lascivie.
Questa riformava le donne, e poi eh' ella è cessata, s' è atteso a pompe e a
balli e canti e feste e mille disonestà; chè intendo che alla Nunziata, nelli occhi
della Vergine Maria, tra giovani e donne nelle strette si fanno cose disonestis-
sime, proprio come dire quivi alla Vergine: Io lo fo per tuo dispetto. — Ecco
il frutto, o Firenze, che fa il levare via questa dottrina. Questa faceva i buoni
figliuoli; ora per esser tolta via, i padri gli fanno cattivi e non vogliono che
vengano alla predica, perchè dicono che hanno scrupolo, e se egli va fuori di
notte a far male, non se ne cura e non ne ha scrupolo alcuno. Sicché questa
dottrina introduceva tutti i beni e il farla cessare ha introdotti di molti mali.
È ancora manifesto questo per il senso: guarda le buone donne, i buoni fan-
ciulli,-guardagli quanto alla onestà del vestire e guardali tutti in viso quelli
che credono; tu gli conoscerai tutti. E' sono tutti lieti e hanno faccie venuste
e angeliche. Guarda da poi quelli che non credono, tu gli vedrai tutti per-
turbati e tutti altieri. Provasi ancora per induzione : va per tutto, tu trove-
rai che questo e quello e quell' altro e ognuno che vuole vivere bene e in
verità e buon cristiano, lauderà questa dottrina. Provasi ancora per consuetu-
dine la utilità di questa dottrina. Guarda, chi l'ha più usata e più lungo tempo
si trova sempre in migliore grado con Dio : io dico pure questo che i frati no-
stri, che continuamente la odono, sempre più la credono, e non furono mai
in tanta unione di cuori quanta sono oggi, e dappoiché hanno udita questa dot-
trina e' cantano sempre con maggior fervore: Ecce quam bonum et quam iucun-
(') Vedi sopra a pag. 137, nota 2, e a pag. 152. Cfr. il Burlamacclii pag. 104, e il Villari,
II, pag. 17 e seg.
(:) « Frascato chiaraavasi da remotissimo tempo, un luogo presso alla Piazza do' Suc-
ohiellinai e vicino a Mercato Vecchio.... Vi era uu' antica e rinomata taverna, un postribo-
lo, e vi s'andava a giocare. È quel luogo che Franco Sacchetti rammenta nella novella 187 ».
Cosi Del Badia nella nota 1 a pag. 119 del Diario del Landucci.
— 532 —
dum habitare fraires in unum. (*) E al contrario guarda chi la impugna, tutti
uomini cattivi, mormoratori, e che vorriano mandare le fanciulle loro a balli
e feste. Guarda anche, chi contradice non ha mai voluto scrivere in pubblico
contro a questa dottrina; io dico nessuno valente uomo; perchè, benché con-
tradicano con la lingua, conoscendo che conlradicono alla verità, non vogliono
scrivere, perchè sono tanto superbi che non vogliono essere convinti col vero,
e temono che non gli sia risposto alle rime. Mettete in scritto, voi, che con-
tradite, mettete in iscritto, frati, e chi predica contro ; e vedrete che voi scri-
verete cose sciocche e false, e che vi sarà risposto. Or, fatto questo fondamento,
che la continuazione di questa dottrina è tanto utile e il levarla è tanto dan-
noso, lasciami un poco riposare e faremo un altro fondamento ».
E quest'altro fondamento che il Frate fa, come potrebbe vedere il letto-
re, riguarda l'unione de' conventi. Il Savonarola insiste nel dimostrare quanto
abbiamo or ora finito di esporre nel capitolo antecedente, che cioè tale unione
sarebbe la rovina dei suoi frati, e accenna anche appunto alle ragioni di questi
esposte nell'Apologia ch'era già pubblicata; poi viene finalmente a conchiu-
dere, ed in questo e nei sermoni seguenti, che la scomunica non valeva nè
presso Dio nè presso gli uomini. (8)
E queste ragioni insieme con altre che puoi trovare nella lettera contro la
scomunica surrettizia, a tutti i Cristiani e diletti in Dio ; e nell'altra ad un
fratello carissimo, contro, sententiam excomunicationis contra se nuper latam; e
prima ancora nella lettera ad Alessandro VI di cui parla il Gherardi a pa-
gina 162, (3) dovettero parer tanto forti che la gente si persuadeva veramente
che le conclusioni del Frate fosser vere e legittime, tantoché le abbracciarono
(') Salmo 123, v. 4.
C) Noi crediamo fermamente che Alessando VI non sia mai riuscito a formarsi un' idea
esatta e tanto meno completa nè di Fra Girolamo nè dell'opera di lui, e crediamo ancora
che la mente sua sia stata in tutta questa faccenda molto combattuta. E come poteva essere
altrimenti, se anche il Collegio de' cardinali e molti de'più illustri e potenti personaggi
d'Italia e di Roma erano qui divisi, chi a favore, chi contro il Frate? Che ne avveniva?
Che Alessandro VI dava ragione all'ultimo che gli parlava; questo è forse il suo maggior
torto; torto vero, ma scusabile, non avendo potuto udire il Savonarola. Questo dimostra
forse per altra parte la buona fede con la quale egli procedeva e deliberava e sospendeva le
deliberazioni per poi ripigliarle. Quest'altalena, se è lecito dirla cosi, era anch' essa per il Sa-
vonarola una prova che il Papa era stato circonvenuto. Ciò è ritratto con molta vivacità
ed in modo scultorio nella II predica sopra l'Esodo: «Puoi vedere che il Pontefice
è stato circonvenuto per le tante mutazioni che tu vedi nelli suoi Brevi in si poco tempo.
E' fu un potestà a Brescia, il quale quando veniva uno che diceva: — Io ho a avere da
costui; — lui diceva: — Or va e pagalo. — E quell'altro diceva: — O messere, non è vero. —
E lui si voltava al primo e diceva: — Perchè mi di' tu le bugie? — e quando lui replicava:
— Anzi mi deve dare — , si voltava al debitore dicendo: — Tu hai torto, or va e paga; — e
quando si escusava gli dava ragione; e cosi credeva a chi parlava e dava ragione ad ognuno.
— Vuoi tu dunque che il Papa sia come questo podestà? Perchè nel 1" Breve dice che ha
inteso da molti, e nel 2° dice ancora che ha inteso da molti. Dunque crederia a quelli
che dicono bene e poi incontanente a quelli che dicono male. Epperó non è questo 2° Breve
fatto dal Pontefice, ma da' maligni ».
(3) Vedi questa lettera tradotta io italiano nel più volte citato opuscolo del P. Procter
a pag. 56.
— 533 —
parecchi cardinali, e lo stesso Pontefice. Infatti ne' Nuovi documenti pubblicati
dal Gherardi leggiamo che Alessandro VI cominciò dal dichiarare al cardinale
di Perugia che la pubblicazione di tale scomunica, hoc tempore facta, gli dispia-
ceva, et erat omnino praeter mentem suam; e si mostrava così ben disposto
alla rivocazione delle censure, che a di -21 di giugno 1497 il Bracci poteva scri-
vere a' Dieci: « che avrebbe facilmente ottenuto che la Sua Beatitudine la re-
vocasse davvero, se non fosser giunte a Roma altre lettere private da Firenze,
per le quali la Santità Sua fece tanta mutazione che rimise la causa ne' sei
Cardinali deputati allora per la riforma deile cose ecclesiastiche ». (') Che se,
continuando, l' oratore fiorentino ci fa conoscere che il Papa, pur protestando
in nome di Dio che di Fra Girolamo aveva cominciato a disporsi bene, s'era
poi guasto un' altra volta per la pubblicazione della lettera del Frate fatta
dopo le censure, e che perciò aveva deliberato di procedere contro di lui in
tutti i modi permessi da' sacri canoni contro i contumaci e ribelli di Santa Madre
Chiesa, pur vediamo che il Papa non revoca nemmeno ivi, sebbene usi pa-
role assai passionale, il giudizio intorno alla scomunica, nè afferma punto
che essa valga e che Fra Girolamo se la meriti veramente. Anzi lascia capir
chiaramente che egli non sa se le accuse contro il Frate reggano o no, nè se
questi sia reo od innocente; imperocché ricerca all' oratore, « che voglia scri-
vere da parte sua e confortare i Dieci allo essere contenti che Fra Girolamo
venisse al cospetto suo, ad se purgandum, chè lo voleva udire, e quando lo
trovasse innocente, gli darebbe la sua benedizione ». (2)
Ora come può essere scomunicato uno, quando non si sa s' egli sia reo
od innocente?
Importante è un'altra lettera del Becchi ai Dieci colla, data 19 luglio 1497,
nella quale, sebbene egli vegga che i nemici del Frate non dormono, e noti
molti preparativi in contrario, pure scrive, e pare con buona fiducia, che
« quando la città mostri volere questa grazia dal Papa e da questi Signori
(') Non è inutile il notare che in questa medesima lettera, che si legge nel Gherardi
a pag. 171-172.il Bracci soggiunge che, non ostante queste cose, avrebbe anche per questa
via de' Cardinali, ottenuto almeno la sospensione del Breve, se non fosser di nuovo soprav-
venute lettere....
(2) Che anche altri fosser persuasi della nullità della scomunica è facile provarlo.
La città volendo questa grazia dell' assoluzione e desiderandola pure assai la Signoria, que-
sta mandò a Roma il Bonsi, imponendogli di usare ogni efficace instanza appresso la San-
tità del Papa e del Reverendissimo Cardinale di Napoli, ed in ogni altro luogo dove fosse
necessario, per la integra e libera assoluzione. .. E il Bonsi scriveva il giorno 5 di febbraio
d'aver trattato a lungo con Monsignore di Perugia dell'assoluzione di Fra Girolamo; e che
questi promisegli operarne con la Sua Santità di Nostro Signore (alla quale aveva a riferire
quello che in quel giorno trattavano) in modo che vedrebbe che essi ne fosser consolati.
Cosa certo che egli non avrebbe potuto promettere se non fosse stato persuaso della nullità
della censura. Da una lettera del Bonsi a' Dieci con la data de' Vi febbraio si può anche ve-
dere che più cardinali, compreso quello di Napoli, sebbene non fossero favorevoli al Savo-
narola, non reggevano ali • ragioni. E dopo varie e lunghe esamine circa a questo caso, se
ne rimettono a quello parrà alla Santità di N. Signore ». Gherardi, pag. 174 e seg. Non si
deve però tacere che in generale a Roma la scomunica era tenuta valida e che non il solo
Alessandro VI era stato ingannato dai nemici del frate. Gherardi, pag. 199.
— 534 —
Reverendissimi Deputali, nè il Papa nè le loro Reverendissime Signorie sono
per denegarla; massime quando ci abbia a essere qualche onore e soddisfa-
zione di questa Sedia, ed in particolare di Sua Beatitudine. (l)
Appresso, tornato il Savonarola sul pulpito, sebbene il cardinale Ascanio
e gli oratori della Lega e specialmente i Veneziani e più altre persone s' ado-
perassero ad infiammar l'ira di Alessandro VI e riuscissero nell'intento, si
che venne spedito un Breve molto severo alla Repubblica, imponendole di man-
dare a Roma il Frate o di segregarlo dagli altri membri della Chiesa in modo
che non potesse più parlar con alcuno, nè seminare nuovi scandali; ciò nondi-
meno non s' arriva al punto di non lasciar più alcuna speranza d' assoluzione.
Anzi il Pontefice, nell'atto stesso che consegnava questo Breve all'Oratore Fio-
rentino, diceva e ripeteva: « Che quando seguisse che Fra Girolamo restasse ohe-
diente a starsi di per sè e non predicare, non passerebbe molto tempo che a oyni
modo lo assolverebbe d' ogni censura mai fosse incorso ». (z)
E più esplicito è ancora un passo del documento XX pubblicato dal Mar-
chese : una lettera del Bonsi ai Dieci con la data de' 7 marzo. Ivi l1 Oratore
scrive alla Repubblica, che il Vescovo di Parma, riferendogli con giuramento
un colloquio avuto col Papa intorno a queste cose, e manifestatagli l' ira di
Alessandro, finiva con esortare « che e' si facesse qualche segno di resistere al
predicare per qualche tempo, o in qualche modo umiliarsi Fra Girolamo a
chiedere l' assoluzione; la quale quando seguisse, il Papa, non dinegherebbe mai
a Fra Girolamo poi il predicare ».
E che questi ora fossero veramente i pensieri del Papa ne abbiamo una
solenne riprova nel Breve pur severissimo spedito alla Signoria a dì 9 marzo
1498, del quale abbiamo or ora toccato. Infatti ivi Alessandro VI, narrata al
solito la storia dei Brevi e della Scomunica, finisce con dire appunto che se il
Frate « si umiliasse ai suoi piedi per ottenere 1' assoluzione, egli era pronto a
dargliela benignamente, altro non volendo da lui, dopo la sottomissione, che
rimandarlo assoluto, perchè predichi il verbo di Dio ». (3)
Qui adunque la questione della validità della scomunica pare che non si
faccia più ; qui altro non si chiede che di salvar 1' apparenza o il decoro di
Alessandro VI. E questo sembra fosse oramai pensiero di molti nella Curia
(') Gherardi, pag. 177. Come da questi documenti, cosi appare anche, che il Pontefice
fosse disposto ad assolvere il Frate, dai documenti che si leggono a pag. 175-177. Ma in questi
ad alcuno sembra di vedere che questa grazia il Pontefice la volesse subordinata all'entrare
de' Fiorentini nella Lega. Ma il Pontefice non dice rigorosamente questo; ma solo pare che
volesse condurre innanzi tutto a termine la questione politica, e poi s'appianerebbe quella
del Savonarola. La conclusione del colloquio del Papa col Bonsi, questi la trasmesse cosi:
< Dissemi (il Papa) per conclusione, dopo molti ragionamenti, che si attendesse per ora a
questo caso di Pisa e che, assestato questo, farebbe a vostro beneplacito ogni cosa si po-
tesse, in questa (di Fra Girolamo) ed in ogni occorrenza della vostra città, pure sollecitan-
domi facessi di avere da V. Signoria la risoluzione predetta » (della Lega). Lo stesso dice il
documento seguente-
(*) Vedi Gherardi pag. 1S3-1%4, e cf. anche il documento XXIX tra i pubblicati da I.
Del Lungo, pag. <55.
(*) Cfr. Villari, voi. Il, pag. 116, e vedi Gherardi, pag. 117.
\
- 535 —
Romana ; imperocché il Bonsi stesso, scrivendo, con la data de' 16 marzo,
di un colloquio avuto col cardinale di Perugia, riferiva che il Papa stava molto
in aspettazione della risposta ai suoi Brevi, « e che non gli pareva possibile
costì gli fosse dinegato quello ricercava dalla nostra città: considerando mas-
sime che in soprassedere qualche tempo il predicare e non dire male del Pon-
tefice, a Vostre Signorie era cosa piccola, ed a loro non poter essere maggiore,
per la conservazione dell' autorità e dignità della Sede Apostolica, ecc.... la
quale, come dovete credere, sopra ogni altra cosa stimano ». (*) E che si trattasse
oramai proprio solo di questo è espresso chiaro chiaro dal Bonsi nella lettera
che scrisse con la data de' 31 marzo, dove dice che : « Sua Santità aveva pen-
sato di por modo e fine a questa cosa, accennando volere mandare costì un
prelato, il quale ricercasse di persuadere Fra Girolamo che si disponesse al
venire qui, solo per mostrarsi ossequente alla Sua Santità, e a questa Santa Sede,
e che venendo non gli sarebbe fatta alcuna lesione, ma trattato umanamente
e che lo farebbe accompagnare in modo non avrebbe da dubitare di pericolo
alcuno e nel venire e nel ritornare ». (2)
(') Gherardi, pag. 199.
(2) Gherardi pag. 212. Ma qui bisogna che alziamo il sipario di un' altra scena. Anche
a questo punto son manifeste le indegne trame del Moro e de' suoi emissarj e alleati. Co-
storo pareano ora farsi consiglieri di mitezza al Pontefice e di prudenza ai Fiorentini (I. Del
Lungo, doc. XXXIII, e Villari, II, pag. lj e pag. lv) ; ma per contrario erano più che mai
deliberati di opprimere il Frate e spingere la città agli estremi e farvi rivolgimenti, valen-
dosi all'uopo, coma di strumento, di Alesspcdro VI. Da prima con la più fina ipocrisia im-
maginabile, zelando 1' onore della Sedia Apostolica, davano consiglio perchè il Frate volesse
tacere e la Signoria imporglielo, se mai resistesse; Sua Santità non poteva tollerare più oltre.
Speravano anzitutto che Firenze non acconsentisse così facilmente, nè senza qualche dimo-
strazione, a rinunciare alla predica. Quindi già poteva nascer occasione propizia ai loro
disegni, alla men triste si potrebbe sempre trarre argomento contro i Frateschi, e appianare
un poco la via agli Arrabbiati incitando contro il Savonarola e la Repubblica, l'animo del
Papa. Nella lettera pubblicata dal Villari, II, pag. lv, il cardinale Sforza scriveva al fratel-
lo dello sdegno del Pontefice e dell'opera sua per placarlo; ma diceva: «non voglio però far
professione di poter fare l'impossibile, cioè tenere che Nostro Signore, quale è offeso nel-
l'onore, non proceda alla castigazione de la quale è stimolato da ogni canto. Ed io in questa
tanta commozione di Nostro Signore, ho ultimamente operato tanto con Sua Santità, che
la si è degnata scrivere un altro Breve a' Signori Fiorentini, per aiutar quelle buone opere
quale vorranno fare alla repressione delle iniquità di Frate Girolamo, se è vero che li di-
spiacciono. In lo quale Breve la Sua Santità dichiara che non provvedendoli, interdirà im-
mediate quella città, come farà anche con effetto. E Nostro Signore Iddio sa quali effetti
potria poi portare questo malo principio di interdetto ». (Cfr.il doc. XXX de' pubblicati da
I. Del Lungo, dove, come abbiamo già notato, gli Arrabbiati si rivolgono al Moro per otte-
nere appunto che venga l'interdetto).
Il medesimo Cardinale, come si vede dal doc. XXIX di I. Del Lungo, non tardò anzi
molto ad adoperarsi palesemente per infiammar il Borgia, dicendogli che « per molte cose,
e massime per le ignominiose predicazioni di fra Girolamo, si doveva pur accorgere quale era
l'animo de' Fiorentini verso la Lega e Sua Santità, la quale in esse predicazioni si diceva
essere ferro rotto, e non solo erano comportate, ma, ipsis volentibus, Fra Girolamo predicava
come si vedeva ».
E che tutto questo zelo perchè il Frate cessasse la predica era una trama, come svela-
tamente la dice il Somenzi, e un primo passo a cose più gravi, ben chiaro si raccoglie ancora
da una lettera con la data de' 16 marzo che scriveva al Moro l'oratore suo da Firenze (Villari,
II, pag. Ivi), nella quale, detto che non passeranno due giorni che la Signoria piglierebbe la
— 536 —
E noi crediamo di aver anche altre buone ragioni per ritenere che questo
doveva esser veramente il pensiero del Pontefice: e queste ragioni stanno nel-
risoluzione a provvedere che il Frate non predichi e' soggiunge : «E questa sarà per la prima;
e dappoi, se la Santità di Nostro Signore vorrà procedere più oltre, si crede che otterrà il
tutto Li amici suoi (del Moro) cominciano ad essere superiori agli avversarii».
E non passarono davvero due giorni che i Signori deliberarono, come il Somenzi aveva
scritto, che il Frate tacesse. Alcuni de' seguaci e degli amici del Savonarola, specialmente a
Firenze, pare che aggiustassero una qualche fede alle promesse di Bo ma. Infatti il 18 marzo,
i Dieci, sempre amici del Frate, quando già gli era avversa la Signoria che lo tradiva, par-
tecipando al Bonsi la deliberazione presa, scrivevano, « che sebbene tutti fossero persuasi
della bontà della vita e dottrina di Fra Girolamo, lodate dal Pnpa stesso, e sebbene fossero
convinti che i Brevi erano promossi da false informazioni, pure si era voluto obbedire a
Sua Santità, nella fiducia che, come aveva promesso, li avrebbe ben presto consolati, restituendo ad
essi il loro cibo spirituale ». Queste cose che il Villari ha tratte dal Gheraidi, pag. 202, si pos-
sono leggere nel Gherardi stesso ne' documenti che seguono, e specialmente nella lettera
che il Bonsi scrive ai Dieci con la data de' 31 marzo (pag. 212). Ma i figli delle tenebre erano
più prudenti che i figli della luce. Proprio il giorno 18 di marzo, quando i Dieci scrivevano
al Bonsi che avevano deliberato circa 1' astenersi Fra Girolamo dal predicare, come Sua San-
tità ha dimostrato contentarsi, il Bonsi scriveva alla sua volta come la Sua Santità aveva sen-
tito circa Fra Girolamo « Monsignore Aschanio, Santa Prassede, e il datario alla presenza
di Perugia... e che la conclusione della consulta fu che Nostro Signore non dovesse stare
più in sul chiedere che Fra Girolamo fosse tenuto di predicare, ma di volerlo ad ogni modo
qui nelle mani!... » (Ivi, pag. 204).
Vero è che questo sdegno del Pontefice si ricalmò e fu compresso un'altra volta e
abbastanza presto. La fiducia d' alcuni Piagnoni di risentir presto il Frate libero da ogni
censura era semplicità soverchia; ma dicendo ciò, non intendiamo punto di mettere in dub-
bio la retta intenzione del Papa, il quale anche qui procedeva perchè stimolato da ogni canto
e persuaso di dover procedere: ma egli era disposto a mantener la promessa. Infatti dopo
tanto sdegno, non appena seppe « dall'Oratore fiorentino che i Signori avevano inibito a
Fra Girolamo che non predichi più, Sua Santità gli ha risposto con parole molto amorevoli
e grate, affermando che non si è per mancare alla quiete e reintegrazione delle cose loro di
alcun ufficio e studio paterno ed efficace ». (I. Del Lungo, doc. XXXIV.) Ma come alla Bea-
titudine Sua non era permesso per i Signori d'Italia, « ohe in casa sua la potesse castigar
uno suo baronetto », cosi, ed è peggio, i Signori d'Italia non le lasciavano concedere che un
fraticello predicasse; e non riuscendo a ciò né colle ragioni, nè colla forza, ricorrevano alla
calunnia e alle circonvezioni. Onde, mentre da Roma l'ambasciatore Stefano Taverna tra-
smetteva al Moro le parole amorevoli e grate, risposte dal Papa all' ambasciatore fiorentino,
il Somenzi aveva cura di scrivere che se Fra Girolamo non predicava più, faceva predicare
tre de'suoi Frati in tre chiese della città, « i quali non dicono manco di quello che esso di-
ceva, ma forse qualche cosa più, contro la Santità di Nostro Signore e di tutto il Clero. Per
il che si vede che per aver fatto cessare esso Frate Girolamo dal predicare, non è fatto nulla
dell'effetto che desidera la Sua Beatitudine (Villari, II, pag. lx; cfr. Del Lungo, doc. XXXVI).
Di qui ne venne che Alessandro VI invece di ritirar le censure contro il Frate e ridonargli la
facoltà di predicare fosse indotto ad insistere un'altra volta per averlo nelle sue mani, e di
qui il colloquio colla data de' 31 marzo avuto col Bonsi, già da noi riferito nel testo. Il
prelato però di cui ivi è discorso, per quanto ne sappiamo, non fu spedito mai, nè furon mai
date le garanzie di cui pure si parla, nè tampoco si fece pervenire al Savonarola comando
o invito alcuno di muovere alla volta di Roma. Anche questo erano lustro per meglio cir-
convenire il Papa. Si aveva forse troppa paura che Fra Girolamo giungesse fino al con-
spetto del Borgia... Quello che hì voleva era una cosa sola, e sempre la stessa: opprimere il
Frate, sottomettere i Frateschi agli amici del M'.ro, e togliere il governo dalle lor mani, e
che non si tenessero più praticho con Francesi, come, dicevano, s' era fatto fin qui... A que-
sto proposito crediamo utile porre sotto gli occhi del lettore un brano di lettera del ve-
scovo Stefano Taverna al Moro, proprio di questi giorni; lo togliamo dal Villari, (li, png. lxj):
« Essendo giudicato bene a reprimere ed annichilare, possendosi , frate Ilieronimo da Fiorenza,
et intinto cum Sua Santità por alcuni de la nationo Fioroni ina, a questo effetto, allei mando
ohe la presente signoria di Firenze non li mancarà; si procura con Sua Beatitudine che lo
— 537 -
1' avere a uno a uno riconosciuti egli stesso falsi i motivi del Breve. La sco-
munica era lanciata contro il Frate perchè aveva ricusato di andare a Roma?
Ma Alessandro VI, come dice pur chiaramente col Breve de' 16 ottobre 1495,
e nel Breve stesso della scomunica ripete, ha accettalo per buone le escusa-
zioni del Frate al riguardo ; nè troverete che il comando fosse altra volta con
minaccia di scomunica ripetuto mai. Dunque per questo lato la sentenza di
condanna, come opportunamente già osservava il Pico, offre argomento di as-
soluzione. Il Pontefice non poteva dunque per questo lato ritenere affatto degno
della scomunica il severo Predicatore.
Dice il Breve che il Savonarola è condannato perchè predica falsa e perni-
ciosa dottrina? (*) Ma Alessandro VI, come si legge nel documento XX, ora ri-
volli mandare uno prelato a Fiorenza, cuna potestà sufficiente alla gastigazione d'esso Frate
et detentione sua, per condurlo in mane de Sua Santità: la quale sin qui non si è pienamente
risolta, come dimostra volerse resolvere. Se aviserà il successo... ».
Commenti non occorrono affatto!!
(') Il Grisar, nell' articolo citato, e dietro lui il Pastor (pag. 377, nota 1) attenuano d'as-
sai l'espressione che si legge nel Breve che incolpava il Savonarola di falsa et pestifera dog-
mata: essi c'insegnano che < sotto questa denominazione, giusta il linguaggio allora usato e lo
stile giuridico, come si è mantenuto anche dalla inquisizione ecclèsiastica dei secoli seguenti,
non sono da intendersi eresie formali »; ma dicono che «cosi chiamavansi sotto certe circo-
stanze anche tendenze praticamente scismatiche o contrarie alla Chiesa. Chi, p. e., si faceva
reo della insord escentia in excommunicatione, per ciò stesso davanti alla legge si tirava addosso
il sospetto di eresia, in quanto che pareva negasse il diritto dell'autorità ecclesiastica ad in-
fliggere la scomunica o la necessità dell' appartenenza alla Chiesa
Questo può esser tutto vero, parlando in generale; ma come si proverebbe che siffatta
interpretazione sia ancora quella che devono avere le espressioni usate nel caso del Savo-
narola? Confesso che mi sarebbe caro poter dare un tal senso alla condanna del Frate; ma
quanti dubbj ci resterebbero da spiegare?! E prima di tutto come mai il Savonarola pur
dottissimo in diritto canonico e nella terminologia ecclesiastica non intese l'espressione in
tal modo ? Eppure avrebbe questo agevolato d'assai la sua dilesa. E come mai, del pari, non
l'intesero in tale significato nè i Piagnoni, nè i loro avversarj, nè alcuno dell'epoca del Frate
e nemmeno il dottissimo Pico? Di poi, se i falsi e pestiferi dogmi erano V insordescentia in
excommunicatione, poteva esserne reo il Savonarola innanzi che la scomunica gli fosse lan-
ciata contro? E come si spiegherebbero le espressioni che già si leggono nel Breve degli 8
settembre 1495 e nella lettera al Maggi colla data de'9 del mese stesso, quando il Savona-
rola non aveva da Roma avuto se non lodi? Allora il Frate non aveva ancor toccata la que-
stione dell' opposizione e resistenza alla scomunica. Si può forse pensare che le espressioni;
perversum dogma, pernitiosum dogma non siano sinonimo all'altra di falsi e pestiferi dogmi?
Forse il Pontefice nel Breve de' 12 maggio 1J9S attenuava la sentenza già data e ripetuta
contro il Frate? E singolare mi parrebbe ancora immaginare un Savonarola che nega o
metta in dubbio il diritto all'autorità ecclesiastica d'infliggere la scomunica, mentre intorno
a questo diritto si era pure espresso tante volte in modo assai esplicito; nè mi spiegherei
affatto un Savonarola condannato di negare la necessità dell' appartenenza alla Chiesa,
dacché ha ripetutamente e detto e scritto e confessato anche nei processi tutto il contrario.
Nè so se sia esatto l'affermare che i commissnij papali incolpavano il Savonarola della dif-
fusione di falsi e pestiferi dogmi nel senso che vogliono i critici tedeschi, nè so acconciarmi
che poi lo condannassero d'eresia in senso improprio. «Il tenore della sentenza fu che, come
Commissarii Apostolici, avendo inteso i soprascritti avere fatto i delitti di sopra narrati
negli interrogatori fatti a F. Girolamo a' dì XX; e trovato loro essere eretici e scismatici, ed
avere predicato cose nuove, ecc., giudicarono dovessino essere digradati e consegnati o vero
lasciati in mano del giudice secolare ». E cosi seguì. Questa la fine del processo de'Commis-
sarj come si legge nel Villari (II, pag. cxcviij): nella lettera pubblicata dal Meier, che gli
stessi Commissari scrissero al Papa il maggio si rincara anche la dose, e son regalati gli
— 538 —
tato dal Marchese, a' dì 7 marzo 1498 disse finalmente al Bonsi, « che del pre-
dicare buona dottrina non lo dannava; e lo stesso ripetevagli anche più chia-
ramente a' dì 23 dello stesso mese: « Lui non danna la sua dottrina ». Nè
questo bastò, ma solennemente assolvette il Pontefice il nostro Frate da que-
sta taccia e da quella di predicar nuovo modo di vita nel Breve che mandava
alla Signoria di Firenze a' dì 9 marzo 1498, nel quale anzi il Pontefice loda
un' altra volta il Frate de' buoni frutti che aveva ottenuto predicando. (*)
Ora, se tenete bene a mente il Breve stesso di scomunica, troverete anche
che il preteso comando di unire la congregazione di San Marco, il Papa l'aveva
fatto al Savonarola , appunto perchè lo riteneva disobbediente all' ingiunzione
di recarsi a Roma, predicatore di perversa dottrina e di nuovo modo di vita.
Riconoscendo ora egli inesistenti tutte queste accuse, che può fare se non ri-
tenere che la scomunica lanciata contro al Frate calunniato non valga nulla?
Che può far altro che desiderare di assolverlo semplicemente ? Per questo
vedemmo ch'egli oramai, a toglier le censure, non chiedeva nè al Frate nè
alla Signoria altro che qualche atto di esterno ossequio, ma senza ritratta-
zione di nessuna sorta: e par quasi eh' egli stia in pena aspettando che que-
sto puro atto di ossequio arrivi alla dignità del suo trono ! Così avessero i
tristi lasciato fare al Papa, eh' egli avrebbe certo ben fatto assai più per
tempo che non fece ! « Ma la mente di sua Reatitudine era combattuta »,
come ci dice ancora il Ronsi, « da chi voleva fare qualche disordine in Fi-
renze ». C) E questi tristacci ottenner pure, contro ogni giustizia, il loro
intento. Ma il Savonarola è semplice vittima de' loro delitti, non autore nè
complice, è vittima innocente. Caso singolare davvero e unico forse negli an-
nali della storia, che il Papa, credendo alle calunnie dei tristi, condanni uno
de' migliori figli che vanti la Chiesa e il suo Ordine; brami dichiararlo pro-
sciolto, e non gli venga fatto!!
Ma alcuno non sarà ancora del tutto persuaso e contento. — Perchè, bastando
oramai a Fra Girolamo chieder 1' assoluzione per averla, non la volle chie-
dere? — Siamo di nuovo ai canoni. Assoluzione, da che?! E chi può sciogliere
quando non s'è legati? E perchè non rammentate che dalla sentenza ingiusta
non si ha tampoco da chiedere d' essere assolto? Chi potrebbe anzi condannar
fra Girolamo, se si fosse egli mostrato deciso e duro a non accettar neppure,
con atto positivo, 1' assoluzione, quando gli fosse stata promessa e data spon-
taneamente? Non aveva forse egli, secondo tutti i canoni e tutte le procedure,
epiteti più infami all' iniquissimo onnipede pieno di ogni pia orrenda acelleraggine. Insomma
sarà vero che i Commissari accusavano d'eresia e di scisma in senso improprio il Savonarola,
ma a me non pare: se mi apparisse, vorrei ancora chiedere se allora il Frate fosse tuttavia
degno dell'atroce condanna inflittagli. E una questione storica, ch'io non saprei risolvere
cosi subito; ma che il Grisar e il Pastor dovrebbero pur risolvere, se non vogliono lasciar
sorgere il dubbio che l'uccisione del Frate sia delitto più grave di quanto già si ritiene.
(') « Quaecumque de illius religione et fructibus in ista civitate ex ipsius adinonitionibus
subsecntis literse vestrse attestuntur non iruprobavimus, nec improbamus, in. ino hujusmodi
opera quae nobis iratissima sunt magaopere commendami!» ». Gherardi pag. 194.
(*) Gherardi, pag. 213.
- 539 -
il diritto di chiedere e di ottenere che la sentenza ingiusta per 1' errore mani-
festo di fatto, la sentenza che era effetto di calunnia e di frode, fosse revocata,
anzi dichiarata irrita e nulla? (') Ciò che i canoni domandavano a Fra Giro-
lamo si era solo eh' egli rescrivesse al superiore e dimostrasse la sua innocen-
za. Ed egli compì anche qui il suo dovere egregiamente e con molto zelo. L'ac-
cusavano di predicare una nuova maniera di vita? Ed egli compendiava il
libro della Semplicità della vita cristiana, e mostrava a tutto il mondo ch'egli
predicava la morale e la vita che volevano Cristo, gli Apostoli, i Dottori, la
Chiesa cattolica.... Lo accusavano di predire le cose future? Ed egli rispondeva
a tutte le accuse nel Compendio di Rivelazioni, e offriva a chi si aspettava il
mezzo sicuro per giudicarlo. L'accusavano di predicare nuovo dogma? Ed egli
mandava fuori il Trionfo della Croce, una delle più invitte difese che si sian
mai fatte della verità della fede. Lo condannavano perchè non mescolava i suoi
frati cogli altri di Toscana e di Roma ? Ed egli scriveva 1' Apologia, e nes-
suno potè rispondere alla forza delle sue ragioni. Lo scomunicarono ? Ed egli
paziente, quantunque dal maggior numero de' Fiorentini e soprattutto da quelli
che 1' avevano procurata, fosse ben conosciuta la nullità di questa censura;
pure egli tace, si chiude tra le mura del suo chiostro, dentro la sua cella; e con
zelo per lo spazio di dieci mesi s' adopera a far conoscere l' innocenza sua al
Pontefice e a'eittadini che fosser dubbiosi o pusilli, agli amici discosti, a
tutti i Cristiani.... E quando questa è nota a tutti, e riconosciuta anche dal
Papa, voi mi dite che chieda l'assoluzione?
Ma 1' osservare questa scomunica e il chiedere 1' assoluzione che voleva
dire agli occhi del popolo? e che importava in realtà? Lasciarsi creder reo, e
farsi complice delle trame del Moro, de' Palleschi, de' Compagnacci. E questo
Fra Girolamo non lo poteva assolutamente fare: « Oh Frate, tu l'hai pure os-
servata questa scomunica: tu se'stato rinchiuso a celebrare in casa senza ve-
nire in pubblico. — Io non l'ho già servata per me, ma ho celebrato ogni dì, ed
ho osservato qualche cerimonia di fuora per rispetto dei pusilli. — Oh! tu hai
(') Il Pastor (pagina 366) scrive : « Se l'orgoglioso Frate domenicano si fosse in questo
momento deliberato di umiliarsi e d'intercedere dal Papa l'assoluzione, forse ancora all'ul-
tima ora sarebbesi scongiurata quella tempesta che lo doveva annientare. Se non che quel-
l'infelico non pensava a fare atto di soggezione.... ».
Noi vorremmo chiedere perchè si dica orgoglioso ed infelice, il Frate domenicano; e
sopra tutto che ci si mostrasse l'obbligo ch'egli aveva di umiliarsi; e crediamo che sia im-
possibile che ci vengano date risposto soddisfacenti e buone ragioni, anzi pensiamo tutto
il contrario; e nel testo crediamo di aver di tto abbastanza per far persuaso il lettore di-
screto della verità della nostra opinione, la quale motiveremo anche meglio andando innanzi.
Qui noteremo solo, che, sebbene il Pontefice non pretendesse ornai altro all'assoluzione del
Frate, che questi si dimostrasse obbediente per un tratto di tempo e poi ne facesse domanda,
tuttavia l'assoluzione non sarebbe venuta a tal prezzo: non per colpa di Alessandro VI,
ma dei calunniatori che ad Alessandro VI l'avevano estorta. E questo Fra Girolamo non
doveva certo ignorarlo. Oramai la tempesta che doveva annientare l'illustre condannato
forza umana non poteva più scongiurarla: l'unica via che restava al Frate era quella di
rassegnarsi felice a morire per l'opera di Dio: e santamente altero e disdegnoso, anziché
tradire la sua coscienza e avvilirsi e intercedere l'assoluzione di colpa non commessa,
doveva tener alta la bandiera della verità che aveva fino a quel punto predicata.
— 540 —
pur scritto, Frate, e hai cerco l'assoluzione. — Non io già per me. E' volevano
bene ch'io scrivessi di là: ma non ho già scritto come e' volevano, che io
scrivessi di avere errato: io non l'ho voluto fare per niente. Io ho errato in
altre cose, perchè io sono peccatore; ma non in questo : io ho predicato la
dottrina di Cristo! Ho bene scritto, che per levare scandalo qua sarebbe bene
levare la scomunica per amore de' pusilli.... x>. (Sopra 1' Esodo, Pred. II.)
Pensate bene queste parole, e poi ditemi se il chiedere 1' assoluzione non
era empietà! In vero: piuttosto che dire d'aver errato, quando siam certi
d' aver creduto e predicato la dottrina di Cristo, e' dobbiamo esser pronti a
sopportare ogni male, e ben si può dire a Dio, quando lo facessimo, che ci
mandi all'inferno! (') Finché si tratta di dottrina nostra e di noi, allora si
può certo, e in alcuni casi forse anche si deve, piegarci subito, anche quando
la sentenza ci appare ingiusta; ma quando si tratta della dottrina della Scrit-
tura e di Cristo, ed è noto a tutto il popolo che non si è predicato altro
che quello che a Dio piacque, e noi lo vediamo evidentemente, e lo sen-
tiamo nella coscienza certa, e riusciamo anche a dimostrarlo ai nostri giudici,
come si può senza negar Dio e generare scandalo, dichiarare che abbiamo errato?
A ragione pertanto scriveva il Guasti che questa della Scomunica di Fra
Girolamo parevagli una partita ben saldata; (2) e noi possiamo sottoscrivere sicuri
la lettera del nostro Maestro a Lodovico Pittorio (3) : «Circa la escomunicazione
nostra, molta maggior censura reputeria redimere l'assoluzione con prezzo, (4)
sì che vedete quanto sono bugiardi gli uomini che fanno tale invenzione. Noi
abbiamo fatto dal canto nostro il debito (5), e il Pontefice pare bene volto, se non
(') Ed Alessandro VI pare che finisse per veder bene anche questo; imperocché quando
il Frate fa presso la morte, egli, ritenendolo senza meno prosciolto, gli mandò spontaneamente
la benedizione apostolica e l' indulgenza plenaria, senza che questi la chiedesse mai, senza
che questi avesse mai disdetto nè ritratto pur un iota di quanto aveva predicato e soste-
nuto fino a quel punto! Certo il Pontefice può sciogliere dalle censure chi ne è colpito, an-
che contro la costui volontà: ma perchè farlo nel caso attuale? e in quel punto? quando i
suoi Commissarj stavano scrivendo del reo cose tanto orribili ?! Perchè anzi benedire l'eretico
e lo scismatico, allorché esso condannato all' estremo supplizio, è per affrontare impavido
la morte? impavido e pertinace senza un pensiero al mondo di mostrarsi pentito dei de-
litti che gli meritano il rogo? La benedizione apostolica, quando Alessandro VI avesse tut-
tavia ritenuto con certezza colpevole il Frate, sarebbe un atto di tanta gravezza che io non
so se altri ne possa immaginare uno più grave! Oh! Alessandro VI, nella questione del Sa-
vonarola è assai migliore e assai più sensibile ai morsi della coscienza di quanto molti
vogliono mostrarcelo. Che il Frate fosse quel tristaccio che le calunnie dicevano, il Papa
non lo pensò mai se non in momenti fuggitivi, e a questo punto dovè acquistare chiara la
convinzione del contrario, e però non vollo che l'anima di lui passasse alla Chiesa trion-
fante divisa esternamente dalla militante. Il Papa non tarderà molto a dichiararsi innoconte
del sangue di questo giusto.
I2) Intorno alla Santità di Fra Girolamo: in Rapporti e elogi letti alla R. Accademia della
Crusca, 1863.
(*) Lettere inedite, ecc., neli' Ardi. St. ital. App. n. 25; pag. 129.
(*) A questo punto il P. V. Marchese fa la nota seguente; « Era stato proposto al Sa-
vonarola, da persona ragguardevolo, di larlo assolvere mediante la somma di 5000 scudi, ma
egli rigettò con sdegno l'offerta ».
(*) Il Pastor (pag. 358) muove accusa al Frate di intemperante per avere scritto 1' Epi-
stola contro la acomunica surrettizia a tutti i cristiani e diletti di Pio; e cosi del pari (a pag. 367)
— 541 —
lo ritraesse qualche nostro avversario potente, e mosso da altra passione.
Pure lascieremo questa cura a quello in cuins manibus sunt omnia, che sa
quanto è espediente e speriamo che nulla praevalebit adversitas, si nulla nobis
dominabitur iniquitas ».
Ma pure non tacciono ancor tutti: sia pure che nulla valesse la scomunica,
e la dottrina e la parola di Fra Girolamo introducesse in Firenze tutti i beni
sopra numerati, ma perchè predicar tuttavia? non era meglio ritirarsi un poco,
e lasciar fare un poco quest' ufficio ad un altro? « Il caso estremo che il po-
polo rimanesse affatto privo della parola di Dio e dei Sacramenti era qui escluso,
essendoché in San Marco si trovassero ancora altri buoni predicatori ed ai
bisogni spirituali della città fosse sufficientemente provveduto. » (*)
gli fa una colpa d'avere il 13 marzo indirizzato una lettera ili sfida aperta al Pontefice,
il quale si è alleato co' suoi nemici ed ha dato forza a' crudi lupi perchè infieriscano con-
tro lui innocente. A noi per contrario sembra di poter considerare questi atti di Fra Giro-
lamo sotto un aspetto molto diverso: essi ci sembrano dei più retti e diremmo anche dei
più belli della vita di lui: ci sembrano analoghi a quelli compiuti e già da noi ammirati,
rispetto ai Brevi antecedenti e segnatamente a quello degli 8 settembre 1495. Prima di tutto
noi crediamo, come già si disse di sopra, che sia obbligo sacrosanto dei buoni il difendersi
allorché sono ingiustamente accusati, e l'accusa, se fosse ritenuta vera, riuscisse di nocu-
mento all'anima del prossimo. In secondo luogo, come è detto chiaro nella glossa del can. Si
Episcopu.*,¥&xt.W, Caus. XI, Quest. Ili, non potrebbe poi invocare la nullità della scomunica
colui che si fosse acquietato alla ingiusta sentenza; e quindi il Frate, dacché vedeva che i
suoi nemici ne volevano ad ogni costo la ruina totale, avrebbe dovuto, non giustificandosi
presso il Pontefice e presso la Chiesa, rassegnarsi a rimaner sempre sotto l'ingiusto peso.
Questo mi rende completa ragione della lettera a lutti i cristiani e degli altri moltissimi atti,
di alcuni de' quali diremo or ora, che il Savonarola ha compiuto e fatto compiere a dimo-
strare la sua completa innocenza e a togliere ogni motivo di scandalo, per quanto la neces-
sità l'avesse costretto a non osservare in pubblico la scomunica. Del resto il fare quant'era
in sé per impedire che avesse effetto una sentenza della guisa di quella che lo colpiva, io
penso che fosse una specie di obbligo: se non altro doveva farlo per amore alla verità e
zelo della dignità della Sede Apostolica ignominiosamente profanata da' suoi calunniatori.
La lettera poi ad Alessandro VI con la data de' 13 ben lungi dall'essere una sfida aperta,
è invece, avuto riguardo ad ogni circostanza, un atto pieno di correttezza e di lealtà, o
quasi direi che, insieme col dolore che appalesa mestissimo nell'animo del Frate, ne mostra
la grande delicatezza di coscienza. Forse sin qui non è ancora stato preso nella considora-
zione che merita quest'importante documento. Esso è come l'ultimo atto e direi quasi la
conclusionale della propria difesa sostenuta dal Frate di fronte al Pontefice contro i cani ed
i lupi che lo attorniavano e infierendo lo volevano divorare ingiustamente. L'essenziale di
questa lettera (della quale, pur troppo, si fecero parafrasi che ne calcarono le tinte) sta
Iteli* asserire che il Frate fa di essersi egli ben giustificato presso la Santità Sua ; e nel lagnarsi
che non siano state sentite le sue ragioni, e quindi nel non restargli altro oramai che rivol-
gersi a Dio. «Non furono in alcun modo ascoltate le ragioni che addussi, non già a scusaro
il peccato, ma a provare la verità della dottrina, la mia innocenza e sottomissione alla Chiesa.
Onde non posso più sperare nella V. S , ma debbo rivolgermi a Colui che elegge lo cose
deboli di questo mondo, per confondere i forti leoni degli uomini perversi». Io vorrei che
si meditasser bene queste parole ; e poi si vedrebbe chiaramente che il Savonarola diceva sem-
plicemente al Pontefice la verità, cioè eh' egli aveva scritto oramai o fatto abbastanza, per-
chè fosse conosciuta la sua innocenza e la nullità della scomunica, ma gli uomini perversi
non lasciavano che la S. S. ne sposasse le parti: d'ora innanzi non restargli adunque altro
che rivolgersi a Dio e pregare da Dio quell'aiuto che gli uomini gli negavano. Che volete
di più vero, di più giusto, di più corretto ? Considerate ogni cosa, e poi condannate, se vi
darà il cuore, il pazientissimo Frate.
(') Questo giudizio è del Frantz e il Pastor lo fa suo, pag. 352, nota.
- 542 —
Prima di tutto osservo che questo principio varrebbe solo per il caso che
la scomunica fosse valida; e perciò è affatto fuori di proposito nel caso nostro.
Poi non mi pare tutto rigorosamente vero ciò che qui s' afferma e suppone.
Si è pensato almeno che a rigore i Frati di San Marco di fronte alle pene ec-
clesiastiche che dovevano essere incorse ipso facto, si trovavano tutti nelle
medesime condizioni? E non repugnavan essi tutti con ugual forza alla vo-
luta unione? Anzi, ove si pensi a quanto s'è detto, sembrerebbe, se mai, che
la scomunica minacciata dal Breve de' 7 novembre l' avessero incorsa a
preferenza gli altri Frati che non Fra Girolamo; imperocché quelli, meglio
che non abbia fatto questi, ricusaron decisi di eseguire gli ordini carpiti al
Pontifice. (*) Poi, si tollerava molto meglio la predicazione degli altri Frati di
San Marco di quella di Fra Girolamo ? Io leggo invece il contrario.
Del resto il Savonarola non era persuaso affatto che, cedendo egli alle
mene dei tristi e dandola vinta ai Compagnacci e ai Palleschi, altri ne potesse
facilmente prendere il posto; e gli effetti non so che gli desser torto: « Se tu
mi dicessi: — 0 Frate, lascia fare un poco quest'ufficio ad un altro; — io ti
rispondo, che io non veggo ancora nessuno, che venga a pigliare quest' opera;
ma bene veggo di molti contradittori. Se io ne vedessi qualcuno, 1' avrei molto
caro: venga pure, che noi lo abbracceremo allegramente: venga pure che noi
canteremo: Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum! E
s' egli sarà d' altra religione, ancora lo abbracceremo volentieri cantando pure:
Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum. E però non
vedendo io nessuno che si muova a pigliare quest' opera, non la posso la-
sciare.... *.
E che anche qui il Frate fosse nel vero nessuno può dubitarne, poiché si
confessa da tutti, come tacendo egli, in Firenze ripullulavano per ogni dove i
vizj, e pur troppo quando la sua voce ebbe a cessar per sempre, la bella città
si guastò e corruppe un'altra volta in modo assai notevole! Basta per mo-
strarci il disprezzo che si faceva in Firenze d' ogni più sacra cosa ciò che il
Landucci scrive nel suo Diario a di i25 di dicembre 1498; e molto fa al pro-
posilo nostro quello che 1' autore medesimo scrive ivi stesso a pagina 180- 1 Si ,
sotto la data 26 di giugno 1498, un mese dopo la morte del Frate: « E a
dì 2C giugno 1498, fu morto un cittadino, che era uscito di Siena, da uno,
per guadagnare una taglia di fiorini 1000; e fu nel mezzo di mercato vecchio,
in su la terza dirimpetto allo speziale del Be. E più fu feriti altri giovani
la notte dinanzi. E la causa era che ognuno aveva allargato la vita e vedevasi
la notte pieno d' arme in aste e spade ignude per tutta la città, e co' lumi gio-
care in Mercato Nuovo e per tutto sema freno. Pareva aperto l'Inferno ; e tristo
a quello che riprendeva i vizii ».
(') L'unica differenza tra il Priore di San Marco e i Frati eia questa, che essi non eran
denunciati, e quegli si: ma ove si pensi alla pubblicità del Breve che istituiva la nuova
Congregazione, tal differenza si vedrà attenuarsi d'assai e quasi direi ridursi al niente. E
intatti alcuni religiosi, sia pure che lo facessero per animosità, non volevano comunicare
nè partecipare alle funzioni sacre co' Frati di San Marco.
— 543 -
Ecco una sentenza tutta vera del Pastor: « Tosto che il Savonarola ta-
ceva, il vizio e la incredulità tornavano a galla ». (Pag. 142.) (*)
Del resto, per non osservare una scomunica invalida qual era quella del
Savonarola, non si richiede neppure un caso estremo, come insegnano comu-
nemente i teologi. Fra gli altri il Ballerini così dice : « La scomunica in-
valida non ha nessuno effetto nè obbliga se non qualche volta per ragione di
scandalo ». (2) Verità da noi ampiamente provata nei capitoli XXVI e XXVII.
Chi vorrà adunque condannare lo zelo del Frate quando gli faceva dire
ch'egli non poteva lasciare quell'opera? (Sopra V Esodo, pred. II.) Un uomo
di poca virtù e di poco zelo potrebbe, sì, pigliare tale occasione per consu-
mare ogni più lodevole impresa, e trarre i giorni quieti nell' ozio, rimettendo
tutta la responsabilità ai cattivi comandi; ma non già un animo pieno di ar-
dore e disposto a morire per la fede nella sua missione, per rassettare quel
tanto che può della guasta vigna di Cristo. Se si fosse trattato solo di sè, Fra
Girolamo avrebbe potuto e forse anche dovuto piegarsi o almeno rassegnarsi
e stare zitto; ma trattandosi del bene delle anime, il suo cedere, ove si tenga
conto di ogni circostanza, sarebbe apparso un peccato contro la carità, cui
non avrebbe potuto distruggere l' indulgenza più benigna, nè render leggiero
attenuante di nessuna sorta. C)
In un solo caso avrebbe potuto Fra Girolamo lasciar l'opera sua incom-
piuta e tacere o passare ad altra parte della Vigna di Cristo: quando i suoi
superiori 1' avesser mandato altrove con impero semplice e assoluto, o quando
Alessandro VI, pur vedendo il frutto che Fra Girolamo produceva in Firenze,
avesse creduto davvero, non per le calunnie de'tristi, ma per propria vo-
lontà, di toglierlo quindi ad ogni modo, e d' imporgli di tacere. Allora il Frate
e il predicatore cattolico ci sarebbe apparso retto anche umiliandosi dinanzi
(') Degno di nota a questo proposito è quel che si legge nel processo falso messo
a stampa per ordine della Signoria: « Circa alla scomunica dico che, benché a molti pa-
resse non fosse nulla, nientedimeno io credevo quella fosso vera e da osservarla: ed osser-
vaila un pezzo : ma poi, cedendo che V opera andava in ruina, presi partito a non la osservare più,
anzi manifestamente a contradirla con ragione e con fatti, e stavo ostinato in questo per
onore e riputazione e mantenimento dell'opera mia ». Che avrebber detto i Commissarj depu-
tati all'esame di Fra Girolamo in un processo non falsificato, se tanto dicono in uno falsi-
ficato a tutto danno del reo?! Noi che conosciamo oramai quale fosse l'opera del Savonarola
e che volesse dire impedirne la ruina, ci pare di poter attendere a condannare il Frate che
altri ci mostri e provi ch'egli poteva davvero tacere senza grave danno. In caso contrario,
appoggiati alla teoria che abbiamo esposta di sopra, non ci pare affatto presunzione o te-
merità il ritenerlo assolto e davanti a Dio e davanti alla Chiesa. Cf. anche negli stessi pro-
cessi quanto segue nella pagina clxiij del II del Villari ove trovasi il passo citato.
(■) Opus Theologicum morale, ed. II, voi. VII, p. 166, ST.
(3) Vedi i luoghi citati sopra a pag. 441 not. 1, e la lettera ad un religioso del suo Ordine
con la data de' 15 settembre 1495: e la predica XXVIII sopra i Salmi dov'è trattata di pro-
posito questa materia e dove si leggono queste parole : « Sappi che noi siamo parati ad ob-
bedire alla Santa Chiesa ; e quando il Papa sarà bene informato e ci comandi, anderemo
dove lui dirà». E un poco più sopra nella stessa prodica si leggono anche le seguenti già ci-
tate : « Ben sai che noi obbediremo al Santo Padre : e io e i frati miei vorremo prima morire
che far peccato ».
— 544 —
a tali comandi; perchè avrebbe potato credere che i superiori e il Papa
provvederebbero altrimenti; ed in ogni caso avrebbe potuto nutrir fiducia che
quel Dio che gli aveva dato quei superiori e collocato Alessandro VI alla te-
sta della Chiesa libererebbe Firenze da' mali morali in cui stava per cadere.
Colla coscienza d'aver compiuto l'ufficio suo egli poteva allora ritirarsi nella
celluzza che gli era assegnata, e pregare e chiamare che l' abbondanza dello
Spirito Santo discendesse nel popolo Fiorentino e nella Chiesa universale.
Anche questa sarebbe stata virtù eroica. E noi siam persuasi che il Savo-
narola l'avrebbe compiuta sempre, come si è mostrato apparecchiato e pronto
a compierla nel 1494. E infatti ripetè p>ù volte al popolo e scrisse che, ove il
Papa bene informato gli facesse alcun comando, sarebbe andato dove ei lo
voleva, e avrebbe obbedito ad ogni costo. (*) Ma si trovò egli nel caso?
Potè egli creder mai d' esser nel caso? Fecero mai i suoi superiori a lui
il semplice comando di tacere? lo invitarono mai a recarsi fuori di Fi-
renze? Possiamo proprio credere che l'intenzione di Alessandro VI, bene in-
formato, cosciente che non esistevano i motivi espressi ne' Brevi, fosse quella
di chiudere ad ogni modo la bocca al Frate e provveder egli altrimenti ai
bisogni di Firenze? possiamo noi credere, che l' intenzione di Alessandro VI
fosse quella d'impedire e guastare il bene che il Frate generava in Firenze,
e lasciarvi ripullulare e crescere i mali che afflissero poi la bella città?
Non ci resta adunque altro che ammirare lo zelo che tenne il Riforma-
tore fiorentino saldo nel compimento del proprio dovere, anche là dove tutte
le tentazioni e tutte le forze umane lo incitavano a tralasciarlo; non ci resta
altro anche qui che ammirare quello zelo e quell' eroico spirito di sacrifizio
che tenne saldo il buon predicatore nel campo della lotta, in quel campo
dove lo trasse la malizia e la frode degli avversar], pur dicendogli chiara-
mente ogni cosa eh' egli così andava incontro a certa ruina e a crudel morte.
È una cosa questa così sublime che si pena a significarla con parole. Qui
Fra Girolamo è davvero un gigante.
(') Vedi sopra i cap. XXV, XXVI, XXVII e XXVIII.
XXXIII.
Il Concilio
Sommario.
Come sia faticoso difendere Fra Girolamo. — Il Savonarola condannato anche da amici e ammiratori
come reo d'aver voluto un concilio antipapale. — L' accnsa formolata dal Pastor. — Come, data
la verità de' sapposti, sarebbe inevitabile la condanna. — Ragioni. — Savie parole del Pastor,
del Marchese, del Procter. — Nostra opinione. — Che cosa si concede e che cosa si nega. — Cu
argomento negativo di molto valore. — Si chiosa un misterioso motto del Frate. — Si nega 1' au-
tenticità delle lettere ai principi. — Malvagità provata de' calunniatoli del Frate. — Le lettere
ai principi sono almeno alterate e corrotte. — Silenzio non spiegabile. — Il punto essenziale. —
Fra Girolamo non disse mai che Alessandro VI non fosse vero Papa. — Vecchia calunnia. — La
chiave che apre il segreto. — La nostra opinione confortata da' nuovi documenti. — L'esamina
di Giovanni C'ambi e le lettere di Domenico Mazzinghi e di Simone del Nero. — Anche i processi ci
danno ragione. — Si esamina e si ribatte il più forte argomento «lei Padre Marchese. — 11 Savo-
narola non può volere un Concilio senza i Prelati della Chiesa e il Papa. — Una riforma della
Chiesa per via di rivoluzione inconcepibile nel sistema del Savonarola. — La Chiesa e l'aquila.
— Ordine tenuto da Dio. — L' abbondanza dello Spirito Santo necessaria alla rinnovazione della
Chiesa discende nel popolo per mezzo de' Prelati. — Alla riforma del popolo deve precedere quella
del Clero. — H Savonarola crede impossibile per ora che si raccolga la Chiesa in Concilio. — Sue
ragioni. — La preghiera ultimo rifugio e arma del cristiano. — Alla rinnovazione precederà il
llagello. — La superiorità del Concilio al Papa, come non è dottrina dell' Ordine domenicano, così
non è dottrina del nostro Frate. — La riforma del Frate di San Marco si poteva fare anche con
Alessandro VI. — Il Papa angelico. — Sentenze che non si devono ripeter piii.
Opera gravosa è la difesa di Fra Girolamo. Egli occupa un posto eminente
fra gli uomini rei ti e puri che la Chiesa vantava anche nel secolo XV ; ma forse
non vi è mai stato alcuno che abbia patito il cumulo di calunnie che egli si è
visto versare sopra il capo. Dopo le molte accuse da cui 1' abbiamo fin qui di-
feso, ora se ne fa innanzi un'altra grave assai, per la quale egli venne ed è tut-
tavia condannato da non pochi anche de' suoi amici ed ammiratori: è l'accusa
di aver tentato di far rivoluzione nella Chiesa di Dio, d'aver professata la dot-
trina che ritiene il Concilio superiore al Pontefice, d'aver voluto raccogliere per
mezzo de' principi secolari d'Europa un Concilio anticattolico, un Concilio
senza il Papa e contro il Papa.
35
— 546 -
Sentiamo anche qui l'accusa come è formolata dal Pastor: Fra Girolamo,
« tutto invaghito delle false teorie della supremazia del Concilio sul Papa, prese
a battere la via della opposizione contro il possessore pur troppo indegno della
legittima autorità; nel che trovò non solamente la propria rovina, ma pregiu-
dicò altresì alla causa della vera riforma. Per mezzo della rivoluzione questa
non si poteva conseguire.
« Santa Caterina da Siena aveva scritto una volta alla Signoria di Firenze,
che, eziandio se il Papa fosse un demonio incarnato, conviene esser sudditi e
obbedienti a lui, non per lui in quanto lui, ma per la obbedienza di Dio, come
Vicario di Cristo. (/) Il Savonarola non fé' alcun caso della scomunica di Ales-
sandro VI, sì anzi il minacciò di un concilio, assalendo così il fondamento di
ogni ordine nella Chiesa. La convocazione di un concilio ecumenico onde rifor-
mare le condizioni ecclesiastiche era certo per sè urgentemente desiderabile;
se non che un concilio, senza, anzi contro il capo della Chiesa, non che togliere
i disordini esistenti, sì piuttosto avrebbeli ingranditi da vantaggio. Già il sinodo
di Basilea colle interminabili difficoltà da esso provocate in luogo delle sperate
migliorie, aveva mostrato quale scompiglio era stato prodotto nel mondo cri-
stiano dalla falsa dottrina del primato del Concilio sopra il Papa, e quali con-
seguenze dovessero inevitabilmente andar compagne al tentativo di abbattere
l'ordine naturale di ogni reggimento, soprattutto nella Chiesa.... » (pag. 143).
« Quell'infelice non pensava a fare atto di soggezione; tutto pieno della
falsa teoria di un primato del concilio sopra il Papa, spinse invece le cose in-
sino agli estremi....; prese a battere la via di tutti i ribelli e sollecitò perchè si
tenesse un concilio, nel quale il Papa sarebbe stato deposto come — simoniaco,
eretico e miscredente. — Da parte de' più fidati amici del Savonarola si fecero
maneggi presso gli ambasciatori fiorentini in Francia e in Ispagna, acciocché
favorissero questo disegno; lo stesso Savonarola abbozzò lettere per i più emi-
nenti principi della cristianità, i sovrani di Francia, Spagna, Inghilterra, Un-
gheria e Germania, nelle quali essi venivano con ogni istanza sollecitati a met-
tere ad effetto il disegno antipapale di un concilio. — Il momento della vendetta
è giunto — così egli diceva. — Il Signore vuol eh' io riveli nuovi segreti, e che
sia manifestato al mondo il pericolo in cui versa la navicella di Pietro a ca-
gione della vostra lunga negligenza. La Chiesa è tutta piena d'abominazione
dal capo alle piante; e voi non solamente non ponete mano al rimedio, ma
adorate la cagione stessa del male che la contamina. Onde il Signore si è gran-
demente adirato, e più tempo ha lasciato la Chiesa senza pastore. Io vi
testifico ora in verbo Domini, die quest' Alessandro non è papa, ne può esser ri-
tenuto tale; imperocché, lasciando da parte il suo scelleratissimo peccato della
(') Già abbiamo esaminato queste ed altre espressioni nel senso ohe il Savonarola pen-
sasse che alla potestà ecclesiastica fosse necessaria la bontà del soggetto. (V. il eap. XXVII.)
Possiamo qui aggiungere che la sentenza contraria è pronunciata dagli stessi processi fai-
sificat:, dove è attribuito al Savonarola il seguente motto: « Un uomo senza virtù può es-
sere Papa •. Presso Villari II, pag. clxxij.
- 547 -
simonia con cai ha comperato la sedia papale, ed ogni dì, a chi più ne dà, vende
i benefizi ecclesiastici, e lasciando gli altri suoi manifesti vizi; io affermo che
egli non è cristiano e non crede esservi alcun Dio, il che trapassa il colmo d'ogni
infedeltà. — Con questo preambolo il Savonarola invitava tutti i principi cri-
stiani che, al più presto possibile, indicessero il Concilio in luogo atto e libero.
Da suo canto si obbligava non solo di comprovare le sue asserzioni con argo-
menti, ma prometteva che Iddio ne avrebbe con miracolosi segni confermata
la verità ». (Pag. 367.)
Questo ed altro scrive il Pastor, e ha qui con sè l'autorità di scrittori as-
sai gravi e tra gli altri, stanno con lui due insigni Domenicani, ammiratori del
Savonarola: il Padre Vincenzo Marchese (*) e il Padre Giovanni Procter. (2) E non
v'è dubbio che, ove si potesse provare vera anche solo una parte di quanto il
Pastor e gli altri suppongono, bisognerebbe qui condannare Fra Girolamo,
A parte il gravissimo pericolo di scisma, basterebbe, perchè i cattolici con-
dannassero qui tutti il Frate di San Marco, la mancanza di rispetto al Papa,
della quale egli si sarebbe reso colpevole, anche solo facendosi capo e centro
di un moto riformista non d' intesa col Vicario di Cristo, « autorità da Dio sta-
bilita, fondamento di ogni ordine nella Chiesa...., potenza cui nessuno può in-
taccare senza nuocere a se medesimo.... Non era davvero questa la strada per
diventare un apostolo di Firenze od anche di Roma » e della Chiesa in gene-
rale. Nè gioverebbe al Savonarola l' esser allora Papa un Alessandro VI. Se
con un Borgia poteva il Frate per una parte veder lo scandalo attenuarsi, per
altre considerazioni doveva tuttavia scorgere la cosa farsi assai più grave: men-
tre la Chiesa si trovava sotto simile vergogna, era buona opera chiederne la ri-
forma in tal guisa?! Non era invece un portare un nuovo elemento di discor-
dia e di dissolvimento, dove tanto bisogno c' eradi obbedienza e di disciplina?!
A noi pare impossibile che si possa contrastare da' cattolici alle cose che al
riguardo dice il Pastor, come ci pare impossibile che, supposti veri i fatti che
si suppongono, vi sia pur uno tra i cattolici, il quale possa ricusare di sotto-
scrivere alle seguenti parole del Padre Marchese: « Noi di buon grado confes-
siamo, che opportunissimo e salutare consiglio sarebbe stato nelle presenti
distrette raccogliere intorno alla Sedia Apostolica 1' episcopato cattolico, affine
di soccorrere ai bisogni gravissimi del gregge di Cristo, rinettando i costumi,
ammigliorando la disciplina, ravvivando la pietà, e promovendo gli studi eccle-
siastici. Ma congregarlo senza il capo della Chiesa, anzi a dispetto di lui e
contro di lui, era audacia che in luogo di medicare i mali presenti, schiudeva
la via a mali di gran lunga peggiori. E che altro mai fecero in tutti i tempi i
(') Sunto storico del convento di San Marco negli Scritti varii, voi. I, pag. 254, e Prefazione
<ille Lettere e documenti inediti, ecc., pag. 11 e segg.
(2) Il Domenicano Savonarola e la Riforma, pag. 57 e segg. Dice il P. Procter che « le let-
tere senza dubbio furono scritte ». Nondimeno il P. Ferretti soggiunge in nota: « È da du-
bitarsi fortemente se in realtà tali lettere siano state scritte, o almeno se tale ne sia stato
il tenore ».
— 548 -
funesti operatori delle scisme, che tanto strazio portarono nella Chiesa di Gesù
Cristo, se non usurpare una autorità che loro era manifestamente dinegata
dalle sacre carte e dalla tradizione apostolica? » (') Nè meno savie son le parole
del Provinciale de' Domenicani d'Inghilterra: « La provocazione era grande,
ma, come qualunque altra tentazione a mal fare, doveva essere respinta con
pazienza, con la preghiera e la fiducia in Dio, che solo può calmare la tempe-
sta e comandare alle onde — per sempre — finché la nave di Pietro non sia
arrivata alla riva. I giorni erano oscuri, molto oscuri, i tempi agitatissimi, l' ini-
quità prevaleva anche nei luoghi santi: l'anima del Savonarola si commosse alla
vista del mal operato, e lo zelo trionfò della prudenza. Ebbe torto !... ».
(Pag. 58.) Questa sarebbe la sentenza più mite che si potesse dare ; e ogni
tentativo di attenuarla riuscirebbe vano, e sarebbe forse illecito.
Ma sono poi veri i fatti che questi scrittori suppongono? Sono provati?
Tentò davvero Fra Girolamo di radunare questo Concilio anticattolico e
maneggiò davvero per questo fine coi principi d'Europa? Io ne dubito assai;
anzi dirò risolutamente che opino il contrario e sto per la negativa. (2)
Intendiamoci: che Fra Girolamo desiderasse che. si facesse un Concilio
ecumenico e per esso si riformasse la Chiesa, non ho alcun motivo di metterlo
in dubbio: questo desiderio egli, se mai, l'aveva comune con tutti i buoni: e
nessuno vorrà certo fargliene colpa; ma la nostra questione è questione di
fatto, se cioè il Frate di San Marco si adoperasse perchè il Concilio fosse rac-
colto nel modo anticattolico che si afferma da alcuni. In verità, osserva il Bar-
toli, (3J un tal fatto non è concordemente ammesso dagli scrittori; e il silenzio
del Comines, del Sabellico, dell' Infessura e dello stesso Alessandro VI.... quan-
tunque argomento negativo, potrebbe renderci sospetta la verità di un fatto
che sembrava esser troppo notabile per doversene far distinta menzione. E
certo, bisognerebbe aggiungere, ad Alessandro VI non mancarono occasioni di
lagnarsi di questo; e i supposti delitti del Frate, anche se leggieri, si era pur
usi di gettarglieli in faccia troppo sovente. Se questo che si dice fosse stato di-
segno del Savonarola e fosse apparso di fuora, chi pensa alla gravità del'fatto
e alle più gravi conseguenze che avrebbe potuto portare in caso di riuscita, non
si persuaderà certo facilmente che la cosa da Roma si lasciasse passare in
silenzio, e che Alessandro VI mai non avesse da farne un cenno ne' molti
Brevi che scrisse a riguardo del Frate e prima e dopo la morte di quello.
Lo so, alcuni, e tra questi il Pastor (pag. 368), vogliono vedere vaghe mi-
nacce al Papa ed un accenno al Concilio sotto quella metafora tante volte ri-
petuta dal Frate : « Un giorno daremo volta alla chiavetta » : oppure : « Io gri-
derò: Lazare, veni foras »; ma questa interpretazione è una delle tante cose
(') Sunto storico, ecc., 1. c.
C) Trattiamo con sufficiente ampiezza quest'argomento nello scritto già annunziato e
promesso: Della Chiesti e del Pontefice di Roma secondo Girolamo Savonarola. Qui siamo co-
stretti da troppe cose a esser brevi.
(3) Apolotjia di Fra Girolamo Savonarola, Firenze, 17»2, cap. XIX.
— 549 —
eh' io non mi so affatto spiegare come fosse trovata e poi successivamente
ripetuta. i\Ia si può pensare seriamente che Fra Girolamo credesse in suo
arbitrio aprire, quando gli piacesse, il Concilio? e cacciar di Trono il Borgia?
Avete almeno un' ombra d' indizio eh' egli avesse stretto colla cristianità sif-
fatte pratiche da poter ragionevolmente ritenersi certo già fin dal 1495, ch'ove
gli piacesse, questa s'accoglierebbe in Concilio per riformare la Chiesa senza
il Pontefice e contro il Pontefice? (*) Eppure le frasi che mi ricordate, impor-
tano cosa che par tutta riposta in facoltà del Frate. Ricercate le prediche del
Savonarola, ricercatele attentamente e vi persuaderete subito che questi suoi
motti hanno in lui quel senso che frasi simili godono tuttavia nel popolo di Fi-
renze: vogliono semplicemente dire che se i nemici del ben vivere e del governo
fiorentino volessero persistere nelle tristi loro mene, egli avrebbe f^tte pa-
lesi le trame d'ognuno in particolare, e fatto conoscere anche le magagne di
cui erano pieni; al più alcuna volta queste espressioni il Frate le adopera per
significare che, ove i persecutori l'avessero stretto al punto da rendere indi-
spensabile qualche prova straordinaria della verità della sua dottrina, delle cose
che predicava, egli aveva licenza di far palesi i peccati e i tristi e diabolici
maneggi d'alcuni, che già riteneva segnati in ischede chiuse: e sarebbe ap-
parso eh' egli non poteva conoscerli per via umana. Questo e non altro si-
gnificano le misteriose parole del Savonarola: e ripeto, non è senza meraviglia
il veder che da tanti s'interpretano come si fa tuttavia. (Vedi la Risposta a
certe obiezioni.... de' 6 aprile 1498 e la pred. V sopra 1' Esodo (*).
E le lettere ai principi? Un'altra supposizione che non regge. Ricercate
attentamente gli argomenti che si sogliono addurre a favore dell'autenticità
e genuinità di queste, e non vi verrà fatto di trovarne pur uno che concluda.
Esse sono una infelice invenzione de' nemici del Frate, e probabilissimamente
del Moro e de' suoi agenti. E quest'espediente diabolico, affine di persuadere il
Papa che Fra Girolamo era davvero un tristo, non è solo dell'ultimo periodo
della vita del nostro. Già lo troviamo usato nell'agosto del 1496, come appare dal
Doc. XI tra i pubblicati da 1. Del Lungo. Infatti ivi si dice che il Tranchedino,
(') Io non mi valgo affatto a difesa del Savonarola dell'elezione simoniaca del Borgia.
Questa era certo nota al Frate di San Marco, ma nessuno troverà nella sua vita ch'egli
non volesse per ciò riconoscer quello come vero Papa. Io non ho potuto trovare alcuna
prova che Fra Girolamo avesse legami nè con il cardinale della Kovere. che pur si stava
ai fianchi del Re di Francia, ne cogli altri che si dice lavorassero per la deposizione di
Alessandro VI. Anzi piuttosto, anche da' processi, mi pare che si raccolga il contrario, come
può vedere il lettore andando al Villari vvol II) ai luoghi seguenti: pag. clxxj; clxxxv-
clxxxvj; clxxxix; cxcij-cxcvij. Non mi allargo qui da vantaggio; ma questo sarebbe pure
un quesito degno di essere svolto ampiamente. A me parve sempre molto significativo il
non trovar Fra Girolamo con tale schiera; e mi fu, già da tempo, la prima occasione a
movere i piedi all'opinione che poi abbracciai, ed ora esprimo in questo capitolo.
(2) Dal 1° processo falsificato Villari. voi. II, p clxvii) togliamo quanto segne a conferma
della nostra interpretazione: « Circa la chiavetta di che ho fatto menzione tante volte, e che
ho detto appartenere alla chiesa, l'ho fatto per dare tenore, minacciare, et per fare tenere
adrieto le mani a chi mi voleva male : et infine sono state parole: ma altro particulare secreto
o revelatione non v' era drento ».
— 550 —
con pretesi scritti del Frate a Carlo Vili, intercetti dal Moro, si presentò a' Si-
gnori come per moverli e farli vergognare del trovarsi essi sotto il governo di
un Frate; ma non ne fu nulla, imperocché i Signori dichiaravano di non sa-
pere affatto di queste lettere. Poi lo zelante oratore parlò a Frate Girolamo e
fecegli intendere quanto gli aveva commesso il suo Signore. Ma il Frate rispose
anrh' egli che non « sapeva niente di esse lettere;.... e che queste potevano
essere state fatte per qualche persona che cerca di dargli carico appresso 1' Ec-
cellenza del Duca, e che se quella manda 1' originale, si vedrà se le son sue
lettere o non ». (*)
Quest'arte degli avversarj del Frate è fatta palese anche più chiaramente,
se fosse possibile, dal 100° documento tra i pubblicati dal Cappelli. Anche qui
si tratta di lettere intercette dal Moro, e anche qui il Frate nega ch'esse siano
sue, e si giustifica dicendo un'altra volta, « che, se si farà paragone dell'originale
delle dette lettere intercette, che si troverà che non sono lettere fatte di sua
mano, nè anche mai s' intenderà che per sua commissione le sieno state fatte.
Egli dubita bene che alcuno, e forse di questa terra, per dargli carico le po-
tria aver fatte in suo nome e mandate, affine che le sieno intercette in Lom-
bardia ».
Questo, noi crediamo, avvenne per le lettere ai principi: esse furono in-
venzione di qualche avversario e probabilmente del Moro per dar carico al Frale.
Chi capirebbe il silenzio del Papa e degli altri accaniti persecutori del Frate,
se davvero fosse capitata nelle mani del Moro o della Signoria o de'commis-
sarj apostolici una lettera del contenuto di quelle di cui discorriamo ? (2) Certo
se i nemici per opprimere il Frate non dubitarono di falsarne i processi, non è
difficile che osassero anche apporgli una lettera non sua, proprio nel tempo che
a lui riusciva più disagevole il difendersi, e respingere la grave calunnia. Qui
noi crediamo che sia avvenuto un fatto simile almeno a quello della lettera del
Frate a Carlo Vili pubblicata con errori dagli amici della Lega, come abbiamo
detto di sopra a pagina 344. Queste lettere ai principi le credo almeno alterate
e corrotte. Punto essenziale di queste si è la dichiarazione che Alessandro VI
non è vero Papa. Ora questo non troviamo che il Savonarola lo abbia mai
detto nè pensato, se si prende la parola nel vero senso, nel senso canonico.
Il Savonarola non ha mai in nessun momento della sua vita messa in dubbio
la potestà pontificia del Borgia: per quanto ricerchiate dappertutto nelle sue
opere non troverete eh' egli siasi unito mai a quelli che stimassero nulla l'ele-
zione del Borgia al Pontificato, specialmente dopo che questi fu riconosciuto
Papa dalla Chiesa universale. Non risulta nemmeno che Fra Girolamo pen-
sasse mai che Alessandro VI fosse Papa dubbio, e ci par manifesto che ciò
non facesse nè anche negli ultimi mesi della vita : basta a dimostrarlo la let-
tera eh' egli spediva al Papa stesso il 13 maggio 14'J8, nella quale anzi è
(') Vedi l'anuotaziono che a questo documento t'a il Del Lungo.
0 Vedi il Villari, lib. IV, oap. VI.
- 551 —
detto chiaramente il contrario, riconoscendovisi il Borgia come Sua Santità e
Sommo Pastore. E il Savonarola non si è mai disdetto in nulla, per quanto io
sappia; e tanto meno posso pensare che si disdicesse in cosa tanto grave,
e tante volte e tanto solennemente affermata. Se avesse creduto il Borgia quale
Papa dubbio o non Papa, la franchezza di Fra Girolamo non avrebbe po-
tuto dissimulare tanto. Tutto quello che potè esser detto da lui è questo solo :
il Papa non vive come a cristiano si conviene ; e nella riforma e rinnovazione
della Chiesa non opera come il Papa dovrebbe. Ma più in là Fra Girolamo
era impossibile che giungesse ; e se vi fosse giunto, i processi non l'avrebber
certo lasciata passare cosi liscia, come fecero.
Ma pure i suoi nemici lo accusavano di tal pecca già da molto tempo e con
insistenza assai grande. Infatti Paolo Somenzi con la data de' 18 marzo 1495
scriveva al Moro: « Esso Frate ha detto in pubblico, cioè predicando, come
questo popolo non debbe obbedire alla Santità del Papa: e quando bene Sua
Santità facesse una inibizione a questa città che non se li potesse celebrare
messa, che la non si debba osservare, perchè la non vale, per non essere lui
vero Papa ». (*) E inventata una volta la fandonia, sebbene il Frate protestasse
respingendo questo come gli altri ingiusti addebiti, non la si volle più lasciar
cadere, e trovò finalmente luogo nelle famose lettere, come aveva trovato
luogo altra volta in altre lettere la fandonia ch'egli colle sue prediche fosse
cagione perchè i Fiorentini stessero volti alla parte francese. Alessandro VI
conosceva molto bene la sua viziosa elezione, e non men bene di lui sape-
vano eh' essa era simoniaca e il Moro e gli altri principi, come era manife-
sta ad ognuno la vita scandalosa del Borgia; pur troppo, anche in pubblico, e
dal pulpito, proprio in Firenze, si era osato dire che Alessandro VI era mar-
rano e fatto per simonia; qual destro migliore poteva offrirsi ai nemici del
Frate per incitargli contro l'ira del Papa, che far penetrare nell'animo di
quest'ultimo, che quegli l'accusava audacemente di un sì turpe delitto?!
E noi crediamo anche di aver la chiave in mano per aprire il segreto
che ci tenesse nascosto come ciò potesse avvenire : forse può servirci di lume
un passo degli Scritti Inediti. Chiosando ivi il II di San Luca, al versetto 41,
il Frate vede ne' parenti di Gesù la Chiesa e il Papa; e soggiunge poi di
quest' ultimo, « che è creduto, si come Giuseppe, padre di Gesù e de'Cristiani,
e non è. Parentes, Ecclesia et Papa, qui, sicut Joseph, putatur Jesu pater et
Christianorum, et non est ». Questo pensiero chi sa quante volte l'avrà espresso
il Savonarola, specialmente quando si trovava alle prese con quelli i quali,
sebbene non importasse loro nulla della dignità del successore di Pietro, vo-
levano, per mostrare la validità de' Brevi a lui spediti, metterlo al pari di Dio
e Cristo: chi sa quanti di questi importuni avranno udito questo pen-
(') V. Del Lungo, Doc. III. Vedi anche la Cronaca del Vaglienti a pag. 30, dove Ira le
altre cose si ripete appunto del pari che Fra Girolamo « predicava e diceva essere la scomu-
nica di nullo valore, con ciò sia cosa che questo Papa non era vero Papa, e che era fatto per
simonia.... >.
— 552 —
siero del Savonarola. (') Ognuno capisce la giustezza dell' espressione del
Frate: il Papa non è Dio, non è Cristo, ma suo luogotente e Vicario in terra;
ma che occorreva altro ai nemici del Savonarola per accusarlo senza meno
che egli alludesse in particolare ad Alessandro VI e dicesse questo Papa non
esser vero Papa, e neppure cristiano?
E v' è di più; negli stessi Scritti Inediti, chiosando il li de' Treni di Ge-
remia, al mestissimo versetto 9° alle parole: Non v' ha più legge...., il Savona-
rola postilla : « Non v' ha legge, perchè non si osserva. Se tu vedessi le leggi
della Chiesa, e le scomuniche contro i Simoniaci innumerevoli, e poi le cose
che si fanno a Roma, stupiresti » (2) : aggiungete l'insistere che il nostro Ri-
formatore faceva, cioè che ad esser cristiani si richiede che si viva bene, si
creda la fede semplicemente, si compiano le opere buone e ci si astenga dalle
cattive; e che altrimenti cristiani non si è, e voi capirete subito che non
avevano bisogno di altro gli agenti del Moro per fabbricare la calunnia che
il Frate ritenesse nulla la elezione del Borgia, come quella che era notoria-
mente simoniaca, e che il Borgia stesso, buontempone d' indominata sensualità,
come lo dice il Pastor, (pag. 435) non fosse stimato da lui neppur cristiano. E
non aveva del resto il Savonarola pronunciate le parole : tu non sei Papa? Che
fa egli chele dicesse in generale, come abbiam veduto nel c. XXV, nell'ipotesi che
un qualche Papa facesse un comando contro Dio, contro la legge di Cristo, o con-
tro 1' Evangelo ? Ai nemici bastavan le parole per costruire la brutta calunnia;
e la costruirono, e le diedero per istanza le famose lettere; alle quali, e vuole
esser notato, porgeva occasione assai propizia la lettera stessa spedita dal
Frate al Pontefice a' dì 13 marzo 1498. E non diceva in essa audacemente Fra
Girolamo, ch'egli d' ora innanzi doveva lasciare ogni speranza d'aver da Sua
Santità l'aiuto che da quella e come da Cristiano e come da Sommo Pastore
s'era prima atteso? Il passo all'affermazione che Sua Santità non fosse Cristiano,
nè sommo Pastore, non fosse Papa, era facile alla calunnia: e la calunnia lo
fece senz' altro riguardo.
Questo io opino, e questo parmi facilmente spiegabile, se tengo la mente
alla vita del Frate; ma l'opinione contraria non so come conciliarla co' pen-
samenti del mio Autore e col programma di lui. Certo, se i nemici per oppri-
merlo non dubitarono di guastarne le membra colla tortura e falsarne i pro-
cessi, non è difficile che osassero ripeter il giuoco di apporgli una lettera
non sua ; ma non saprei facilmente capire eh' egli con queste lettere contradi-
cesse, e molto da sciocco, a se stesso e a tutta la sua vita.
Del resto credo di avere anche ne' documenti pubblicati dal Villari tati lo
(') Potrebbe esser questo pensiero che ha dato luogo all'espressione che si leggo nel
Vulnera dilinentis (Lib. I, cap. 19): « Il Papa non è propriamente il capo primo della Chiesa,
ma è il Vicario del capo sommo della Chiesa, il quale è Gesù Cristo ». Cfr. Villari, II, pa-
gina 126, nota.
(') Concetto anche questo ed espressione che tornano molto sovente nelle Opere del
Frate, come si può vedere, per esempio, nella predica XXII sopra Amos e nella V sopra
1* Ksodo.
— 553 —
che basti a mostrare molto credibile e ragionevole la mia opinione. Leggete
infatti le lettere di Simone del Nero e Domenico Mazzinghi che avrebbero
preannunziate quelle del Savonarola ; (') leggete le deposizioni di questi me-
desimi e degli altri che si tengono per confidenti del Frate in questa faccenda,
e vedrete quanta differenza corre da quello che costoro scrissero e afferma-
rono a quello che avrebbe poi affermato e scritto il Savonarola o contempo-
raneamente o pochi giorni dopo. Negare che queste lettere e deposizioni non
rappresentino il pensiero del Frate e credere che lo attenuino, mi penso non
sia punto facile: a preferenza si potrà ritener probabile che lo zelo 1' abbia
fatto colorire maggiormente. Ora qui non trovate la crudezza dei pensieri
espressi nelle lettere ai principi: leggendo questi documenti non vi sorge nem-
meno il più lontano dubbio che il Frate pensi Alessandro VI non esse>e e non
poter essere Papa, non essere cristiano, non essere battezzato e non credere
in Dio alcuno. (2) Non so astenermi ch'io non vi trascriva l'esamina di Gio-
vanni Cambi: « A dì XXIII di aprile MCGGCLXXXXVIII. Nel secreto, a pa-
role, Giovanni di Niccolò Cambi, domandato della lettera per lui scritta allo
Imperatore circa il Concilio, come passò, rispose a questo modo.
« Sono giorni circa 40, che, standomi in casa ozioso, mi venne in animo di
mandare allo Imperatore il libro del Trionfo della fede, fatto da Fra Girolamo,
avendo inteso che era bello libro; e mandavalo a detto Imperatore come ad
uomo dotto, e che si dilettava di cose simili. E così feci una lettera a Sua Mae-
stà, nella quale narravo come il detto Fra Girolamo era gran profeta, e predi-
cava cose future; massime la conversione de' Turchi, la ruina d'Italia e la rin-
novazione della Chiesa. E che non era dubbio la Chiesa stava male, come Sua
Maestà può ben sapere ; e che a Sua Maestà prefata s'apparterrebbe rimediare,
come si faceva pe' tempi passati per mezzo de'' Concila ».
Di poi avendo consegnata a Fra Silvestro e a Girolamo Benivieni tal let-
tera, perchè gliela volesser far latina, ritornato a riprenderla, fu introdotto da
Frate Girolamo, il quale gli disse: « Io ho vista la bozza della tua lettera allo
Imperatore: sia contento, non l'avere per male. — Poi gli soggiunse: — La sta
secondo il gusto mio, o poco manca ».
Qui adunque abbiamo significati i pensieri del Savonarola, o poco meno;
nè possiamo dubitarne. Ma rileggete un'altra volta le lettere ai principi, e ve-
drete che la differenza tra quelle e questa esamina non è poca, ma immensa.
Basta adunque questo fatto per dire che le famose e nuove espressioni che
si leggono ne' pretesi abbozzi non sono da attribuirsi al Frate. (3)
(') Villari, voi. II, Doc. XV, pag. Ixviij.
12) Questa del resto è calunnia mal trovata, avendo noi visto cbe Fra Girolamo solo
per questo non avrebbe tenuto cbe la potestà del Sommo ministro venisse meno. La potestà
di Pietro non viene a scadere nè anche in un successore indegno. Eppure nelle lettere ai
principi questo sarebbe il colmo dell'accusa a provare che il Borgia non è Papa.
13) Degno di nota mi pare il leggersi che Fra Girolamo aveva deliberato di scrivere
ad alquanti principi che questo Papa non è cristiano nè Papa nel vero processo - in quello
cioè men corrotto — di Fra Domenico , e il non leggersi poi la stessa cosa nel processo
— 554 —
E questa esamina e le lettere che dovevano precedere i pretesi abbozzi
di quelle ai principi, e gli stessi processi un' altra cosa mi fanno pensare, e di
grande importanza, e che mi par maraviglia che non sia stata rilevata come
merita: questa è che Fra Girolamo non tentò mai di far raccogliere il preteso
Concilio contro il Papa o senza il Papa e per farsi egli ragione nella terribil
lotta contro Alessandro VI e per far deporre il Borgia..,. Anzi quindi non ap-
pare affatto che fra Girolamo si facesse centro di un moto riformatorio in
nessun senso: tutto quello che indi appare si è che Fra Girolamo avrebbe ve-
duto volentieri, per allontanare almeno in parte il flagello eh' egli vedeva so-
prastare alla Chiesa, e specialmente all' Italia e a Roma, che i principi cristiani
avesser procurato che si potesse raccogliere un Concilio per iniziare la riforma
in quella ; un Concilio a guisa degli antichi, i quali avevano posto riparo altra
volta ai mali che affliggevano la Chiesa; ma non punto un Concilio che i
mali della Chiesa aggravasse con il pericolo di uno scisma. Come si potrebbe
concepire un invito ad un'impresa tanto audace e folle in quella stessa che si
spedisce il Trionfo della fede, nel quale son condannate tutte le scissure e tutte
le eresie, e si dicono tante bellissime verità del Pontefice e della potestà di
esso nella Chiesa?
Notiamo bene la esamina or ora trascritta di Giovanni Cambi e vedremo
che tutto quel che si dice di più grave al riguardo è questo solo: « che non era
dubbio che la Chiesa stava male come Sua Maestà può ben sapere; e che, Sua
Maestà s'apparterebbe rimediare, come si faceva pei tempi passati, per mezzo
de'Concilii». E cose non meno chiare nè diverse troviamo nelle lettere di Simone del
Nero e di Domenico Mazzinghi. Il primo di questi, ritenendo come tutti gli altri
per evidente il bisogno che la Chiesa si rinnovi, e credendo certo che la si rinno-
verà, scrive a Niccolò del Nero, acciocché ne parli alla Maestà del Re e della
Regina di Spagna, perchè a loro toccherebbe principalmente a provvedere con i de-
bitiConcilii. che già erano usati farsi. Il secondo dice pur egli cose gravissime
del vituperio a cui è ridotta la Chiesa di Dio, e de' scellerati prelati e preti
segnatamente di Roma, in mano de' quali è il preziosissimo sangue di Cristo :
vede quindi anch' egli la necessità che la Chiesa si rinnovi, e si duole quindi
perchè « pare che nessuno si mova a provvedervi con fare i debiti Concila,
comegiàsi soleva, e specialmente chi vi potria provvedere.... ». E fra gli altri vi
dovrebber provvedere, secondo questa lettera, il Cristianissimo re e la regina di
Spagna. Ma le lettere ai principi vorrebbero troppo più, e quindi io non mi
saprò persuadere ch'esse rappresentino un concetto savonaroliano.
Del resto nel medesimo processo de'Commissarj apostolici (a' quali certo
conveniva sopra ogni altro il provare e mettere a nudo un tal fatto, ove fosse
falsificato del medesimo Frate. Per me questo è un vero indizio che anche nel processo dove
si legge, la frase è interpolata: altrimenti come si sarebbe potuto lasciare in quello falsifi-
cato, dove s'inventano ed aggravano le pecche a carico del Savonarola? Anche agli esami-
natori questa calunnia dovette parer adunque soverchia, se, inventatala o trovatala inven-
tata, non la mantennero. V. Villari, II, Doc. XXVII.
— 555 —
stato vero, perchè cosi non avrebbero altrimenti avuto bisogno d' inventar
calunnie per dare la sentenza di condanna), possiamo raccogliere che le lettere
che vanno sotto il nome del Savonarola, non son del Savonarola. Infatti ivi il
Frate « domandato circa lo avere detto che il Papa non era cristiano, nè
battezzato, nè vero Papa, rispose: non lo avere mai detto; ma che bene era
una lettera nella sua cella che lo diceva, e che lui 1' aveva composta, la quale
però dice non pubblicò mai, e che 1' aveva abruciata ». E in una nota di un
codice della Magliabechiana ed in quello di Milano v' è in margine al pro-
cesso medesimo la seguente postilla: « La detta lettera fu quella che aveva
disegnato scrivere a' Re, di che si fa menzione nella parte del Concilio ». (*)
Resta adunque messo fuori di dubbio che, se mai Fra Girolamo aveva scritto
lettere nelle quali si leggevan le espressioni che si leggono in quelle a' prin-
cipi, le ha poi bruciate; ed è anche più indubitato che al processo non fu-
rono acquisite mai; che in esso le lettere apocrife e corrotte non poterono in
nessun modo esser ritenute per opera del Frate e genuine. Or come, dopo
ciò, noi le leggiamo a stampa? Che mi fa se esse siano in codici antichi, e ne
parlino antichi biografi? Forse che si pretende che la loro invenzione sia
di ieri?
Chi ha sostenuto con maggior forza e copia di argomenti 1' autenticità di
questi scritti, fra i moderni è il nostro venerato Padre V. Marchese : egli nella
Prefazione alle lettere inedite del Savonarola (Scritti Vari, pag. 336 e seg.) ha
raccolto tutti gli argomenti che il suo diligente ingegno seppe trovare; ma
non essendo buona la causa, il vigore del suo scrivere non riesce perciò, contro
(') Non credo che ad alcuno de' lettori verrà in mente di trarre da questo passo del
processo una prova in favore dell'opinione che le lettere furono scritte davvero, sebbene
poi non ispedite e forse distrutte. Da' processi falsificati si possono trarre le prove a favore
dell'innocenza de' rei, non mai a carico; specialmente quando, come nel caso presente, ab-
biamo troppi indizj, e lumi per iscorgere la falsificazione e la calunnia. In verità se fosse
stato possibile sostenere e dimostrare almeno probabile la calunnia, i Commissari aposto-
lici e la Signoria non avrebbero lasciato di farlo davvero. Queste lettere per contrario, am-
messo che ne fosse provata l'esistenza durante il processo, sarebbero state una causa la quale
poi non avrebbe prodotto l'effetto che avrebbe dovuto produrre. Ma era poi davvero questa
ietterà quella destinata ai principi? Lasciamo per ora insoluta la questione, osservando solo
che ne* medesimi processi Fra Girolamo parlando appunto del Concilio e delle lettere 6
de' principi dice quanto segue: «Io mi era deliberato scrivere a ciascheduno di loro (i noti
principi), per tale effetto del concilio e già l'avevo cominciato abozzare e le bozze debbono
essere nel mìo scannello....: Si sarebbe troppo arditi se si volesse dal raffronto dei due passi
trarre la conclusione che adunque ne' famosi abbozzi non si diceva che Alessandro VI non
era cristiano, nè battezzato, nè vero Papa? Queste lettere qui son davvero le destinate ai
principi e il Savonarola non dice d' averle bruciate ; ma ben dice d'aver bruciata la lettera
che tali cose diceva: qual forza logica mi potrebbe adunque in ogni cosa impedire dal con-
cludere come ho detto? Lasciamo scegliere agli avversari il passo che vogliono; lasciamo che
li tengano entrambi, che accettino o respingano la nota marginale, e bisognerà pur sempre
che ci dian per buona 1' opinione da noi seguita nel testo.
Rinuncio poi e qui e nel testo ad un argomento che per me fu sempre ed è ora più
che mai buono a mostrar apocrife o almeno molto corrotte e interpolate lo lettere famose:
lo stile. L'esame dello stile degli abbozzi che abbiamo ci condurrebbe a conclusione che
ha del sicuro per la nostra tesi. Ma quante pagine dovremmo scrivere per mostrare altrui
la forza di questa prova?
— 556 —
il solito, a far persuaso 1' attento lettore. A mostrare che noi diciamo il vero
basterà che pigliamo in esame una prova, quella eh' egli giudicò essere vera-
mente decisiva e trionfante di ogni obiezione; l'autorità del Nardi. (*) Ecco
come si esprime a questo riguardo il nostro maestro. « L' autorità che, a mio
avviso, trionfa di tutte le obbiezioni.... si è quella di Jacopo Nardi non avver-
tita da alcuno. Di cosi fatta audacia (di non osservare la censura) si generò in
Roma grandissimo stupore: di modo che M. Domenico Bonsi (ancorché fusse
delli primi suoi devoti), il quale risedeva nostro oratore appresso del Pontefice,
e aveva avuto commissione di fare ogni opera di placare il Papa, e di già aveva
risposto alla Signoria che di ciò non mancava di qualche buona speranza, ora
di nuovo colle sue spesse e calde lettere spaventava la Signoria, dicendo che
il Papa desiderava e aveva deliberato di levarsi ad ogni modo così fatto sti-
molo, che instigava contìnuamente i principi di chiamarlo al concilio ».
Questa è adunque la prova più convincente che il nostro maestro abbia
saputo trovare, perchè si abbiano a ritener autentiche le famose lettere; le
altre non avrebbero trionfato appieno delle obiezioni degli avversarj, e per
questa autorità, non avvertita da alcuni, egli si mosse a pronunciare il giudizio
che pronunciò e che poi trasse a sè molti che si occuparono della questione.
Ma in verità che cosa prova Jacopo Nardi? Nuli' altro che questo: che il
Savonarola era accusato e ritenuto come instigatore de' principi cristiani di
chiamare Alessandro VI al Concilio. Tutto questo vuole il Nardi, e nient' al-
tro. Ora di ciò chi ha mai dubitato? Il compito del Marchese dovrebbe comin-
ciar proprio lì dove gli parve d'averlo compiuto: dovrebbe cioè dimostrare che
davvero Fra Girolamo instigava continuamente i principi cristiani di chiamare
al Concilio il Papa : questo è che si deve provare: chè il Nardi in questo passo
è ben lungi di darci la cosa come vera, di riferirla assertivamente, coni' è ben
lungi dal dirci che la riferisse assertivamente il Bonsi. Quali altre accuse con-
tro il nostro Frate non trasmise da Roma a Firenze ne' suoi dispacci ai Signori
questo valente oratore? Ma chi perciò, sol per questo, ha il diritto di ritenerle
per vere? In verità, con tutta la riverenza che devo e porto all'egregio ed
elegante scrittore, qui non so scorgere eh' egli argomentasse giusto.
Ma trasmise poi veramente il Bonsi l'accusa che si legge nel Nardi? Noi
e per opera del Marchese stesso e per opera del Gherardi, abbiamo ora alle
stampe le lettere di quest' Oratore, ma non ci ricordiamo d' avervi letto tale
accusa; il che mi fa davvero sospettare che al Pontefice non siasi mai potuta
riferire come ragionevole e credibile: nel caso contrario questi davvero
avrebbe dovuto, almeno negli sfoghi suoi coli' oratore di Firenze, farne un
qualche motto.
Ma senza che ci dilunghiamo in ragionamenti, a me pare evidente, per
quello stesso che leggo nel Nardi nella pagina citata dal Marchese, che qui
non è punto discorso delle famose lettere. A che periodo si riferisce tuttociò
(') Lib. II, pag. 122; dell' edizione ohe citiRmo noi, (Firenze, 1842) y>ag. 137.
— 557 -
che ivi è scritto dal Nardi? Della quaresima del 1498; e a questa quaresima
si riferiscono tutti gli avvenimenti che ivi son narrati, compresa la minaccia
di rappresaglia di tutte le mercanzie e robe de' Fiorentini non pure in Roma,
sì bene anche in ogni luogo per tutta la cristianità, e il Breve comminatorio
che fu poi cagione che il Fiate passasse da Santa Maria del Fiore a predi-
care in San Marco. E al medesimo tempo si riferiscono del pari le lettere del
Bonsi alle quali ivi ancora accenna il Nardi stesso. Ma chi non sa che, se mai,
gli abbozzi ai principi sarebbero posteriori, nè pensati prima che il Frate
fosse costretto a tacere definitivamente? (') Come adunque poteva allora la-
gnarsene il Papa e parlarne il Nardi?
Nè questo è tutto. Nelle lettere ai principi è detto chiaramente che Ales-
sandro vi è eletto per simonia, che non è vero Papa, che non è tampoco cri-
stiano. Se adunque il Nardi avesse inteso di parlare di queste lettere e di dar-
cele per autentiche, avrebbe certo osservato anche questa cosa; ma per
contrario egli afferma solo che simili accuse gravavano, sì, sopra il Frate, ma
perchè così si volevano intender le sue parole, non già perch' egli veramente
così dicesse. Lasciatemi trascrivere l'intiero passo, che segue proprio a quello
trascritto dal Marchese: « E per questo massimamente si sdegnava il Papa
e lutti i Cardinali e la Corte, perchè il Frate usava di dire che non aveva al-
cun rispetto umano, ma che solamente era tenuto e voleva a Dio solo ubbi-
dire, quasi dicendo che quel Papa non fosse vero e legittimo Papa, che così si
interpretavano le sue parole.... ». Iti verità, se il Nardi avesse inteso di parlare
delle lettere ai principi il quasi bisognerebbe cancellarlo, e non vi sarebbe
proprio nessunissima ragione di dire che così si interpretavano le sue parole ;
ma era necessario dire che cosi proprio le sue parole suonavano e anche
peggio.
A noi parve sempre che questo passo del Nardi si riferisca ad alcuni detti
che il Frate avrebbe pronunciato prima di risalire il pergamo 1' arino 1496 e
ripetuti poi dopo, i quali diedero luogo, come vedemmo or ora, alla cattiva in-
terpretazione di cui qui si parla e quindi alle famose lettere. Al più potrò
concedere al Padre Marchese eh' era voce che Fra Girolamo bramasse (e lo
bramavano tutti i buoni) che si potesse fare un Concilio e che perciò solle-
citavano i principi cristiani ; tutto quello che potremmo dare si è quanto si
legge un poco più innanzi nel Nardi stesso, pag. 154, che cioè il Pontefice era in
continuo sospetto che, mediante 1' opera e suggestione di quest' uomo, si ec-
citasse contro di sè il Concilio de' principi cristiani. Ma questo vorrebbe dir
proprio che Fra Girolamo scrivesse ie famose lettere? Non avrebbe il sospetto
del Pontefice, se mai vero, la sua ragione sufficiente nelle accuse che si muo-
vevano al Frale? Or se l'Achille del Padre Marchese appare cosi debole da
cedere al primo tocco e rovinare a qualsiasi urto, che sarà della turba degli
(') Vedi il Villari. II, pag. 128 e seguenti, ed i procossi e le esamine di coloro che avrei)
bero scritto le lettere die dovevano precedere queste ui principi.
- 558 —
altri argomenti? Lo ripeto ; non ne conosco alcuno che mi paia concludere
e che meriti di essere seriamente discusso. (*)
Ma io credo di avere una ragione invincibile che Fra Girolamo non iscrisse
nè forse pensò mai tali lettere nè alla celebrazione di un Concilio antipapale.
Questo non entra affatto nel sistema del Savonarola, anzi è il suo contrario.
Una riforma della Chiesa non fatta dai prelati della Chiesa, non fatta dalla
Chiesa, Fra Girolamo non riusciva a concepirla. Leggete la predica VII, 1* Vili,
e la XXIV sopra Ruth e Michea, e non avrete bisogno di altra prova a tener
salda la nostra tesi. « La Chiesa si rinnoverà » dice il buon Frate, « rinnove-
rassi e diventerà giovane, come diventa 1' aquila.... Scrivesi di lei che quando
ella è invecchiata, gli cresce tanto il becco di sopra che racchiude quello di
sotto e non può mangiare, in modo che si morrebbe di fame. Ma lei va a tro-
vare una pietra e tanto vi dà sopra del becco, che ella lo rompe e comincia a
mangiare e rinnovasi, e cascangli le penne vecchie e ne mette delle nuove, e
torna suso un' altra volta in alto ed è rinnovata ».
Accennato quindi l'ottimo Frate come la Chiesa primitiva era come aquila
giovane, ed enumerate le belle qualità di quella, segue lamentando che l'aquila
sia invecchiata, e poi grida: « Che s'ha adunque da fare? Va alla pietra, va a
Cristo, che è la pietra, percuoti il becco, piangi i tuoi peccati, da' sopra a questa
pietra, seguita la vita sua, va per la via di Cristo, ripiglia nuove penne, cioè buone
opere. E a questo modo sarà rinnovata la Chiesa ». Or qui chi potrebbe capire
un Savonarola che predica una riforma della Chiesa facendo in essa una rivolu-
zione? Forse che l'aquila è rinnovata da altri? è rinnovata da forze estrinse-
che? o non si rinnova piuttosto da sè e per virtù propria? 0 la bella immagi-
nazione adunque è intieramente fuori di proposito, o bisogna ammettere ancora
che, secondo Fra Girolamo, chi doveva rinnovare la Chiesa era la Chiesa stessa,
e non facendovi una rivoluzione.
Ma nel Savonarola vi ha di più: la Chiesa era guasta, ed egli la vedeva
guasta tanto da bisognare o che si rinnovasse, o venisse meno affatto. Non po-
tendo avvenire che la Chiesa mancasse del tutto, aveva egli adunque una fede
vivissima che Dio la rinnoverebbe e presto. «Dio vuole rinnovare la sua Chie-
sa; ma che bisogna fare? Bisogna abbondanza di Spirito Santo. Oh! Signore, se
tu vuoi rinnovare, bisogna grande abbondanza di Spirito Santo ». Questo prin-
cipio pone il Savonarola; e poi ne ferma un altro: che Dio nel mondo opera
per le cause seconde ordinatamente, e anche nella sua Chiesa segue quest'or-
dine medesimo ; e però in questa Dio ha voluto e vuole che 1' un uomo a cui
egli dà lo spirito illumini gli altri e sia causa della salute loro. Dio potrebbe
certo fare altrimenti, ma non è uso dipartirsi da questa regola. Ora 1' abbon-
danza dello Spirito Santo, la grazia di Dio necessaria a rinnovare la Chiesa
passa per Cristo, per la Vergine, per gli angeli, quindi ne' prelati, e finalmente
nel popolo. I prelati per il Savonarola sono nella Chiesa come i pianeti nel
(') Vedi 1» bella nota che il P. Ferretti fece alla pag. "iS della più volte citata Operetta
<lel Procter.
— 559 -
mondo: « Ai prelati tocca ad esser buoni e rinnovare poi gli altri, perchè mediante
loro, che sono seconde cause, discende la grazia di Cristo e lo Spirito Santo in la
tua Chiesa ». E se i prelati, e massime i superiori, sono universalmente cattivi?
Allora 1' abbondanza dello Spirito Santo Dio non è solito di concederla, e però
essi non possono fare buono il Popolo, e la Chiesa non può rinnovarsi. E che
suole avvenire, se i prelati e massime i superiori non vogliono convertirsi ? Dio
suole mandare il flagello. Questo farà buoni i superiori: acconciati i quali, si
starà bene anche disotto.
La conclusione di tutto ciò quale era? Che la Chiesa non poteva per al-
lora, e così subito, riformarsi: « La Chiesa, in questo tempo d'ora, non si può
rinnovare, perchè bisogna prima l'abbondanza dello Spirito, la quale non può
venir ora, perchè non è il tempo adesso. Dio non è consueto mandare lo Spi-
rito Santo, massime quando è guasta la potestà spirituale ».
Or ditemi, con questi principj a che gioverebbe pel Savonarola il Concilio
che i suoi nemici gli attribuirono di volere? Letteralmente, a nulla. E quindi, no,
io senza prove, e molto forti, non so tener per autentiche le famose lettere, e non
so credere tampoco che Fra Girolamo facesse davvero opera perchè il Concilio
s' adunasse in alcun modo. Guardate a questa luce capisco molto bene, o
panni, le calde parole che si leggono nella XIII sopra l' Esodo recitate appunto
nei giorni in cui sarebbero state ■ scritte le famose lettere:^) « Congrega-
vansi adunque li vecchi delti figliuoli di Israel. Che diremo sopra questo punto?
Questo è un bel punto, ma io il voglio riserbare ancora un pezzo e metterollo
qua nella scarsella, non è ancora tempo. Solo dirò questo: dimmi, Firenze, che
vuol dire Concilio ? Non è più memoria delli uomini che cosa sia Concilio.
Che vuol dire che li vostri figliuoli non ne sanno nulla? Che vuol dire che non
se ne sa oggi ? 0 Padre, e' non si può congregare. Tu di' forse il vero, che non
si può congregare, ma io non so se tu lo intendi come me. Concilio vuol dire
congregare la Chiesa; cioè tutti li buoni abbati, prelati e valenti uomini e se-
colari buoni della Chiesa. Ma nota che non si domanda Chiesa propriamente,
se non dove è la grazia dello Spirito Santo; quella è la forma della Chiesa, e
dove non è la forma della Chiesa, non si dice esservi Chiesa. L'occhio cieco non
è occhio, dicono i filosofi, se non equivoce; l'orecchio sordo non è orecchio, se
non equivoce; non bisogna adesso dichiarare questi termini, basta che vuol dire
in effetto che non vi è la forma dell' occhio nè dell' orecchio. E però dove si
troverà questa forma della Chiesa? Forse non si troveria la grazia dello Spirito
Santo, se non in qualche buono omicciuolo. Vuoi tu veder se ci è la forma? Da
ogni forma seguita la sua inclinazione ; dalla forma della gravità seguita la in-
clinazione di andare al centro, dalla forma della levità seguita l' inclinazione
dell' andare in sù. Quando ci era la forma della Chiesa, ci era la inclinazione
di andare tutti ad una unione, ed erano li cristiani tutti di un cuore e di un'ani-
ma, e allora si può dire che fussino congregati li vecchi d' Israel.
(') Raccomando al lettore tutta questa predica, essendo per l'argomento presente molto
importante. Essa l'u male intesa da parecchi.
- 560 —
« Ora non ci è più inclinazione, rna vedesi che ogni cosa è dissipata:
deve adunque essere mancata la forma, perchè, se la forma ci fosse, gli
seguiteria anche la inclinazione, e per questa cagione forse potresti dire
che non si possono congregare i vecchi figliuoli d1 Israele, che non si può
fare concilio. Parimente, nel concilio si ha da fare reformatori, che reformino
le cose guaste: chi saranno questi reformatori'? Perchè chi reforma deve esser
prima reformato lui, e però bisognarla adunque mettere la guardia alla guar-
dia. Parimente nel concilio si castiga i cattivi chierici, si depone il Vescovo che
è stato simoniaco o scismatico. Oh! quanti ne saria deposti! E non ce ne rimar-
ria forse nessuno. Parimente, si fa che nelli concilii 1 buoni sieno favoriti e i
cattivi castigati, ma chi ha a gastigare li cattivi bisogna che manchi d' ogni
vizio, e chi gastiga non meriti esser castigato; non si potrà adunque fare
questo concilio, non si possono congregare questi vecchi d' Israele. Che si ha
adunque a fare? Fate orazioni che Moisè ed Aaron si possano congregare
insieme e andare a congregare li vecchi dei figliuoli d' Israele e favorire li
buoni ed aiutare chi vuol fare bene ». (Sopra l' Esodo, pred. XIII, fatta il ve-
nerdì dopo la prima domenica di quaresima il 9 marzo 1498.)
E infatti che possono fare altro i buoni cristiani, quando i prelati sono
universalmente guasti, e non scende per mezzo loro lo Spirito Santo, l' ab-
bondanza dello Spinto Santo nel popolo? Volgersi a Cristo, chè questo è
l'estremo rimedio, volgersi a Dio, e pregare per la riforma della Chiesa, pregare
Dio perchè faccia buoni i prelati, segnatamente i superiori, faccia buoni, an-
che col flagello, se questo è necessario, Mose ed Aronne, per modo che si pos-
sano congregare; congregare i capi, il Papa ed i Prelati, e congregare i figliuoli
d' Israele e favorirvi i buoni ed aiutare chi vuol far bene, riformare la Cniesa.
E questi ultimi son pur pensieri del Savonarola, e mi fa meraviglia che non
v'abbia badato il Procter ; e credo non gli sarà discaro vedere che proprio Fra
Girolamo, anche in questa gravissima faccenda, pensò e fece, come egli dice
che si deve pensare e fare, come dice che si deve pensare e fare anche il Pa-
stor: come dicevano e pensavano tutti i buoni e retti cattolici che vissero prima
del Concilio di Trento. Basta a provar ciò l' ultimo sermone eh' egli recitò
al popolo dal pulpito la quaresima del 1 49S : questo sermone è uno de'più
gravi che siano usciti dalla bocca di Fra Girolamo : il predicatore deve pi-
gliare licenza dal popolo, perchè Roma e Firenze gì' impongono di tacere, nè
potrebbe ornai parlare più senza un qualche pericolo di scandalo; piuttosto
che tacere, vedendo necessaria la predica alla salute della città, si sarebbe egli
lasciato uccidere: ma a ciò bisognava che Firenze lo appoggiasse, cioè: che il
popolo e la Signoria, che rappresentava il popolo, stimassero necessario il suo
predicare; bisognava fosse notorio ch'egli non infrangeva gli ordini pontificj,
perchè questi eran nulli: l'invito di tacere venutogli da Firenze dopo i ripetuti
Brevi da Roma, poteva fargli pensare che oramai le cose cambiavano, rispetto
alla città nella quale egli si trovava: crescevano di giorno in giorno in quella gli
amici del Moro, i quali volevano ad ogni modo uno scandalo per farvi muta-
zioni e novità. Il Frate si consigliò e gli parve il meglio tacere: e taceva,
— 561 —
senza speranza forse di poter risalire il pulpito mai; senza speranza di poter
condurre in porlo la sbattuta navicella di Pietro. Che aveva fatto egli fin qui?
Aveva tentato ogni mezzo, perchè si racconciasse la vigna di Cristo, ogni
mezzo per far persuaso Alessandro VI ch'egli era un buon figliolo della Chiesa,
umilmente soggetto alla potestà delle somme chiavi, che quegli teneva nelle
mani. E ora? Egli non ha vinta la battaglia, non ha riportata la vittoria defi-
nitiva: i figli delle tenebre trionfano sopra i figli della luce: egli ha perduta
ogni speranza che Alessandro VI voglia provvedere agli urgenti bisogni della
Chiesa....!! E che fa egli? che dice ai seguaci suoi di fare? Voi l'accusate di
tentare una rivoluzione: io dico che si volge a Cristo e prega. Scorriamo la
predica citata, la XXII sopra l'Esodo, e vedremo chi ha ragione: Ecco, si co-
mincia col fare un lungo ragionamento scolastico intorno alle varie cause del-
l'universo e all'armonìa che legale insieme: leggetelo e procurate di fermare
il punto, e poi, nell'aridezza dei sillogismi e de' termini scolatici, vi troverete una
forza straordinaria, che molto calza al nostro proposito. Qual è questo punto?
Eccolo: « Quando manca la causa particolare bisogna ricorrere alla universale.
E quando mancasse la particolare e la universale, come s'ha da fare allora?
Hassi a ricorrere a Dio causa universalissima. Onde, quando fu serrato il cielo
al tempo di Elia tre anni e sette mesi, mancava la causa particolare e la uni-
versale; e però Elia disse al Re Acab, che bisognava ricorrere a Dio causa
universalissima, e fare orazione. Hanno adunque gli uomini questo istinto, che,
quando mancano tutti i rimedj e le cause particolari e le universali, ricorrono
a Dio causa universalissima.... ».
Fermata questa verità parlando dell' ordine naturale, Fra Girolamo passa
a discorrere delle opere soprannaturali di Cristo e parla in modo assai compiuto
della gerarchia ecclesiastica, cominciando dal parroco e andando fino al Papa:
e insegna, come già abbiamo visto nei capitoli XXIII e XXIV, che gradatamente
si ha da ricorrere a tutte queste cause, su su fino all' ultima, quando v' è da
provvedere a qualche disordine nella Chiesa. E se le cause particolari, e la
stessa causa universale, che è il Papa, non vi provvedono? « Se tu vedessi che
i prelati e le cause universali della Chiesa la guastassero e che danno animo
ai cattivi, e aiutanli, e favorisconli, e perseguitano i buoni, che si ha a fare
allora? Hassi a resistere a questa influenza: hai a fare orazione, e ricorrere a Cri-
sto, questo è quanto rimedio tu hai Tu hai adunque inteso, che quando le cause
universali non provvedono, o che danno cattiva influenza alla Chiesa, eh' egli si
ha a incorrere a Cristo, e dirgli: Tu se' il mio prelato, il mio parrocchiano, tu
se' mio vescovo, tu se' il mio Papa. Signore mio Gesù Cristo, provvedi alla tua
Chiesa, provvedi al tuo universo; leva via questa influenza cattiva. È neces-
sario adunque che i cristiani vogliano esser cristiani, e che quando mancano le
cause universali, si riducano a Cristo, e facciano orazione, e che lui provveda
alla sua Chiesa, e al suo universo. Io 1' ho fatto, (*) e dicolo qua in presenza
(') E lo fece davvero: e sarà buono che il lettore veda l' Orazione per la Chiesa, la
splendida esposizione del Salmo: Qui regia Israel; il Lamento della sposa di Cristo contro i
36
— 562 —
di ognuno, che tu, Signore, hai udita la orazione e hai promesso di esaudire e
di soccorrere e presto.... ».
E nella predica XXIV sopra Ruth e Michea, nella quale discorre a lungo
e di proposito dei mali che affliggevano la Chiesa e specialmente della corru-
zione de' prelati, dopo d' avere fatto terribili minacce ai guastatori della vigna
di Cristo, notando che le cose eran giunte al punto che non si poteva più vi-
vere, perchè chi vuol far male ha licenza, ma non chi vuol far bene; dice:
« Noi combatteremo con tre cose e terremo 1' Onnipotente con esso noi. La
prima sarà la fede, la seconda l'orazione, la terza la pazienza; con le quali
tutte pregheremo che il Signore venga a purgare la Chiesa sua, e diremo:
Excita, Domine, potcntiam tuam et veni, ut salvos facias nos. Che stai tu a fare,
o Signore? Mostra la tua potenza. Dice la Fede, dice V orazione, dice la pa-
zienza de' buoni che tu venga a salvarli. Dimostra, Signore, la faccia tua un
poco ai tuoi eletti. Ora ecco la guerra, e come abbiamo a combattere e am-
mazzare con la orazione e vincere.... ».
Oh in verità anche qui mi pare che il Domenicano d' Inghilterra e lo sto-
rico d' Innsbruck possano lietamente stringer la mano al Frate di San Marco:
egli pensava e faceva, quando la Chiesa era nelle mani di quel vituperio che
fu Alessandro VI, ciò che essi ora dicono che in tali casi bassi a pensare e fare.
In vero che con tutto il fuoco che gli scaldava 1' anima, Fra Girolamo sapeva
contenersi ne' difficili momenti ne' quali si trovava. Non alteriamone la figura,
e poi vedremo eh' essa ci appare ognora mirabile.
Nè qui sta il tutto: un Concilio quale avrebbe tentato di raccogliere il Sa-
vonarola secondo 1' opinione contenuta ne' passi degli autori da noi or ora
citati, e specialmente del Pastor, non è concepibile nel Frate di San Marco
per un'altra semplicissima ragione: Quando avrebbe egli tentato di farlo, era
impossibile che ottenesse immediatamente l' effetto di riformare la Chiesa,
senza mandare a terra tutto il programma profetico predicato e sostenuto e
difeso con tanta forza per otto anni. Persino dalle proposizioni che si dovevano
provare con 1' esperimento del fuoco appar chiaro che alla riforma doveva
precedere il flagello: La Chiesa di Dio sarà prima flagellata e dopo i flagelli sarà
tiepidi, ed esortazione ai fedeli di Cristo, afflnchi preghino per la rinnovazione ; la chiusa
del discorso l'atto al clero a' di 11 febbraio 149^, parafrasi inarrivabile dell'Orazione di Ge-
remia Jiecordare Domine; l'Esposizione del Salmo Miscrere; l'esposizione del ialino In te, Do-
mine, speravi. Per il punto che ci occupa, questi scritti hanno un'importanza massima e non
so capire come siano sfuggiti non solo al Pastor, ma anche agli altri egregi citati nel testo
di questo capitolo. Son persuaso che l'animo del l'astor leggendoli, godrà una vera consola-
zione. Non è per noi senza pena il non poter qui trattenerci a parlarne a lungo, e il doverci
contentare d' indicarli. Rimedi il lettore vedendoli intieri da sè stesso. Sono da annoverarsi
tra le migliori cose che abbia l'ascetica cattolica. Nel Lamento, la Chiesa dopo di aver enume-
rati i mali che l'affliggevano, finisce con questa esortazione: « Cosi, figliuoli miei, voi che siete
lamia gioia e la mia corona, e i quali nutrite ne' vostri cuori la speranza della telieitii, non
cessate d'implorare in favore di tutti i fedeli e de' vostri propri nemici Colui che ama l'animn
mia, supplicatolo di venire quanto prima a me. Vieni, oh! vieni, mio diletto, perché io lan-
guisco d'amore, finché io dorma con te sul mozzo giorno, e il mio cuore riposi sul tuo petto,
o Tu. che vivi e regni ne' secoli do' secoli ».
— 563 —
riformata e rinnovata: Ecclesia Dei flagellabitur, et post flagella reformabitur et
renovabitur. E fra Girolamo non cessò mai un momento, mentre che visse, di
dire che il flagello non era ancor venuto, che Dio aveva, si, cominciato ad al-
largar la mano, ma che era un nulla ciò che s'era visto e si vedeva, appetto a
quello che doveva succedere nella Chiesa, neh' Italia, e segnatamente a Roma.
Un solo rimedio vi sarebbe stato, un solo mezzo per alleggerire e render men
grave il flagello: penitenza: penitenza da parte de' principi cristiani e sopra
tutto d'Italia, penitenza da parte del popolo, penitenza in ispecie da parte del
Clero. Ma si era fatta e si faceva questa penitenza? Erano i cristiani del seco-
loXVquali furon i Nini viti dellaBibbiaPCome adunque si poteva sperar la riforma
senza il flagello?... Sentite ancora una volta, prima eh' egli discenda per sempre
dal pulpito, il profeta vaticinare sopra la Chiesa e l' Italia.... « Questo dice il Si-
gnore: Io ti farò stupore di tutto il mondo; e gli amici tuoi saranno tagliati a
pezzi da' nemici tuoi, e da' barbieri che verranno neh' Italia, e morrannone una
grande parte de' tuoi amici nel coltello. Io darò Giuda e la sua regione nelle
mani del Re di Babilonia. Questo vuol dire: 0 Italia, tu sarai data nelle mani
di gente fiera, gente barbara, che non si diletterà se non di far male, e di
amazzare uomini e veder sangue. Questi saranno barbieri crudeli come leoni;
e chi verrà di qua e chi di là. Italia, tu sarai data in mano di genti strane; e
ognuno di loro s' ingegnerà di far male, e il peggio che potranno; ed a Roma
sarà peggio che a tutte le altre città. La vostra roba e i vostri tesori e ogni
vostra sostanza sarà data nelle mani loro. Ognuno s' ingegnerà di averne più;
e beato a chi più ne potrà rubare! E combatteranno poi insieme questi bar-
bieri. E a te dice: fa' pur, che tu andrai in cattività di Babilonia, tu e gli abita-
tori di casa tua, e gli amici tuoi che ti saranno restati.... ». (Predica XXII so-
pra l'Esodo. Cfr. il Pastor a pag. 3 i 9.)
Di questo il Frate era tanto persuaso che già nel 1496 asseriva ch'egli da
parecchi anni faceva orazione perchè Dio mandasse presto il flagello: « A vo-
lere rinnovare la Chiesa e che gì' infedeli si convertino, bisogna fare questa
orazione, che venga la pestilenza, che venga la spada e che si faccia sangue,
poiché i cattivi non si vogliono convertire. — 0 Frale! non vorresti tu che gli
avversarj si convertissero? — Sì, ma e' sono venuti in luogo, che Dio sa se si
possono convertire.... — 0 Frate, tu vuoi fare orazione che Dio faccia il male? —
E' non si può fare altrimenti. Io dico che voltiate le orazioni; perchè Dio vuol
farlo, la Vergine lo vuole fare, gli Angeli e ognuno vogliono fare questo male
contra i cattivi che non si vogliono convertire. Questa non è crudeltà, no. Que-
sto non si fa per volere il male, ma perchè non si può fare altrimenti. — 0
Frate, fai tu questa orazione? — Si, ed è parecchi anni ». (Sopra Ruth e Mi-
chea, pred. XXIV, conf. anche la XIV.)
Anche per questo io non so per alcun modo capire come Fra Girolamo
entrasse in questa cosa del Concilio alla guisa che il Pastor vorrebbe : egli con
ciò avrebbe dato una prova evidente di non aver fin qui predicato la verità e
di non esser chiaro, come asseriva di essere; e di non esser daccordo con se
medesimo, ma di disdirsi. Tutto è possibile al mondo; ma io non so persua-
— 564 —
dermi, nè devo credere che nella vita di un uomo, e specialmente di un uomo»
della tempra e della intelligenza di Fra Girolamo, vi siano contradizioni, se
non quando esse sono rigorosamente provate: e qui non è davvero il caso. E
chi mi dà diritto di pronunziare un giudizio tanto grave che contrasta a tante
verità chiare incontrastabili, poggiandomi unicamente sopra alcuni scritti per
lo meno assai dubbj e non tenuti concordemente autentici e genuini? In verità,
ove Fra Girolamo avesse tentato di radunare il Concilio, come alcuni vogliono,
allora s' avrebbero a tener giuste, se non autentiche, le parole eh' egli avrebbe
risposto ai Commissarj che lo interrogavano al proposito: « 0 frate, ove sei
tu condotto! E cominciò a piangere e dolersi e disse: quando io penso come
io sono entrato in questa cosa, non posso fare non mi dolga, che vi sono en-
trato non so come, me lo pare sognare.... ». (') Ma queste parole già sono per
me un vero indizio che V enormità della cosa e la stranezza dell' accusa si mo-
stravano evidenti agli stessi giudici del Frate, i quali non sapevan mantenerla
neanche in grado molto più tenue, clie non fanno le lettere ai principi, senza
mostrar in contradizione con sè stesso il torturato e farlo pazzo.
Ma dunque dovremo assolutamente relegare tra le fandonie il tenta-
tivo che avrebbe fatto il Savonarola di radunare un Concilio, e anche il pen-
siero di rivolgersi per questo a principi secolari? No; io non affermo che cosi
proprio s' abbia a credere, ma solo che il Frate non fece pratica, perchè si ra-
dunasse un Concilio senza il Papa e contro il Papa. Nè anche dai processi fal-
sificati, dove pure si sa quanto il Frate fosse torturato perchè svelasse le
fila di questa faccenda, che pur si sapeva da altri ordita e che doveva esser
tanto paurosa ad Alessandro VI e a molti de' suoi, raccoglierete in modo chiaro
che egli abbia stretto pratiche a ciò con quei cardinali e principi che lo vo-
levano fare. Tutto quello che si potrà dare sarà ciò che risulta dai passi, già
trascritti, delle lettere che avrebbero dovuto precedere quelle del Savonarola,
e dalle deposizioni di coloro che le avrebbero scritte o trasmesse : tanto vi po-
trei concedere, sebbene non sia del tutto disposto a concedervelo senza meno
come fatto indubitalo, così come sta nei processi, parendomi che, nel caso, gli
esaminati avrebber forse potuto allora esser più sottilmente ricerchi dalla in-
quisizione sospettosa di Alessandro VI ; ma pure abbiatevi come pensiero del
Frate tutto ciò che si legge in tali documenti; che avrebbe fatto in caso od
acconsentito che si facesse il Riformatore fiorentino? Nulla di veramente im-
prudente o illecito; nulla di quanto gli viene attribuito dal Pastor. Infatti la
sostanza di questi scritti sta tutta qui: nel sollecitare i principi cristiani non
perchè raccogliessero essi un Concilio contro Alessandro VI e per deporre
Alessandro VI, ed esaltare Fra Girolamo, ma perchè facessero quanto era in
loro e da loro perchè si raccogliesse un Concilio proprio e vero, atto a prov-
vedere ai mali della Chiesa; e non un conciliabolo per aggravare i mali già
esistenti con pericolo di generarvi il pessimo di tulli i mali, l'eresia e lo sci-
(') Villari, II, img. cxuij; cf'r. anohe pag. clxxxix e olxx.
— 565 —
sma, Quindi ne' citati documenti è detto non che i principi facesser Concilio
semplicemente, ma « i debiti Condili elle già erano usati farsi; i debiti Concilii,
come già si soleva ». (')
Or dove trovate dunque modo di sostener le accuse novellamente ripetute dal
Pastor ? E notate che tuttociò il Frate non faceva perchè avesse speranza che
il Concilio si radunasse subito, ma solo perchè la mente de' principi si volesse
disporre a quello ; ciò è chiaramente espresso a pag. cxciv de' processi falsi-
ficati : dove è detto ch'egli « allora non aveva pensato di muovere il concilio,
ma che altri lo movesse e lui poi seguitarlo e aiutarlo ».
Ecco adunque intero il disegno e tutta l'opera di Fra Girolamo: La Chiesa
va male, e va male specialmente per la corruzione del clero: va male perchè
ogni dove è pieno di simonie; non provvedendosi, pare debba andars in terra
il fondamento della fede, che è l'autorità de' buoni capi ; Dio non può aver
deliberato di lasciar mancare la sua Chiesa; dunque bisognerà riformarla e
rinnovarla. Ma Dio prima la flagellerà. Quanto è terribile il flagello che è
preparato specialmente all'Italia e a Roma! Ma perchè è sorta questa tem-
pesta ? Per la chierica: per te, o chierica, è sorta questa tempesta. (*) E chi la
potrà sedare? Dio solo, per mezzo della chierica. Ma questa non è in caso e
in stato da potere a lei ricorrere! Dunque deve rifarsi sana prima essa, e poi
si rifaranno sani gli altri. Se il clero fosse riformato, e facesse penitenza, e
predicasse penitenza, potrebbesi forse rimuovere o almeno mitigare il flagello.
Ma chi potrebbe muovere il chiericato e segnatamente i prelati e il Pontefice a
volgere i passi per la via diritta? a lasciare i pensieri della terra e a pigliarsi
cura della sbattuta nave di Pietro? I potenti, i principi cristiani, che sono l'al-
tro muro della Chiesa, che sono lo scudo della Chiesa.... Perchè non lo fanno?
In nome di Dio invitiamoli a farlo. Ecco tutto il disegno e tutta 1' opera del
Frate di San Marco.
E aurea a questo proposito e per me anche decisiva una postilla che
leggo negli Scritti Inediti al Capo V de' Treni di Geremia, chiosando i quali,
il Savonarola tratta appunto della materia presente: Potestatum temporalium
oportet opem implorare. Praelati enim non movenlur nisi respectu talium. Quello
che Fra Girolamo avrebbe, se mai, chiesto ai principi cristiani sul finir della
sua lotta non è dunque punto dissimile da quello che fin da principio aveva
domandato a Carlo Vili e a tutti i potenti volonterosi, a tutti i prelati, ad
ogni e singolo cristiano: s'adoperasse ognuno, secondo le proprie forze, per
coltivare in sè e negli altri la vigna di Cristo: i principi in particolare avrebber
potuto con più effetto fare 1' ammonizione a' prelati corrotti e ridurli sulla buona
via. Il Savonarola adunque non verrebbe qui meno a sè stesso, non invoche-
rebbe l'aiuto de' potenti della terra perchè s' intromettessero essi nella riforma
della Chiesa, e si usurpasse un ufficio a loro non commesso ; ma solo perchè
(') Cfr. anche nel Villari, pag. clxx e seg., i processi falsificati.
(2) Cfr. la predica I sopra Aggeo profeta, e la prod. Ili sopra i Salmi.
— 566 -
movessero i prelati a compiere ciò che loro spetta. Quando questi principi fos-
sero stati tanto presuntuosi e arditi di ingerirsi nelle cose ecclesiastiche oltre
a quanto era loro consentito, il severo Frate di San Marco avrebbe levata la
sua voce, e come già ai suoi Fiorentini, avrebbe detto anche a questi che, così
facendo, essi cadevano nella scomunica, ed erano come consegnati nelle mani
del Diavolo. (') Tutto quello che potrei concedere si ridurrebbe tutto qui : es-
sendo notoria la vita del Papa ed ancor più notorj i bisogni della Chiesa, i
principi farebbero opera buona ad ammonire il Borgia a lasciar la vita pecca-
minosa e dar opera alla riforma da tutti invocata e da lui stesso disegnata. Era
una correzione che potremmo dire fraterna, un incitamento al bene, e nulla più.
Per questa guisa a me pare che cadano senza meno tutte le gravi accuse
che il Pastor move a Fra Girolamo. Invece di biasimarlo, potrà anche qui lo-
darlo ognuno che abbia zelo per l'onore e la santità della Chiesa. (2) Una sola
accusa potrebbe ancora stare in piedi: che il Savonarola ritenesse il Concilio
superiore al Papa. Tiegge quest'accusa? Nelle Opere e nella vita del Savonarola
io non sono riuscito a trovar nulla che valga a giustificare chi la pone. Non
mi valgo a difesa del Savonarola di ciò che alcuni affermano, che allora
tra i cattolici la questione non era decisa ; ma noto semplicemente eh' io
non ho conosciuto affatto, nè mi son mai potuto accorgere che Fra Giro-
lamo insegnasse o ricettasse nella mente una teoria siffatta. Tutto quello che
disse alcuna volta è questo, ch'egli si sentiva di sostenere la verità della sua
dottrina anche al cospetto di un concistoro: « Io mi vorrei trovare in un con-
cistorio, dove io avessi a difendere questa verità, che io non mi curerei di
morire per quella. Scrivete voi a Roma a quelli savj, che vengano, che io son
parato a difendere questa verità contra a tutto il mondo e con ragione e altro
e con quello che vorranno... ». (Sopra Amos, pred. XIX.)
Questo è tutto quello eh' io ricordo d' aver letto nel Savonarola al ri-
guardo. Ma chi ardirebbe trarre quindi qualsivoglia pretesto a presentare la
gravissima accusa ? Vorrà alcuno vedere almeno un' ombra che così pensasse
Fra Girolamo nella lettera contra sententiam Excommunicationis contra se nuper
iniuste latam? Acuisca un poco la vista, e l'ombra scomparirà affatto, mutan-
dosi in lucido sereno. Il Frate di San Marco cita ivi un passo del Gerson, che
dice tale teoria esser opinione di molti, ma in tal passo nemmeno il Gerson
pare voglia far sua questa opinione, e non la fa sua in nessun modo il
Savonarola, che dell'autorità del Gerson si serve per tutt' altro scopo.
E poi io ho anche una ragione per credere che davvero Fra Giro-
lamo non seguisse la dottrina che il Concilio sia superiore al Papa: questa
non è dottrina del suo Ordine; ed il Savonarola, già lo abbiamo visto, era
pur solito, per negare che gli errori e le eresie appostegli fosser sue, di ad-
durre a prova che questa o quella non era dottrina dell'Ordine; che P Or-
(') Vedi sopra, pag. 104.
rt Cfr. il Buyonne, pag. 184-185.
— 567 —
dine non la teneva (pag. 283). Perchè avrebbe dovuto pensare altrimenti in
questo caso?
Del resto il Frate dice esplicitamente che la riforma doveva farsi col Papa.
Anzi aggiunge eh' essa avrebbe potuto essere anche con Alessandro VI, seb-
bene egli credesse che non sarebbe; e pur troppo non s'ingannava! Quello
che il Savonarola voleva, era solo che il Papa fosse buono, fosse santo; fosser
buoni, fosser santi i prelati. Dato questo, la riforma verrebbe; senza questo,
non mai.
Qui potrei dilungarmi di molto se non lo credessi inutile, e se non ba-
stasse a provare buona la nostra opinione la predica XXXVII sopra Amos e
Zaccaria, la quale è per il punto presente di massima importanza: (/) vi si
discorre appunto della riforma e rinnovazione della Chiesa e del Papa Ange-
lico C) destinato dal Cielo a compierla, e vi si illustra tutto intiero il ca-
pitolo III del Profeta Zaccaria : leggiamone alcuni passi. « Nota che Dio fa
tre generazioni di cose, artificiali, naturali e soprannaturali. Prima nelle
artificiali Dio non usa farle se non per gli artefici proprj : onde non usa
mai fare le dipinture, se non per mano del dipintore, nè le scarpette, se non
per mano del calzolaio. Nelle cose naturali usa instrumenti naturali, come il
cielo e gli elementi e la terra e le altre cose naturali. Nelle soprannaturali usa
ancora instrumenti soprannaturali per indurre gli uomini al ben vivere: perchè
i filosofi non poterono mai, con le ragioni naturali, disporre gli uomini al ben
vivere; ma bisogna la fede. Ma e' non basta anche l' instrumento soprannatu-
rale, perchè e' bisogna che sia disposta la materia al dipintore, quando egli
vuol fare la figura, e bisognangli i colori. Al giardino non basta solo l'influsso
del cielo per fruttificare; se vi fosse acqua e rena, e non terra, non vi saria
frutto. Prima adunque è necessario nelle cose soprannaturali avere un instru-
mento soprannaturale, e levar via la materia cattiva. E però ti dico che in que-
sta rinnovazione della Chiesa, che è cosa soprannaturale, si farà un Papa santo,
e buono, perchè faccia gli altri santi e buoni.... Manderà Dio un Papa santo,
o questo o un altro, perchè può far santo questo, se vuole. — O che credi tu
Frate? Credi tu che sia questo Papa, o un altro? — Io credo che sia un altro :
io non ti dico per questo che immediatamente dopo questo Papa abbia a ve-
nire quello santo: non dico sì, nè no, perchè non ho a dire questo. — Lo hai
tu veduto, o Frate? — L'ho veduto, e dicoti, che egli è già preparato. — Cono-
scilo tu? — Io ti dico il vero: e' non mi pare averlo mai più visto. — Ben,
Frate, donde è egli? — Io non so s'egli è italiano, o francese, o fiorentino o
d'altro luogo. — Dove è egli0 — Io non so dove egli sia: Dio volesse ch'io il
sapessi, chè io lo andrei a trovare. — Tu v'andresti forse perchè ti desse un cap-
pello rosso? — Tu non lo intendi: io ti avviso che non sarà allora questi tempi,
nè tanti cappelli, nè tante pompe; ma fuggirannosi allora i vescovadi e i cappelli.
(') Il Frate espone in questa predica il capitolo III del profeta Zaccaria ed assume
per testo il 1 versetto, il quale esprime assai bene il pensiero che e' vuole svolgere in essa.
(') Vedi Del Fapa Angelico del Medio Eco negli Scritti vari del P. Marchese.
— 568 —
Bastati sapere ch'egli è preparato; sì che potete comprendere per questo che
il tempo è presso. — Tu il di' tu questo ; io non ti credo, Frate. — Io non me
ne curo che tu mi creda: tu lo vedrai poi. E il Signore mi fece vedere Gesù
sotntno sacerdote: questo sacerdote grande adunque si chiamerà Gesù, cioè Sal-
vatore: non che sia Gesù, nè che abbia nome così, ma perchè discenderà dal
nostro Salvatore Gesù che stava in piedi dinanzi all'Angelo del Signore; cioè:
starà questo Papa dinanzi all'angelo grande. Alcuna volta questo angelo grande
si piglia per il Salvatore: sta dinanzi all'Angelo, cioè dinanzi a Dio per essere
illuminato, e sta sempre in orazione. — Dicci adunque se questo sta adesso
così dinanzi all'angelo. — - Io non lo so questo: io credo però che stia molto
in orazione. E Satana stava alla destra di lui per fargli contro: Satana se ne è
avvisto di questa cosa, e sta continuamente alla destra sua per impedirlo. La
destra significa i beni spirituali, i quali Satan ha in odio; perchè quanto più
la Chiesa si rinnoverà, tanto saranno più beni spirituali... ».
Ma, dice il Frate, Satan non potrà poi più avversare, come ha fatto per il
passato...., chè il Signore lo increperà e reprimerà.... E quindi, dopo d'aver enu-
merate molte belle qualità e doti di tale gran sacerdote o pontefice e invitato
tutti, e specialmente il clero a riformarsi, continua a parlare di quello, e poi
passa a dire qual sarà la Chiesa rinnovata: « Era vestito questo Gesù sacer-
dote di panni sordidi e si stava dinanzi all' Angelo. Il quale disse a quelli che sta-
vano alla sua presenza: Levategli la sordida veste.... questo significa che il no-
stro sommo sacerdote e pontefice, il quale ha ad essere eletto in questa
rinnovazione della Chiesa, che Dio lo vuole purgare da ogni macchia e da ve-
stimenti sordidi, e mettergli vestimenti di tutta purità. Secondo, significa, che
i Cristiani e gì' infedeli, che sono vestiti di vesti sordide e di peccati, si hanno
a rinnovare, e mettersi vesti nuove; cioè avranno a far bene e a vivere in un
altro modo ».
Ma queste cose, già lo sappiamo, verranno dopo il flagello, perciò il Frate
dice che gli stessi angeli paiono desiderare che questo venga presto: essi chia-
mano i barbieri e li invitano a sollecitare l'opera loro, la quale verrà al suo
tempo.... « E disse a lui: Ecco che io ho tolta da te la tua iniquità, e ti ho rive-
stito di abito da festa: cioè, allora il Signore Gesù dirà al pontefice nuovo, e
alla Chiesa : Ecco che io ti ho levato dal corpo tuo le vesti brutte, e ti ho ve-
stito di buoni uomini, che vivano bene. E soggiunse: Mettetegli in testa una
tiara monda; e gli misero sulla testa la tiara monda e lo rivestirono... Disse il
Signore agli angeli: Mettete sopra il capo suo la corona, e che egli abbia po-
testà sopra tutta la Chiesa; poi l'angelo gli dà la illuminazione di quello che
egli ha a fare : Queste cose dice il Signore degli eserciti i. Se tu camminerai nelle
mie vie, e osserverai le mie cerimonie, tu pure sarai giudice della mia casa e
sarai custode del mio tempio, e darò a te alcuni di questi che sono ora qui presenti
che vadati teca: dice il Signor nostro al Pontefice nuovo: Vien qua, egli è ne-
cessario al governo tuo, che tu faccia in prima tu, e che facendo insegni ad
altri: e non basta, che tu faccia bene per te; ma bisogna ancora che tu faccia
bene ai poverelli, e che tu custodisca la casa mia ; e che tu stia vigilante in
— 569 —
orazione come buon custode: e però, se governerai bene le mie pecorelle, tu
giudicherai meco il di del giudizio. Parimente, gli angeli saranno teco, e go-
verneranno tutto l'universo. Questo è un adiutorio, che hanno avere i buoni.
Ora sta ad udire quello che sarà poi: Ascolta, o Gesù, sommo sacerdote, tu e i
tuoi amici, che abitano presso di te che sono uomini da portenti....; dice il Signore
a quel sacerdote grande ; poi che saran passate le tribulazioni, odi, tu e gli
altri tuoi vescovi, e cardinali, e gli altri ministri tuoi, che resteranno nella
Chiesa dopo le tribulazioni, e stanno continuamente dinanzi a me in orazione,
perchè sono uomini che desiderano il bene, voi sarete tutti consolatile io man-
derò il mio servo Oriente che vi consolerà. Ecco che io farò venire il mio servo,
l'Oriente. Queste parole sono del Padre, che parla del Figliuolo, e chiamalo
servo suo in quanto uomo, e Oriente in quanto che nasce dal Prdre solo
eterno. Io 1' ho scolpito, dice il Padre, nella mente degli uomini, e de' tuoi au-
ditori; e verranno giù gli angeli e Cristo e converseranno in questa Chiesa.
Perchè questa è la pietra eh' io ho posta innanzi a Gesù, sopra quest'unica pietra
sono sette occhi: ecco io metterò, dice il Signore, una pietra inanzi al Sacerdote
grande, nella quale saranno sette occhi. E la pietra era Cristo. Questa pietra
sarà la vostra fortezza nelle tribolazioni e in ogni cosa. I sette occhi sono i
sette doni dello Spirito Santo: un occhio risguarda Dio e il prossimo; tra'
quali uno risguarda in su al governo de' superiori, cioè a' sacerdoti e chierici,
che non sieno cattivi ; l'altro risguarda in giù agli inferiori, cioè al popolo, e
a' secolari, e vuole che sieno buoni gli uomini e le donne. Terzo alla destra
avrà le contemplazioni, o vero i buoni confortandoli a perseverare; quarto alla
sinistra le opere della vita attiva, t vero i cattivi per convertirli; quinto, di-
nanzi riguarda le cose passate degli Apostoli e dei Profeti, per imparar da loro
il ben vivere e la pazienza; sesto risguarda dietro considerando le cose future
del di del giudizio, e delia gloria de' beati, sperando a quella pervenire. Ecco,
che io collo scalpello la lavorerò, dice il Signore degli eserciti : io scolpirò, dice il
Signore Cristo, nel cuore degli uomini il nome mio, e le predicazioni allora fa-
ranno frutto e spargerassi Cristo per tutto il mondo. E in un giorno torrò via
V iniquità della terra: voglio tor via, dice il Signore, tutte le iniquità di Mao-
metto, e voglio fare quella terra bella, e tutta piena di bontà. In quel giorno
l'amico inviterà l'amico ad andare sotto la sua vite e sotto il suo fico: sarà al-
lora tanta quiete e tanta dolcezza, che l'un amico chiamerà l'altro alla vigna,
cioè alla Chiesa, quanto a quelli che si staranno al secolo; e sotto al fico, cioè
alla religione. Tutti staranno consolati, e diranno: Venite alle predicazioni, e
ognuno guiderà l'altro alle cose spirituali, ed empierassi il mondo di dolcezza ;
ancora si abiteranno quelli eremi dell' Egitto, come l' ho detto altre volte ; e
sarà il Crocifisso adorato in mezzo il mondo, e in mezzo della Chiesa; e avremo
trionfi e gaudj in questo mondo, e nell'altro la gloria ».
Ecco adunque tutto il pensiero del Savonarola: La Chiesa sarà fatta santa,
non dagl'imperatori, ma da un Papa santo, o da Alessandro VI o da un altro.
Che bisogno aveva egli adunque per la sua riforma di chiedere la deposizione del
Borgia ? Questa bella visione del Papa santo torna abbastanza sovente nel Savo-
— 570 —
narola e la si legge anche negli Scritti Inediti; e non è mai tale da escludere in
modo assoluto che egli possa anch' essere il Borgia, sebbene pur troppo colla
vita di costui e di molti de' prelati suoi il Frate di San Marco vedesse chiaro
che ad una vera riforma non era punto facile che si venisse. Purtroppo come
di altre immagini di Fra Girolamo così anche di questa si abusò da' nemici
di lui, tanto che se ne parlò poi ne' processi, sebbene senza frutto; ma in
questa medesima predica sopra Amos e Zaccaria egli dice esplicito che con
siffatta concezione non intendeva di preparare altro papa: « Or ben, fatti in-
nanzi, cancelliere nostro, tu scriverai a Roma, eh' io ho preparato un altro
Papa : scrivi, questa proposizione è pur vera, che quando sarà morto questo
Papa, se ne avrà a fare un altro. Tu non puoi scrivere altro, ina tu saprai ben voi'
gere le parole a tuo proposito.... ».
E pur troppo a loro proposito seppero ben volgere le parole del Frate i
cancellieri del Moro e gli Arrabbiati e i Compagnacci ; ma non imitiamoli noi:
siamo verso il grande Riformatore più equi e più benigni ; e però non ripe-
tiamo contro di lui certe sentenze generali senza aver prima visto le ragioni
che le giustificano. Non ripetiamo più che il Savonarola aveva piena la testa
della teoria che fa il Concilio superiore al Papa; non ripetiamo più eh' egli
voleva un Concilio senza e contro il Papa, non ripetiamo più ch'egli voleva
una riforma nella Chiesa con fare una rivoluzione in essa; non ripetiamo più
ch'egli diceva Alessandro VI non esser vero papa, e che aveva mirato di sbal-
zarlo dal trono, valendosi del braccio civile. Non diremmo il vero; e nelle
Opere del Frate non troveremmo nemmeno un motto che possa ciò giusti-
ficare, ma troveremmo il contrario. Anche ne' processi falsificati troveremmo
la nostra condanna: « L'interrogarono se avesse mai voluto dividere la Chiesa
di Cristo; e subito, quasi destandosi dal deliro, rispose: — Giammai ». — (')
(') Villari, voi. II, pag. 231. Vedi anche la poesia XVII: Oratio prò Ecclesia, quando, mortuo
Sixto IV, suscitavit diabolus dissentionem in Ecclesia. Potrebbe bastar da solaquesta poesia pol-
larci credere impossibile che Fra Girolamo giungesse al punto al quale sarebbe giunto colle
lettere ai principi e cogl' incitamenti al Concilio antipapale.
XXXIV.
La prova del fuoco e la morte.
Sommario.
Questione pregiudiziale. — Parliamo ai cattolici. — Come i cattolici non possono disapprovare sempli-
cemente la prora del fuoco. — L' esempio di San Giovanni Gualberto, di Eleno vescovo di Elio-
poli e di Elia Profeta. — La parità del caso. — La questione decisa autorevolmente da Ales-
sandro VI. — Breve pontificio ai Frati Minori. — La buona fede nel Savonarola e ne' suoi. —
Nostra vana prova di scorgere fanatismo in Fra Girolamo. — Origine della prova del fuoco. —
I Domenicani si mossero non presuntuosi, ma chiamati e provocati. — Come passarono le cose.
— Considerazione importante. — Chi chiedesse il miracolo. — Perchè il Savonarola s' oppose
dapprima all' esperimento e non volle ontrare poi egli nel fuoco con Frate Francesco. — Mente ed
offerta di Fra Girolamo. — Pretesa ridicola. — Moltitudine che si offre a sostener la prova
per Fra Girolamo. — Come il Savonarola dovesse finalmente acconsentire all' esperimento- —
Proposizioni da provarsi. — Differenza di fede ne' Piagnoni e nei loro avversari. — Preterizione.
— Abile narrazione del Pastor. — Nostre osservazioni e domande. — Cose lecite, ma da giusti-
ficarsi. — Il nodo della questione. — Un' omissione del Pastor e nostro riparo. — GÌ' incante-
simi, la superstizione dei protervi avversarj giustificano il nostro Frate. — Gregorio VII e il Sa-
vonarola. — Un fatto non contestato, ma non giustificato uè spiegato dal Pastor. — Autodifesa
di Fra Domenico rincalzata da Fra Girolamo. — Un falso supposto. — Non i Domenicani, ina gli
avversarj si ritirarono dal cimento senza giusta causa. — Pretesa dell' insipienza del volgo, e sa-
viezza di Fra Girolamo. — Tempesta terribile ma non imprevista. — Il popolo sommosso. — I
Frati prigioni. — I processi. — I buoni di fronte alle estorte e falsificate deposizioni. — La
condanna e il supplizio. — Il trionfo della semplicità. — Conclusione.
L'argomento onde s'intitola questo capitolo richiede, perla difesa del
Savonarola, che si risolva una pregiudiziale. Alcuni condannano senza meno il
fatto per sè, come ogni altro simile, quasi un tentar Dio, o segno di fanatismo,
e di superstiziosa barharie, o d'empietà. (*) Hanno essi ragione? Se sì, a
qual fine gettar il tempo nello scrivere per mostrare che Fra Girolamo ne è
innocente, essendo certo che alla men triste vi consenti e finirà con ap-
provarlo ?
(') Il Pastor a pag. 372 chiama appunto questa prova « esempio tentativo ». Cf. Lupi,
Avvertenza premessa alla pubblicazione delle consulte e Pratiche tenute a Firenze intorno
ai fatti del Savonarola ecc., in Archivio Storico Italiano. Terza serie tona. III parte I, pag. 16.
— 572 —
Noi parliamo ai cattolici non intinti nella pece del razionalismo. Cogli al-
tri ha ben poco da vedere questo nostro scritto, e nulla il capìtolo presente.
Ora possono i cattolici disapprovare in modo semplice e assoluto le prove
della natura di quella che si fece a1 dì 7 aprile 1498 nella città di Firenze
dagli ardenti seguaci del Savonarola? Noi crediamo di no. Imperocché allora
bisognerebbe lacerare non poche pagine della storia del Popolo d' Israele e
della Chiesa di Cristo. Chi potrebbe, ad esempio, scusare Elia? chi potrebbe
scusare Eleno vescovo d' Eliopoli, chi San Giovanni Gualberto?
E noto il fatto di quest'ultimo avvenuto nella Badia di Settimo presso Fi-
renze l'anno 1096 e il Savonarola v'accenna più volte. (*) « Sostenevano i mo-
naci di Vallombrosa aver Pietro da Pavia vescovo conseguita quella Chiesa col-
1' aiuto della regina pecunia, e San Giovanni Gualberto istitutore dell' ordine
Vallombrosano era anch' egli tra gli accusatori e vedendo la controversia di-
ventare ostinata, e che la poteva esser fatta occasione di dissidii e di scandali
per il popolo, allora, per risolverla, proponeva egli stesso che si venisse alla
prova del fuoco: e indicava il monaco che vi si doveva cimentare: e, la prova
accettata, recavasi il santo processionalmente sul luogo. E fatte tutte le volute
benedizioni, e le molte aspersioni imposte dalla Chiesa, e appiccato l' incen-
dio alle due grandi cataste di legna a ciò preparate, allorché era ben
formato ed alto il fuoco, animosamente vi passò per mezzo il monaco Giovanni,
co' piedi nudi, senza nocumento alcuno, e senza che neppur restasse bruciato
un pelo del suo corpo. E avvenne allora, in seguito di quella prova, che fu vi-
sto rinunciare il povero Pietro al vescovado, e ritrarsi in monastero a vita pe-
nitente ; e il monaco Giovanni, da allora appellato 1' Igneo, veniva invece in-
nalzato alla somma dignità di cardinale, e fatto vescovo di Albano ». (*)
Del vescovo d' Eliopoli parla Fra Girolamo nella predica XX sopra Amos e
Zaccaria, e l'esempio non fa meno al caso nostro. « Eleno vescovo di Eliopoli,
vedendo che un eretico voleva pure stare nella sua opinione, quando non vide
altro rimedio, disse : Accendiamo qua un gran fuoco, e entriamvi dentro, e
chi sarà in falsa opinione il fuoco l'arderà. E fatto il fuoco, questo eretico
volse che il Vescovo vi entrasse prima, e così entrò : e posesi a sedere nel
mezzo del fuoco, e quivi stette una mezza ora e cantava delle laudi. Poi l'ere-
tico non volendo entrare nel fuoco, il popolo lo prese e volevanvelo gettare,
ma il vescovo non gli lasciò ; pure si cosse un poco, e arsesi i capegli. Si
che quando la fede non si può difendere altrimenti, ci si viene a questi
giuochi ».
Il fatto di Elia, come è narrato nella Scrittura, venne esposto abbastanza
estesamente al popolo dal nostro Frate il giorno stesso dell'esperimento. « Elia
profeta uomo come nei, di carne e d'ossa come noi, creatura come noi, pregò
il Signore che non piovesse: e stette tre anni che non piovve. Di poi il Si-
(') Vedi in particolare la « Itiapoata di Frate. Ilieronymo a certe obiezioni fatte circa Venpt-
rimerito dell'entrar nel fuoco per la verità da lui predicata •. Firenze, 6 aprile 1498.
(*) Vedi gli Annali del Muratori all'anno 10137 e l'Aquarone op. cit., lib. ìli, pag. 72.
— 573 —
gnore disse ad Elia: Va a quel cattivo re Acab e digli che io voglio dare la
piova sopra la faccia della terra. Elia andando scontrò un grande maestro
dispensatore della casa del Re e dissegli : Va a dire al re Acab che io mi
voglio presentare al suo cospetto. Colui gli rispose: Deh non fare, perchè
Acab ti cerca per ogni cantone per ammazzarti, e se io pure andassi, lo spirilo
ti leverebbe di qua e il re Acab non ti troverebbe e credendo che io avessi
detto bugie, verrei in sua disgrazia e mi ammazzerebbe. Ora, per abbreviare,
Elia andò al re Acab, il quale come lo vide gli disse: Se' tu quello tu che con-
turbi Israel? Elia gli rispose e disse: Non sono io che ho conturbato Israel,
ma tu e la casa di tuo padre. Soggiunse di poi Elia e disse ad Acab: Tu non
vuoi credere; chiama qua tutti i profeti di Baal, che sono quattrocento cin-
quanta, e i profeti de' boschi che sono quattrocento, i quali mangiano della
mensa della tua Jezabel. Ora, convocato che fu tutto il popolo e ragunati i pro-
feti, disse Elia: Insino a quando zoppicate voi in due parli? Fermatevi ad una,
e se il Signore che vi predico è il vero Dio, seguitatelo; e se è Baal, seguitatelo.
E il popolo non rispose. Ed Elia soggiunse e disse al popolo d' Israel : I vostri
profeti ci diano due buoi : uno a voi ed uno a me ; e poniamoli morti e ta-
gliati ciascuno sopra il suo altare sopra le legne ; ma nessuno di noi vi metta
sotto fuoco, e invochiamo ognuno il suo Dio; e quello che manda il fuoco ad
accendere il sacrificio sia il vero Dio. Il popolo comincia aliora a dire : bono,
bono ; sia fatto. Ora i profeti di Baal erano intorno al loro altare e chia-
mavano Baal: Baal, -exaudi nos; o Baal, esaudiscici: et tamen non venne mai
risposta.
« Ora Elia gli dileggiava dicendo : Chiamate con maggior voce e gridale,
perchè forse il vostro Dio parla con qualcuno, o egli è al necessario, o in
viaggio o egli dorme : sicché gridate forte chè lui oda. Or questi profeti grida-
vano più forte e tagliavansi la carne con certe lanciette, come gli aveva inse-
gnalo questo lor diavolo Baal. Finalmente era già passato mezzogiorno e ri-
sposta non venne mai. Elia fece un altare di dodici pietre, il quale prima era
stalo distrutto, e fece un fosso attorno all'altare e messevi le legne, e di sopra
i membri del bue tagliati. E fece portare quattro vasi d'acqua e versarli sopra
l'altare e le legne; e cosi fece per tre volte, intanto che ogni cosa era bagnata
e le fosse attorno all'altare erano ripiene d'acqua. Questo fece Elia per mo-
strare più la grandezza del miracolo, e di poi, messosi in orazione, disse al Si-
gnore : Io ti prego, Dio di Abraam, di Isaac, di Jacob, che tu mostri oggi che tu
se' il vero Dio e che io sono tuo servo, acciocché ei conoscano che tu mi hai
mandato. Subito venne il fuoco dal cielo; arse ogni cosa insino all' acqua
delle fosse. Allora tutto il popolo disse: quello che predica Elia è il vero
Dio ». (4)
Né si provi alcuno a negarci la parità del caso ; imperocché s' inganne-
rebbe. Se anche non si fosse trattato d'altro che della invalidità della scomu-
nica contro il Savonarola, questi avrebbe già avuto ragione di asserire che si
{*) Libro III óV Re, oap. XVIII.
— 574 —
trattava della fede. E chi può difendere da eresia l'opinione che ritenesse per-
tinacemente valida una scomunica in quei casi ne1 quali i canoni dicono espres-
samente che è irrita e nulla? Ma si trattava di ben altro, come è facile vedere,
chi vuole, dal discorso recitato dal nostro Frate il giorno stesso dell'esperi-
mento, e da ciò che dicono gli storici del tempo, e appare dalle stesse propo-
sizioni sottoscritte dai frati che avevano a cimentarsi e di cui diremo or ora
anche noi andando avanti.
Del resto a me pare, come già osservò assai opportunamente il Bartoli (';,
che la questione sia stata autorevolmente decisa da Alessandro VI, il quale,
con la data degli 11 aprile 1498, scrivendo ai Padri di San Francesco di Fi-
renze, così dicea: « Diletti figli, salute e Apostolica benedizione. Ci fu riferito
di quanto zelo della verità e della giustizia siete voi accesi, e che per nostro
onore e di questa Santa Sede contro il pernicioso dogma e la falsa dottrina
del perduto figlio Fra Girolamo Savonarola dell'Ordine de' Frati predicatori,
seduttore del popolo, avete combattuto con molte e vere conclusioni e argo-
menti in pubblico e in privato, e che siete giunti a tal segno di fervore e di
zelo che, per sostener le vostre vere e rette conclusioni e convincere ed attu-
tire la pertinacia di Fra Girolamo, non son mancati fra di voi alcuni i quali
proposero di gettarsi anche nel fuoco. Noi lodiamo certamente la vostra devo-
zione e questo tanto pio e religioso e memorando atto (il quale senza dubbio non
potrà essere mai cancellato da alcuna dimenticanza), a Noi e alla stessa Sede
Apostolica talmente grato ed accetto che mini1 altra cosa potrebV esserci più grata
e più accetta. Vi esortiamo e invitiamo in Dio, perchè vogliate perseverare e
andare avanti collo stesso tenore contro gli avanzi di cotesto errore, se alcuno
ne rimanga, e contro i complici, affichè quindi da Dio e da questa Santa Sede
possiate conseguile le meritate ricompense» (2)
Alessandro VI adunque, continua il Bartoli, giudicava in se stessa degna di
applauso l'impresa. Se il Savonarola l'accetta, perchè chiamarla a riguardo di lui
opera di temerità, di cieca baldanza, di follia e d'empietà? Avranno qui fattoopera
buona e lodevole i frati di San Francesco e opera empia il Savonarola? Conside-
riamo bene il punto e poi decideremo. Si errerebbe forse interpretando la lettera
del Pontefice col dire ch'essa fa lecito non pure, ma lodevole il tentar anche
questi giuochi, allorché li crediamo buoni e utili al trionfo della verità, e a dimo-
strar !e proposizioni scritte dai campioni? Non certo. Questo anzi vuole il do-
cumento pontificio: questo e non altro: i Padri di San Francesco meritavano
le lodi pontificie, appunto perchè non eran mancati fra di loro alcuni i quali
proposero di gittarsi anche nel fuoco a mostrare la falsità delle proposizioni
sottoscritte, cioè la verità delle contraditorie. Ora possiamo noi in buona fede
(') Opera citata, cap. XXIII, pag. 3tìl.
I") Questo Breve si legge nel Quétii'., cap. II, pag. 463, ed è preceduto da un altro a
Francesco di Puglia che vien ricolmato di lodi per aver fatto « tal opera meritoria e degna
di massimo encomio qual conviene ad uomo Religioso e Cattolico e miraliilmente piaciuta
a Noi e a tutto il Collegio dei Cardinali della S. li. Chiesa ».
— 575 -
mettere in dubbio che Fra Girolamo e i suoi credessero alla loro volta di ope-
rare al trionfo del vero e del bene nell'assistenza del divino patrocinio? No
certo, non lo possiamo. « Il Savonarola era persuaso », osserva qui altra volta
giustamente il Bartoli, « per massima, per sistema, per un lume de' più si-
curi che aver si possa, che la sua dottrina, e tutto ciò che aveva predicato o
fatto in vantaggio della Chiesa, fosse conforme interamente alla verità». V'è
pur uno de' nostri lettori che abbia difficoltà di sottoscrivere a questa senten-
za? Dunque lo zelo del Savonarola si merita esso pure, non le condanne degli
avversarj, ma gli elogj che Alessandro VI faceva ai campioni Francescani. E
tanto più se li merita, in quanto è oramai chiaro a tutti eh' egli nella sua per-
suasione e buonafede non s'ingannava, ma credeva e diceva essere quello che
era veramente, e s'ingannavano invece i suoi avversarj.
Confesso di essermi provato non poche volte a condannar qui almeno di
fanatismo il Priore di San Marco, ma non vi sono mai riuscito con mia sod-
disfazione; non ho mai potuto quietarmi in nessuna guisa in siffatto giudizio.
« Un uomo, che non ostante i suoi sudori, i suoi argomentale riprove datene,
si vede con tanta solennità all'impegno di esibire qualche innegabile contras-
segno della verità da lui predicata; e conosce che un popolo, o sviato, o di-
stratto dalla voce de' suoi antagonisti, propende a molte dubbiezze, che offen-
dono la verità, tenterà egli Iddio, se lo invoca nel proprio bisogno, e se, ar-
mato della sua fede e del suo nome, non teme i cimenti più pericolosi, anzi
va ad incontrarli, confidando di trovarvi una visibile assistenza della destra del
Signore? Costano forse a Dio i portenti più di quello gli costino le consuete
maraviglie della natura, e le giornaliere assidue operazioni della sua grazia?
E verissimo, che non si debbono chieder miracoli senza necessità; ma è vero
altresì, che, anche senza una rigorosa necessità, è lecito lo sperarli, quando sia
chiaro, che ne possa avvenire un notabilissimo vantaggio, a gloria di quel Si-
gnore, che può farli quando a lui piace, e che sovente gli ha fatti per far noto
il suo nome, quantunque avesse potuto anche senza i miracoli venire a capo
de'suoi adorabili disegni. Noi non possiamo metterci a capriccio nella situa-
zione che esiga un portento; ma chi ha detto agli avversarj che l'esigenza in
cui vedeasi il Savonarola, fosse un intreccio tessuto dall' umano capriccio? Egli
avea fatto quanto si può fare da un uomo per la riforma della Chiesa e per
il trionfo della pietà: si vede adesso combattuto in faccia da chi lo rimprovera
qual falsario ed impostore; questo era un assalto che decideva delia verità
medesima: dunque, non sapendo dove più rivolgersi, dove più trovar arme in
difesa della virtù, a Dio ricorre e spera che il fuoco rispetterà i difensori del
vero e del giusto. Si chiama questo un confidarsi su i miracoli, un contar
troppo sulla Onnipotenza, per un follìa di presunzione »? (Bartoli, pag. 3(>8.)
Ma alcuni potrebbero forse pensare che ad ogni modo i Domenicani non
avrebbero dovuto i primi incitare a questo esperimento e solo moversi quando
provocati o costretti. Ma, si potrebbe chiedere, è provato che la sfida partisse
dai Domenicani? non vi sono molti che pensano il contrario? E poi, sarebbe
essa partita da Fra Girolamo e per opera di lui? Qui sarebbero adunque
4
- 576 —
da fare molte questioni, ma a quale scopo? Vi concedo molto volentieri che
i primi a dichiarare che, ove necessità lo richiedesse, Dio avrebbe provata con
segni soprannaturali la verità della dottrina predicata da Fra Girolamo, i
primi a gettare in campo la prova del fuoco, fossero i Domenicani; ma voi mi
dovrete ad ogni modo concedere pur sempre che essi non si mossero presun-
tuosamente da sè a cotal cosa, ma solamente provocati.
La verità mi par che la dica assai chiara Fra Girolamo nell'esortazione al
popolo il giorno stesso dell'esperimento. « Le cose nostre, dice il Frate, ornai
non dovrebber aver bisogno di miracoli; tante sono le ragioni dette e scritte
che ne dimostrano aperto la verità; ma se siamo provocati, bisogna anda-
re, perchè la fede non vada per terra. Tu, Signore, sai che noi non andiamo
presuntuosi a questa cosa, ma solamente provocati. Noi siamo stali chiamati,
benché noi la gittassimo a campo ». Ecco adunque come passarono le cose:
Fra Girolamo diceva ripetutamente che, sebbene il miracolo per sè non faccia
credere, ciò non pertanto, se la faccenda si fosse ridotta al punto che il mira-
colo fosse necessario od utile per confondere gli avversarj che pertinacemente
contradicevano, e venissegli richiesto dall'autorità, Dio l'avrebbe concesso: egli
per la verità delle cose che predicava era pronto ad entrare nel fuoco nella
piena ed assoluta certezza che ne sarebbe uscito illeso: le medesime cose
ripetevano i suoi seguaci e specialmente Fra Domenico da Pescia; ma essi
tenevansi ognora sulle generali, nè potevano fare altrimenti. Ma sorgono i
Francescani di Santa Croce a contradire a questa cosa, e « attaccano >, come
nota il Pastor, pag. 369, « con singolare violenza il procedere del Frate di
San Marco. Appena il Savonarola venne dalla Signoria condannato al silenzio,
questi assalti si raddoppiarono ». Dovevano i Domenicani trascurare questi
assalti? dovevano cessare di ripetere che e a dimostrare la verità e a soste-
nere la causa del loro maestro non sarebbero per mancare nè anche prove
soprannaturali, ove non bastassero le naturali? Era illecito a Fra Domenico
ripetere un'altra volta che per tale verità, egli era davvero pronto ad en-
trare nel fuoco? E se, come scrive il Pastor a pag. 371, « di fronte a tali di-
chiarazioni addì 25 marzo 1498 un francescano, per nome Francesco da Pu-
glia, predicando in Santa Croce, si esibì a sostenere 1' esperimento del fuoco
contro allo scomunicato», si potrà dire che provocatore sia Fra Girolamo? si
potrà dire che Fra Domenico andasse a queir esperimento non chiamato ? (4)
Ma vi è un' altra considerazione da fare non meno importante, anzi più
forse delle fatte fin qui a questo riguardo. Coloro che discutono tuttavia in-
torno a questo punto dimenticano ciò che è essenziale: la prima radice del-
l' esperimento. Quando cominciò Fra Girolamo ad asseverare, che ove non ba-
stassero le ragioni naturali a sostenere la verità della sua causa, non sarebbero
per mancar le prove soprannaturali? E perchè cominciò egli e perseverò a farlo?
(') Cosi sarebbero anche Spiegati! Brevi pontiiicj a' Francescani e in particolare a Fran-
cesco ria Puglia in data degli 11 aprile 14!t8, già da noi citati, nei quali questi son lodati d'aver
spinto il loro zelo contro il Savonarola lino a proporre ai loro avversarj d'entrare nel fuoco.
— 577 —
La questione non è del tutto priva d' importanza per la vita del Savonarola,
e mi fa meraviglia che nessuno 1' abbia posta nè abbia tentato di risolverla.
Anche qui io son costretto ad attribuire la responsabilità delle asserzioni del
Frate all' importunità de' suoi avversarj. Il Savonarola svolgeva quieto il
suo programma, sforzandosi di renderlo credibile, prima con argomenti tratti
dalla ragione e dalla storia della Chiesa ; poi appoggiandosi, come sopra di
un bastoncello, alle Sacre Scritture, cioè alla stessa autorità di Dio. E la
gente che gli prestava fede aumentava di giorno in giorno senza eh' egli pro-
mettesse miracoli, e che gliene fosser chiesti. Ma non tardò a levarsi potente
contro ili lui l'opposizione de' tiepidi, e questi furono che gli chiesero il mi-
racolo ; nè a lui valse punto l' insistere che il miracolo per sè non fa cre-
dere, che a credere ci vuole la buona vita, che chi voleva credere vivesse
bene; i tiepidi di viver bene non volevano saperne, come non volevano sa-
perne i politici; ma non credendo forse a miracolo di nessuna sorta, anda-
vano pur ripetendo che quello eh' essi volevano si era un miracolo: un mira-
colo doveva fare il Savonarola a ottener la fede loro. Questo è cosi vero che
il Frate già nel Compendio di rivelazioni aveva sentito bisogno di parlarne, e
di farsi muovere dal Tentatore 1' obiezione seguente : « Ognuno che annunzia
il futuro, per esser creduto, deve confermare le sue predizioni con miracoli;
altrimenti anche gli eretici potrebbero usurparsi alla loro volta tale missione.
Onde contro di te si cita il capitolo : Cimi ex injuncto. Extra de haereticis, che
sembra richiedere che coloro i quali predicano siffatte cose debbano provarle
con qualche segno o miracolo ; e questo non facendo tu, da alcuni sei ac-
cusato di tenere il costume degli eretici, ed eretico sei giudicato ». E questo
si opponeva con tanta insistenza e con tale arte al nostro predicatore, che
si riuscì pure a dargli un posto nel Breve pontificio degli 8 settembre 1495
e in altri successivi. (*) A questo punto che poteva far altro il Savonarola, se
non tacere assolutamente o confessarsi impostore o allucinato, o, credendo,
come per certo ha creduto sempre sinceramente e in buona fede, di avere
una missione da Dio, affermare audacemente che, ove il miracolo richiesto
fosse necessario e la Chiesa lo volesse, Dio l'avrebbe fatto ? Che avrebbe potuto
altro se non dire eh' egli era lì pronto a sostenere la verità della sua missione
con quel mezzo che al Papa e alla Cristianità fosse piaciuto? 0 egli non cre-
deva che il suo insegnamento fosse cosa voluta da Dio, o doveva parlare così
come veramente parlò.
E qui torna assai opportuno risolvere un'obiezione, la quale sull' anima
(') Hieronymum quemdarn Savonarola de Ferraria Ordinis Praedicatoruin novitate piavi
dogmatis delectatum accepimus, et in eam mentis insaniani Italicarum rerum commutatione
deductum, ut se missum a Deo, et cum Deo loqui sine ulla canonica attestatone fateatur in
populo, contra Canonicas sanctiones. Non enim sufficit cuicumque nude tantum asserire quod
ipso sit missus a Deo (cum hoc quilibet haereticus asseveret) sed oportet quod osteudat Ulani
invisibili' ni missionem per opei ationem miraouli, vel scripturae testimouiuin speciale ». Anche
nella sottosciizione di Fra Francesco di Puglia per l'esperimento del f uoco si legge che al-
cune delle conclusioni da provarsi probatione supernaturali indigenti Marchese, Dee. XXIV.
37
— 578 —
del volgo può avere qualche efficacia, e ha tratto in inganno anche serj scrit-
tori. È noto ad ognuno che Fra Girolamo dapprima si opponeva all' esperi-
mento del fuoco e gli spiacque che la cosa fosse dallo zelo di Fra Domenico
spinta tanto avanti e stretta con tanto calore: questo risulta dai processi,
dalla cronaca del Padre Dionisio Pulinari (') e da molte altre testimonianze non
punto sospette di favorire il Frate, anzi avverse ad esso. Il Vaglienti (2) arrab-
biato pallesco, dopo d' aver detto che Fra Francesco e Fra Domenico ave-
vano preso partito che il fuoco si avesse a fare, scrive, che « frate Dome-
nico da Frate Girolamo di tale proposta e di tale vanto ne fu malamente
ripreso ».
La ragione di tutto ciò qual è? E quella stessa per la quale Fra Giro-
lamo non entrava egli nel fuoco. E perchè Fra Girolamo non entrò egli nel
fuoco? perchè dopo di aver tante volte detto ch'egli era pronto a questa spe-
cie di giudizio di Dio, quando Francesco di Puglia venne fuori colla sua esibi-
zione, il Savonarola mostrava poca inclinazione a confermare colla prova del
fuoco la sua missione divina ? (3)
La questione l'ha risolta Fra Girolamo e assai bene ; la soluzione non è certo
difficile a intendersi : Egli non si era mai dichiarato pronto a entrare nel fuoco
per secondare il gusto o il capriccio di qualche privato, ma solo quando ciò
volesse la Chiesa, volesse Roma, che aveva il diritto di giudicare la sua divina
missione. Più chiaramente si potrebbe anche dir così: Alessandro VI con la
data de' 21 luglio 1495 aveva fatto invito al Savonarola di recarsi a Roma,
manifestando il desiderio di parlare con lui per conoscer meglio quel cbe a Dio
era piaciuto rivelargli, e quindi praticarlo : e poi colla data degli 8 settem-
bre 1495 parve richiedere che quegli provasse la sua missione con qualche
miracolo e fosse dissipato ogni dubbio. E il Savonarola, levato ogni indugio da
parte del Pontefice in por mano alla riforma della Chiesa, si dichiara pronto,
ove al Pontefice e a' suoi teologi piacesse, d-i provare in un concistoro la
verità delle cose predicate, e, non riuscendo in esso vittorioso con ragioni na-
turali, s'offriva ugualmente pronto a dare qualche segno soprannaturale ed
anche ad entrar nel fuoco. (4) A provar questo basta dare uno sguardo alle
(*) Storia della controversia di Fra Girolamo Savonarola coi Frati Minori trascritta da A.
Conti dalla cronaca del Padre Dionisio Pulinari minorità. Archivio Storico Italiano, Serie III
voi. XIII, pag. 367-375.
t?l Frate Girolamo Savonarola giudicato da Pietro Vaglienti cronista fiorentino. Firenze,
tip. di G. Carnesecchi e figli, 1893.
(') Vedi il Pastor a pag. 371.
(') Questo risulta anche abbastanza chiaro dai Documenti pubblicati dal Lupi, ne' quali
(pag. 55) si legge appunto quanto segue : « Ci sono due modi : l'uno che quegli con chi à a faro
Fra Girolamo, f'acessino capitoli con Fra Girolamo, cioè Papa e cardinali: che se Kra Giro-
lamo perde, e' (cioi i Domenicani) sieno uccisi, e scacciati ecc.: et se vincessi, che la emenda-
tiono et universale renovatione si facci e che qui si viva bone...... Queate parole le diceva Fra
Domenico da Pescia alla Signoria il 29 marzo quando questa insisteva che venisse col France-
scano a far la prova Fra Girolamo. Era adunque noto il pensiero e il disegno di Fra Giro-
lamo prima ancora ch'egli pubblicasse la llispo&ta alle Abiezioni da noi citata.
— 579 —
prediche del Frate ; valga per i molti che potremmo citare un luogo della XIX
sopra Amos e Zaccaria : « Or su, tutte le cose che io v'ho dette insino a qui,
o sieno cose future, o sieno di stato, o sieno quel che si voglia : io vi dico che
io sono parato qua a difenderle e mostrarvi che io v' ho detto sempre la ve-
rità, confidandomi, dico, sempre in Cristo, perchè da me solo non lo potrei
fare, ma lui difenderà la sua verità. Signore mio Gesù Cristo, io mi volto a
te ; tu fosti morto per la verità e io sono contento per difendere e mostrare
questa tua verità ancora io di morire; e sono parato per te, Signore mio, met-
ter la vita per la tua verità. Io mi vorrei trovare in un concistoro dove io
avessi a difendere questa verità; chè io non mi curerei morire per quella.
Scrivete, voi, a Roma, a quei savj di Roma, che vengano, che io sono parato a
difendere questa verità contra a tutto il mondo e con ragioni e altro e con quel
che vorranno. Io l'ho scritto a Roma e voglio che tu l'intenda che sono pa-
rato a ridirmi, se io ho detto cosa nessuna falsa ; e che io no so aver detto
cosa alcuna che non sia la verità : e che però sono parato a difenderla contra
tutto il mondo: loro non hanno però trovato ancora cosa nessuna falsa che io
abbi detta o scritta ».
Anche qui si deve adunque dire e credere che Fra Girolamo non parlava
a caso, nò da pazzo, ma come uomo pieno di fede e di sapienza. Con quale
diritto un privato si levava a combattere le sue profezie con tali modi? « Noi,
diceva il Savonarola, non obblighiamo nè esortiamo alcuno a credervi più di
quello che si sente disposto. Esortiamo solo a vivere bene, e per questo ci
vuole il fuoco della carità e il miracolo della fede, tutto il resto non vale
nulla.... Di più, vogliono i nostri avversarj provare con questo mezzo la nullità
della scomunica? Lo facciano a loro posta: noi non abbiamo alcun bisogno di
provare con miracoli quello che abbiamo provalo con ragioni, sappiamo che
la scomunica è nulla, e perciò sarebbe da parte nostra un tentar Dio, chieden-
dogli per questo un miracolo. Se i nostri avversarj, pur non facendo altro che
dichiarare sofistiche le nostre ragioni, non riescono tuttavia a confutarle al-
trimenti, chiedano essi il miracolo a Dio contro di noi. Quando l' avranno
ottenuto, noi crederemo a loro e metteremo da parte ogni nostro argo-
mento ».
Ci vuol poco a capire che con Francesco di Puglia Fra Girolamo non aveva
proprio nulla che fare, che qui non si trovava egli nel; caso del quale egli
aveva tante volte parlato. Aveva dunque ragione di rispondere eh' egli non en-
trava nel fuoco col predicatore di Santa Croce, « sopratutto perchè questa
prova fatta da lui con un solo religioso non produrrebbe nella Chiesa il van-
taggio che reclamava la grand' opera confidala da Dio alle sue mani ».
Del resto, consentaneo ognora a se stesso, Fra Girolamo « s'offerse appa-
recchiato > anche allora « d'entrare nel fuoco in persona ogni volta che gli av-
versarj della sua dottrina, massime quelli di Roma e loro aderenti, volessero
commettere questa causa nel dello Padre Francesco di Puglia, o in altri; con-
fidandosi egli nel Signore Salvatore Gesù Cristo, e non dubitando punto che
camminerebbe incolume per quel fuoco, non per i suoi meriti, ma per virtù
— 580 —
di Dio, il quale vorrà confermare la sua verità e manifestare la gloria e la
grandezza sua ». (*)
E poi non aveva anche il Gualberto, anzi che entrare egli nel fuoco, la-
sciato entrarvi uno de' suoi religiosi? A che dunque accusare il Savonarola di
non essersi egli offerto di sostenere in persona l'esperimento? E non era as-
sai ridicolo per gli avversai j questo lagno? Forse che diceva il falso Fra Gi-
rolamo quando affermava eh' egli avrebbe ugualmente esposto all' ira del po-
polo la sua persona, mandando nel fuoco alcuno de' suoi, ove questi non vi
passasse, per la potenza di Dio, illeso? E più ridicola ancora ci apparirà la
singolare pretesa, se pensiamo che da prima il Francescano non aveva sfidato
singolarmente Fra Girolamo, ma Fra Domenico solamente; e che per parte
del Savonarola, non uno si offriva pronto a sostenere 1' esperimento, ma cen-
tinaia e centinaia e religiosi e secolari e uomini e donne e fanciulli. (*) Fran-
camente, invece di rimproverare al Savonarola questo suo modo di vedere,
si dovrebbe lodarlo degli sforzi che fece per impedire che l'esperimento
avesse luogo; in qualsivoglia modo bisognerebbe soprattutto deplorare che al-
lora egli non potesse concionare a tutto il popolo liberamente, e sventare
colla forza della sua parola le trame degli Arrabbiati. (3)
Ma oramai le cose eran giunte a tale eh' ogni tentativo di più resistere
era inutile, se Fra Girolamo non voleva mettere a troppo serio pericolo sè e
i suoi, e lasciar ruinare una riforma che già s' era tratta a buon punto, e
poteva sembrare possibile riavviarla. (4)
(') Queste e più altre cose diceva il Savonarola nella Itisposta di Frate Girolamo da Fer-
rara dell'Ordine de' Predicatori a certe obiezioni fatte circa lo esperimento dello entrare nel fuoco
per la verità da lui predicata. Vedi il Bayonne, Oeuv>'es spirituelles, ecc., tom. Ili, pag. 290
e seg., e PAquarone loc. cit., pag. 78-79, e il Villaii, li, pag. 148 e seg. L'ultimo pensiero che
abbiamo citato passò anche per mezzo del Burlamacchi sotto gli occhi del Perrens, il quale
scrive appunto del Savonarola: ♦ Il dùclara qu' il était prèt à entrer dans le feu, pourvu que
tous les ambassadeurs de tous les princes chrétiens fussent presenta, y compris le légat du
Pape, et qu' on l'autorisàt, s' il sortait inctat du bùcber, à commencer immédiatement la ró-
forme de l'Èglise ». (Pag. 215.)
(') Ecco a questo proposito un documento molto significativo. E una lettera di Griro-
lamo Bencivieni a don Francesco Fortunati, pievano di Cascina, e si legge tra i documenti
presso il Gherardi a pag. 216. « El predicatore di Sancta Croce, domenica passata, invitò
qualunque vuole sosti nere che la exeommunicatione contro a F. Hieronymo non tenessi a
entrare nel fuoco: affhmando però che lui arderebbe, et che se quello che vi entrava seco non
ardessi, che alhora si credessi a Fra Hieronymo. Ho trovato molti riscontri, maxime frate
Domenico da Pescia, el quale manu propria s'è obbligato a entrare con lui nel fuoco, ecc.
Ipse mine fugam queiit, et dice non volere fare questo experimento nisi cum frate Hiero-
nymo. El quale F. Hieronymo dice essere contento, ubi frater Dominicus deficiat in igne,
entrarvi ancor lui. La cosa è in mano de la Signoria : et qui sono tanti che desiderano entrare
in questo fuoco che è uno stupore, cosi secolari come religiosi, come l'emine et giovanetti.
Diresti che fussino invitati a nozze. In modo che, invitando hiermattina in pubblico F. Do-
menico ad questo, etc., si levorono a un tratto molte donne gridando: — Io, io, — etc. Credo
però che questa cosa si risolverà in fumo: benché per questi di San Marco si spinga molto
et solleciti, 1 t per la via dol Vicario de lo Arcivescovo et de' Signori. Se altro accadrà, ne sa-
rete avvisato. Valeto. Florentiae, XXVIII martii 1498.
(3) Veggasi il processo a pag. olzzij, e cfr. nel Villaii, volume II.
(4) « Savonarole voyait dans cette épreuve autre choso que la mort d'un homme; il se
voyait ruinó dans son crédit, pent-étre massaci é avec tous scs religieux et ses principali!
— 581 —
« La lotta era ingaggiata con violenza. Le antiche tradizioni, il vivo ri-
cordo della cacciata recente dei Medici e della storia fortunosa dogli ultimi
anni, la singolare posizione che in rispetto all' Italia conservava Firenze, città
retta in nome di Cristo Re da un frate profeta che ha rollo la guerra al clas-
sicismo paganizzante, le amare disillusioni provate neh' amicizia francese, la
guerra, le insidiose offerte, lutto concorre a costituire una condizione storica
che appena ci è dato d'immaginare con tulio lo sforzo della nostra fantasia,
ma che non possiamo riprodurre pienamente dentro di noi. Quest'isola in-
fuocata in mezzo al mare stagnante dell' Italia all' esordire della seconda epoca
del Rinascimento, subiva la suprema fra le crisi ». (4)
Acconsentì adunque anch' egli il Savonarola che il suo Fra Domenico
entrasse nel fuoco per provare le seguenti proposizioni:
« La Chiesa di Dio ha bisogno di Riforma, sarà prima flagellata, e poi
rinnoverassi.
« La città di Firenze anche, dopo li flagelli, si rinnoverà e prospererà.
« E che gì' Infedeli si convertirebbono: e che tutte queste cose hanno ad
essere a' nostri tempi.
« E di più che la scomunicazione di nuovo fatta contro il Reverendo
Padre Fra Girolamo è nulla e invalida: e di più, chi non 1' osserva non
pecca ». (2J
Per parte di Francesco di Puglia, che si ritirava, entrerebbe nel fuoco
Fra Andrea Rondinelli del medesimo ordine. Singolare è la diversità della fede
che mostravano le parti in questa lotta: Fra Girolamo, Fra Domenico da Pe-
scia e tutti i Piagnoni mostravano tede certa eh' uscirebbero illesi; e gli av-
versarj dichiaravano eh' essi credevano di restarvi morti. Merita la pena che
sentiamo la sottoscrizione fatta dalle parli avanti la Signoria.
« Io Fra Girolamo da Ferrara Vicario indegno della Congregazione di San
Marco dell' Ordine de' Predicatori de 1' Osservanza accetto tutte le offerte dei
Frati sottoscritti, e di tutti i Frati che si trovano in San Marco e in San Do-
menico di Fiesole, e prometto dare uno, 2, 3 o 4 o lo, e tutti quelli che sarà
di bisogno, cioè, per entrar nel fuoco a probazione della verità la quale io pre-
dico : e confiJomi nel Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo e nella sua
Evangelica vita, che ciascuno che io darò ne uscirà illeso; e quando di que-
sto dubitassi punto, non gli darei, per non esser di loro omicidiale: e in se-
gno di ciò, ho fatto questa sottoscrizione di mia propria mano a laude e gloria
dell' omnipotente Iddio, e a salute dell'anime e a conservazione della verità
del Salvatore nostro Gesù Cristo, il quale solo fa cose grandi e inescogitabili
senza numero, al quale sia onore e imperio. Amen ».
partisans, il craignait surtout de compromettre lo snecès d'une réforme qui était en si bonne
voie. Ses prévisions étaient justes ». Perrens, pag. 245. Raccomandiamo al lettore special-
mente la lettera che i frati di San Marco spedirono al Papa. Si legge presso il Gherard^
pag. 219.
(') Cipolla, Storia delle Signorie, pag. 753.
(2) Vedi Quétif, II, pag. 318.
- 582 —
Ugual suono hanno le altre sottoscrizioni de' Frati di San Marco. (/) Ma
quella di Fra Andrea Rondinelli, suona invece così : « Io Fra Andrea Rondi-
nelli dell'Ordine de' Minori mi obbligo ad entrar nel fuoco col sopra detto
Frate. E in fede di ciò ho fatto questi due versi di mia propria mano, ben che
io creda ardere, ma per salute dell'anime sono molto contento: questo dì 30
marzo 1498 ».
Ugual suono o poco dissimile ha 1' atto di Fra Francesco di Puglia.
Qui ci si parano innanzi moltissime cose: il contegno della Signoria, degli
Arrabbiati, de' Piagnoni, d'Alessandro VI e della Curia Pontificia sono tutti
punti che lo storico del Savonarola deve trattare e presentano ancora non
poco da chiarire e da compiere e precisare ; ma noi per l' intento dello scritto
presente possiamo passarcene, non potendo, qualunque cosa si dica o pensi,
trarvi nulla contro a Fra Girolamo. E del pari ci passeremo di narrare le pre-
ghiere fatte da' Domenicani la mattina dell'esperimento, e del come si reca-
rono in piazza essi e i Francescani (2), nè ci lascieremo trarre a descrivere
1' aspetto che la Piazza della Signoria presentava il giorno famoso. Son queste
cose facili a leggersi negli storici tutti del tempo e ne'successivi. Non ispende-
remo nemmeno parole in mostrare la macchina di fuoco per la quale dove-
vano passeggiare i due campioni. Anche queste son cose nelle quali la
vita e la dottrina del Savonarola non entrano affatto, e da tutto quello che ne
fu detto e scritto non si può nè si potrà mai togliere motivo di movere accusa
di nessuna sorta al nostro Maestro. (3) Piuttosto preme il vedere che cosa pas-
(') Ecco quella di Fra Domenico da Pescia: c Io Irate Domenico da Pescia dell'Ordine
dei Predicatori, di propria mano mi soscrivo et obbligo a sostenere le predecte conclusioni,
non solo con le ragioni, ma confidandomi nell'adiutorio di Dio, mi expongho et obligho ad
entrare col predicatore de' frati Minori predicante al presente in Santa Croce, nel fuoco in
publico, sperando per virtù di Dio Salvatore, ad sua gloria et ad confermatione di questa ve-
rità et ad utilità delle anime, uscire illeso et salvo per Cristum Dominum Nostrum, qui cum
Patre, Spiritu Sancto vivit et regnat in secula seculorum >. Marchese, Doc. XXIV.
(s) Il Pastor a questo punto dice e nota come i francescani si erano quietamente... in
forma semplice recati in piazza per non far chiasso..., mentre i domenicani vi giunsero in
solenne processione e pregavano ad alta voce. Il fatto è notato da molti; ma se, come pare
dal contesto, il Pastor intonde con ciò disapprovare in qualsivoglia misura i domenicani,
noi confessiamo di non veder punto il perchè un cattolico possa far questo.
(3) Per il contegno della Signoria il lettore potrebbe vedere il Villari, Lib. IV, cap. VII,
per quello di Alessandro VI, il Gherardi, pag. 217 e seguenti, e confrontare anche il Bayonno,
Ètude ecc., pag. 185 e seguenti. Ecco, se alcuno dei lettori lo desiderasse, in breve le altre
cose come si leggono nel Landucci: « E a dì 7, fu ordinato in Piazza de' Signori nn pal-
chetto lungo braccia 50 e largo braccia 10 e alto braccia 4, e fu fondato in corte capro di le-
gname, in sul quale fu fatto da ogni sponda un muricciuolo di mattoni crudi, alto brac-
cia e nel mezzo missono ghiaia e calcinacci, e in effotto tutto coperto che '1 fuoco non
potessi trovare l'asse e '1 legname; e in su detto palchetto fu fatto a ogni sponda legne
grosse a uso di cataste, alte braccia 21 „, tutto il palchetto quanto era lungo, lasciarono da
ogni tosta senza lcgne braccia 4, intanto che le legne erano lunghe braccia 40 da ogni lato :
e lasciorono in quel mezzo braccia 2 di spazio d'onde s'aveva a passare: e di fuora e dentro
a dette legne si rizzò molte scopo e frasconi in modo che restò un braccio di luogo l'andito;
e più vi fu gettato su olio, acqua arzente e altre ragie perchè meglio ardessi. E dato l'ora
in detto di a ore 17 si dovessino appresentare in Piazza detti Prati di San Marco e di S. Fran-
cesco, e' quali dovessino fare lo sperimento del fuoco, come s'erano patteggiati e soscritti ;
— 583 —
sasse là sopra il luogo, e tanto più questo ci preme, in quanto che, pure es-
sendo noto, non pare sia stato spiegato in modo che del tutto soddisfaccia e
appaghi.
< Tutto era pronto » dice il Pastor « ma ora sorsero varj pareri circa a
quello che ciascuno dei due campioni potesse recar seco nelle fiamme.... Fra
Domenico, cioè, insisteva di portar con sè il Crocefisso, a) che i Francescani
non volevano assentire. Mentre che dalle due parti andavano e venivano messi
per intendersi sui punti controversi, un subitaneo rovescio di pioggia minac-
ciava di mandar tutto a male ; se non che la bramosia del popolo eccitato al
sommo era tanto grande, che esso tenne saldo, tanto più che la pioggia, ve-
nuta ad un tratto, cessava del pari inaspettatamente. Fra Domenico replicava
nondimeno che monterebbe il palco col Crocefisso; da ultimo dichiarò di voler
prendere seco l'Ostia, invece della Croce. Contro di che levossi una protesta
generale, non solo da parte de' Francescani, ma anche fra il popolo, perchè
giustamente vi si scorgeva una profanazione del Sacramento. Il Savonarola
e fra Domenico da Pescia la pensavano altrimenti: quest'ultimo ha poi con-
fessato che non si era voluto arrendere, perchè gli angeli del sonnambulo fra
Silvestro avevano espressamente comandato si entrasse nel fuoco col Santis-
simo. Soltanto dall' influenza che Fra Silvestro esercitava sul Savonarola può
spiegarsi come il Frate di San Marco si mostrasse in ciò altrettanto irremovi-
bile. Come prete eh' egli era, doveva tuttavia sapere che i sacri canoni inter-
dicono coi termini più severi 1' usare il Santissimo Sacramento a prove perso-
nali; il corpo del Signore non deve servire che all' adorazione e alla comunione
de' fedeli nella Chiesa. Il Savonarola pareva 1' avesse del tutto dimenticato.
Egli dichiarava che i soli accidenti abbrucerebbero, e resterebbe intatto il Sa-
cramento, confortando tale opinione coll'autorità di sacri dottori, mentre i Fran-
cescani non meno ostinatamente difendevano la loro sentenza. In questo mezzo
il giorno declinava, e gli avversarj del Savonarola presero un atteggiamento
sempre più minaccioso. Alla Signoria non restava che intimare alle due parti
di allontanarsi. Ma ora la tolleranza della moltitudine, delusa nella sua aspet-
tazione di un giudizio di Dio, ebbe termine. Naturalmente essa volse le sue ire
contro i Domenicani; — la loro pretensione di volere entrare nel fuoco sola-
mente col Crocifisso o col Santissimo in mano, venne interpretata come un'of-
che dalla parte di San Marco dovessi entrar fra Domenico da Pescia, e dalle parte di San Fran-
cesco dovessi entrare fra Giuliano de' Rondinelli dell'Osservanza. E a l'ora data giunse quei
di San Francesco e entrorono nella Loggia dei Signori, la quale avevano diviso per mezzo
collo steccato, e stettono inverso San Piero Scaraggio sanza dir niente. E poi venne quei
di San Marco con grandissima divozione, grande numero di frati, circa 260, a coppie a coppie,
e poi frate Domenico con uno Crocifisso in mano; e di poi frate Girolamo con il Corpo di
Cristo in mano : e aveva dietro un gran popolo con molti torchi e lumi, cantando e salmeg-
giando con grande divozione: entrati nella Loggia, avevano parato uno altare e cantaronvi
una Messa; di poi el popolo aspettava questo grande spettacolo. E stando più ore. si mara-
vigliava el popolo, e la cagione era che avevano differenzia; che quei di San Francesco
vollono che frate Domenico si cavasse insino alle mutande, dicendo che era incantato, e lui
fu contento; poi gli missono un'altra cosa che non v'andassi col Corpo di Cristo ».
— 584 —
fesa del Santissimo. — L'impressione che tutto ciò fece sul popolo fu tanto più
sinistra, in quanto che il Francescano sarebbe stato pronto a<l entrare senz'al-
tro nel fuoco, nè aveva mostrato pretese di uno scampo miracoloso. Univer-
salmente si riprovava l'indegno e illecito procedere del Savonarola e della sua
fazione, la quale sola aveva sostenuto che avverrebbe un miracolo; prevalse
in fine l'opinione che qui non si era speculato che sull'inganno. Se era così
sicuro del fatto suo, così diceva il popolo, perchè non sostenere egli in persona
l'esperimento? A qual fine insisteva egli che il suo confratello non andasse
nel fuoco, se non col Santissimo? Eziandio devoti del profeta dicevano ch'egli
avrebbe dovuto entrar solo nel fuoco, per dar in fine un argomento inelutta-
bile della sua missione divina. Cosi in un sol giorno il Savonarola aveva inte-
ramente perduto presso la moltitudine la sua aureola di profeta divino. La sua
sorte era decisa. Dopoché le turbe, eh' egli aveva una volta confermate nella
credenza in tali segni esteriori, come quello della prova del fuoco, si videro
ingannate nella loro aspettazione, la loro vendetta doveva essere spietata come
in generale ogni vendetta del popolo, che si senta deluso nella sua dignità e
aspettazione ».
Quante cose bisognerebbe osservar qui! Per rimettere tutto a posto, emen-
dare le inesattezze e ribattere gli errori si richiederebbero almeno cento pagine!
È però facile il capire che l'egregio uomo qui considera la cosa molto esterna-
mente e coli' occhio alla sola scorza, senza penetrare col suo intelletto da
cattolico e col suo criterio da storico nel midollo di quella.
E vero esattamente che sorgessero varj pareri circa a quello che ciascuno
dei due campioni poteva recar seco nelle fiamme ? Io non trovo affatto affatto
che Fra Girolamo od altri limitasse in ciò comechessia la libertà de' France-
scani: i frati di San Marco non sollevarono" nessuna questione al riguardo.
Così ancora è proprio certo il Pastor che Fra Domenico volesse prima recar
seco nel fuoco un gran Crocifisso e poi da ultimo, negandogli questo, vo-
lesse recarvi il Sacramento? Io certo non sono; ma credo assai più proba-
bile 1' opinione di coloro che parlano invece della croce rossa distintivo de' sa-
vonaroliani, simbolo de' patimenti eli' essi dovevano esser pronti a sostene-
re, (*) e dicono che con quella e insieme col Sacramento il Domenicano voleva
entrare nelle fiamme, e che mai ad ogni modo vi sarebbe entrato con solo il
Crocifisso. Lascio che Fra Domenico non s' era voluto arrendere e entrar nel
fuoco senza l'Ostia, perchè gli Angeli del sonnarnbolo Fra Silvestro così vo-
levano. Ciò detto così come lo dice il Pastor non mi sembra abbastanza serio.
Lascio tutte queste e più altre cose, come sarebbe quella che la fazione del
Savonarola avesse sostenuto, come lo dice il Pastor, che avverrebbe il mira-
colo; (2) ina pur vorrei chiedere una qualche prova di quanto è asserito della
(') Vedi sopra Capit. XII, pag. 138, 1H9.
(J) Vedi il discorso del Savonarola più volte citato, e vi troverai semplicemente ohe,
ove lo esperimento si l'osse fatto, il miracolo egli ora certo elio avverrebbe, ma non poteva
però assicurare che l'esperi monto avrebbe avuto luogo.
— 585 —
moltitudine, cioè ch'essa interpretasse davvero come un' offesa al Sacramento
il voler Fra Domenico entrar con esso nel fuoco; e più ancora vorrei una
qualche prova che davvero fosse indegno e illecito non solo il procedere del Sa-
vonarola, ma anche della sua fazione. Di più, è vero che qui non si era se non
speculato sull'inganno? E se mai, son proprio il Savonarola ed i Piagnoni che
abbiano ciò fatto? Queste asserzioni a noi pare che non s'abbiano da
scrittori gravi a buttar fuori così alla leggiera e sprovviste d' ogni argomento
che le conforti.
In verità, il seguire piuttosto il Somenzi che non Fra Benedetto, il
Violi, il Burlamacchi e una serie innumerevole di altri intemerati può esser
lecito; ma bisognerebbe prima assicurarci che il Somenzi, brutto arnese nelle
mani del Moro, il quale adoperò ogni fatta di menzogne e di calunnie per ro-
vinare il Frate e i frateschi, in questo caso non mentiva e non calunniava per
la millesima volta. E del pari lecito il seguire il Pianke contro il Villari, e ri-
pudiare, col primo, « la leggenda domenicana, sostanzialmente ripetuta dal
secondo »; ma qual piagnone sarà indiscreto se anche qui domanderà ragioni
che dimostrino la leggenda domenicana non esser conforme alla verità ? (*J
(l) Il Pastor colla sua critica avversa a Fra Girolamo, rigetta col Kanke la leggenda
domenicana, che sta nel Violi e Burlamacchi e venne dal Villari sostanzialmente ripetuta, e
segue il Cerretani e s'appoggia al Somenzi e finisce con notare che c contro la descrizione
tendenziosa dell'esperimento del fuoco si è risolutamente dichiarato anche il Pellegrini nel
Giornale st. di Lett. ital. XII, 262 e seg. A noi parrebbe che, invece di fare tutte queste asser-
zioni, lo storico d'Innsbruck avrebbe fors<5 recato maggior vantaggio alla storia, se avesse
discusso con sana critica la questione e dette le ragioni per le quali egli crede che il Violi,
il Burlamacchi e fra Benedetto non siano in questo punto da seguire, e ribattuto gli ar-
gomenti che gli altri, e son pur molti, col Villari, addussero a provare il contrario. Con quale
diritto potrebbe chiedere l'autorità del Pastor che noi si creda all'asserzione assoluta e gra-
tuita che egli qui emette? A buon conto il Ranke, a cui egli s'appoggia, ha trovato varj e
serj contraditori, nè si può ritenere per uno di quelli che abbian capito meglio il Savona-
rola. Ci pare poi che al Pellegrini il Pastor faccia dire troppo più ch'egli non dica, nè so se
questi vorrà sottoscrivere senz'altro alle parole di quello. Ma lasciando ciò, io credo proprio
che non vi sia alcun bisogno di ricorrere nè al Violi, né al Burlamacchi, nè a fra Benedetto
per aver prove della verità della « descrizione tendenziosa dell'esperimento del fuoco ». Mi
basta il pensare alle trame che la Signoria attuale d'accordo cogli Arrabbiati, i Compagnacci
e il Moro, tendevano al Frate di San Marco E se questo non bastasse, non sarebbe difficile
ohe io mi facessi persuaso che chi voleva e regolava l'esperimento era proprio la Signoria,
badando non alla leggenda domenicana, ma a quanto mi dicono il Somenzi e i Francescani.
Infatti quegli con la data de' 29 marzo 1198 scrive al suo signore, narrandogli del come era
nata la sfida e soggiunge: c E per essere questa una cosa di qualità e sorte, che dà qualche
e non piccola alterazione a questo popolo, per le parti sono in queste trame di frate Hiero-
nimo, è parso a questa Signoria volergli portare rimedio ; e però hanno mandato per detto
Frate Domenico e frate Francesco, e li hanuo su nel loro Palazzo in quest'ora che è la prima
di notte, e hanno provveduto che non vi possa andare persona alcun* in detto Palazzo, mas-
sime nella parte di sopra dove abitano essi Signori. Per il presente non si può sapere quel
ohe vogliono fare e quel che abbia a seguire; ma del tutto ne darò avviso all'È. V. per altra
cavalcata. Quasi stima questa cosa non essere di poco momento, videlicet ohe porta pericolo
di qualche scandalo ». Il significato di queste parole per chi ha letto gli altri dispacci del
Somenzi rit sce chiaro e non richiede commento. Bel resto con la data de' 7 aprile, ripigliata
la narrazione del fatto medesimo e toccato un'altra volta della contenzione che era tra i
Frati, quest'oratore ripete: « Avviso la S. V. che questi Eccellentissimi Signori per ovviare
agl'inconvenienti che alle volte potriano succedere per simili controversie, massime andando
— 586 —
« Il Francescano, segue il Pastor, sarebbe stato pronto ad entrare sen-
z' altro nel fuoco > Può esser vero anche questo, ma la frase ha dell' ain-
ogni di questa cosa più avanti, deliberarono ieri di dargli un fine. E però mandarono a di-
mandare li detti frati, videlicet quello di San Francesco e quello di San Domenico, cioè il
compagno di frate Hieronimo; e come furono alla presenza di Sue Signorie, gli dissero se
perseveravano in proposito di voler fare l'effetto di quello andavano dicendo, cioè volere
fare esperienza col fuoco che quello dicevano tra vero. Essi frati risposero che si, ben-
ché Irate Domenico stesse prima un pezzo a contendere avanti ch'egli volesse stare d'ac-
cordo. Ma instando la Signoria che omnino volessero lare risoluzione di quello volevano
fare, alla fine si risolvetero di volere fare tale esperienza al piacere di loro Signorie, cioè
quando volevano. Essi Signori dissero volere che si facesse oggi tra le 16 e le 19 ore, e però
che si dovessero andare a preparare per fare il detto effetto ».
Qui ne pare che già sia difficile il dubitare che il merito di quest'esperimento il So-
menzi voleva che il Moro 1' attribuisse a' Signori, e quindi indirettamente anche a sè. che
aveva fatto tanto per volgere contro a Fra Girolamo e il Popolo e la Signoria stessa. È un
fatto che non sono i Frati che abbiano cercato la Signoria, ma la Signoria che cercò i frati e
insistè perchè l'esperimento si facesse. Questo riesce più chiaro da quello che il Pastor po-
trebbe anche chiamare leggenda francescana. Ecco come il Padre Dionisio Pulinari di
quei di San Francesco trae da Fra Mariano, testimonio oculare, la narrazione deila controversia
de' suoi Frati con Girolamo Savonarola. « Fra Domenico incominciò con parole solamente
a offrirsi di voler mostrar segni- E fra Francesco della Puglia che predicava in Santa Croce
virilmente difondendo 1' autorità della Chiesa Santa mostrando al popolo di Firenze, che
egli era ingannato; e fra Domenico si sforzava di difendere i detti e fatti loro. Onde una
domenica mattina fece attaccare alle porte di Santa Croce alcune conclusioni, la prima delle
quali era questa: la scomunica poco fa data contro del P. R. Fra Girolamo, è nulla; la se-
conda, quei che non la servano, non peccano; offerendosi di provarla con ragioni e segni
soprannaturali, purché qualcheduno volesse concorrere con lui all'esperimento. Le quai leg-
gendo fra Francesco, accettò l'invito e si offerse di entrar nel fuoco con fra Domenico Fat-
toraccio solamente. Ei voleva entrare con le parole; però si diniodo crebbero le mormora-
zioni, eh' egli era una grandissima mormorazione e sedizione nella città. Onde li Signori di
Firenze, per porre la città in pace e quiete, furono sforzati di chiamare a loro ambidue li
predicatori, acciò mettessero a effetto quello che avevano detto. E trovandoli pronti a far
quello che avevano offerto, li fecero sottoscrivere. Fra Domenico Fattoraccio si offerse di
entrare nel fuoco e si sottoscrisse col predicatore di S. Croce. Fra Francesco si sottoscrisse
e si offerse di entrarvi con fra Girolamo, ma che con fra Domenico Fattoraccio entrerebbe
un altro. Questa offerta di entrare nel fuoco non era piaciuta a fra Girolamo, ma v'accon-
sentiva per mantenere la sua riputazione; purché non v'entrasse lui, ma un altro. E li frati
ancora loro non volsero acconsentire che v'entrasse Fra Francesco se non con Fra Giro-
lamo. Ma offersero che con fra Domenico Fattoraccio entrerebbe un frate Giuliano
Rondinella » Quante cose sarebbero degne di nota qui! Dapprima Fra Francesco della Pu-
glia « s'offerse d'entrar nel fuoco con fra Domenico solamente»; poi dinanzi ai Signori la
oosa muta: ivi egli si sottoscrive e si offre d'entrarvi con Kra Girolamo.... ». Perchè questo
cambiamento? Non v'avrà proprio avuto nessuna parte la malizia della Signoria? non vi
sarà entrato qui punto il desiderio di trarre a forza in queste faccende anche Fra Giro-
lamo? Ma lasciamo ciò, non risulta egli da questo passo evidente che l'esperimento non si
sarebbe fatto se la Signoria non chiamava a sè spontaneamente i campioni, acciocché
mettessero ad effetto quello che avevano detto? Non è la Signoria che li fa sottoscrivere?
Non v' era altro mezzo per quietai- la città? Ora che questa Signoria o almeno la sua mag-
gioranza fosse avversa al Frate e ligia la Moro, dopo i documenti pubblicati dal Villari,
da I. Del Lungo, dal C. Lupi abbiamo noi altro bisogno di provarlo? Non lo provano più che
a sufficienza le lettere del Somenzi e più ancora gli avvenimenti che successer poi?
Del resto anche il Pastor a pag. ii71 scrive: « 1 CompagDacci avversar) del Savonarola
capivano bene trattarsi qui di una questione, la quale poteva e forse doveva portare la cata-
strofe dell'odiato. — Se il Savonarola entra nel fuoco, — essi dicevano, — bi ucierà certameute,
se non vi entra, perderà il credito de' suoi seguaci, e noi avremo buono in mano a suscitare
un tumulto e nel tumulto a impadronirci della sua persona. — Risolvettero quindi di fare
ogni opera, perchè l'esperimento avesse effetto. Al che però occorreva il permesso della Si-
— 587 —
biguo. Quando si era mostrato pronto ad entrare senz'altro nel fuoco? Il
giorno 7 aprile, nell' ora stabilita, quando già voleva lanciarsi in esso fra Do-
menico e veniva trattenuto perchè vi si lanciava colla Croce e il Santissimo '?
Può esser vero, ma altri potrebbe anche dubitarne. Perchè non ribattere, se
tenete vera quest'asserzione in questo senso, ciò che raccolse il Villari e
prima e dopo di lui ripeterono molti: cioè 1' assicurazione che i Francescani
ebber dalla Signoria che essi non sarebbero altrimenti entrati nel fuoco, ma
che si trattava solo di far bruciare qualche frate di San Marco per poi oppri-
mere il Savonarola; che quando ciò non potesse riuscire, si troverebbe il modo
di mandare a monte ogni cosa? (') Non basta chiamar questa cosi semplice-
mente leggenda domenicana ! A mostrarsi pronti a entrare nel fuoco la prima
cosa da farsi mi sembra che fosse quella di scendere in piazza proprio sopra il
luogo dell'esperimento; or questo lo fece Fra Girolamo di Ferrara, lo fece
Fra Domenico da Pescia, ma non lo fecer mai nè Fra Francesco di Puglia, nè
Girolamo Rondinelli: questi trovarono più comodo restarsene su sempre in
Palazzo della Signoria, se pur colà erano quando i Domenicani ancor solleci-
tavano che si venisse una volta all' atto. (2) A buon confo i pretesti a ritar-
dare la terribile prova furono tutti sollevati dalla parte de' Frati Minori, per
modo che, scrive il Landucci, pag. 169, « i Frati di San Francesco si vide
che volevano farne fuora ».
Ma io voglio lasciar tutto questo, che davvero è disgustoso; e voglio ve-
nire all'essenziale della questione; all'aver voluto il Savonarola che Fra Do-
menico portasse con sè il vaso del Sacramento: qui è dove mi par più infelice
il Pastor, ed è pur dove non conosco che Fra Girolamo abbia avuto buona e
sufficiente difesa.
Ma prima bisogna che io aggiunga alcuna cosa alla narrazione del Pa-
stor, e questo mi pare rigorosamente necessario, perchè la narrazione sia ve-
race. « La veracità storica », osserva opportunamente il nostro Fornari (3),
c non si offende solo registrando le proprie fantasie a scambio dei fatti, ma
anche quando non raccontasi tutto l'avvenuto ». E qui a noi sembra che il
Pastor lasci di narrare cose essenziali, che il lettore non può certo inten-
dere, nè saper comprese nella frase generica « sorsero varii pareri circa a
gnoria. Qui non mancavano oppositori dell'empio tentativo: anche faceva specie che il Sa-
vonarola stesso non volesse sostenere la prova. A grande maggioranza di suffragi si decretò
doversi tentar tutto, anche la prova del fuoco, per togliere le discordie della città ».
Chi adunque, dopo tutto, ci vorrà credere avventati e precipitosi se noi crederemo a
coloro i quali in questo esperimento del fuoco vedono una trama abilmente tesa al nostro
Frate? se vedremo una prima scena della brutta commedia che furono i processi falsificati,
un primo atto della tragedia che si è compiuta poi sulla piazza della Signoria a' di 23 mag-
gio 1498?
(') Ci pare molto difficile che si possa dubitare di ciò. Vedi come narra la cosa il Violi,
e le autorità che adduce, presso il Villari, voi. II, pag. lxxiv.
(2) Anche questo si raccoglie assai chiaramente dal P. Polinari, pag. 375.
(3) Arte del Dire, voi. I, lez. XII, pag. 89 e seg. Queste parole del Fornari esprimono un
oonoetto di Cicerone ripetuto anche da Leone XIII nell' Enciclica sugli studi storici.
— 588 —
quello che ciascuno dei due campioni potesse recar seco nelle fiamme ». Prima
di negare a Fra Domenico che portasse nelle fiamme il Santissimo, gli avver-
sarj già avevano prelese non poche altre cose, le quali ci possono almeno far
sospettare da qual parte si fosse pronti a entrar nel fuoco, e da qual parte
siasi, se mai, speculato sull' inganno ; e più di tutto ci renderan chiaro perchè
Fra Domenico insistesse per entrar nelle fiamme col vaso del Sacramento in
mano. Tutto era pronto e i campioni Francescani invece di scender sul luogo
ed eseguire quello che avevano promesso, elevarono un'obiezione che nessuno
di noi potrà certo spiegarsi.
Il fatto è del resto noto a tutti, ed è espresso dal Landucci (pag. 1G7)
con queste semplicissime parole : « Quei di San Francesco vollono che Frate
Domenico si cavasse insino alle mutande, dicendo che era incantato ». (4)
Questo fatto è di un'importanza per me straordinaria. Bisogna che pensiamo
all'età in cui esso avvenne; età piena di superstizione e di malizia (2) contro di
cui doveva combattere Fra Girolamo. Già nel discorso che aveva recitato la
mattina del giorno in cui si sarebbe dovuto fare l'esperimento, egli aveva cre-
duto di premunire i suoi contro le sciocche arti dell'incantesimo, e mostrare
che Dio non avrebbe altrimenti potuto permettere un intervento diabolico in
tale circostanza: ma da tutto si capisce pur troppo che i suoi avversarj un
qualche timore che il miracolo avvenisse l'avevano: e si preparavano a
dire quando la cosa riuscisse, che il Savonarola e i suoi avevano il diavolo
addosso. (3) Per ovviare a questo quanto era possibile, egli pensò sempre che
Fra Domenico dovesse entrare nel fuoco portando il Santissimo; per questa
guisa coloro i quali non si volessero dire, invece che cattolici, protervissimi
superstiziosi, se non si sarebbero persuasi, almeno sarebbero stati convinti
del grande fatto. Un'arte diabolica con Cristo nessuno avrebbe avuto il corag-
gio di sostenerla; mentre per altra parte non avevano all'atto il diritto di la-
gnarsi e credere che Fra Domenico, se nell'errore, sarebbe bruciato senza il
Sacramento e non con esso. (4J Questo mi pare un punto essenziale e mi ma-
(') Questa frase ci pare che basti perchè si capisca perfettamente la cosa. Il Landucci,
che per delicatezza di coscienza non volle più andare a sentir fra Girolamo, poiché questi
fu scomunicato, crediamo che non possa riuscire sospetto nemment) al Pastor. Del resto che
la trovata di mutar gli abiti, o invitati dalla signoria o no, la tirassero in mezzo davvero i
Francescani è detto anche nella storia di k\ Dionisio Pulinari. Chi fosse desideroso di veder
narrati i particolari anclie i più minuti, può soddisfare al suo desiderio accedendo agli scrit-
tori da cui attinge il Villari e i cui brani si leggono nell' appendice al II volume del mede-
simo storico.
(?) Vedi sopra il cap. VII; V Astrologia e Girolamo Savonarola.
(J) Fra le altre coso dice ivi fra Girolamo: « Se questi avversarj hanno nessuno incan-
tatore, entri qua al fuoco, e se non arde vogliamo aver perso.... Tu di' che il diavolo può fare,
e che può impedire.... Dimmi che vuol dire che il popolo non disse questo ad Elia, che il
diavolo avesse fatto venire il fuoco dal cielo? Ma voi siete più cattivi, che non erano quelli
Infedeli che adoravano Balani •.
(4) Il Pastor dà luogo nella nota prima della pagina 371 alle seguonti pai olo dol Bòh-
ringer: « Se il Savonarola credeva alla possibilità della certezza di un miracolo in favore
della sua causa, a che allora prendere seco nel fuooo la saura Ostia? O prescindendo da
questo, se l'Ostia, per cosi diro, doveva ossero un talismano nelle mani di Domenico, ohe sa-
— 589 —
raviglio che dal maggior numero degli scrittori che si occupano del fatto non
siasi visto e siasi taciuto : basta, a mio modo di vedere, questa sola osserva-
zione a giustificare i Domenicani.
Ma pur troppo nella causa del Savonarola si è dimenticato spesso e
l'epoca in cui egli lottò, e la qualità de' suoi avversarj! Non parliamo de'Fran-
cescani, il maggior numero dei quali erano certo in buona fede, quantunque
alcuni si prestassero troppo docile strumento alle voglie de' politici, (*) ma è
certo cosa che fa pensare quando noi vediamo divenuti difensori dell'onore
della Santa Sede il Somenzi, il Tancredino, gli Arrabbiati, i Gompagnacci i
Palleschi; e fra Girolamo alle mani con una turba siffatta capitanata dal Moro;
il cui solo titolo di Duca di Milano era un vero e mostruoso delitto! Or che
potete sperar altro con i così fatti, allorché non riuscite ad evitare i1 combat-
timento, se non confonderli e ridurli almeno al silenzio? ovvero obbligarli a
gettar la maschera e dichiararsi increduli come sono veramente? Più io penso
a questo e più mi pare savio Fra Girolamo, e più mi si mostra uomo di mente
superiore, e troppo dissimile dai molti dell'età in cui visse.
Ma ecco il Pastor il quale scorge invece nel fallo una profanazione del
Sacramento e soggiunge che il Savonarola « come prete che egli era, doveva
sapere che i sacri canoni interdicono coi termini più severi l'usare il Santis-
simo Sacramento a prove personali; il corpo del Signore non deve servire che
all'adorazione e alla comunione de' fedeli nella Ghiesa. Il Savonarola pareva
l'avesse del tulio dimenticato ».
E corretto questo parlare ? E allora non vi potrà essere scusa che tenga
per Fra Girolamo. Ma a noi semhia che non regga affatto. Convengo perfetta-
mente col Pastor che chi è cattolico deve sapere che il Sacramento non è fatto
perchè ce ne serviamo a prove personali; ma era questa una prova personale?
Francamente no.
Qui non si tratta di persone, ma di cose: e Fra Girolamo poteva ripetere
al popolo, e tutto il popolo suo gli credeva, che si trattava della fede. « Uic
agitur de fide: qui si tratta della fede » (Discorso del 7 aprile 1498). ('") Del
resto l'esperimento mi pare almeno che dovesse perdere un poco, se mai, del
rebbe stato, se anche il Kundinelli ne avesse presa un' altra? L'effetto allora non sarebbe
stato distrutto? • È serio e cattolico questo parlare? Ed è lodevole il professore dell' Uni-
versità d' Innsbruck il riportarlo semplicemente senza la più piccola osservazione? Né punto
migliori e più serie ci paiono le proposizioni che il Pastor accoglie al proposito nel testo
a pag. 371. Non pensiamo che egli voglia farle sue, sarebbe troppo; ma d'altra parte non
trovereta nemmeno un iota che vi faccia credere l'opposto; e questo non ci par bello.
(') Cfr. I. Del Lungo, doc. XVIII, e XXVIII. E questo noi crediamo che sia ancora il
loro torto più grave ne' cavilli della prova del fuoco: il prestarsi troppo docili alle voglie
della Signoria e degli avversarj del Savonarola. Da sè probabilmente non avrebbero nem-
meno pensato a tirare in campo tanti pretesti. .Ma chi una volta blandisce e serve a' potenti,
è difficile che si possa tirare indietro e trovarsi libero.
I2) Non sarà inopportuno un passo del discorso recitato al popolo prima che si mo-
vesse da San Marco: « Ognuno vada con timore di Dio e non con presunzione, ma dicendo:
Signore, quest'opera è tua e solo a te appartiene il miracolo. Vada con proposito di mutare
la vita sua e non dire; se si fa, io che ho creduto farò e dirò; ma di cosi: io non voglio più
— 590 —
suo carattere personale dal momento che vi intervenne la Signoria, v'accon-
sentiva la Curia, e n'era avvisato il Pontefice, il quale fino a quel punto fissato
dalla Signoria, pure avendone avuto il tempo, non aveva ancora disapprovata
la cosa. A buon conto il Nardi nota l'importunità di queste controversie, e
specialmente questa del Sacramento, sorte con gran vergogna de' religiosi che
n' eran cagione, quando era tempo d'entrare nel fuoco, « come se questa cosa
avesse avuto ad essere una esperienza d'una contesa e abbattimento secola-
resco e profano, e non della Fede nostra e dipendente dal giudizio divino ».(')
Del resto troverebbe il Pastor molta differenza tra il fatto presente e
quello di Gregorio VII a Canossa? Era empio questo Pontefice quando, presa
1' Ostia, egli, dichiarandosi innocente, proponeva ad Enrico IV di pigliarla del
pari, se si sentiva come lui innocente? E ancora, troverebbe il Pastor molta
differenza tra il fatto presente e Adriano II che dà 1' Ostia Santa a Lotario?
Santa Chiara uscita dal chiostro oppose all' esercito di Federico II che asse-
diava Assisi il Santissimo, e n'ebbe ammirazione e lode da tutta la Chiesa; e
noi diremo invece empio Fra Girolamo perchè oppose il Santissimo all' eser-
cito dei suoi avversarj capitanato dal Moro? E che giudizio dovremo pronun-
ciare di Sant'Antonio da Padova? Io so che alcune di queste leggende, e
specialmente quella di Gregorio VII, diedero luogo a dubbi! in qualche cri-
tico moderno; ma sieno esse vere o false, queste leggende non fur mai
accusate d' empietà. Non mi dite che tutti questi personaggi, come anche
San Domenico, allorché gettò nel fuoco 1' Evangelo, eran mossi e guidati da una
particolare inspirazione divina, perchè allora dovreste assumervi l' impegno di
provarmi che questa particolare inspirazione mancava affatto al Savonarola, nè
so come potreste riuscirvi con gloria; e ad ogni modo sarebbe sempre facile
il rispondervi che cose per sè empie Dio- non ne inspira. (2)
Ma intanto, soggiunge il Pastor « la pretensione di voler entrare nel
stato, non più danari, veggo che la fede è provata con miracolo. Nessuno ancora mostri
atto di vanità o leggerezza, perchè sarete poi in più pericolo di vanagloria: canterassi un
Te Deum, non saltando, ma con lacrime, glorificando Dio con ogni umiltà. Frati miei, fati?
che nessuno si esalti, che Dio vi darà poi la mazzata e ognuno si disponga a guastare l'al-
tare vecchio, idest, la vita vecchia, come fece qui Elia cho rifece l'altare nuovo con dodici
pietre. Vuol dir questo che ognuno debba rinnovare la vita sua secondo la dottrina de' do-
dici apostoli, la quale e farà bene e patirà male. »
(') Istorie, pag. 147. Che la cosa poi fosse giudicata di comune utilità e non qual prova
personale, si rileva dalla consulta del 30 marzo pubblicato dal Lupi. Duca Corsi diceva: « E
cosa di momento a tucto il Cristianesimo ».
('-) Vedi P. C. De Smedt, I.e.x artgtnes die ducljudiciaire : Mémoire lue à la section d'histoire
du Congrès scientifique international des catholiques, a Bruxelles, le 6 septembre 189i; pub-
blicate negli Elude» religieuses, etc. XXXI0 Année, Tom. DXI1I, 15 novembre 1891, pag. 337-362.
Paris. Ivi l'autore sebbene dica che la legittimità del duello giudiziario non fu proclamata
nè formalmente ammessa da alcun papa, o da alcun concilio, e nemmeno da alcun vescovo
parlando come pastore di anime, riesce tuttavia a scrivere le parole seguenti: « Rien d'éton-
nant dune que le grande partie des ivcits de duels soit fornie par le chartes et par los histoires
<1' /-glises, ou de monastères, ou nu'-me de saints ». l'ag. 362. V. anche 1' altro articolo f.e due!
judir.iaire et V Rylue, XXXII1' anm' e, toni. DXIV, 16 janvier 1195, pag. 35-73. Cfr. e vedi Decret.
Oreg., lib, V . Ut. Ili, cap. XI. De Simonia, e Decret. secund. part., Caus. II. Qu. I V. can. XXIII.
— 591 —
fuoco.... col Sacramento in mano venne interpetrata come un'offesa al Santis-
simo ». Non contesto la verità del fatto. Anche la cronaca di Fra Dionisio
Pulinari narra la cosa come segue: « I nostri padri udendo questo, (cioè che
fra Domenico voleva portare il corpo di Cristo) con grande orrore e ruggi-
mento, sendosi tutti raccapricciti, solamente al sentire una tanto nefanda pro-
posta, mai vollero, nè potettero acconsentire; e che erano a fare sperimento
di Fra Domenico e non del Sagramento, e che questo era in vilipendio del
Santissimo Sagramento, del quale loro in tutte le cose erano più che certi e
nulla dubitavano. Ma se semplicemente, dissero, voi volete entrare, noi ac-
consentiamo, e siamo parati a sottoporci al tormento del fuoco; ma col San-
tissimo, Iddio ci guardi, che questa cosa venga nelle menti nostre, che noi vo-
gliamo mettere a sperimento il Santissimo Sagramento. E li Padri Piedicatori
non volsero acconsentire che Fra Domenico Fattoraccio entrasse senza il Sa-
gramento ».
Ora che si ha da dir qui? Che la cosa non so vederla seria tanto da giu-
stificar per essa la ritirata del Francescano dalla prova, incolpandone poi il
Domenicano; al più potevano essi, credendo davvero che questo fosse vilipen-
dio del Sacramento, protestarsi innocenti della cosa e lasciarne intiera la re-
sponsabilità all'avversario; più in là, se erano disposti d'entrar davvero nel
fuoco e v' entravano con la fede che si doveva, non mi pare che avessero a
spingere le pretese. Forse che si pretendeva che portasser essi pure nel fuoco
l'Ostia Santa? Qual nuova paura dovevano aver essi adunque? Se credevano
nell'Ostia Santa e tenevano per empio l'atto di Fra Domenico, niente di più
naturale che pensare che Dio avrebbe colle altre punito in quello anche que-
sta perversità. Qui non si trattava davvero di mettere ad esperimento il San-
tissimo. Nè vedo affatto come essi in ciò, invece di far esperimento di Fra Do-
menico, fossero qui condotti a far esperimento del Santissimo. Mi paiono molto
savie e giuste e da non potersi ribattere le cose che si leggono ne' processi
di Fra Domenico: « Basta a me ch'io venni deliberato a entrare a ogni modo,
nè mai pensai d' avere a essere appuntato del Sacramento.... Pensavo bene
a molti, i quali non sono amici di Dio, del miracolo non ne avevano a far
frutto; ma avrebbero detto che il Sacramento, il quale non può ardere, lo
avessi fatto; come se fosse vero che le specie del Sacramento non possino
ardere, con ciò sia che più volte sono arse, e possono essere corrose da' topi,
e in altri modi corrotte e smaltite, come accade ogni volta che 1' uomo si
comunica. Dimmi: non può ardere colui che lo porta nel fuoco, non può ar-
dere il velo e i panni? Mille ostie adosso a uno che entrasse nel fuoco, non
avendo la verità dal suo, non lo scamperebbero. Se adunque è nato scandalo,
Iddio, la volontà del quale io feci, me ne darà premio; perchè ho assai me-
ritato in quest' infamia e persecuzione sì grande ». (')
Nessun danno adunque potevano recare agli avversarj i Domenicani en-
trando nel fuoco col Sacramento; mentre, per altra parte, essi potevano quindi
(') V. Villari, voi. II, pag. ccv e ccvj.
— 592 -
sperarne una vera utilità: perchè dunque condannarli se domandavano che fosse
loro concesso? E poi non vorremo conceder proprio nulla alla vivissima e
sincera fede di Fra Girolamo e di Fra Domenico? « Io, dice quest' ultimo, son
certo che io non avevo ad ardere, e però non ne seguiva scandalo (entrando
nel fuoco col Sacramento) anzi edificazione della fede ». Lo stesso, perfetta-
mente lo stesso, credeva Fra Girolamo. E d'altra parte che il suo campione
entrasse nel fuoco col Sacramento o senza, oltre alle ragioni già esposte di
sopra, non doveva a un ottimo reggitore di anime parere indifferente per gli
effetti morali, che ne potevano quindi venire. Forse temeva che anche in al-
cuno de' suoi, quando l' esperimento si facesse, entrasse la superbia, e non
venisse ogni cosa attribuita a Dio. (')
Ma sento un' obiezione: Fu questo del Sacramento un cavillo trovato sul-
l' istante da Fra Girolamo per rompere la cosa, e aver modo di ritirarsi dal-
l' esperimento: quindi mostra la sua mala fede e non altro. Questo pensano
alcuni, e potrebbero forse avere un' ombra di ragione guardando al modo come
è narrata la cosa qua e colà dai moderni, ma è assolutamente inesatto, è un
falso supposto e ne abbiamo prove incontestabili. Fra Girolamo non aveva
pensato a tal cosa nel momento in cui si doveva fare, ma già era fermo in
quella innanzi che spuntasse il giorno in cui avrebbe dovuto aver luogo l'espe-
rimento. Questo è detto assai chiaro anche ne' processi. Infatti in essi Fra Gi-
rolamo dice appunto che, ove fosse occorso che Fra Domenico avesse avuto a
entrare nel fuoco « volevo entrasse col Sacramento, nel quale Sacramento
avevo speranza non lo avesse a lasciar ardere e senza il quale non V avrei
lasciato ire ». (z) Nè queste cose Fra Girolamo se le tenne in cuore, ma le ma-
nifestò chiaramente: e seguendo nel processo si legge ancora ch'egli conferi
quesla cosa con Giovanni Battista Rid.olfi in San Marco due volte, innanzi al
dì del cimento; e dovevano pur conoscerla gli avversarj, imperocché nella cro-
naca del Padre Dionisio Pulinari là ove si fa la storia di tali cose prima che
venisse il giorno fissalo, v' è scritto quanto segue: « Non credette mai
Fra Girolamo che Fra Giuliano entrasse nel fuoco, e non entrando il nostro,
il suo non era tenuto, e se pure fosse occorso che il suo ci avesse a entrare,
non ce lo voleva lasciar entrare senza il Sacramento, sperando per virtù di
quello egli non saria offeso ». (3)
Ma meno che mai Fra Girolamo avrebbe potuto mostrarsi desideroso co-
mechessia ora che la cosa restasse incompiuta per colpa sua e de' suoi. Prima
certo avrebbe avuto molto caro che la cosa si fosse rotta e distornata, per non
(') Cipolla, pag. 706.
(**) Villari, v. II, p. clxxij.
(3) Questo è vero: nemmeno nel discorso cbe recitò al popolo potè assicurare che
1' esperimento si farebbe. Il Perrens, pag. 248, argomentò quindi la volontà cbe era in li- a Gi-
rolamo di non venire al terribile passo, e afferma ch'egli sperava almeno in qualche deus
ex machina. La cosa crediamo sia molto più semplice. Oramai Fra Girolamo vedeva troppo
chiaro ohe anche questo esperimento era una trama, e che gli avversarj non poteveno vo-
lerlo, né permetterlo sul serio. Cf. Villari. v. II, p. clxxiij, testo, e n. 1.
— 593 —
aversi a condurre a tale cimento: ma una volta che lo zelo de' suoi, e più la
Signoria, 1' avevano condotto a tale egli bramava nell1 ardente sua fede, che
la cosa si facesse: e non avrebbe mai detto ai suoi che si adoperassero a
romperla, nè lasciato in alcun modo trasparire questo desiderio, che non nu-
triva affatto. Anche questo è provato da' processi : « Dello aver dato ordine
che la cosa non si conducesse, ovvero si rompesse per mezzo de' miei ne-
mici, dico che non l'avrei mai fatto; perchè mi vedevo spacciato, e ne per-
devo il credito, manifestandomi che io volessi fuggire il cimento ». Egli non
si ritirò se non quando gli avversarj lasciarono il campo senza una giusta
causa. E allora, dacché egli aveva sempre detto, ed è registrato anche ne' pro-
cessi, che si conducevano a questo cimento per esser provocati e solo per ri-
spondere, allorché la provocazione cessava, doveva ritirarsi. Quand' egli si
fosse arbitrato di lasciar da solo entrar nel fuoco Fra Domenico, egli avrebbe
tentato Dio. Certo l'insipienza del volgo, anche di quello a lui devoto, poteva
desiderare che egli entrasse solo nel fuoco per dare un argomento ineluttabile
della sua missione divina; ma gli uomini di senno devono capire che di questo non
aveva egli alcun bisogno, e che in caso avrebbe compiuto un atto presuntuoso
ed illecito. Qui era proprio il caso di ripetere: Non tenterai il Signore Iddio tuo.
Più forte, mille volte più forte e più umile ci appare il nostro Frate mostran-
dosi pronto co' suoi a sostenere tutta la tempesta che è per cadérgli addosso
per colpa non sua, che non se avesse ceduto ad un impeto leggiero e folle
del suo volgo, o alle voglie di quella generazione prava, che chiedeva il mira-
colo e non lo voleva, nè avrebbe saputo tollerarlo.
E terribile davvero scoppiò la tempesta sopra il capo del Savonarola e
de' suoi : terribile, ma non imprevista, nè sgomentevole a lui pronto a mo-
rire e desideroso di offrirsi vittima per la causa sua e per i suoi amici.... « Gli
Arrabbiati e i Gompagnacci, che avevano atteso lungamente quel giorno per
godere della ignominiosa caduta del loro dichiarato avversario, colpiti quasi
dall'ira di Dio, rimasero delusi nel perverso loro desiderio. Ma giurarono la
sua rovina. Il popolo che non esaminò chi avesse torto o ragione, disse di es-
sere slato ingannato. Da quel giorno lo scoppio della rivolta e la fine del Sa-
vonarola erano inevitabili.
« La mattina del giorno 8 aprile, domenica delle Palme, passò tranquilla:
il frate, che la sera avanti, ritornando a San Marco, aveva esortato il popolo a
metter mano a cose grandi, recitò questa mattina un discorso — breve, molto
divoto e lagrimevole, quasi pronunziando la sua instante tribulazione. — Egli
si offeriva olocausto a Dio, desideroso di dare la vita per le sue pecorelle. Sul
far della sera, avviandosi i Piagnoni, umiliati, incerti, al duomo dove predicava
Fra Mariano degli Ughi, uno dei Domenicani che avevano sottoscritto 1' atto
della prova del fuoco, gli sfrenati Gompagnacci gì' insultarono per via.
« Fu sparsa l' incredibile calunnia che la parte fratesca avesse ucciso certo
Francesco Neri, allorché questi volle proibire a Fra Girolamo di predicare.
Bastò una favilla per destare l'incendio ».
E noto quindi come venisse assalito il convento di San Marco e come la
38
-• C94 —
Signoria togliesse ai rinchiusi colà anche il mezzo di difendersi, decretando
loro il bando. « Sul punto di cadere in mano ai nemici, il Savonarola prese
il Sacramento e dinanzi a quello giurò eh' egli non aveva predicato che la
verità. Fu condotto prigioniero egli, fra Domenico da Pescia e fra Silvestre
Maruffi da Firenze insieme con altri di minor grido, frati e laici ». C1) Fu sa-
puto anche come la Signoria mandasse avviso dei fatti al Papa, e come
chiedesse e impetrasse facilmente da questo un'assoluzione generale di tutte
le pene ecclesiastiche in cui si poteva essere incorsi; e insieme licenza di po-
ter processare i frati. Il processo contro il Savonarola cominciò senza indugj.
Addì 11 aprile furono scelti gli esaminatori, ai quali fu lasciata libertà di pro-
cedere nel processo sino ad usare « quolibet remedio opportuno », cioè fu loro
permesso anche di sottoporre gli accusati alla tortura. Gli otto e questi ag-
giunti, i quali erano tutti molto avversi al.... frate — cominciarono subito le
esamine. (2J « In esso processo, scrive il Pastor, si vide come i nemici del Sa-
vonarola fossero diventati assoluti Signori della città: non vi fu mezzo di tor-
tura e di falsificazione che non venisse da essi adoperato. Le deposizioni del Savo-
narola, estorte da ripetute torture, e sfigurate mediante l' interpolazione ed
ommissione di singoli periodi e parole, non provano naturalmente nulla ».
« Non ostante ciò, il processo alterato servì a smuovere molti aderenti al par-
tito del Frate ». (3j Assai espressivo è il Landucci nella pag. 173 del suo
Diario, riportata anche dai Pastor. « A dì 19 aprile 1498, si lesse in Consiglio,
nella sala grande, il processo di frate Girolamo, eh' egli aveva scritto di sua
mano, il quale noi tenevamo che fosse profeta, il quale confessava non esser
profeta, e non aveva da Dio le cose che predicava; e confessò molti casi oc-
corsi nel processo delle sue predicazioni essere il contrario di quello ci dava
ad intendere. E io mi trovai a udire leggere tale processo; onde mi meravi-
gliavo e stavo stupefatto e in ammirazione. E dolore sentiva l' anima mia,
vedere andare per terra uno siffatto edificio per avere fatto tristo fondamento
d' una sola bugia. Aspettavo Firenze una nuova Gerusalemme donde avesse
a uscire le leggi e lo splendore e l'esempio della buona vita, e vedere la
novazione della Chiesa, la conversione degli infedeli, e la consolazione de' buoni;
e io sentii il suo contrario, e di fatto presi la medicina: In voluntate tua, Do-
mine, omnia sunt posita ».
« E anche i Frati di San Marco si staccarono dal loro Maestro » (p. 376).
E chi li può rimproverare? anzi chi può non lodameli?
Chi poteva così subito credere ad un delitto tanto nero, qual era la mo-
struosa falsificazione de'prccessi? A noi questa defezione de' discepoli dal loro
(') Cipolla, pag. 756.
(2) Idem, pag. 75?.
(3) Non si può contradire quest'asserzione del Pastor, ma si può aggiungerò ciò che
dico il Villari, cioè che in tutti questi processi si può tenero per non alterato nò aggiunto
tutto ciò elio è a favore dell'accusato, perchè di certo non fu inventato dagli esaminatori,
nè dal notaio. Le asserzioni del Pastor soprasciitt e si riferiscono anello, e sempro giusta-
mente, al processo de' Commissari apostolici di cui daremo un conno or ora.
maestro riesce una delle più forli ragioni che Fra Girolamo era in buona
fede; e che mai non insegnò altro se non la verità della fede e l'attacca-
mento alla Chiesa.
S' egli avesse anche in piccola parie seminato nelle menti e ne' cuori
de' suoi il falso pestifero dogma onde era accusato, avesse predicata e per-
suasa la disobbedienza e la ribellione, oh! davvero ch'essi non si sarebbero
così subito piegati a far atto di soggezione come fecero. Lo stesso sconforto
del Landucci, coscienza molto dignitosa e pia, è una evidente dimostrazione
che Fra Girolamo non aveva mai lasciato neppur concepir il pensiero ch'egli
tentasse una rivoluzione di qual si voglia genere nella Chiesa di Cristo. Sin-
golare è questo fatlo! non uno fra i molti che si staccarono dal Frate disse
mai d' aver osservato che quegli lasciasse comecchessia trapelare un pensiero
o compisse un atto non giusto, non retto, non onesto; non uno degli antichi
fedeli seguaci del Frate si trovò che andasse con doppiezza, ma tutti cammina-
vano semplici e schietti dietro le orme di lui, credute sante.
Belle sono e gravi le cose che i Domenicani scrissero ad Alessandro VI
il giorno 21 aprile 1498, dopo che s'era fatto pubblico l'infame processo della
Signoria; si confessano essi ingannati da Fra Girolamo, si chiamano rei di
avergli creduto, supplicano a Sua Santità perchè li voglia prosciogliere dalle
censure in cui si credono incorsi: nè si può dubitare affatto de' loro senti-
menti; ma perchè errarono essi così gravemente? Perchè furono ingannati.
E che cosa ingannò essi e gli altri molti che seguirono Fra Girolamo?
« L'acume della sua dottrina; la rettitudine del vivere; la santità dei costu-
mi; la simulata devozione; il profitto che ottenne col dissipare dalla città il
mal costume e ogni sorta di vizj ; i molti eventi che, disopra d'ogni forza e
d'ogni immaginazione umana, confermarono le sue profezie; furon tali e tanti
che, se non si fosse egli medesimo ritrattato, dicendo che le sue parole non
eran da Dio, noi non avremmo giammai potuto negargli fede. E tanto in lui
credevamo, che tutti fummo prontissimi d'esporre al rogo i nostri corpi, per
sostenere la sua dottrina ». (lj A me il fatto che i religiosi di San Marco si
staccano da quel Savonarola vanaglorioso, bugiardo ed empio che apparisce
dai processi falsificati, parve sempre un titolo singolarissimo di lode per tutta
(4) Queste paiolo così come lo abbiamo trascritte si leggono nel Pastor a pag. 376.
Merita la pena che si leggano anche le originali, quali stanno nel Perrens che pubblicò la
lettera d' essi frati: «Subspe pietatis sedanti fuimus, peccavimus, inique egimns, non obtem-
perundo Beatitudini Vestrae nec non reverendissimi protectoris ec cardinalis nostri praeceptis
cuin maxime nos obsequium Deo praestare arbitraremur. Ea siquidom f'uit sagacissimi
hominis investigando astutia, ut maxima quaeque ingenia obtonebrari et contundi potue-
rint. Acutissima enim ipsius doctrina, recto vivendi institutio, morum et sanctitatis species,
simulata devotio, multorum a vitiis revocatio, foenorum.... scortorum flagitiorumque abo-
litio, unusque animorum omnium in Deo consensus, variique rerum eventus supra vires ho-
minis prospecti, et vaticinia inulta ex illius oro praodieta, fidem quodammodo adstruere
visa, ejusmodi causa fuere, ut, nisi ipsomet Frater llicronymus quae se a Domino accepisso
pluries et a se veracissime attestatus fuerat proprio ore retractasset, nunquam aliter nobis
persuadere potuisset: qui ad ejus jussa singuli propria corpora rogis exponore parati ora-
mus, tantum iì li tribuebamus ».
- 59G -
la Congregazione. Del resto non larderanno molto questi religiosi a mostrarsi
di nuovo ben attaccati al vero Savonarola: ciò faranno appena sarà possibile
scorgere la diabolica malizia de' magistrati fiorentini. Allora apparirà un' altra
volta fra essi benedetta la memoria del grande Riformatore, anzi vi avrà un
culto, che si manterrà vivo anche in mezzo alle persecuzioni, a traverso tutte
le età; ed essi non saran contenti se non quando riudranno una voce autore-
vole che dichiari prosciolto e ribenedica il loro Padre e Maestro.
Intanto arrivavano a Firenze i commissari di Alessandro VI, Gioachino
Turriano, generale de'Domenicani e Francesco Romolino dottore di leggi e
vescovo d'Ilerda. Qui cominciarono le esamine il giorno 20 maggio. « La
condanna era già preparata; e nella sera del 22 maggio, ultimo giorno del-
l'interrogatorio, fu comunicata ai frati ». (/)
Se questo libro non fosse già divenuto troppo grosso, mi soffermerei
qui a dire dell'ultima notte passata dal Savonarola in carcere: rimando
per questo il lettore al Burlamacchi. «L'estremo colloquio del maestro co'suoi
discepoli, l'ultima comunione di cui si cibarono assieme, la veglia passata
pregando, il sonno che il Savonarola dormì placidamente, poggiando la lesta
sulle ginocchia di Iacopo Niccolini ch'era venuto a confortarlo, » formano in
questo scrittore una narrazione così patetica che attrista e commove soave-
mente ognuno che la legge, i^2)
Fra Domenico in quella notte scriveva a' suoi confratelli di Fiesole la
famosa lettera nella quale raccomanda d'aver cura de' libri del maestro, che
si raccolgano tutti insieme, se ne metta una copia in libreria, e un' altra in
refettorio, per leggere a mensa, non pur da' novizj e da Padri professi, ma
anche da Fratelli conversi. Ora perchè al piagnone che visita il Convento di
San Domenico a Fiesole non vien fatto di vedere quest' Opere desiderate ? !
Perchè anche quei frati volgono indarno l'occhio in giro per veder tutte in-
sieme le Opere dell'antico loro Vicario?!
« Il supplizio fu fatto loro subire il 23 maggio sulla piazza della Signoria,
proprio nel sito dove due mesi prima stava la catasta di legna preparata
per la prova del fuoco. Furono dissacrati i tre condannati dal vescovo Paga-
notti; il Romolino concesse loro in nome del Papa la plenaria indulgenza,
ch'essi ricevettero riverenti. Il primo a pendere dalla forca fu il Maruffi,
(') Cipolla, pag. 759. Anche il Pastor scrive : « Com' era da provedersi, il processo ter.
minò cosi, che il giorno 22 maggio il Savonarola con fra Domenico e fra Silvestro — causa
gli enormi delitti de' quali sono stali convinti — ebbero condanna ili morte ». pag. 377. Os-
serviamo che le parole: Causa gli enormi delitti ecc. non -sono del Pastor, ma dei giudici.
(*) liceo che ne dice il nostro maestro C. Cipolla nel luogo citato: « Io non prevedo
qual giudizio porterà la critica sulla Vita del Burlamacchi ; ma so che più volte vi lessi la
patetica narrazione dell'ultima notte passata dal Savonarola in carcere, e sempre mi sentii
stringere il cuore e provai un senso d'amarezza profonda e nel tempo stesso delicata, e
vorrei dire soave. Oli ultimi momenti del Frate sono narrati in modo alquanto simile da
tutti i suoi biogruli ; ma questo squarcio del Burlam&ochi ha forse maggioro l'attrattiva
dello stilo e 1' evidenza della frase ». Vedi anche ISayonne, Oeuvres Spirituclles choisics de Je-
rome Savouarole, Tome II. Paris, ISSO, pag. 283-21)3.
— 597 —
secondo il Buonvicini, ultimo il Savonarola. Ai piedi del patibolo alcuni
popolani, forse antichi suoi discepoli, si lanciarono colla miccia accesa sul
rogo per mettervi fuoco prima che il Savonarola spirasse, ond'egli provasse
più dolorosa la morte. Non riusci loro di compiere il crudele disegno.
Quando il fuoco gì' invesli, tutti e tre erano morti. Ma i monelli aspettarono
che la fiamma cedesse; e con sassi e con pietre lapidarono i tre cadaveri:
giunsero ad aprirli; cosicché si vedeva pendere sanguinolento ancora e mezzo
bruciato il cuore insieme alle viscere di Fra Girolamo. E di questo lagrime-
vole spettacolo si compiacque con diabolica voluttà Paolo Somenzi oratore
milanese che ne informò il suo signore, vilmente scherzando sulla morte
dell'odiato avversario ». (*)
Ma così non facevano i semplici : la mattina dopo il supplizio far viste
pie donne pregare sopra quel suolo per esse già divenuto sacro. Era il trionfo
della semplicità predicato da Fra Girolamo ! « Le ceneri dei tre Frati furono
gettate in Arno: ma la memoria non fu distrutta, e per secoli si continua ad
ornare di fiori, neh' anniversario della morte, la piazza dov'essi furono giu-
stiziati ». (2)
« Così finiva quell'uomo d'ingegno, moralmente irreprensibile »: (Pastor,
p. 377), e la sua fine riuscirà ognora inesplicabile a chi non ha fede nella vita
futura, e ne' premj inconcepibili che Dio dona ai retti e ai giusti pagati dal
mondo con tristezza e ingratitudine! Fra Girolamo è l'uomo innocente di mani,
mondo di cuore; che non ha ricevuto in vano la vita. Potè esser ribelle alla
Chiesa di Cristo e al suo Vicario, e non fu; potè andar dietro ai consigli degli
empj, e non andò; fermarsi nella via de' peccatori, e non vi si fermò; porsi a
sedere nella cattedra di pestilenza e non vi si pose. Ma suo diletto fu la legge
di Cristo: la legge di Cristo meditò egli di giorno e di notte, e la predicò a
tutti. Piuttosto che aver onori tradendo la sua missione e la sua coscienza,
amò fare il bene e sostenere il male e cosi perseverare ins'mo alla morte. Coni' è
possibile ch'egli non sia amato? com'è possibile ch'egli non risplenda nella
congregazione de' giusti ? (3)
(') Cipolla, pag 759.
(2) Idem, pii£. 760.
(3) E singolare che, dopo aver ucciso quest'innocente, nessuno voleva esser l' autore
della morte di lui. Alessandro VI si scagionava accusando il suo legato di crudeltà. I ledati
riversavano la colpa sopra Kirenzo. Firenze non ne voleva saper adatto. Cosi avvien sempre,
il male si fa, ma nessuno vuole averlo tatto.
BREVE EPILOGO
Cosi noi siamo giunti alla fine della lunga via, e abbiamo compililo
V ufficio nostro ed eseguito quanto ci proponemmo. Ma perchè le questioni
da noi discusse e le tesi sostenute furon molte, non sarà male che racco-
gliamo ora in breve epilogo le principali, e le poniamo tutte insieme sotto gli
occhi del lettore. Oltre al piacere che forse a lui recherà il dar uno sguardo
su tutto il cammino percorso, potrà questo anche apportargli qualche aiuto ad
orizzontarsi ne' molti e stretti sentieri pe' quali egli ha dovuto passare, sen-
tieri che forse prima a lui eran parsi ingombri di aspri sterpi, o ricoperti da
nebbia folta.
L'opera nostra, che pure imprendemmo indotti solo da necessità, ebbe
due intenti: l'uno negativo, l'altro positivo. Volemmo per un lato dimostrare
che il giudizio del Pastor su Fra Girolamo è inesatto e da riformare. L'egre-
gio storico d' Innsbruck, che tutti veneriamo per la scienza e la virtù ond' è
adorno, venne qui meno alla sua dirittura di giudizio, perchè del Savonarola,
personaggio che pur riempie ognora della sua fama il mondo, scrisse senza
averne letto e studiato le Opere e senza esservisi prima sufficientemente pre-
parato; ma fidandosi, meglio che nel suo' ingegno e nella sua diligenza, ncl-
l' autorità di coloro che avevano innanzi trattato l'argomento, anche se ra-
zionalisti e non cattolici.
E fu questa sventura grande non solo per la vita di Fra Girolamo, ma
anche per tutta l'Opera del Pastor; imperocché, se il Pastor avesse letto
negli scritti del Frate prima di parlarne, avrebbe non solo pronunciato di
lui altro giudizio, e fatta così progredire assai nel campo cattolico la buona
causa, ma alla stessa sua Storia avrebbe dato miglior compimento, oltre al
— 600 —
piacere che avrebbe egli potuto provare vedendo sul morir del secolo XV
un uomo della levatura e forza di Fra Girolamo pensare e credere e pre-
dicare quelle verità eli' egli ora insegna dalla cattedra d'Innsbruck, e condan-
nare quello che nell'epoca del rinascimento egli condanna.
A noi, per esempio, sembrò sventura che il Pastor . sottoscrivesse al
giudizio di coloro che non sepper vedere il buono spirito che animava le
feste e le processioni promosse in Firenze dal grande nostro Riformatore,
e piuttosto che lode parvero dargli biasimo delia mondanità e del pa-
ganesimo che egli bandì. Così ci parve ugualmente da condannare la sen-
tenza che voleva Fra Girolamo soverchiamente passionato e rigido sia come
direttore di anime e maestro di vita cristiana, sia come predicatore della
riforma sociale, e soprattutto come restauratore della famiglia ed educatore
de' fanciulli ; mentre egli non giunse mai ad eccessi. E quantunque la corru-
zione fosse penetrata anche nel santuario, e per ogni dove si mostrasse trion-
fante, fino al punto di chiamare sul capo degli uomini i flagelli divini e pro-
vocare un santo sdegno in chiunque zelasse 1' onore della casa di Dio, pure
Fra Girolamo, che contro il vizio lottò a morte, seppe ancor qui contenersi
ne' giusti limiti, nè mai discese a dir male d' alcuno in particolare, e tanto
meno del Pontefice Sommo, a cui portò ognor riverenza come a primo Pa-
store e Vicario di Cristo.
E come venner ribattute qui parecchie accuse rinnovate dal Pastor, così
mostrammo inesistenti quelle che volevano il Savonarola invasore del campo
politico più che a religioso non convenisse, e disseminatore di discordia nella
città che 1' udiva, e a cui diede la pace universale. In modo particolare ci
spiacque 1' accusa, pur comune in moltissimi, che Fra Girolamo tenesse volta
Firenze alla parte francese: e non ci parve tollerabile l' affermazione che
egli a ciò invitasse i Fiorentini in nome di Dio stesso e valendosi della mis-
sione divina, della quale si credeva investito. Ed anche su questo punto della
missione di Fra Girolamo dovemmo corregger troppe cose nello storico d'Inn-
sbruck, colpa sempre l'aver questi creduto altrui, piuttosto che studiar egli
stesso la questione che voleva risolvere.
Del pari, ci parve poco chiaro il Pastor nel giudicare la teoria del Sa-
vonarola e trovammo nel suo volume sentenze non facili a comporsi insieme;
quantunque egli sia tra i molti che dicono di non condannare il Nostro per la
dottrina. Dolore ci ha recato in questa parte specialmente l'accusa di Ussita
alla teoria savonaroliana, e quella chela vita peccaminosa de' prelati ne possa
scuotere la giurisdizione, e quella eh' egli avesse piena la testa della teoria
che fa il Concilio superiore al Papa. Taccio di molte e molte altre accuse
parziali e di molti epiteti ingiuriosi che vedemmo donati immeritamente al
Frate. Abbiamo nel corso dell' opera tenuto l1 occhio su tutto e confidiamo
che nulla sia rimasto senza una risposta.
Ma siccome ci spiacque sempre la critica, e crediamo più utile mostrar
la verità che ribattere V errore; così siamo venuti esponendo della vita e
della dottrina del Frate quel tanto che ci parve necessario a far conoscere la
— 601 —
figura dell'illustre condannato, e ad ottenergli l'assoluzione dalla ingiusta sen-
tenza che da quattro secoli lo tiene legato ed oppresso. In questa parte più
che mai siamo stati fedeli al metodo che solo crediamo possa condurre alla
conoscenza della verità e a far trionfare la giustizia di questa causa. Lasciati
un poco da parte i molti e contrarj giudi z j dati dai posteriori, noi ricercammo
i disegni e le opere del Savonarola specialmente negli scritti di lui e nelle
lettere che i varj oratori presso la Santa Sede e i principi d' Italia scrissero al
riguardo, o ne fossero amici o avversar)', e negli stessi processi falsificati e nelle
memorie che ci lasciarono i contemporanei, specialmente delle parti che facevan
guerra al Frate. In particolare ammirammo le belle cose che il Savonarola
predicava della Beneficenza Cristiana, de' Sacramenti della Confessione e della
Comunione e della Vergine Maria.
Ci trattenne abbastanza a lungo il metodo di predicazione di Girolamo
Savonarola, ed egli ci apparve ottimo oratore, o si consideri la carità cristiana
e lo zelo per la gloria di Dio e la salute delle anime ond' egli era compreso,
oi buoni studj ond' era nutrito, o le materie che sceglieva nel predicare, o la
forma della predicazione. Del resto i miracolosi effetti prodotti dalla sua pa-
rola e dalla sua vita furon per noi il miglior suo elogio. Così fosse piaciuto al
cielo che essi non venissero arrestati, chè alla fine non avremmo avuto la rivo-
luzione protestante, o almeno non ne sarebbero state così gravi le conseguenze.
Ci parve anche buono presentare alla nostra età la figura del Savonarola per
lo spirito che informava 1' opera sua riguardo la famiglia e la società civile.
L' una e l'altra ora reclamano di essere difese e rette come il Savonarola vo-
leva; questa segnatamente ha bisogno dello spirito del Frate di San Marco,
cioè di accettare la filosofia dell'Evangelo nella sua costituzione, e d'informare
le leggi al timor di Dio e alla giustizia, e di mirare al bene comune ed a ren-
der buone le genti e non allontanarle da quella felicità che Cristo ha promesso
a chi fa il bene e fugge il male.
Più ancora ci siam fermati a considerar Fra Girolamo ne' rapporti
con Alessandro VI. Per riuscire a veder chiaro in simile quistione tanto com-
battuta e confusa dalla passione, e in parte anche dall'ignoranza, abbiamo
ripresa la cosa un poco dall'alto. Esponemmo prima di tutto la teoria del Sa-
vonarola intorno la gerarchia ecclesiastica, l'obbedienza ai superiori, le leggi
canoniche e la scomunica; e di leggieri, sia con richiami o con passi trascritti
dai Padri e Dottori e segnatamente da San Tommaso, sia con citazioni tratte
dal Diritto Canonico, la dimostrammo cattolica, tanto nella parte positiva, quanto
nella negativa.
Dopo ciò passammo ad esaminare la questione di fatto. E qui, anche per-
chè non fosse nemmeno possibile dare un giudizio contrario al vero stalo
delle cose, rinunciammo di trarre le prove a favore del nostro Frate,
argomentando dalle guaste passioni umane anche nel campo ecclesia-
stico; ma considerammo solo Fra Girolamo ne' rapporti con Alessandro VI,
secondo i canoni; quasi immaginando, diremo così, di trovarci innanzi ad un
tribunale ecclesiastico a ciò radunato, che non conosca altra legge che la cano-
— 602 —
nica. Naturalmente non potevamo mettere da un canto intieramente la politica
e le passioni, dacché queste operarono tanto male nella causa del Savonarola:
ma ci venne di leggieri provato che nè la politica nè le umane passioni furono
quelle che mossero soggettivamente Alessandro VI. Il Moro, il cardinale Ascanio
fratello del Moro, gli oratori di quello e specialmente il Somenzi e il Tancre-
dino, gli altri potentati d'Italia, i Palleschi, gli Arrabbiati odiavano, oltre che
per la riforma morale, anche per la politica, Fra Girolamo e i seguaci di lui ;
ma ad Alessandro VI costoro non proposero mai di procedere contro il Frate
per i loro fini, che tenevano occulti, ma sempre per motivi ecclesiastici. Da
parte di Alessandro VI adunque noi non abbiamo potuto veder mai atto che
fosse canonicamente erroneo contro il Frate. Il Papa sta là e non può veder
tutto, nè saper sempre il netto de'falti umani ; e Alessandro VI, concesso che
credesse alla verità delle cose che gli furono da molti riferite, ci apparve ognora
lento, moderato nel procedere contro il Frate, e sempre giusto: e non abbiamo
potuto non ammirare il suo ricredersi, allorché furon lasciate giungere sino al
suo trono le giustificazioni del condannato. Nei rapporti col Savonarola noi ve-
demmo insomma che difficilmente si può dare ad Alessandro VI un rimprovero
grave. Questo, a parer nostro, fu provato abbastanza chiaramente.
Ma per altra parte non ci apparve meno longanime e retto Frate Girolamo,
il quale ebbe per ventura dalla sua non pure la buona fede, ma anche intiera
la verità. Egli, pur conoscendo la prima radice del suo male, pur conoscendo
che gli ordini pontifici e le pontificie condanne che lo riguardavano erano car-
piti al Vicario di Cristo da uomini usi a malfare, e per cattivo fine e con arti
diaboliche; pur vedendo che i motivi espressi ne' Brevi ponlificj erano assolu-
tamente inesistenti e ch'era vero l'opposto di quanto questi supponevano, e
che però eran nulli e non esprimevano la volontà del Pontefice; tuttavia volta
per volta egli ne tenne sempre conto, e con umiltà assai rara rescrisse, infor-
mando sempre il superiore del come stavan le faccende, per impedire cosi,
per quanto era in lui, che si consumasse uno de' più neri delitti che gli uomini
abbiano mai concepito, e che venisse guasta la riforma in Firenze e ne1 suoi
Conventi, e non fosse incaglialo l'allargarsi di questa in tutta la società civile
e nella stessa Chiesa. In particolare noi esaminammo i Brevi de' 21 lu-
glio e degli 8 settembre 1495, e vedemmo che riguardo ad essi fu mirabile la
condotta del Savonarola, e come egli riuscisse, anche per 1' opera del beato
Sebastiano Maggi, a calmare l'eccitata ira del Pontefice. Poi ci soffermammo
abbastanza a considerare il Breve de'2G ottobre 149G ; ivi ancora ci apparve tutta
cattolica e pia ed umile la condotta del Frate, il quale potè riuscire final-
mente a riavere la facoltà di predicare; onde risalì francamente il pulpito la
quaresima dell'anno 1490; e sebbene questo sapesse di forte agrume ai per-
duti avversarj, tuttavia egli potè restare sul pergamo ad ogni modo, nè valsero
a farlo scendere le nuove malizie escogitate da quelli.
Allora da chi voleva ad ogni modo rovinarlo si ricorse ad un mezzo più
potente e pericoloso, il quale avrebbe non solo condotto Fra Girolamo a mal
punto, ma avrebbe anche guastalo i suoi floridissimi Conventi. Qui l' arte
- 603 —
usala dagli avversarj fu così fina e così ben coperta la malizia loro dalla
specie del bene, che furon tratti in inganno, oltre il Pontefice, altri personaggi
che avevano finora sostenuta la giusta causa del Savonarola. Ma non fu tuttavia
difficile a lui e a' suoi Frati parare il colpo fatale; ed essi seppero rescrivere con
sì forti ragioni che anche l'esecuzione della famosa bolla che creava la nuova
Congregazione Tosco-Romana venne sospesa. In questa lotta non solo ci ap-
parve canonicamente corretto Fra Girolamo, ma anche tutta la Congregazione
Marciana.
Ma pervennero al Papa le buone ragioni del Savonarola? I nemici pur
riuscirmi ad ottenere contro questo giusto sentenza di Scomunica; nè ave-
vano scrupolo di andar oltre e chiedere e invocare, solo per riuscire a disfarsi
di tanto intrepido guerriero di Cristo, l'interdetto contro la bella città di Fi-
renze. Questa volta non valsero preghiere, suppliche, ragioni; il Pontefice era
attorniato da cani e da lupi mascherali che non gli lasciavano udire la voce
dell' innocente che da lontano chiedeva aiuto. Pure finalmente giunse al trono
Pontificio almeno 1' eco dei suoi clamori, e fu un' altra volta conosciuta o almeno
sospettata la sua innocenza; m,a che perciò, se per le solite mene degli avver-
sarj non fu tuttavia possibile ottenere dagli autorevoli giudici onestamente la
revoca della sentenza?
Ma la città fa male, per dispetto del Frate che tace; i tristi imperversano,
buoni chiedono pane e nessuno ne porge loro. Perchè il Frate dimentica se
stesso? Non si ricorda più che per salvar le anime che pericolano si deve es-
ser pronti a darò anche la vita? Ne' dieci mesi eh' ei tace non vede che Fi-
renze è tornata un inferno? Non sa che a tutti i buoni è nota con chiara
evidenza la nullità della grave condanna che lo tiene da tanto tempo in cella?
Egli ha giustificato molto bene ogni cosa; perchè dunque non spezza il pane
del Verbo di Dio? E il Frate si mostra un'altra volta al pubblico e risale il
pergamo e tuona terribile contro tutte le ingiustizie e tutti i vizj; e i. buoni e
coloro che voglion far bene si sentono un' altra volta difesi. Nè si dispera che
il Pontefice si pieghi e renda la quiete e la pace a Firenze e al suo Profeta.
Ma intanto le schiere de' nemici si serrano e inferociscono. Ve n' ha in
città, ve n' ha fuori : si stringono tutti in forte alleanza ed egli è fatto tacere.
Allora s' inventa una nuova calunnia, che egli voglia un Concilio contro il
Papa, che non è vero Papa: e che perciò abbia scritto a' principi e li abbia
incitati alla folle impresa Nè basta, ma si ricorre anche ad altre arti, e
si specula sulla sua buona fede e sulla buona fede de' suoi per rovinarli
tutti, e poi si fa tumulto e si traggono prigioni il giusto e i suoi più fedeli
compagni; si torturano, si processano, e con ogni maniera di falsificazione si
vuol mostrar al popolo eh' essi son rei e devono morire.
Ed essi muoiono sereni. La coscienza del mal fatto rimorde i tristi ; e
nessuno vorrebbe esser reo del brutto delitto. Ma tra i semplici, tra i buoni,
tra i santi, la memoria di Fra Girolamo è risuscitata e benedetta, nè essi sanno
quando altro simile uomo sarà da Dio ridonato alla terra; e intanto i fiori
del maggio adornano quel suolo benedetto ove caddero incenerite le sue
— 604 —
membra, suolo che un' età infiacchita e sospettosi principi deturperanno con
pagane lascivie, ma che gli amici della libertà, della rettitudine e della fede
guarderanno ognora con rispetto e venerazione.
Discutono ancora alcuni intorno al grande condannato? Ma egli ciò non
ode; e fisso in Dio a cui tutto è presente,già vede il giorno in cui dovrà esser
riconosciuto netto da ogni nebbia nella congregazione dei fedeli, che formano
la Chiesa militante. Piaccia al cielo che questo giorno spunti presto, e appa-
ghi i nostri desiderj, che furon pure i desiderj dei santi!
APPENDICE
Documento I* (Inedito).
V. l'Opera a paa. 4a'J o suf;;.
Alexander papa sextas
Dilecto Filio fri Sebastiano de Madiis Congregationis lombardiae
ord. Praed. Vicario Generali.
Dilecte fili salutem et apostolicam benedictionem. Quum multa et varia de
novitate dogmatis et scandalosis praedicationibus fratria hieronimi Savonarola
de ferraria ordinis tui Florentiae commorantis nobis renuntiata sunt et qnotidie
refferuntur, quae mentem nostrana mirum in modurn commoverunt et, tamquam a
nostra religione et humana facultate penitus aliena, gravi et exacto sunt digna
examine, ne novitas huiusmodi et ea quae ab ipso prolata in publicum et in
scriptis redacta esse dicuntur scandalum in chripstiano populo et suae et alio-
rum animabus interitum provocarent, volentes prò nostro pastorali officio sa-
lubriter providere, ipsum per alias nostras in forma brevis litteras ut ad nos
veniret, ad hoc ut ex ore suo veritatem et causam eorum quae in populo predi-
cat et in scriptis publice redegit intelligeremus, monuimus. Quod tainen facere
recusavit. Ex quo ipsum non secundura Dei legem per quam obedientia et hu-
militas prsecipitur incedere prtesutnitur. Ea propter ne error hujusmodi in ecclesia
Dei sub dissimulatone et negligentia tempore praesertim nostro pertranseat,
de tua probitate et sinceritate specialem iu domino fiduciam obtinentes, tibi per
praesentes committimus et mandamus quatenus statimreceptispraesentibus prae-
(*) Questo documento che prima del 1S50 appartenne all'Archivio dei Domenicani di
Bologna ci venne gentilmente comunicato dal M. R. P. Fr, Giacinto Lcca dei Predicatori. Di
questo, come dell'altro che segue, esistono dito collie, del tempo che portano i numeri d'Ar-
chivio ltì41 e 567. Tra queste due copie v'è quosto sole varianti: Nella copia sognata 567
sotto la metà si legge vestra Tenutaria institula ; dopo Coiioenliti leggeri anche Montistcrii e
la data del giorno é scritta in numeri romani, die viiij. Molte abbreviature sono stato tolte
per comodo dei lettori.
- G06
dictum Hieronymum nostra et apostolica auctoritate sub virtute sancte obedien-
tiae et excommunicationis pena lata? sententiae, cites, moneas ut infra compe-
tentem terminum per te praefìgendum persoualiter coram te compareat, et de
hujusmodi suis predicationibus et scriptis f'undamentum testimonium et ratio-
nem cura puntate veritatis tibi assignet. Dantes tibi et concedentes plenam fa-
cultatein, auctoritatem et potestatein de hujusmodi causa cognoscendi, proce-
dendo et prout juris et justitiae fuerit ac juxta ordinationes et vestrae regulae
instituta determinandi et puniendi: vel ad nos sedemque apostolicam ref'erendi.
Caeterum scribimus aliud breve nostrum eidem Hieronymo et oonventui sancti
Marci ordinis tui in civitate Florentiae : cujus tenoris ut tu notitiam et juxta
continentiam ejus exequaris accludi fecimus bis litteris ex. 111 (exemplum)
ejusdem brevis, ac insuper aliud duplicatura et bis alligatimi in manus tuas di-
rigimus, ut prò abundantiori cautella (.vie) et maiori certitudine ili nel oisdem hiero-
nymo et conventui praesentari facias, deque eorum responsione et obedientia
per te certiores reddamur. Utque et juxta dicti brevis tenorem Monasteria san-
cti Marci et sancti Dominici prsedicti ordinis tui quae vestrae Congregationi
lombardiae univimus prò dieta congregatione accipere et illorum curam habere
in posterum valeas. Tu igitur in praemissis ita te gerere studeas ut intelligamua
causam hanc praedicti fratris hieronymi tam plenam novitate et scandalis viro
probo religioso et deum timenti commisisse.
Datura Romae apud sanctum Petrum sub annulo piscatoris die nona Sep-
tembris Mcccclxxxxv, Pont, nostri Anno quarto.
Baj. FlOIUDUS.
Documénto II *
V. 1' opera a pag. 159 e segg.
Alexander Papa Sextus
Dilectis filiis Priori et Conventui 1 sancti Marci
ordinis preedicaiorum in civitate florentia. 2
Dilecti filii salutem. Quia divini consilii iuscrutabilis
altitudo universali adininistrandae ecclesiae nos patri suc-
cessorem licet immeritum hoc tempore praeesse dispo-
(*) Intorno a questo importantissimo documento redi Ghorardi, pag. 086 o sog. Fu pub-
blicato, sembra, la prima volta dal Quétìf che vi apposo la data dol 16 ottobre 1497, cortamonto
errata. L'originalo non si trova, e l'esemplare più antico conosciuto lino ad ora è quello
della Magliabechiana classo XXXV, cod. 190, carto 44, sincrono. La lezione elio diamo noi,
molto conformo a quella dol codice Magliubechiano, ù secondo il manoscritto comunicatoci
gontilmonto dal P. Giacinto Loca, già appartenente, come quello del precedente brove, al-
l'Archivio di San Domenico di liologna. in duo copio portanti il n° 568, Questi esomplari non
hanno data, o solo al di fuori portano scritto 1' anno 1495. Abbiamo anche qui corretto varie
abbreviaturo. Aggiungiamo le varianti del Qnótii o de] cod. Magliabccliiano. Indichiamo
con la lettol a Q la lozione dol Quétil e colla lettera SI la lezione dol codico M.igliabochiano.
( Q. aggiunge: monasteri!
2 II... et couveutui monaste-
ri! sanctao Crucis Or-
dinis l'rcdicatorum In
civitate Florentle.
— 607 —
3 y. quantum
1 Q- aggiunge ut
8 Q. aduuibrata
u Q. de ecclesia pellatur
~ li. sollicitare
5 Q. posset
a Q. esemplo iu malo po-
tcstas
10 li. posterum
" y. assereret
12 y. osteudat
13 il. aut
" Q. extra salutis statura
eum esse qui vauis il-
lius assertiouibus non
credat
15 y non minus
16 il. ac
" y. aggiunge ut
ls y. malico suam
la JI. propbetieam suam
20 y. mancano le parole : et
qua; perturbationis cau-
sa in ecclesia fueraut
il 1 i us verba
21 y. consulte
22 li. aggiunge sua
23 y. mancano ie parole : est
ammodo. .V. est amodo
21 li. referimus
"J Q. submiuistravit
20 y. sola alias audita
27 y. inbibenda
28 y. quando
suit, jugi quanto 3 nobis divino ìnunere datur diligentiae
studio procurandis liis rebus intendi mus quibus religio
salus et pax chripstiauo populo conservetur, floreat. 1 ani-
plificetur. Dogmatuni vero novitas fictae simplicitatis
adoptata5 velamine qua in populo frequenter et clero
scismata heroses moruuique subversio oriuntur de ec-
clesia nitimur emeudationis flagello peliatur, 0 ne quietum
corporis ecclesiae statum solicitare 7 in praesentia possit 8
neque ceteris delinquendi exemplo isto ,J malo potestas
fiat in futurum. 10 Sane bieroniraum quemdam Savonarola
de ten aria ordinis prsedicatorum novitate pravi dogmatis
delectatum accepimus et in eam mentis insaniam ltalica-
rum rerum commutatione deductum ut se missum a Deo
et cum Deo loqui sine ulla canonica attestatione fateatur
in populo contra canonicas sanctiones. Non sufficit cui-
que nude tantum asserere quod ipse sit missus a Deo
cum boc quilibet bereticus asseveret, 11 sed opportet
quod astruat 12 illam invisibilem missionem per opera-
tionem miraculi vel 13 scripturae testimonium speciale :
Cbristum praeterea Jbesum crucifixum et deum mentiri
si ipse mentiatur. Horrendum certe et execrabile adiura-
tionis genus. extra statum salutis quemquam fieri vanis
illius assertionibus non credentem, u alia deinceps illum
novimus 15 iuepta tacere dicere et lfi scribere quae si pre-
tereant impune, nibil est quod non ausura falsorum re-
ligiosorum temeritas sit, et in corpus ecclesie quod veren-
dum est vitia sub virtutum specie subintrarent. Cogi-
tavimus longa cunctatione et diuturna patientia nostra
efììcere 17 fatuam illam suam 18 propbeticam 19 professio-
nem recognosceret, ad solidae veritatis viam deflecteret, et
quae perturbationis causa in ecclesia fuerant illius verba 20
temere et inique prolata, consulter 21 et fideliter revoca-
ret. Credebamus post aliquod tempus jam advenisse diem
quo de ipso meliora concipere deberemus, ac dolorem
quem nunc usque ex effreni arrogantia 22 et scandalosa
separatone a patribus suis lombardiae perpessi fueramus
quae subdola caliditate sicut post cognovimus perver-
sorum quorumdam fratrum impetrata est ammodo 2;tex sua
bumili adberentia in letitiam commutaremus ; sed quod
dolenter relferimus M spe nostra frustrati sumus. Nani
licet per litteras nostras ipsum in virtute sanctse obedien-
tiae monuerimus ut ad nos veniret veritatem ab eo et ab
ore suo intellecturos, tamen non solum venire et nobis
obedire recusavit, veram etiam et ipse acerbiorem in dies
magis dolorio nobis causam subministrat 85 impudentius
fidelium oculis legenda ingerens quae solo alias auditu 211
temere profuderat inbibenda. 27 Ea propter quum M nos
reddendae uuiversae italiae pacis grandi ac laborioso
— 608 —
* Q. manca in forma e «
dice solo brevi.
30 Q. Hieronymo Savonaro-
la pnedicto. il. Iliero-
uimo Savonarola pra:-
fato
31 Q. discutietur
32 Q. prtcdictum
33 Q. tali
31 Q. vel
3j il. amoilo
:i Q. prsedictse
37 Q. pra:dictoruin
38 Q. pra-dictic
33 Q, injun^entesque
10 Q. pra?dicti
41 Q. Rom;c etc die xvi
oetobrisi An. Incarnat.
Domini mcdxcvii.
* Q. Manca nel Quétif. M.
aggiungi: ap. S.ctmu Pe-
trum sub auuulo pisca-
toria, die Viii septem-
bris Mcccclxxxxv, pon-
tilicatus nostri anno
quarto.
opere detineamur, liane ipsaui causam fratti Sebastiano
de Madiis de Brixia Congregationis lonibardiae ordinis
praedicatorum generali vicario decernendam. judicandam
puniendamque secundum vestri ordinis statuta commi-
simus per litteras nostras in forma brevis, 29 Hieronimo
praefato Savonarola 30 in virtute sanetse obedientiae sub
exeomunicationis latae sententiae psena stricte praeci-
piendo mandantes ut Vicarium praefatum ad cognoscen-
damltujusmodi causam anobis judicem deputatumprompta
et sincera obedientia recognoscat illius mandatis ubilibet
gentium se citaverit omni cunctatione et appellatione
postposita pariturus. Interea vero dum baec causa coram
praefato vicario discutitur 31 ab omni declamandi in
populo et publice legendi officio per praesentes litteras
praefatum 32 hieroninium suspensum esse decernimus. Ce-
terum ne alteri cuiquam ex fratribus vestris malo 33
exemplo eiasdem hieronimi libertate propria delectati er-
randi et34 decipiendi tribuatur facultas, locum istum san-
cti Marci de fiorentia et sancti Dominici apud fesulas
ordinis prsedicatorum ammodo35 praefatae 30 congregationi
lombardiae reunimus, incorporamus, anectimus, omnibus
fratribus praefatorum 37 locorum sancti Marci et sancti
Dominici sub exeommunicationis latae sententiae psena
mandantes ut vicario praefatae 38 congregationis lombar-
diae velut suo legittimo pastori pareant et intendant.
Revocantes ex nunc et revocatum esse decernentes quid-
quid auctoritatis, facultatis, sive potestatis cuiquam alteri
etiam apostolica auctoritate esset indultum. Injnngentes
quoque 30 sub ejusdem exeommunicationis latae sententiae
pcena fratri Dominico de piscia et fratri Tliomae busino
et fratri Silvestro de fiorentia ut infra spatium novem
dierum, quorum tres assignamus prò primo termino, tres
prò secundo, et tres prò tertio a notitia praesentium Bo-
noniam proticiscantur auctoritate praefati 10 Vicarii lom-
bardiae in uno quoppiam Conventuum Congregationis,
praeterquam in dominio florentinorum collocaudi. In con-
trarium facientibus non obstantibus quibuscuraque. Datum
Romae. 11
B. Flokidus. 42
— 609 —
Documento III *
(aggiunto in questa seconda edizione).
Beatissime Pater.
Post pedum oscula beatorum. Quomodo moerens filius super indignatione
patris, omnem ad eum placandum viam aditumque flagitat, et quserit : nec ob
ullam repulsam de solita pietate desperat, cum scriptum sit: Petite et dabitur
vobis: pulsate et aperietur vobis; ita et ego plus ob interdictam Sanctitatis
Vestrse gratiam, quam ob aliam jacturam sollicitus, ad pedes ejus assidue con-
* Questa lettera sfuggita a tutti i moderni Storici del Frate, trovasi inserita (iol. 156) nella
Vita manoscritta del Savonarola, composta dal P. Serafino Razzi, Domenicano di San Marco
e da lui offerta a Clemente Vili. H migliore esemplare di questa preziosissima vita già tro-
vavasi nella Biblioteca di ^an Marco di Firenze, ed ora è nella Laurenziana, segnato:
S. Marco -ti9. Neppure il compianto Prof. Luotto conobbe questa lettera che venne da me
per la prima volta stampata nel Periodico IV Centenario della Morte di Fr. Girolamo Savo-
narola, num. 6. Come ebbe il Padre Razzi questa lettera? Nel 1850 il P. Marchese scriveva:
« NeU"Archivio di San Marco è un breve catalogo di manoscritti esistenti già nel mona-
ci stero di S. Vincenzo di Prato dell'ordine Domenicano. Questi Mss. erano, a quanto sem-
« bra, opere del P. Girolamo Savonarola, e segnatamente Commentarii Sopra diversi libri
« della Sacra Scrittura. A piedi del Catalogo sono ricordate le seguenti lettere: Epistola
« latina ad Alessandro VI, prò alsolutione. Epistola al Conte della Stirandola ecc.. » (Marchese,
Documenti. Arch. St. Ital^ appendice, n. 25, pag. 115).
Il Razzi, che dimorò a lungo nel Convento di Prato in qualità di Confessore delle
Suore di San Vincenzo al tempo di Santa Caterina dei Ricci, e che anzi nel convento me-
desimo diè termine alla sua vita del Savonarola, potè facilmente avere il manoscritto di
questa lettera e inserirvdla.
Molte riflessioni potrebbero farsi intorno a questo documento, collocato nel suo ordine
cronologico insieme cogli altri che lo precedono e che lo seguono. Ma ci preme innanzi
tutto notare col buon Razzi: « Attendasi la bontà, l'umiltà, la riverenza ai superiori e la
« buona mente del servo di Dio Fra Jeronimo. » Ed al Razzi diamo volentieri ragione piut-
tosto che al Pastor, il quale, parlando appunto delle pratiche della Si gnoria col Pontefice
in questo tempo, dice che il Savonarola taceva « di quel tempo ogni suo potere onde ac-
« crescere le difficoltà, irritare all'estremo il Pontefice e rendere impossibile ogni riconci-
« liazione » (pag. 359). E in nota ripete del <• fermo proposito dell' uomo caparbio a non
•< prestare obbedienza al pontefice. »
Sappiamo infatti che le pratiche degli Oratori e il patrocinio di diversi cardinali
(v. Marchese L e, pag. 157 e seg. e particolarmente la nota 2 a pag. 162) giunsero al punto
che il Pontefice sembrò contentarsi di avere da Fra Girolamo uu semplice atto di sotto-
missione (v. a pag. 534 dell'opera). Fece Fra Girolamo quest'atto? La Signoria, scrivendo il
13 ottobre del 97 al Bracci, diceva: « Noi abbiamo inteso con quanto amore e diligenza
« insiem con Messer Riccardo Becchi fusti col Cardinale Reverendissimo Napolitano per la
« absolnzione di Frate Hieronimo Crediamo che Frate llieronimo harà exeguito tutto- »
Ma vien naturale una domanda: Questa lettera fu consegnata? Io non so; soltanto
sappiamo che i nemici del Savonarola nella Corte Romana eran capaci di tutto ; e che
un'altra volta il Savonarola dovè lagnarsi col Pontefice che a lui non fosse stata conse-
gnata una sua lettera, in risposta al breve del 21 luglio '95 pubblicata dal Luotto a pag. 417,
lettera anch' essa piena dei più umili sentimenti di obbedienza e di riverenza. « Mi mera-
« viglio che la vostra santità non abbia ricevuto la mia lettera... Uomini tristi », dice il
' 39
— 610 —
fugio, supplicans ut tandem clamor meus in conspectu ejus exaudiatur: nec
me diutius suo ereptum gremio esse velit. Ad quem enim nisi ad Pastorem
velut ovis ipsius accedam, cujus vocem, et benedictionem audire gestio, et
imploro, salutaremque praesentiam exopto? Janique ad pedes ejus procidissem,
si rnihi tutum iter ab iniquorum injuria et insidiis patuisset. Quod quidem, ubi
sine suspitione licuerit, me facturum propono, et tota mente cupio: ut ab omni
calumnia me tandem diluere possim. Interea in cunctis, ut semper feci, me
mius majestati humillime subiicio: et si quid per insipientiam, aut inadver-
tentiam erratum est, veniam suppliciter deposco. Nam malitite apicem nunquam
in me deprehendet. Obsecro igitur, ne mihi benignitatis, et clementise suse
fontem Sanctitas Vestra subtrahere dignetur, quem si semel suum agnoverit,
non minus sibi devotum, quam sincerum, et omDi tempore obsequentissimum
servum experietur. Me Beatitudini Vestrse humiliter commendo.
Ex Conventu Sancti Marci Florentiae, die decima tertia Octobris mccccxcvii.
B. V. Devotissimus filha et servulus
Frater Hieroxymus de Ferraria Ordinis Prsedicatorum.
frate « hanno abilmente suggerito il falso a Vostra santità e non le hanno consegnato la
« mia lettera: ìliror quod sanctitas Vestra literas meas non habutrit... Sanctitati Vestrie per-
< versi homines subdole ea qitm falsa sunt svggesserunt, et litteras nostras ei non tradiderunt. »
(Quétif, Addizioni pag. 143-145). Della nostra può esser avvenuto lo stesso; e ne abbiamo
una conferma nel Documento XX del P. Marchese che è del 7 marzo '9S. (1. e, pag. 169).
Mentre il Bonsi si affannava per dimostrare al Papa « le qualità et condizioni buone di
Fra Girolamo : » « lui finalmente subiunse che del predicare buona dottrina non lo dan-
« nava, ma bene biasimava che. essendo scomunicato et non volendo domandare absolu-
« tione... lui fusse lasciato predicare. » E se, come nota il Pellegrini, (Archivio della società
Romana di Storia Patria, voi. 11, pag. 719), « la lettera del Savonarola del 22 maggio lo aveva
« cosi rabbonito, ch'egli avrebbe forse gradito, se non altro, di ritardare la pubblicazione
« del breve », questa da noi per la prima volta pubblicata lo avrebbe forse definitivamente
indotto ad esaudire le replicate domande del I rate e della Repubblica, se essa realmente
gli fosse stata consegnata.
L' assoluzione dalle censure non venne ; ma nella mente del Pontefice restò sempre
quel dubbio dell'innocenza del Frate che spiega le sue lentezze, le sue esitazioni, i suoi
voleri e disvoleri. Ma alfine mantenne la parola detta pochi giorni dopo l'invio del breve
di scomunica: Quando lo trovasse innocente, li darebbe la sua benedizione, (v. a pag. 533 del-
l'opera). Il 23 maggio del '95 il Savonarola piegavasi davanti al rappresentante (sebbene
indegno) del Vicario di Cristo e riceveva V indulgenza plenaria e la benedizione apostolica; e
poi saliva l' asta ferale.
P. Lodovico Fi- «retti de' Pred.
FI UE DEL VOLUME.
INDICE DEL VOLUME
Prefazione alla piuma edizione,
Pag. v
Avvertenza bibliografica ph emessa alla prima edizione .
Pag. ix
Prefazione a questa nuova edizione
Pag. xi
I. Origine e intento del preseme scritto
Pag. I
Nostra malavoglia a prender la penna. — Lo scritto cl<-l Pastor non contiene nulla (li nuovo intorno al
Savonarola. — Sentenza ili Augusto Conti o nostra. — Ignoranza noi Pastor delle Opere del Sa-
vonarola. — Il Pastor e i nostri giornalisti anticattolici. — Ragionevoli eiìetti dell'Onera del Pa-
. stor. — La ragion veduta guida al Savonarola e a' Savonaroliani. — Logica sentenza do' Savona-
roliaui verso il Pastor. — La storia del Pastor e l' invettiva di Ugolino Verino e la cronaca del
Vaglienti. — Nostra ripugnanza alla polemica e alla critica. — La cognizione della verità solu-
zione del dubbio. - Nostro proposito e il siodi di esporre la dottrina e narrare la vita di Frate
Girolamo. — Nostra fede. — Non può tutto la virtù che vuole. — Letizia e tristezza di Piagnimi.
— Una lettera dal Tirolo Austriaco. — Un gran maestro che tieno per finita dal Pastor la questione
del Savonarola. — Un voto di molti. — Cristo modello di Frate Girolamo. — Or si tace, or si
risponde. — La volontà nostra ò mossa a scrivere. — Intento dello scritto. — Via da noi tenuta,
e perdio la si tiene. — Speranza di toccar la meta. — Un aforisma di Visnii Sharma o nostra in-
terpretazione di esso. — La Dea di Parmenide. — Nostra volontà e forza.
II. Il Pastor non conosce le opere del Savonarola e scrisse imprepa-
La fama del Savonarola. — Non ò comportabile al grave ufficio di storico ripeterò semplicemente i giu-
dizj altrui, quando può accedere alle fonti originali. — Il Pastor non istudiò punto nelle opere
del Frate riformatore. — Una sentenza del Villari. — Come si governarono nello scriverò del Savo-
narola il Villari, il Bayonne, l'Aquarone. — Perchè alcuni tra i cattolici condannano il Savonarola.
— Il Savonarola chiede di essere sentito o letto prima che lo si condanni. — Lo citazioni indi-
rette del Pastor : esempi. — Il Pastor plagiario. — Nullità assoluta dei giudizj del Pastor.
III. Insufficiente conoscenza nel Pastor della Prkimcazione savonaro-
Il Pastor fa predicare al Frate duo quaresime nello stesso anno o in città diverse. — Confondi' predica
con predica e l'avvento colla quaresima, — Altro sbaglio di data. — Ignoranza o orrori più gravi.
— L'infelice successo del Savonarola quando fu la prima volta a predicare in Firenze. - Ragioni
del fatto secondo il Pastor. — Il Pastor inconciliabile con so stesso. — Concetto dei biografi del
Frate: Il Villari, o il Burlamacchi. — Passi del Savonarola. — Un raccontino. — Progressivo
svolgimento della predicazione savonaroliana quale appare dalle prediche del Frate, — Un ani . o
passo della NLVIIIa sopra Amos e Zaccaria.
RATO
8
LIANA
i 7
— 612 -
IV. La beneficenza cristiana e Girolamo Savonarola Pag. 27
Nostra pena che il Pastor scrivesse del Savonarola impreparato. — Il Paslor loda o biasima incoscia-
niente le cose del Savonarola. — 11 Tastor condannando il Savonarola nocque al suo lavoro anche
dal lato dell' arte. — Un importante argomento. — Tesi giusta e felicemente sostenuta dal Pastor. —
Del buono in Italia all' età del risorgimento. — La cura do' poveri. — Il Savonarola reclamava
dal Pastor un cenno come benefattore de' poveri. — Il Savonarola e 1' Enciclica di Leone XIII
Sulla questione operaia. — Lavoro e patimento condiziono dell' umanità. — Dottrina che sarebbo
piaciuta al Pastor. — L' obbligo del lavoro. — Un' accusa insulsa contro Fra Girolamo, e auto-
difesa. — Girolamo Savonarola vuol che lavorino e i poveri e i riechi. — Le parole di Amos con-
tro gli oppressori dei poverelli. — Le parole di Michea contro gli spogliatoi-i dei poveri. — Dato
il superfluo in elemosina. — Il quarto libro Della semplicità della vita cristiana. — I poveri in
Firenze nel 1495. — Lo zelo del Savonarola croscè, e trabocca dalla santa anima di lui. — La
sempUcità cristiana o i povel'i — I tesori della chiesa e la legge di carità. — Conclusione contro
il Pastor.
V. Girolamo Savonarola e i sacramenti della Confessione e della Gomi-
nione Pag. 37
Una bella verità nel Pastor, ossia: la confessione ottimo mezzo p_r istruire il popolo cristiano. —
Zelo di Girolamo Savonarola per la Confessione. — Alcune testimonianze. — La confessione de-
gl' infermi. — Il carnevale, i fanciulli del Savonarola, e i tiepidi. — Frequenza della confessione.
— Chi vuole il lume del ben vivere si confessi spesso. — Eco trovata dalle parole del Frate. —
Condizioni per una buona Confessione. — I manuali del confessore e il Pastor. — Invito al Pastor
a leggere il Confessionale del Savonarola. — Il culto crescente del Sacramento dell'altare. — Giu-
sta letizia del Pastor. — Una domanda o una sfida al Pastor. — Duo predicho di Fra Girolamo. —
Un articolo di San Tommaso. — Natura del Sacramento dell'altare. — Il Pastor copiatore infe-
lice. — Neil' Ostia consacrata è realmente Cristo. — Un fatto avvenuto a San Gregorio. — Do-
mande e risposte. — Cristo è tutto in tutta l'ostia e tutto in tutto lo parti dell'ostia. — Disposi-
zioni di chi vuol pigliare il Sacramento. — Un aneddoto. — Si viene al particolare per i piccolini.
— T ricchi e i poveri al Convito di Dio. — La Pasqua in Firenze 1' anno 1496. — Dopo la comu-
nione. — Mirabili effetti del sacramento dell' altare. — Felicità de' sacerdoti. — La comunione
frequente. — Il santo Viatico. — Una nuova domanda al Pastor.
VI. La Vergine Maria e Girolamo Savonarola Pag. 50
Il culto della Vergine segno di religione nell' Italia all' epoca del rinascimento. — Delle e vero parole
del Pastor. — Il Savonarola predicatore insigne della Vergine benedetta. — Si conforta lo storico
d' Innsbruck a leggere alcnne prediche dell' Asceta Domenicano. — Lodi alla esposiziono della
Salutazione Angelica di Fra Girolamo. — La Vergine fontana di grazie agli uomini. — Beneme-
renze del Savonarola verso lo arti. — Frutti ottenuti. — Sentenze del Pastor elio non meritano
considerazione. — Le figuro nelle chiese sou libri per i fanciulli e gì' illetterati. - Quali imma-
gini voleva pel culto il Savonarola. — Benemerenze del Savonarola verso la poesia. — Il Savo-
narola poeta di Maria. — La festa dell' Assunta in San Marco 1' anno 1497. — 11 Pastor per
ignorare le cose del Savonarola s' accosta al ridicolo. — Un passo del Savonarola rispetto alla
Vergine. — La lode di Maria dov' esser grande. — La bellezza di Maria cava il cuore ai Fioren-
tini. — Una domanda del Savonarola a' Filosofi. — Maria che prega per 1' umana natura. — Si
vuole Maria Itegiua di Firenze. — Maria interceditrice per i Fiorentini. — Preghiera. — Maria
vite che fruttifica soavità di odori parla agli uomini. — Maria madre del boli' amore e del ti-
more e della cognizione e della santa speranza parla allo donno. — Maria speranza di vita di ve-
rità e di virtù parla ai fanciulli. — Si chiudo con un' altra preghiera.
VII. L'astrologia e Girolamo Savonarola Pag. 60
L' astrologia nel secolo XV secondo il Pastor. — Utilo elio il Pastor avrebbe trovato studiando in Fra
Girolamo. — Singolari ben inerenze del Savonarola tra gli oppugnatori dell'astrologia. — Fra Giro-
lamo combatto ogni maniera di astrologia. — Principi che francarono il Frate di San Marco da
ogni maniera di superstizione — Girolamo Savonarola solo elio splendo Boll' infelice sua età. —
Fonti dol capitolo presente. — Il trattato dell' Astrologia Vivinatrie.e. — I prelati astrologi. — Paz-
— 613 —
zio degli astrologi. — Conseguenze assillile, dell' astrologia. — Il capitolo terzo dol libro quarto del
Trionfo o la vanità e la superstizione dell' astrologia. — I corpi celesti non son causa diretta delle
umane intellezioni. — Ragioni, — I corpi celesti non son causa indiretta delle nostre intellezioni,
nò dello nostro volizioni. — lìagioui. — Si ribatto l' opinione degli astrologi che vogliono il cielo
animato. — L' astrologia giudiziaria ò cosa vana, ridicola e piena di superstizioni. — Conclusione
contro il Pastor.
Vili. Sul metodo di predicazione di Girolamo Savonarola. — 1. Come il sa-
cro Predicatore deve esser compreso di carità cristiana e d' amore a
La predicazione nel secolo XV e il Pastor. — Un' asserzione intorno al Savonarola vera solo per metà. —
Nel Savonarola noi vediamo le qualità dell'ottimo predicatore. — Nuova pena che il Pastor non
abbia studiato nel Savonarola. — Quali cft'etti avrebbe potuto produrre il Pastor facendo il ri-
tratto dell'Oratore Fiorentino. — La Lettera circolare sulla sacra predicazione emanata viva e
intiera da Fra Girolamo. — Un bel tema. — Alto concetto del ministero del Predicatore secondo
la S. Congregazione de' Vescovi e secondo Girolamo Savonarola. — Qualità richieste al Sacro
Oratore. — Il Pastor che pare dimentichi se stesso. — Fra Girolamo maestro e modello di pietà
cristiana. — Fra Girolamo esemplare d' amore a Cristo. — Alcuni passi fra i mille. — Le poesie
di Fra Girolamo, slanci d' amoro al Crocifisso. — Zelo di Fra Girolamo della gloria di Dio e della
salute delle anime. — Affettuosa e santa lettera del Savonarola alla Madre non intesa dal Pastor.
— Due asserzioni in una pagina del Pastor ohe non s' accordano insieme. — La pietà di Fra Gi-
rolamo risplende nella sua vita esteriore. — Vero spesso inculcato dal Savonarola. — Non può
insegnare la vita spirituale agli altri, chi prima non la pratica. — Alcune testimonianze. —
L' edificazione cristiana e il Savonarola. — Singolarità del Frate di San Marco. — Testimonianze
del Pastor. — La vita e la dottrina del Savonarola sono una cosa. — Conclusione.
IX. Segue sul metodo di predicazione di Girolamo Savonarola. — 2. Come
il sacro predicatore vuole esser nutrito di buoni studj . . . Pag. 87
I sacri predicatori debbono esser nutriti di buoai studj. — Girolamo Savonarola in perfetta armonia
con la Lettera circolare. — Alcune testimonianze. — Lamenti di Fra Girolamo che si assumesse
leggermente 1' ufficio del predicare. — L' ingegno e la scienza del Savonarola universalmente ce-
lebrati.— Il Pastor conviene che Fra Girolamo non fu nemico della scienza. — Un'asserzione
gratuita o amara del Pastor. — Giudizj inesatti del Pastor contro il Savonarola. — Il Savonarola,
Danto e Leone XIII. — La filosofia de' gentili e il fine soprannaturale dell' uomo. — Che cosa
condannasse il Frate di San Marco. — Girolamo Savonarola e lo studio do' classici pagani. —
Come si debbano intendere alcune sue espressioni ; e prove del nostro asserto. — Fiato Girolamo
precursore dei tempi moderni. — Le idee di Fra Girolamo e le costituzioni di San Domenico, e
degli altri padri. — Il Savonarola vero Domenicano.— S' invitano i Frati dell'Ordine e segnatamente
quelli di San Marco a imitare 1' antico Priore. — Vantaggi di questa imitazione Gli eretici e lo
studio nella Chiesa della filosofia e delle scienze naturali de' Gentili. — Un' asserzione leggera
del Pastor. — Frutti cristiani degli studj filosofici. — Fra Girolamo e la Sacra teologia. — Fra Gi-
rolamo e i Padri e i Dottori della Chiesa. — Un giudizio del Pico. — Il Savonarola alunno e fedele
seguace di San Tommaso. - Fra Girolamo o i predicatori fidenti nella loro naturalo loquacità. —
Fra Girolamo studiava le prediche. — Conclusione.
X. Segue sul metodo di predicazione di Girolamo Savonarola. — 3. Delle
Importanza dell' argomento. — Materie proprio della predicazione secondo Cristo , la Chiesa e Giro-
lamo Savonarola. — Definizioni del predicare di Fra Girolamo. — Una proscrizione del Concilio
Lateranense e il Savonarola. — Alcuno rogole del Frate di San Marco per l'intorpetraziono della
Bibbia. — Un invito al Pastor. — Giudizio dolla Civiltà Cattolica. — Una nuova obbiezione
Una proposizione eretica combattuta dal Savonarola a propria difesa. — Loouo XIII vuole il
predicatore fortificato in tutta la Scrittura. — Prodicaziouo di Fra Girolamo sopra l'Antico To-
stamente — Come sia falso che Fra Girolamo avosso per fino solo ili esporro sopra l'Antico
Testamento. — Un passo fra i millo. — Il Pastor acconsente o all'orma che Fra Girolamo studiava
Nostro Signore Gesù Cristo
- Pag. 68
materie proprie della sacra predicazione,
Pag. 105
— 614 —
ed esponeva il Testamento Nuovo. — Merito singolare del Frate di San Marco come sacro ora-
tore. — Come si predicasse all'età di Fra Girolamo. — Perchè il Savonarola esponesse indiffe-
rentemente questa o quella Scrittura. — La Scrittura è l'immagine e la vita di Cristo secondo
Leone XIII e il Frate di San Marco. — Tutta la Scrittura è ordinata a Cristo Crocifisso. —
Bontà del programma Savonaroliano. — Lo materie morali nella predicazione e Fra Girolamo. —
— Supremo principio morale del nostro Frate. — Come il Pastor riconosce i successi ottenuti da
Fra Girolamo nel campo morale. — Infelice ed infondato giudizio del Pastor sopra lo conver-
sioni operate da Fra Girolamo. — Fra Girolamo e i Novissimi dell' uomo nella predicazione. —
Un nostro desiderio e voto.
XI. Segue sul metodo di predicazione di Girolamo Savonarola. — 4. Forma
della predicazione Pag. 118
Il sacro predicatore luce del mondo. — Commozione dell'animo nostro, dovendo parlare della stabilità
e fermezza del Savonarola. — Il carattere di Fra Girolamo nella fiacca età presente. — La tede
e la fermezza virtù speciali dell' oratore fiorentino. — Fermezza di Mose e degli Apostoli. — I
predicatori che fanno tempesto e non le curano. — I predicatori legni di canna. — Il Savonarola,
Lorenzo de' Medici e il Pastor. — Il sacro predicatore cane che sempre abbaia. — Il Savonarola
e San Giovanni Crisostomo. — Como il predicatore sacro deve esser chiaro nella forma della
trattazione. — La predicazione del Savonarola e i fanciulli. — Mirabili virtù del Frate di San
Marco. — I Fiorentini intendono le difficoltà della Scrittura. — Onde provenga la semplicità o
chiarezza del dire di Fra Girolamo. — La semplicità nel campo dell' arte. — Come si debba oc-
cultar 1' arte. — Ingiusta sentenza del Pastor. — La semplicità che vinco. — L' eretico sottile, o
il cattolico semplice. — Fra Girolamo e i predicatori moderni. — Leone XIII e Fra Girolamo
Savonarola o l'eloquenza della Sacra Scrittura. — Fra Girolamo vuolo che si predichi la Scrittura
semplicemente. — I grandi oratori o 1' efficacia dell' eloquenza scritturale. — Come fine della prò-
dicaziono dev' esser la salute dello anime. — I predicatori legni di sambuco attristano 1' animo
del Savonarola. — I tibicini o i cantatori dell' archisinagogo. — A resuscitar le animo morto ci
vuole Cristo co' suoi discepoli. — Un dubbio dissipato dal libro del Pastor. — Il Cortesio o la
fraseologia pagana nelle scienze teologiche o Fra Girolamo. — La nostra sentenza è la sentenza
del Boiardi e non quella del Pastor.
XII. Le feste promosse e le feste vietate in Firenze da Fra Girolamo Sa-
vonarola Pag. 132
Cose antecedentemente provate che si hanno da conceder per vere. — Nuove accuso lanciate contro i
Savonarola, e difficoltà di conciliarlo con lo virtù di lui. — Un giudizio del Perreus. — Lo l'un-
zioni sacro in Firenze prima del Savonarola. — Ogni cosa è ordinata a Dio, e i tiepidi volgono
a sé ogni cosa. — Dio non degna i sacrifici do' tiepidi. — La festa di San Giovanni ridotta a gi-
randole, spiritelli e lascivie. — Il canto figurato e il canto fermo. — Lo acquo del giudizio di Dio.
— Processioni a cui il Frate avrebbo voluto non ossero stato. — Lo feste e lo processioni de' Savo-
naroliani. — Festa e processione nel carnevale del 149G : relazione e giudizj del Savonarola. — La
mutazione de' fanciulli fiorentini opera di Dio. — Raffronti. — Relazione do! cronista Landucci. —
Prodica e processione della domenica dell'olivo, 1196. — Ordine o ornamenti. —Gli evviva a Cristo. —
Le pazzie dell'amore Divino o lo pazzie dell' amore mondano. — La Domenica dell' ulivo in Gerusa-
lemme e in Firenze — Per rispondere ai sav.j del mondo. — David o Micol. — Gli occhiali de' Prin-
cipi de' sacerdoti e il Salvatore. — Il carnovale in Firenze nel 1408, secondo Jacopo Nardi o il Bor-
lamacchi. — II significato d' una parola. — Cose taciute indebitamente dal Pastor. — Alto significalo
della festa savonaroliana. — 11 trionfo di Cristo dol nostro Frate, o il trionfo della Croco del
Duprè. — Un' occezioue non dov'ossero eretta a regola. — La gravità nello lesto. — Lo prediche
buttate via. — Clio cosa combattesse nel colto Fra Girolamo. — Inni da cantarsi a preferenza —
La carità por i poveri e le lesto del Savonarola. — Ideinosi no raccolte nelle processioni di Fra
Girolamo. — Lo processioni in Italia all'epoca del rinascimento secondo il Pastor. — Il OorpiM
Domini in Viterbo l' anno 1102. — Lo feste del rinascimento e quello del nostro Frate. — Festa
in Ferrara l' anno 1159-GO o Girolamo Savonarola. — ('.indizio dell' Aquarono e nostra ipotesi.
— Stiamo con San Filippo o non con il l'astor. — 11 Pastor e il Gnspary ogualmonto condanna-
bili dal cattolioi. — Un passo del (Cannotti dui ha bisogno di spiegazione. — (Juollo elio avrebbe
dovuto l'aro il l'astor. — Divorf.imenti e lesto vietate dal Savonarola. — La mondanità nelle Cesto
religiose. — Il giuoco ai sassi. — Lo mascherato e i canti carnascialeschi all'epoca medicea. —
— filo —
Lode al Savonarola. — Corse al palio, quando sconsigliate da Fra Girolamo. — Il GiaDnotti e il
Savonarola. — Il bruciamento delle vanità. — Il Tastar loda e biasima la stessa cosa. — Cbi
sia ridicolo.
XIII. Se lo zelo passionato facesse dimenticare al Savonarola che la Chiesa
di natura sua è ih questo mondo Pag. 158
L' accnsa di eccesso contro il Savonarola ripetuta dal Pastor. — Il Pastor o il Perrens. — L' Amba-
sciatore di Mantova e valore delle parole di lui. — Esame diretto delle accuse. — Parole oscure.
— Se il Frate fosse troppo severo nell' imporre e nel vietare. — Domande al Pastor. — Il lusso
delle gioie e Fra Girolamo secondo il Perrens. — Un perchè cui il Pastor dovrebbe dire. La
regola del Savonarola. — I bisogni della vita corporale e spirituale e i bisogni dello stato.
La semplicità savonaroliana nello cose esteriori non conviene egualmente a ciascuno. —
Diversità di stati e uffirj, e relativi segni esteriori. — Misura della semplicità esteriore secondo
la condizione di ciascuno. — Autorità e priucipj assunti dal Savonarola. — Le vesti, U abitazioni,
le mense. — H tutto per il Savonarola sta nell' evitar lo scandalo, e mostrarsi cristiano. — Fra Gi-
rolamo a Giovanna Canina e Dionora della Mirandola. — La penitenza nella Confessione. — Xuovo
senso alle parole del Pastor. — Il Savonarola non esigeva troppo per la vita spirituale. — Pen-
sieri del Frate sopra la preghiera. — Esposizione del precetto di Cristo di pregare incessante-
mente. — Asserzioni del Savonarola che contradicono alle asserzioni del Pastor. — L' accnsa
senza appoggio. — Xostra istanza. — I tristi e i buoni nella Chiesa. — Sentenze del Frate. — II
Savonarola a Stefano da Codiponte. — Siamo ancora da capo. — Accnsa di durezza contro il Sa-
vonarola nella giusta lotta coi tristi. — Si ribatte. — Accusa contro il Savonarola di eccesso nel-
l'imporre quaresime e digiuni. — Essa non è degna di un cattolico. — Un' ipotesi. — La predica-
zione di San Paolo in Efeso e quella del Savonarola in Firenze. — I digiuni del nostro Fi ate non
sono eccessivi, ma pieni di prudenza e mitezza. — Passi del Savonarola. — Fra Girolamo a Lodo-
vico Pittorio. — Precetto e consiglio. — Conclusione.
XIV. Nuove accuse contro Fra Girolamo e difesa relativa. . . Pag. 180
Perchè Girolamo Savonarola si ritenesse ognora nella giusta via. — Cammino che ci resta da fare uel-
1' Apologia del Frate. — Xuove accuse del Pastor. — Pazienza richiesta ad esaminarle tran-
quilli. — Testimoni a discarico. — Se il Pastor creda o no alle sue accuse. — Il Pastor ag-
grava indebitamente le accuse- del Perrens. — Infelicità di metodo. — Come le pene che secondo
il Perrens erano invocate, nel Pastor diventino per opera del Savonarola applicate. — Si richie-
dono prove. — Nostra meraviglia e interpretazione di alcune parole del Pastor. — Cose verissimo.
— Passi Savomiruliani. — Ragione della trascrizione e nostra protesta. — I passi del Savonarola
provano contro il Pastor. — H critico d' Iunsbruck eccessivamente rigoroso. — Questioni da ri-
solvere. — Concessioni. — Fra Girolamo nella punizione de' vizj mira alla tutela sociale. — Ai
cattivi quanto a sé basta la correzione fraterna. — Distinzione importante. — Parole oscure del
Pastor. — A che si riduca la questione. — Aiuti elio ci porge il Pastor. — L' usura, il gioco, la
scostnmatezza, gli schiavi, la sodomia nell' Italia del Risorgimento e loro condanna e pene se-
condo il Pastor e il Savonarola. — Ragioni speciali a Firenze che spiegano lo punizioni e la po-
lizia del Savonarola. — I viziosi nemici dello Stato di Firenze. — Mezzi di perfezionamento cri-
stiano secondo Fra Girolamo. — Azioni pubbliche. — La mania del gioco e lo schiave. — I cittadini
ei maestri corruttori corretti e accusati agli Otto dai fanciulli. — La pena del taliono agl'ingiusti
accusatori. — I fanciulli della riforma Savonaroliana e le donne. — Bene ottenuto. — Il secolo
del Savonarola e il secolo nostro.
XV. La famiglia cristiana e Girolamo Savonarola Pag. 207
Importanza dell' argomento. — Merito del Savonarola. — La famiglia in Italia nel secolo XV. —
Ombra fosca gettata sopra il Frate dal Pastor. — I nemici della famiglia cristiana e il
Frate di San Marco. — Il Pastor che copia sempre. — Perchè si ribatte ora accuso vecchie.
— Il Pastor instrumeuto di Dio a glorificare Fra Girolamo. — Si trascrivono lo accuso o la
fonte onde il Pastor le trasse. — Giudizio contro il Pastor ed il Perrens. — S' entra nel inerito
delle accnse. — Como procederemo. — I sacri canoni o Girolamo Savonarola. — La donna sog-
getta all' nomo. — L'uà lettera del Frate a Giovanna Caraffa contessa della Mirandola. — La
donna buona e sapiente e la donna stolta. - Un'accusa che non fa delitto. — Il matrimonio
— 616 —
cristiano secondo Fra Girolamo. — 11 Savonarola non sollecitava troppo alcuno a vestirsi frato.
— Un documento ai fanciulli. — La discordia nella famiglia e Fra Girolamo. — Fraternità
de' Savonaroliani. — Una spiegazione dataci dal Vaglienti. — Cose che nessuno nega. — Fra chi
la discordia. — L' amicizia cristiana e Girolamo Savonarola. — Alcuni terrihili passi del Frate.
— Elia e Fra Girolamo. — La guerra generata dal Savonarola. — Fuoco che scoppierà o la
pace de' buoni e la separazione de' cattivi. — La vera cagione della guerra. — Fra Girolamo in
mezzo all' indifferentismo generale chiama lo cose con il loro nome. — Il Savonarola raccomanda
1' unione e la pace. — Il rumore degli avversari rende sorda 1' eco della voce del Frate. —
Esposizione del VII di Michea. — Ingiustizia enorme. — Un racconto. — Un'accusa inqualifi-
cabile. — Le testuali parole del Frate. — Il Savonarola commentato con il Savonarola. — Un
fatto evidente e nu naturale desiderio degli amici del Pastor. — Le accuse del Perrens aggra-
vate senza motivo. — Un domanda spontanea. — Doveri de' genitori verso i figli. — La madre
allatti il figliuolo. — Il Savonarola confuta il Rousseau. — Un principio adottato dal Savonarola
riproposto alla meditazione de' genitori e de' maestri cattolici. — Insistenza del Savonarola perchè
i padri e le madri nutriscano i figliuoli nello cose di Dio. — Obbligo de' genitori di correggere
i figli. — I padri che guastano i proprj figli. — Cautele per mantenere l'innocenza de' fanciulli.
— Obbligo de' genitori di procuraro istruzione civile e letteraria ai figliuoli. — I padri e le ma-
dri amino i figli senza specialità e li mantengano concordi. — Padroni e servi. — Doveri de' figliuoli
verso i genitori. — Fatica nostra nell' esser brevi. — Rispetto, amoro, obbedienza, aiuto de' figli
al padre e alla madre. — Conclusione.
XVI. Se Gir. Savonarola eccedesse nel riprendere i vizj del clero Pag. 238
Accusa ripetuta da molti. — Argomento complesso. — Le accuse formolate dal Pastor. — Il
Savonarola non eccedette nel lamentare la corruzione della società nel secolo XV. — La
Chiesa di Cristo e lo maldicenze di Fra Girolamo usi Pastor. — Un punto serio, e un
colloquio col P. V. Marchese. — I Borgia, C. Cipolla e L. Pastor. — Le accuse contro il clero
nel Savonarola e nel Pastor. — Preterizione. — Pervertimento del clero e spirito mondano
dei prelati nel secolo XV. — La Bolla di riforma di Alessandro VI. — I pellegrini a Roma,
nell' auno del Giubileo 1500. — Tristi parole di un romano. — Conseguenze e osservazioni. — L'ac-
cusa piglia nuova forma. — Il Savonarola riconosceva il bene esistente noi secolo XV. — Pazzia
di chi crede che non ci siau buoni. — Domande contrarie. — Soluzione. — Il profeta Michea in cerca
di un giusto. — Parum prò nihilo reputatur. — Espressioni da non intendersi letteralmente. —
Asaph e David, ossia la diversità di natura, e la grazia divina. — Si entra nella questione. —
Come la Chiesa abbraccia buoni e cattivi. — I passi terribili del Frate s' hanno da intendere
de' cattivi e gli altri de' buoni. — Una regola di ermeneutica sacra. — Le invettive contro il clero.
— Difesa già fatta. — La dignità del Sacerdozio e Girolamo Savonarola. — Il Savonarola non
tira al particolare. — La fama di prelati e la salute delle anime. — Ogni azione di Cristo ò no-
stra istruzione. — Ufficio del sapiente. — Lo magagne del clero, Fra Girolamo e i Padri della
Chiesa. — Esempi di San Bernardo, di San Pier Damiani, del Crisostomo, di San Tommaso. —
Il sacco di Roma, Fra Girolamo e il cardinal Gaetano. — Le lettere di Santa Caterina da Siena
e i sermoni del Savonarola. — Il Savonarola non disso male di Alessandro VI. — Autodifesa.
— Una lettera della Signoria di Firenze. — Un' obbiezione senza fondamento ributtata cou il
Pastor. — Conclusione.
XVII. Zelo di Fra Girolamo per la Casa di Dio Pag. 273
Breve epilogo. — Argomento nuovo. — Nostra insufficienza. — Limiti del nostro lavoro. — Natura
dello zolo secondo Fra Girolamo, Tommaso d' Aquino o Giovanili Crisostomo. — Si svolge la
definizione — Eccellenza della vita cristiana secondo il Savonarola. — Do' miracoli fatti da Dio
a conforto della verità cristiana. — La fede e la vita dei santi. — La Gerusalemme coleste no-
stra inadro. — Eccellenza della Chiesa o dei prelati che la governarono. — Dolori dol Frato vo-
dondo guasta la vigna dol Signore. — Invito ad aiutar lo faticho di San Pietro odi San Paolo e
de' grandi fondatori dogli ordini religiosi. — Il Frato ò contonto di darò il sangue por la Chiesa.
— Le bestio dol dosorto e lo tristi condizioni della vigna dol Signore. — Obbligo dol martirio
por la saluto dolio anime. — Saldozza nel proprio dovore. — Un colobro sermone. — Caratteri
dolio zelo — Lo celo audace o passionato. — Il Savonarola accoppiato dal Pastor coi santi. —
Il Savonarola o San Pier Damiano secondo il Capocelatro. — L' inno di gloria a Fra Girolamo.
— Non occorron miracoli. — Ancora un' accusa di eccesso. — I beni occlesiaatici o Girolamo
Savonarola. — SI cerca il quaresimale sopra Ezechiele, — Lodovico il Bavaro o Fra Girolamo.
— 617 -
— Il potere temporale e il Savonarola. — Le ricchezze nel guasto della Chiesa. — Il Savona-
rola non approva il male. — Giudizio assoluto e giudizio relativo. — Chi ha rubato restituisca.
— Nessun Canone contro la verità. — Osservazioni. — I beni ecclesiastici, Girolamo Savona-
rola e Leone XIII. — La semplicitù primitiva della Chiesa e la riforma Savonaroliana. — I beni
ecclesiastici e i poveri secondo San Tommaso. — La chiesa voluta dal Savonarola. — Conclu-
sione.
Difetto notevole nella Storia de' Papi. — Giusta veduta del Bayonne. — Asserzioni inesatte e non
vere. — Il Pastor giudicato dal Commer. — La dottrina cattolica e la dottrina del Pastor sulla
profezia. — La dottrina del Savonarola. — Utilità della profezia. — Dio può parlar tuttavia ad
nn uomo in particolare. — Si può ancor profetare, nò si può far una legge universale che non
si profeti. — Noi stiamo col Savonarola e non col Pastor. — Un'altra proposizione del Pastor
senza prova e infondata. — Critica Savonaroliana. — Il diavolo avversario della profezia. —
Avvertenze e documenti per conoscere le buone o le cattive visioni. — Altra accusa infondata
e gratuita. — Fra Girolamo non sottrae al giudizio della Santa Sede i suoi doni profetici. —
Il Frate sostiene contro tutti i suoi avversari la legittimità delle sue predizioni. — Altra accusa;
le predizioni di Giovacchino e Telesforo. — Girolamo Savonarola e Silvestro Maruffi. — Certezza
nel Profeta delle cose vedute. — Il Frate non impone altrui di credere le sue predizioni. — Lo
spirito del Savonarola ne' Savonaroliani. — Supposto gravissimo del Pastor. — Un argomento che
prova troppo. — D giudizio dei Santi e il giudizio degli eretici. — Contrarj e non simili. — D
conciliabolo di Pisa e i Savonaroliani. — Conclusione.
XIX. La politica del Savonarola. — 1. Se Fra Girolamo occupandosi di
politica eccedesse i limiti del predicatore religioso .... Pag. 317
Ampiezza dell' argomento e come sia da noi ristretto. — Natura delle accuse politiche mosse al Frate.
Il Pastor dà carico ripetutamente al Savonarola d' essersi implicato in politica. — Perchè non si
citano altri accusatori. — Chi possa muovere semplicemente rimprovero al nostro Frate d'es-
sersi travagliato dello Stato. — Risposta a questi accusatori. — Altro senso dell' accusa. —
Esame. — Il Savonarola non fu mai un vero politicante. — Andata del Frate a Carlo VIII. —
Questione che è utile porre, ossia perchè Fra Girolamo entrasse nel campo della politica. — Fi-
renze nel 1194 alla cacciata r}e' Medici. — Giudizio del Villari e del Ficino. — Sentenza che
vuol essere sottoscritta. — Necessità induce il Savonarola a travagliarsi dello stato. — Como e
quando abbia Egli incominciato a occuparsi delle cose di Firenze. — Giusto giudizio del Capece-
latro e nostra aggiunta. — Cenno dell'opera politica di Fra Girolamo. — Governo civili- eleggi
per confortarla. — Spirito di libertà e tolleranza. — Ragioni metafisiche e morali. — Quali cos.^
importasse il ritorno de' Medici in Firenze. — Stiamo con Leone XIII. — Conseguenze della
Condanna del Frate di S. Marco. — La grazia di Dio negli stati secondo il Savonarola. — La
riforma morale primo fine del nostro riformatore. — La costituzione degli stati e la beatitudine
a noi da Cristo promessa. — Limiti delle proposte Savonaroliane. — Il Padre Marchese e i mo-
nocoli nel giudicare il Savonarola. — Il Frate di S. Domenico non fu lagislatore nè reggitoro
di Firenze. — La filosofia del vangelo nella costituzione degli stati secondo il Savonarola e
Leone XIII. — L' età nostra ha bisogno dello spirito del Frate di S. Marco. — Conclusione
nostra e del Pastor. — L' autorità di Leone XIII, e del Cardinale Capecelatro.
XX. Segue solla politica del Savonarola — 2. Fra Girolamo, la lega e
Come generalmente s' accusi il Savonarola d'aver contato troppo sopra Carlo Vili, ed eccitato in Fi-
renze le passioni politiche. — L' accusa formulata del Pastor. — Nostra esitanza e nostra opinione.
— L' affermazione degli avversarj non confortata da alcuna prova buona. — Fra Girolamo non
ritenne che Carlo Vili avesse assolutamente a riformar la Chiesa, nè consigliò aperto che si
contasse sopra di quello neanche per le cose dello Stato. — Un documento gravissimo. — Il
duca di Ferrara al Savonarola. — Il Savonarola al duca di Ferrara. — Fra Girolamo segue il
lume della fede e fa causa con Cristo. — La Lega e il Savonarola. — Un documento elio prova
poco, come lo si chiosi. — Il Savonarola messo volontario a Carlo Vili. — Relaziono al po-
polo Fiorentino. — L' autorità di Piero Parenti oon tradetta dalla predica dello rivelazioni. —
Espliciti asserti del Frate. — Conclusione.
XVIII. Il Savonarola e lo spirito profetico
Pag. 291
Carlo Vili,
Pag. 336
XXI. Segue sulla politica del Savonarola. — 3. Fra Girolamo e l'unione e
la giustizia politica nella città di Firenze Pag. 3àO
L' accuse <V intemperanza escandescenza e crudele fanatismo. — Leggerezza. — Innocenza del Savo-
narola. — Un articolo del Grisar. - Compito degli avversari del Frate. — Una domanda oppor-
tuna. — Calunnie, e autodifesa del Savonarola. — Le fazioni in Firenze all' uscita de' Medici.
— Sforzi del .Frate per dar la quiete alla città, e suoi frutti. — Il Savonarola voleva Firenzo
ad immagino della Gerusalemme Celeste. — Insistenze per la legge della pace — H
Frate vuole l'unione degli animi. — Durezza di Fiorentini. — Cenno all'arto diabolica usata
dagli awersarj del nuovo governo. — I Fiorentini non vogliono lasciar gli odj. — Gl'Israeliti
o i Fiorentini, Mosè e Fra Girolamo. — L' accusa di crudeltà. — Metodo da condannarsi. —
Coso vere e incensurabili. — Difesa magra. — Libertà nella repubblica di Firenze, e pene dei
turbatori dell'ordine pubblico nel secolo XV. — Un principio vero e un falso supposto. — Uf-
ficio del predicatore cristiano e Loone XIII. — Il torto di Fra Girolamo. — Breve epilogo e
conclusione.
XXII. Necessità di esporre la teorica Savonaroliana intorno la gerarchia
ecclesiastica, l'obbedienza ai superiori, le leggi canoniche e la scomu-
nica Pag. 370
Importanza cresccnto del nostro lavoro. — Un maro poco navigato. — Dottrina e fatti più critici del
Savonarola. — Nostra speranza. — Cbe cosa si chiede al lettore — Como si procederà. — La cre-
denza universale nell' ortodossia ilei Savonarola. — Giudi/j di cattolici e di acattolici. — Ufficio
conscguente a chi voglia rivendicare alla Chiesa Fra Girolamo. — Uu verso dell' Alighieri che
s' aggiusterebbe al Savonarola. — U Pastor riuscirebbe a metter in dubbio anche l'ortodossia del
Savonarola. — Asserzioni dello storico d' Innsbiuck contro il Frate. — Obbligo che quindi ne vieue
negli esaminatori del Pastor, che vogliono cattolico il Savonarola. — Contradizioni noi Pastor che
non ritolgono tale obbligo. — Altri scrittori che giudicano sinistramente la dottrina del Frate. —
Nostra speranza. — Metodo che seguiremo.
XXIII. Della gerarchia ecclesiastica secondo Girolamo Savonarola. Pag. 376
Distinzione tra clero e popolo. — I Ministri instil triti da Cristo dispensatori de' Sacramenti. — L'Euca-
ristia fonte e ragiono della gerarchia ecclesiastica. — Del Sacerdozio o degli altri ordini elio a,
osso ministrano ; o de' gradi della getarchia ecclesiastica. — Del Vescovato. — La potestà epi-
scopale o la sacerdotale rispetto al corpo vero e rispetto al corpo mistico di Cristo. — Come si
riducano tutto lo diocesi ad un solo capo. — La gerarchia uel nostro cosmo, e la gerarchla nel-
l'universo di Cristo.
XXIV. Il Romano Pontefice nella gerarchia ecclesiastica secondo Girolamo
Savonarola Pag. 380
llagiono del capitolo prosente. — Chi sia il Papa secondo Girolamo Savonarola. — Un passo aureo. —
Verità elio piace al nostro Frate. — Il Papa capo della chiesa, successore di Pietro, vicario di
Cristo, rappresentante di Dio in terra. — Il Papa avrà sempre Poma por sedo. — Il capitolo VI
del libro IV del Trionfo. — Por qual line sia fatto il Papa. — Il Papa giudice supremo nella
Chiesa di tatto le questioni o compositore di tutte le differenze. — Il Papa e la perpetua unità
della Chiesa. — Tutti i papi quasi un papa solo. — Parole di Fra Girolamo alla Chiesa Catto-
lica. — Kiopilogo o conclusione.
XXV. Teorica dell'obbedienza .... Pag. 38G
Como si ha da obbedire ad ogni potestà, perchè ogni potestà è da Dio. — Il principe, o ò ministro nolle
mani di Dio, o 0 ferro rollo. — Il comando del principo ferro rollo non obbliga. — L'obbedienza
nella gerarchia ecclesiastica. — Fondamento disila teorica savonaroliana. — Soggezione del popolo
al clero. — Obbedienza al Papa. — Tutti i canoni impongono obbedienza al Pontefice, — Il Savo-
narola e i suoi fiati vogliono prima morire che far peccato di disobbedienza. — Il Savonarola non
- 619 —
vuol peccare in questa materia nemmeno venialmente. — Limiti dell'obbedienza al Pontefice, e a'
prelati superiori. — Come la Chiesa Romana non può comandare contro Dio, ma sì bene gli nomini
della Chiesa Romana. — 11 comando del Papa e la professione religiosa. — Del comandamento de'
superiori sopra, infra, oltre, contro, secondo, quel che siamo obbligati ad osservare : e quando lo si
abbia ad obbedire, e quando si possa non obbedirlo, e quando non si debba obbedirlo. — Girolamo
Savonarola obbliga tutti a staro all'obbedienza del Pontefice. — Regola da seguire quando fosse
tatto comandamento contro la carità. — Che cosa scrivessero a Roma i nemici del Frate. — Di co-
loro che hanno levato il Capo. — Il Papa si vuole obbedire nel bene. — Il cittadino e la sua vigna
e il suo figliuolo e i calunniatori. — La ragione a Bruges. — Il re, il servo e il barone. — Bisogna
obbedire piuttosto a Dio che agli uomini. — Che cosa si dovesse scrivere a Roma del Frate.
XXVI. Delle leggi canoniche e della scomunica ....... Pag. 398
Fra Girolamo dotto in diritto civile e canonico. — Opere legali del Frate. — Ragioni chi' indussero il Savo-
narola allo studio del diritto. — Nomologia Savonaroliana. — Legge in genere. — Legge eterna. —
Legge naturale. — Leggi civili. — Leggo soprannaturale. — Leggi canoniche. — L. carità legge
suprema. — La legge divina e la naturale e qnclle che ne dipendono per modo di deduzione sta-
bili ognora. — Mutabilità delle leggi meramente positive umane. — Condizioni alla validità della
legge; e casi di nullità. — Criterio per giudicare della bontà delle leggi. — Un esempio. — Dot-
trina del Savonarola intorno alla scomunica. — Uno studio della scomunica del nostro Frate. —
Fonti dalle quali attingiamo 1' esposizione presente. — Limiti di questa. — Natura della scomunica.
— Come ossa non sia da infliggere se non per colpe gravissime. — Sue conseguenze. — Fra Gi-
rolamo lamenta la troppa frequenza dello scomuniche. — Casi di nullità della scomunica.
XXVII. Si dimostra la teobia del Savonarola sopra esposta esser cattolica,
e si ribatte l'accusa ch'egli ritenga che la vita peccaminosa de' prelati
ne scuota la giurisdizione pag. 407
La dottrina del Savonarola e i Canoni. — Il Pastor non ha ben letto. — n Savonarola cattolico conio
San Tommaso e Sant'Antonino. — II Pastor ammetto possibile una scomunica inginsta. — La
sentenza ingiusta può esser nulla. — L' autorità di San Tommaso e quella de' Canoni. — So la sen-
tenza ingiusta e nulla s' abbia* ad osservare. — Un equivoco che guasta tutto. — Si rimanda il
lettore al Pico. — Si trascrive un' altra volta da' Canoni. — Timore dell' ingiusta sentenza. — Di-
stinzioni importanti. — Discrezione nello intendere la glossa a' Canoni. — Aureo passo del Sa-
vonarola. — Un nostro dubbio. — Accusa del Pastor contro il Savonarola di non aver obbedito
ad Alessandro VI perche uomo guasto. — Asserzioni del Pastor. — Che cosa poteva diro il Pa-
stor. — L' importanza del buon esempio de' capi per il popolo cristiano secondo il Pastor e Fra
Girolamo. — Il peccato del sacerdote non reca scapito essenziale al sacrifizio, al sacramento, nò
alla dottrina. — Analogo insegnamento di Fra Girolamo. — La dignità sacerdotale secondo il Sa-
vonarola. — Fra Girolamo riconosce ne' prelati e nel capo indegno la potestà anche nel corpo mi-
stico di Cristo. — Difficoltà della lotta sostenuta dal Savonarola. — Dio non vuole mutar clùave.
— D Savonarola è con Sant'Ambrogio e S. Gregorio Papa. — Ai perversi comandamenti, non ai
superiori perversi si vuole resistere. - Il Papa può tutto il bene. — La teorica del coniando con
viene anche alla teorica della legge e della scomunica. — Lo leggi, le scomuniche ingiuste cosa del
diavolo. — Conclusione contro il Pastor.
XXVIII. Se Girolamo Savonarola dichiarasse il convincimento soggettivo quale
STREGUA DELL'OBBEDIENZA ECCLESIASTICA Pag. AH'Ò
Una obbiezione. — Il Frate di San Marco e Giovanni Huss. — Prova del Pastor e nostro vedere. — Chi
sia soggettivista e che soggettivismo. — Si nega la verità dell' asserzione che dico Girolamo Savo-
narola soggettivista. — La verità secondo Fra Girolamo. — La verità ò Dio. — La verità ò Cristo.
— Forza della verità. — L' uomo che cammina nella verità. — 11 vero e il bene. — Una protesta.
— Girolamo Savonarola ammetto la realtà oggottiva dell' intelligibile. — Rapporto del vero col-
l' intelletto nostro. — Questiono mezzo risolta. — L' evidenza oggettiva, criterio supremo della
verità. — Verità, luco e bellezza secondo Fra Girolamo. — L'evidenza oggettiva è un lumo og-
gettivo. — Specie di verità secondo il Savonarola e loro realtà oggettiva, — Distinzione di verità
e di lumi. — Ogni lume viene da Dio ed ha evidenza dell'oggetto proprio. — Potenza e limiti
- 620 —
do' lami. — Principj supremi di Girolamo Savonarola. — A ricusar 1' obbedienza si richiede
l' evidente ingiustizia del comando. — Si trascrive il testo del Frate citato dal Pastor. — Ragione
del fatto. — Altri passi del Savonarola. — Le condizioni richieste per trapassare il comando
si richiedono anche alla inosservanza della scomunica. — Esame dei testi Savonaroliani. — No-
zione dell'evidenza. — La parola de' superiori non è la causa formale della fede. — Chi insegna
non dà il lume al discepolo. — Se Cristo non ci apre gli occhi nessuno vede. — Assurdi della teo-
rica del Pastor. — Alcuni esempj evidenti. — Autorità che confortano la dottrina di Frate
Girolamo.
XXIX. I BREVI DEL 21 LUGLIO E DEGLI 8 SETTEMBRE 1495 E RELATIVA CONDOTTA
Dia frate Pag. 440
Verità debitamente provate. — II nodo della questione. — Nostro timore. — Rispetto agli avversarj. —
Franchezza di cattolici. — Come procederemo. — La politica nella questione presente. — Natura
delle calunnie de' Politici al Pontefice contro il Savonarola. — Che si richiede a provar l' innocenza
del Savonarola. — L'accusa formulata dal Pastor. — Il Breve pontificio. — Cose a posto. — Il Frate
non oppone rifiato nè nella forma, nè nella realtà alla chiamata del Papa. — Risposta del Savonarola
ad Altssandro VI. — Il Pastor non esaminò la questione. — Una pagina infelicissima del Perrens.
Si esaminano le ragioni scritte dal Savonarola al Pontefice e si trovano vere e buone. La infer-
mità. — Essa è nota al popolo Fiorentino assai prima dell' arrivo del Breve. — È manifesta e gin-
stifica il Frate. — Il pericolo d' esser ucciso. — La sicurezza al tempo del Savonarola. — La cru-
deltà e lo spirito di vendetta, che danno la mano alla scostumatezza. — L'assassinio del duca di
Candia e il Tevere paziente. — Passi chiosati. — Danno che la partenza del Frate poteva cagionare
a Firenze. — Como il Pastor mostra involontariamente che il Savonarola ha ragione. — La riforma
abbozzata. —I buoni cittadini vogliono il Savonarola in Firenze. — Sottoscriviamo la lettera del
Savonarola. — Il Savonarola soddisfa al desiderio del Pontefice. — Una domanda spontanea. — Il si
e il no veri entrambi. — Ragioni. — Il Breve pontificio degli 8 settembre 1495. — Alessandro VI
al Beato Sebastiano Maggi. — Sentenze del Pastor. — Espressioni oscure. — Cose dal Frate sapute.
— Sentenze che danno scandalo alla brigata. — Il Savonarola non si può affatto chiamare disob-
bediente. — La causa affidata al Beato Sebastiano Maggi. — Una lettera inedita di Alessandro VI.
— Prove giustamente richiesto ai critici del Frate, e come non le possou dare. — L' opera del
P. Maggi in questa faccenda. — Il Savonarola fece da Sauto ciò che doveva. — Esame del Breve
pontificio. — Come sia ornai facile contentare i nostri lettori. — Il Savonarola non predicò eresia
alcuna. — La semplice predicazione delle cose future non ò dogma perverso. — Quali profeti siau
da condannare. — Fra Giiolamo non fa mosso a predicare il futuro dallo sconvolgimento d' Italia.
— Il Frate di San Marco non si disse assolutamente profeta, nè si valso della profezia a male.
La missione profetica e i miracoli. — Il Savonarola non è reo dolla bestemmia appostagli. — Fra
Girolamo, Riccardo da San Vittore e Leone XIII. — Cose inetto e scandaloso il Frate di San
Marco nè disse, nè fece. — Accuse che esamineremo, ed accuso già esaminate. — Edificio sonza
fondamento. — Come Fra Girolamo avrebbo fatto male eseguendo lo somplici parole della sen-
tenza pontificia. —Buon zelo mosso il Savonarola a riscrivere al Pontefice. — Ragioni perentorio.
— Conclusione.
XXX. Del breve pontificio de' 16 ottobre 1495 e relativa condotta del
frate Pag. 478
Ragioni del Brovo 16 ottobre 1495. — Clio cosa fra Girolamo domandasse al Pontefice. — Dispositivo
della Sentenza Pontificia. — Lo concioni dell'ottobri; 1495. — Un' accnsa nuova promossa dal Pa-
stor. — Apparenza di verità. — Ragioni che la distraggono. — Non occorreva la dirotta permissioni)
del Papa pcrchò Fra Girolamo potesse predicare. — La causa in discussione. — Il reo che si
tiono ragionevolmente prosciolto. — Discussione legittima. — La credenza nniversaloo la esplicita
testimonianza del Parotiti. — Cose date o non concesse. — Non misfatto, ina aziono al tomento
lodevole. — La patria in pericolo per cagione di Piero Do' Modici. — La propria e l'altrui di lisa
giustifica il Fiato. — Ancora una proposizione vera che scandalizza il popolo. — Ragiono jho, pur
Sembrando sofistica, non ò tuttavia priva di importanza. — Il Savonarola non pecca per sciocca
Semplicità. — Coniando al Fiato di astenersi da ogni sermono. — Giudizj gratuiti ed ingiusti.
— Troppa voglia di condannalo il calunniato Domenicano. — Una insinuaziono gravissima.
— Il Savonarola accusato un' altra volta di disobbodienza dal Pastor o dal Grisar. — La coscienza
guasta. — Ignoranza imperdonabile, — Si ripiglia la questiono elio credevamo decisa. — Pensieri
— G21 —
ohe agitano l'animo del Fiato o del Governo Fiorentino. — Prudenza di Fra Girolamo. — Il Sa-
vonarola a Fra Antonio D' Olanda. — La licenza impetrata. — L' attestano i biografi del Frate.
— Provo tratte dai Nuovi Documenti. — Tina lettera del Somenzi. — Il Tancredino elio afferma
qnanto vorrobbo negare. — Un colloquio del Beccbi oratore fiorentino con il cardinale di Pe-
rugia. — Riflessioni. — Altro principio di prova. — Colloquio di Niccolò Paudolfini con Ales-
sandro VI. — Imitilo tentativo del Cosci. — Una obbiezione che ha pronta la risposta. — Un vero
giudizio di Isidoro Del Lungo. — Dichiarazione del Savonarola. — Una inesattezza. — Condi-
ziono a cui fu ridonata la licenza del predicare. — Coso riferite al Papa sul conto di Fra Giro-
lamo. — Autorità dei delatori. — Carattere delle prediche sopra Amos e Zaccaria. — Difficoltà
del Becchi nel difendere il Savonarola. — Tolleranza di Alessandro VI. — Si previene una obie-
zione. — Uguale storia di due Brevi. — Una nostra domanda. — L'ordinanza della Signoria ine-
splicabile senza l'ottenuta facoltà di predicare. — Kisposta alle domande altrui. — Singolarità
del Cosci. — Giudici del Savonarola meno tolleranti e più severi di Alessandro VI.
XXXI. L' unione dei Conventi Pag. 498
Fra Girolamo vittorioso. — Autorità e venerazione accresciute. — Ira e zelo diabolico degli avversarj.
— Il Tancredino al Moro. — Gravi avvenimenti che turbano i principj della Lega. — Massimi-
liano e i Fiorentini a Livorno. — I nuovi fatti e la persona del Savonarola. — Prediche famoso. —
L'istituzione della congregazione Tosco-Romana. — Contenuto del Breve. — Fine apparente. —
Fine reale. — Gindizj del Pellegrini. — Il Pastor ultima eco della voce degli avversarj del Frate.
— Alessandro VI palesa il recondito fine della Bolla Pontificia. — Esso ó noto a Fra Girolamo.
— Una domanda. — Le parabole narrato e Fra Girolamo. — Una nuova parabola e sua dichiara-
zione. — Il Savonarola non doveva partirsi da Firenze. — Il Somenzi al Moro. — Il Frate ob-
bedì alla buona intenzione del comando Pontificio. — La questione sotto l'aspetto canonico. —
Una distinzione necessaria. — Qual persuasione avessero i frati di San Marco. — Un po' di storia.—
Che facesse Fra Girolamo di fronte al Brevo Pontificio. — I Padri professi 3 i Padri de' novizj ri-
pugnanti spontanei all' unione. — Prove irrefragabili. — Una giusta sentenza del Pico. — Una que-
stione di diritto e uua di fatto. — Fra Girolamo secondo le costituzioni dell' Ordine non doveva
lasciare i conventi di San Marco. — Il Savonarola vuol essere dichiarato prosciolto dall' ac-
cusi. — La questione dal lato inorai";. — Le ragioni de' Frati di San Marco, il Pastor e il Pico.
— La disciplina ne' conventi dell'Unione e severo giudizio del Pastor e del Savonarola. — Giusta
sentenza del Pico. — Un' obiezione. — Odio a San Marco de' frati deformati. — Il Savonarola e
i Sanesi e i Pisani. — Un documento espressivo. — Conclusione.
XXXII. Li Scomunica Pag. 526
Fatto doloroso a dirsi. — Il Breve di scomunica come si legge nel Pastor. — Empietà di coloro che
1' hanno procurata. — L' iutiero nostro scritto dimostra la nullità della grave sentenza. — Un
lavoro che sarebbe utile. — Si riepilogano con lo parole del Frate le coso fin qui det te. — Un po-
destà di Brescia. — Ad Alessandro VI spiace la pubblicazione della sentenza. — È conosciuta
da molti la nullità della scomunica. — Il Papa riconosce 1' innocenza del Condannato. — Dottrina
evita del Savonarola lodate da Alessandro VI. — Il Papa desideroso di revocare la scomunica.
— Prove. — Un'altra scein. — I motivi della scomunica riconosciuti inesistenti da Alessandro
VI. — Interpretazione delle parole falsa et pestifera dominata. — So Fra Girolamo potesse chie-
dere 1' assoluzione. — La benedizione papale. — La dignitosa coscienza del Frate ha compito
il proprio dovere. — Una domanda al Pastor. — Obbligo della difesa. — I tristi che trionfano e
imperversano, e nessuno li frena. — I buoni elio dimandano pane e nessuno lo spozza loro. —
Il Frate giustificato del riprender la predica e la celobraziono dei misteri divini. — Gli effetti
manifestano che il Savonarola diceva la verità. — La testimonianza del Landucci. — L' uomo
di poca virtù o 1' uomo acceso ili santo zelo. — Non siamo nel caso. — Un pensiero difficile a
significarsi. — Grandezza di Fra Girolamo.
XXXIII. Il Concilio Pag. 545
Como sia faticoso difendere Fra Girolamo. — Il Savonarola condannato audio da amici o ammiratori
come reo d'aver voluto un concilio antipapale. — L'accusa Immolata dal Pastor. — Come, data
la verità de' supposti, sarebbe inevitabile la condanna. — Ragioni. — Savio parole dol Pastor,
del Marchese, dol Procter. — Nostra opinione. — Che cosa si concedo e che cosa si nega. — Uu
— 622 -
argomento negativo (li molto valore. — Si chiosa un misterioso motto ilei Frate. — Si nega 1' au-
tenticità delle Iutiere ai principi. — Malvagità provata do' calunniatori del Frate. — Le lettere
ai principi sono almeno alterate e corrotto. — Silenzio non spiegabile. — Il punto essenziale. —
Fra Girolamo non disse mai che Alessandro VI non fosse vero Papa. — Vecchia calnnnia. — La
cliiave elio apre il segreto. — La nostra opinione confortata da' nuovi documenti. — L'esamina
di Giovanni Cambi e le lettere di Domenico Mazzinghi e di Simone del Nero. — Anche i processi ci
danno ragione. — Si esamina e si ribatte il più forte argomento del Padre Marchose. — 11 Savo-
narola non può volere un Concilio senza i Prelati della Chiesa e il Papa. — Una riforma della
Cliiesa per via di rivoluzione inconcepibile nel sistema del Savonarola. — La Chiesa e 1' aquila.
— Ordino tenuto da Dio. — L' abbondanza dello Spirito Santo necessaria alla rinnovazione della
Chiesa discende nel popolo per mezzo de' Prelati. — Alla riforma del popolo dovo precedere quella
del Clero. — Il Savonarola crede impossibile per ora che si raccolga la Chiesa in Concilio. — Suo
ragioni. — La preghiera ultimo rifugio e arma del cristiano. — Alla rinnovazione precederà il
flagello. — La superiorità del Concilio al Papa, come non ò dottrina dell' Ordino domenicano, così
non è dottrina del nostro Frate. — La riforma del Frate di San Marco si poteva faro anche con
Alessandro VI. — Il Papa angelico. — Sentenze che non si devono ripeter piii.
XXXIV. La prova del fuoco e la morte Pag. 571
Questiono pregiudiziale. — Parliamo ai cattolici. — Come i cattolici non possono disapprovare sempli-
cemente la prova del fuoco. — L' esempio di San Giovanni Gualberto, di Fieno vescovo di Elio-
poli e di Elia Profeta. — La parità del caso. — La questione decisa autorevolmente da Ales-
sandro VI. — Breve pontificio ai Frati Minori. — La bnona fede ne] Savonarola e ne' suoi. —
Nostra vana prova di scorgere fanatismo in Fra Girolamo. — Origine della prova del fuoco. —
I Domenicani si mossero non presuntuosi, ma chiamati e provocati. — Come passarono le cose.
— Consideratone importante. — Chi chiedesse il miracolo. — Perchè il Savonarola s' oppose
dapprima all' esperimento e non volle entrare poi egli nel fuoco con Frate Francesco. — Mente ed
offerta di Fra Girolamo. — Pretesa ridicola. — Moltitudine che si oltre a sostener la prova
per Fra Girolamo. — Come il Savonarola dovesse lilialmente acconsentire all' esperimento- —
Proposizioni da provarsi. — Ditt'ereuza di fedo ne' Piagnoni o nei loro awersarj. — Preterizione.
— Abile narrazione del Pastor. — Nostre osservazioni e domande. — Cose lecite, ma da giusti-
ficarsi. — Il nodo della qnestiono. — Un' omissione del Pastor o nostro riparo. — GÌ' incante-
simi, la superstizione dei protervi avversari ginistificano il nostro Frate. — Gregorio VII e il Sa-
vonarola. — Un fatto non contestato, ma non giustificato nò spiegato dal Pastor. — Autodifesa
di Fra Domenico rincalzata da Fra Girolamo. — Un falso supposto. — Non i Domenicani, ma gli
avversar) si ritirarono dal cimento senza giusta causa. — Protosa dell' insipienza del volgo, e sa-
viezza di Fra Girolamo. — Tempesta terribile ma non imprevista. — Il popolo sommosso. — I
Frati prigioni. — I processi. — I buoni di fronte alle estorte e falsificate deposizioni. — La
condanna o il supplizio. — Il trionfo della semplicità. — Conclusione.
Breve Epilogo Pag. 599
Appendice. Documento 1. (Inedito) » 005
» Documento II » 60G
» Documento III. (Aggiunto in questa seconda edizione) » 609
Con approvazione dell'Autorità Ecclesiastica